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Autore: _KyRa_    06/02/2013    4 recensioni
Condividevano un dolore.
Condividevano un tavolo, una cucina, una casa.
Condividevano un desiderio di pace.
Condividevano un amore.
Eppure non riuscivano a guardarsi negli occhi e leggere tutto questo.
Erano vicini ma lontani anni luce. Il dolore che ora li univa era incommensurabile; li rendeva ciechi.
Entrambi desideravano il loro amore; entrambi si detestavano. Entrambi soffrivano, ma nessuno faceva nulla per evitarlo.
Forse erano destinati a vivere a quella maniera, senza mai capirsi davvero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ciao

9 Crimes





Leave me out with the waste, this is not what I do
It's the wrong kind of place to be thinking of you
It's the wrong time for somebody new
It's a small crime and I've got no excuse





Lo guardava.

Lo guardava e cercava di ricordarsi come fossero le sue carezze. La sua pelle assopita era ormai dimentica di quelle dolcissime sensazioni. Amore, protezione, casa.

Quanto era morbido il suo corpo? Quanto era caldo e rassicurante? Non lo ricordava. Ne aveva rimosso la consistenza, e ciò che riusciva ad infonderle nelle lunghe notti in cui si amavano. Passione, bramosia, delicatezza.

La grandezza delle sue mani, il sapore delle sue labbra, la dolcezza dei suoi occhi che le sorridevano sottintendendo un Ti amo che da troppo tempo non udiva. Ora era tutto effimero, inconsistente.

Un rapporto freddo, di puro odio forse, che in pochissimo tempo aveva preso il posto di ciò che con fatica avevano costruito. Insieme.

Perché?

Si è stufato di me, non mi ama più, mi tradisce.

Perché non riusciva a trovare una risposta plausibile ai suoi quesiti?

Aveva paura di ciò che erano diventati. Aveva paura di non poter più imboccare la via della felicità, com'erano invece riusciti a fare in passato. Aveva paura di non avere nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi o poterlo abbracciare.

Dio, quanto le mancavano i suoi abbracci.

E le ennesime lacrime minacciarono di sgorgare copiose dai suoi occhi. Una sofferenza che ormai non poteva più sostenere; una sofferenza che la stava dilaniando, ma che al tempo stesso la scuoteva brutalmente, risvegliando in lei un sentimento di puro odio.

Perché è così. Amore e odio si completano a vicenda.

Mi faresti un favore se non te ne stessi tutto il giorno su quel fottuto divano.” sputò. Le parole ormai che le uscivano dalla bocca, incontrollate. Percorreva il salotto con falsa tranquillità, senza distogliere lo sguardo da lui, troppo interessato a ciò che il maledetto televisore trasmetteva.

Rimpiazzata da un televisore. Rimpiazzata da un divano. Da un cuscino, una macchina, una palestra, una piscina, una chitarra. Aveva perso il conto di quante cose avessero preso il suo posto, nella loro vita.

Non rompermi i coglioni.”

Quante volte le aveva risposto a quella maniera? Si sentiva sempre più piccola ed indifesa, mentre l'odio che provava per lui cresceva a dismisura.

Sei tu, qui dentro, l'unica rottura di coglioni.” pronunciò con immensa freddezza. Da mesi, non faceva altro che mentirgli e fargli credere che fosse un peso, che non soffrisse per lui. Ma non riusciva a fare altro.

Esci di casa, allora.” fu la secca risposta che le diede, come sempre senza guardarla negli occhi. Forse, non si erano nemmeno più scambiati un semplice sguardo.

E furono lamine taglienti quelle parole. Lamine che perforarono, una dopo l'altra, il suo cuore già stanco e pieno di ferite non ancora rimarginate.

Questa è casa mia. Esci tu piuttosto.” sussurrò ferita.

Tremò.

Tremò perché aveva tremendamente timore dell'abbandono. Aveva paura che la prendesse in parola.

Non farlo. Ti prego, non farlo.

Benissimo.” concluse il ragazzo, per poi passarle affianco, facendo ben attenzione a non sfiorarla con un dito.

Fermati.

Il tonfo della porta di casa le diede conferma che il suo incubo peggiore si stava trasformando in realtà.





Is that alright?
Give my gun away when it's loaded





Ascoltava silenziosamente la sorta di scricchiolio che le sue scarpe producevano, a contatto con l'asfalto ancora umido della precedente pioggia che aveva scatenato tutta la sua ira sulla città. La stessa ira che si era impossessata del suo corpo. Le mani nascoste nelle tasche dei jeans, quella sera più stretti, prudevano fastidiosamente ed il suo viso contratto cercava di nascondere la voglia di urlare.

Come ci siamo arrivati? Cosa siamo diventati?

Ignorò la fitta dolorosa che aveva attraversato violenta il suo stomaco vuoto da giorni.

Quegli occhi intrisi di odio. Avrebbe pagato oro per non vederli mai più puntati a quella maniera sulla sua figura. Ed avrebbe pagato altrettanto per riavere la sua Lisa, con le sue timide carezze, i caldi baci quando tornava da una lunga ed estenuante giornata in sala di incisione, la sua continua ricerca di coccole davanti ad un bel film. Gli mancava stringerla fra le braccia e sentirla fremere mentre facevano l'amore, beandosi del suo profumo. Ma soprattutto, gli mancava dirle che l'amava più di se stesso.

Gli occhi pizzicarono, nello stesso istante in cui il cielo si era dipinto di nuovo della cupa tonalità di minuti addietro.

Piangere. Voleva solo piangere, ora che non doveva affrontare il suo sguardo pieno d'odio.

E non si vergognò per nulla quando la prima lacrima scorse lungo la sua guancia, assieme alla prima goccia di pioggia. Avrebbe finalmente potuto farlo; nessuno lo avrebbe visto o giudicato.





Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it?





Era nel suo letto – nel loro letto – quando lo udì rientrare. Fu il momento in cui riprese a respirare.

Aveva vissuto attimi terribili, durante la lunga ora in cui era stato fuori, che sembrava non avesse una fine.

Non mi abbandonare mai.

Non si mosse di un muscolo; si limitò a nascondere il viso contro il cuscino, ancora umido delle lacrime che aveva versato per tutta la sera, attendendolo impaziente e speranzosa.

Cosa sarebbe successo? Le avrebbe parlato?

Udì il fruscio prodotto dai suoi vestiti, che vennero gettati a terra.

Non una parola. E sapeva bene che non le avrebbe regalato nemmeno una carezza, una volta a letto assieme a lei.

Percepì il materasso inclinarsi alle sue spalle ed il profumo che amava inebriarle i sensi. Poi, il silenzio. Un silenzio quasi inquietante, che voleva a tutti i costi abbattere, ma era troppo codarda – o forse solo orgogliosa – per farlo. Avrebbe potuto semplicemente voltarsi alla sua sinistra ed abbracciarlo con nostalgia ed amore.

Ma non lo fece.





Is that alright?
Give my gun away when it's loaded





Fremeva dalla voglia di baciarla e stringerla a sé. Ma l'orgoglio, ancora una volta, si era rivelato vincitore di quella tacita ed ingiusta guerra. Le osservò le spalle: sembrava contratta, come fosse timorosa di toccarlo per errore.

Sapeva che non stava dormendo.

Deglutì con forza, quando provò ad avvicinare le dita alla sua schiena. Pochi centimetri e l'avrebbe di nuovo accarezzata, toccata con dolcezza. Voleva di nuovo percepire la morbidezza della sua epidermide.

Eppure, pochi secondi dopo, si era trovato a darle di nuovo le spalle.





Is that alright?





Quella mattina, il tavolo era di nuovo pervaso di tensione e silenzio. Uno di fronte all'altra, intenti a fingere di fare colazione, osservavano senza interesse le rispettive tazze di caffè.

Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, fargli infinite domande.

Dove sei stato, ieri sera? Ti sei visto con qualcuno?

Dove sei stato, ieri sera?” domandò con freddezza, senza nemmeno rendersene conto. Per la prima volta, alzò lo sguardo su di lei, cosa che le fece perdere il controllo.

Prima mi sbatti fuori di casa e poi vuoi sapere dove sono stato?” ribatté lui con gelido sarcasmo.

Non ti ho sbattuto fuori di casa, sei uscito di tua spontanea volontà.”

Fai anche la santa, ora?!” urlò, sbattendo una mano sul tavolo, facendola così sobbalzare, spaventata, sulla sedia. “Sai benissimo che con me questa tattica non funziona.”

Non è una cazzo di tattica. È la verità.”

Si stava agitando. Non voleva farlo innervosire ancora di più, ma aveva perso ogni briciolo di razionalità.

Quanto sei ipocrita.” commentò il ragazzo, quasi disgustato. “E comunque, anche mi fossi sbattuto una, a te non fregerebbe un cazzo.” concluse, alzandosi dalla sedia, per poi uscire dalla cucina.

Una fitta.

Quelle parole le avevano fatto male. Molto di più delle altre.

Si alzò di scatto anche lei.

Brutto stronzo!” urlò, spintonandolo alle spalle. “Chi credi di essere per trattarmi a questa maniera?!” lo spintonò una seconda volta, stavolta guardandolo negli occhi. Lui sembrava fuori di sé. Non sapeva come sarebbe andata a finire, ma di certo non era tranquilla. Sentiva che tutta la rabbia repressa stava sfogando la propria presenza solo in quell'istante. “Vergognati!”

Io dovrei vergognarmi?!” domandò esterrefatto. L'ira ad invadergli gli occhi, mentre prendeva anche lui a spintonarla. “Vergognati tu, per tutte le cazzate che continui a dire!”

La verità fa male, Tom?!” lo sfidò con cattiveria.

Ti conviene smetterla, di provocare!” le strattonò un braccio.

Perché, sennò che fai?!” lo derise. “Ti odio!” urlò in fine, con le lacrime agli occhi. Vide Tom immobilizzarsi. Gli occhi sgranati. “Ti odio, hai capito?!” gli tirò un pugno sul petto, mentre le prime lacrime cominciavano a rigarle il viso. “Ti odio, ti odio, ti odio!” prese a ripetere ad ogni pugno sul petto del ragazzo.





Leave me out with the waste, this is not what I do
It's the wrong kind of place to be cheating on you
It's the wrong time, she's pulling me through
It's a small crime and I've got no excuse





Erano giunti all'esatto punto che non avrebbe voluto mai vedere nemmeno in lontananza. La osservava inerme urlargli che lo odiava, colpendogli con rabbia il petto – carezze in confronto alle sue parole. Si sentiva uno stupido perché avrebbe tanto voluto prenderla per il viso e porre fine a quello sfogo con un bacio.

Mano a mano che il tempo trascorreva, sentiva i pugni della ragazza farsi sempre più deboli, così come le sue urla. Sembrava affaticata, affaticata da un peso troppo più grande di lei per poterlo sopportare. Le sue mani esili si immobilizzarono sul suo petto ormai marmoreo – a causa di tutte le ore passate in palestra, per non vederla soffrire – e scivolarono lentamente verso il basso, fino a rompere il contatto.

Hai rovinato tutto.” la sentì sussurrare con un dolore incontenibile, prima di osservarla correre su per le scale.





Is that alright?
Give my gun away when it's loaded





Si rannicchiò sul letto, quando sentì Tom entrare in camera. Non voleva farsi vedere piangere per l'ennesima volta, se ne vergognava. Doveva raccogliere tutta la forza che per mesi aveva gettato in un angolo della sua vita e reagire.

Non si mosse quando le si sedette affianco, né disse una parola per minuti.

Cosa siamo diventati?” Fu un lieve sussurro da parte del ragazzo, ma la fece tremare. Aveva percepito, attraverso quelle poche parole, quanto dolore lo assillasse. “Dove sono finiti tutti i nostri sogni? Io me li ricordo ancora.”

Anch'io, avrebbe voluto rispondere, ma non ce la fece. Il magone che le si era formato in gola era troppo più forte.

Ho bisogno di sapere che ne sarà della nostra vita.” continuò a parlare, nel buio e nel silenzio.

Sei tu che hai rovinato tutto.” soffiò, inerme, senza voltare il viso verso di lui. Ormai aveva paura persino di guardarlo; non voleva leggere nei suoi occhi la sofferenza, l'odio.

È così, Lisa? Sono stato io?” le domandò, retoricamente. Lei non rispose. “Ti comporti come se io fossi un estraneo; come non avessimo mai condiviso niente in tutti questi anni che siamo stati insieme.”

Sei stato tu ad allontanarti da me. Non mi tocchi nemmeno più.”

Sentì Tom tacere per un momento, forse sorpreso da quelle parole, pronunciate con insicurezza, con timidezza. Parole che nemmeno lei si sarebbe mai sognata di pronunciare.

Non appena mi avvicinavo, ti tiravi indietro.” rispose con tono più grave, come stesse facendo ammissioni che costavano persino a lui.

Palle.”

Sentì un tonfo accanto a sé e capì che Tom aveva sbattuto le mani sul materasso e si era sollevato con rabbia. Non si domandò nemmeno più cosa sarebbe accaduto di lì a poco; desiderava solamente che lui potesse ignorare il suo orgoglio, che la caratterizzava da una vita, e potesse stringerla a sé, amandola come faceva i primi anni; con passione, con desiderio ma soprattutto amore.

Non si può parlare con te! Sei una testarda del cazzo e io non ti sopporto più!” urlò il ragazzo. Ringraziò il buio, che non le fece osservare il suo viso contrito in una smorfia di, immaginava, pura ira.

Te l'ho detto. Vattene, se non mi sopporti più.”

Tu mi porterai all'esaurimento!”

Udì la porta sbattere con violenza e si raggomitolò nuovamente sola in quella stanza grande, vuota e buia.





Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it?





Sentiva quella sconosciuta gemere al suo orecchio. Continuava a muoversi freneticamente fra le sue gambe, ma non provava nulla.

Non si era mai permesso. Non l'aveva mai tradita, prima di quella sera.

La odiava. La odiava e si odiava, per sfogare la rabbia e l'odio così forte a quella maniera del tutto sbagliata. Strinse le palpebre, mentre una lacrima scorreva lenta e colpevole lungo la guancia, ma non si fermò.

Stavano sbagliando tutto, stavano mandando tutto a puttane.

Sbatté la ragazza contro il muro, possedendola lì senza il minimo garbo o la minima cura.

Non mi tocchi nemmeno più.

Le sue parole continuavano a violentargli la mente.

Dio, quanto avrebbe voluto farlo. Gli mancava da morire. L'aveva sempre sentita minuscola fra le sue braccia ed aveva sempre provato un forte desiderio di protezione, nei suoi riguardi.

Un'altra lacrima seguì la precedente, ma teneva il viso nascosto fra i capelli di quella sgualdrina.

Si faceva schifo. Si faceva dannatamente schifo.





Is that alright?
Give my gun away when it's loaded





Quando rientrò in casa, lei sedeva al tavolo della cucina, curva su se stessa. Gli occhi erano arrossati per il troppo pianto che ormai non riusciva più a frenate, le occhiaie avevano posto le loro radici sul suo viso stanco ed il cuore lo avvertiva frantumato in mille pezzi. Era troppo tardi per ricomporlo, lo sentiva.

Vide con la coda dell'occhio Tom fermarsi sulla porta della cucina e quasi sperò che potesse andare da lei e baciarla, come niente fosse accaduto. Invece, si limitò a riempirsi un bicchiere d'acqua, ignorandola dolorosamente.

Lo osservò alle spalle; l'aveva tradita, lo sapeva. Lo conosceva troppo bene.

Un dolore. Un dolore che mai prima di allora aveva provato. Quei tipi di dolore che non si riescono ad evitare e che portano quasi a voler morire.

Un singhiozzo troppo forte ed incontrollabile; le sfuggì dalle labbra, portando il ragazzo a voltarsi nella sua direzione, con il bicchiere ancora in mano. Lei si premette i palmi sugli occhi, cercando di nascondere la sua debolezza e piangendo in silenzio.





Is that alright?





Si sentì morire ancora una volta.

Strinse il bicchiere con rabbia, cercando di frenare le gocce salate che ancora minacciavano di smascherarlo. Quelle gocce che aveva versato fino a mezzora prima.

Le si avvicinò insicuro, fino a toccarla appena sulla spalla, ma lei si ritrasse inorridita.

Non mi toccare! Che schifo!” urlò, fuori di sé, per poi tornare a disperarsi.

Capì. Capì che sapeva.

Il magone gli impedì ancora di più di respirare.

Dio, fai finire tutto questo.

Si sedette a capotavola, accanto a lei e lasciò che le lacrime scorressero copiose sul suo viso, cercando di strozzare i singhiozzi troppo forti, che andavano a confondersi con quelli di Lisa.

Io non ce la faccio più.” pianse lei, facendogli annodare maggiormente lo stomaco. “Non ce la faccio più.” ripeté, incontrollata.

Tom si nascose il viso fra le mani, sfogando anche lui tutto il proprio dolore.

Per la prima volta nella vita, piangeva come un bambino. Tutto quel malessere era insopportabile; era un qualcosa di troppo più grande di lui, che non aveva mai provato prima di allora.

Voleva solo porvi fine.





Is that alright?





Condividevano un dolore. Condividevano un tavolo, una cucina, una casa. Condividevano un desiderio di pace. Condividevano un amore. Eppure non riuscivano a guardarsi negli occhi e leggere tutto questo. Erano vicini ma lontani anni luce. Il dolore che ora li univa era incommensurabile; li rendeva ciechi. Entrambi desideravano il loro amore; entrambi si detestavano. Entrambi soffrivano, ma nessuno faceva nulla per evitarlo. Forse erano destinati a vivere a quella maniera, senza mai capirsi davvero. Senza mai cancellare tutto quell'astio e capire da dove arrivasse.

I loro singhiozzi erano testimoni del loro amore quasi morboso.

Un amore che mai avrebbe trovato pace.





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Una One Shot molto strana, me ne rendo conto. Una One Shot che non ha una vera conclusione. Non so nemmeno il motivo per cui io l'abbia scritta; le parole mi sono uscite di getto, senza controllo, ascoltando questa canzone – secondo me – bellissima. Motivo per cui questo lavoro non ha pretese; non vuole avere necessariamente un significato. Mi sono sentita solamente di descrivere una situazione difficile, dolorosa e dalla quale sembra impossibile uscire. Qualcosa di angosciante, a parere mio. Sentivo il dolore dei personaggi, nell'esatto momento in cui scrivevo e spero che – anche se non ha voluto dirvi nulla – vi abbia almeno trasmesso qualcosa. Fatemi sapere.


Kyra.

  
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