CAPITOLO
SECONDO. Il
signor Oshimaida
13 Maggio. Ore 8.00
Los Angeles - Deserto
L’auto
si fermò con
una brusca frenata, sollevando una nube di polvere sottile che si
posò sulla
vettura, imbiancando la carrozzeria.
“Vi
avevo chiesto
di aspettare.” Sbottò Gibbs rivolgendosi ai due
agenti che stavano trasportando
alcuni scatoloni su un pick-up scuro.
“Ma
io non potevo.”rispose
una voce maschile dalla soglia.
“Leon!”
“Tu
hai chiamato il
Secnav e loro hanno chiamato me. Ai piani alti sono un
po’nervosi. Prima il
direttore viene sospeso perché si teme un coinvolgimento
nell’omicidio di un
trafficante d’armi e ora, a tre giorni dal suo reintegro,
è coinvolta in una
sparatoria in mezzo al deserto.”
“Un
bel ginepraio
eh? Hanno mandato te a ripulire la stalla?” concluse
l’agente anziano con una
nota ironica.
“Non
scherzare con
me Gibbs.” Vance spostò lo stuzzicadenti da un
lato all’altro della bocca e si
voltò per entrare nella tavola calda, seguito a poca
distanza dall’agente.
Alcuni
cartellini
numerati erano disposti a terra, segnando il punto di giacitura dei
bossoli e
dei cadaveri; poco oltre il bancone, un foglietto di carta indicava
dove si
trovava il corpo del direttore. Gibbs guardò la pozza di
sangue raggrumato,
immaginando la figura inerme di Jen distesa a terra e sentì
un improvviso
conato salirgli alla bocca dello stomaco, che cercò di
ricacciare con la stessa
rapidità con cui si era presentato. Si girò verso
il vicedirettore, che stava
tentando di ricostruire la dinamica dell’accaduto
“erano in quattro, due sono
entrati dalla porta d’ingresso, gli altri due dal lato. Ha
aperto il fuoco
contro il primo, che si è accasciato qui, poi si
è rivolta verso il secondo. Il
terzo e il quarto le sono arrivati alle spalle…Mike Franks
è entrato dalla
porta sul retro.”
“Deve
aver colpito
l’uomo alle spalle.”
“È
così che i tuoi
uomini proteggono il direttore di un’agenzia federale Gibbs!?
Dovrei sospenderli.”
“I
miei uomini non
hanno commesso nessun errore.”
“Sei
pronto a
garantire per loro?”
“È
il mio
distintivo che vuoi Leon? O punti al posto di direttore?”
Vance
incassò il
colpo “Tu resti qui a sovrintendere la mia indagine. Voglio
sapere cosa è
successo qui dentro.”
“Quando
lo saprò te
lo dirò Leon.” Rispose l’agente e
uscì.
“Capo…”
DiNozzo si
fermò davanti a Gibbs con in mano uno degli scatoloni colmi
di reperti, poteva
leggergli l’apprensione e il senso di colpa sul viso.
“Non
è colpa tua
Tony, hai eseguito gli ordini.”
“Franks
è con il
direttore.” Lo informò Ziva: cerva di nasconderlo,
ma la sua postura e la sua
voce tradivano una certa apprensione.
“Lo
so. Voglio che
voi ritorniate a Washington con i corpi e tutto il resto. Tony, tu
condurrai
l’indagine da Washington fino al mio ritorno.”
“Tu
dove vai?”
“A
parlare con
Mike.” Tuonò Gibbs prima di incamminarsi verso
l’auto e comporre il numero di
Ducky.
Tony e Ziva
lo
guardarono allontanarsi lungo la statale, poi si rivolsero al
vicedirettore
Vance “qui abbiamo quasi finito, signore.”
“Bene.
Mi aspetto
un rapporto dettagliato dell’accaduto, appena sarete
rientrati.” Concluse prima
di sparire nel pick-up e mettere in moto.
“Non
sei l’unico ad
averla lasciata da sola Tony.” Bisbigliò Ziva
mentre raccoglieva la macchina
fotografica.
“Sono
l’agente più
anziano. La responsabilità era mia.”
Affermò gettando con rabbia lo zaino sul
sedile posteriore dell’auto.
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13 Maggio. Ore 18.30
Los Angeles - California
Hospital Medica Center
Gibbs
varcò la
soglia del pronto soccorso e si avvicinò alla caposala
“Jennifer Shepard. È
stata ricoverata ieri con ferite d’arma da fuoco.”
“Lei
è un parente?”
“Agente
speciale
Gibbs, sono…un amico.” Rispose mostrando il
distintivo del NCIS.
La donna
digitò il
nome al computer e avviò la ricerca “il suo
direttore si trova al secondo
piano, stanza 72” indicò l’ascensore, ma
poco dopo lo vide salire le scale, due
gradini alla volta.
Mentre
copriva la
distanza che lo separava da Jen, si guardò attorno alla
ricerca di Mike Franks:
era sicuro che si trovasse ancora lì, non solo
perché glielo aveva detto Ziva,
ma perché lo conosceva abbastanza per sapere che non avrebbe
lasciato da sola
Jen, nonostante le molte lamentele sulla presenza di un direttore
donna.
La porta a
vetri si
aprì automaticamente quando passò davanti alla
fotocellula: un medico era in
piedi accanto al letto e stava controllando le medicazioni.
“Come
sta?”
bisbigliò cogliendo di sorpresa l’uomo.
“Ha
superato bene
l’operazione. Il proiettile è entrato e uscito, ha
perso una discreta quantità
di sangue me se la caverà. Lei è un
parente?”
“Un
amico.” Rispose
senza esitazione.
“Le
ho
somministrato degli analgesici, ora sta dormendo, ma se vuole
può restare qui
per un po’.” Lo avvisò prima di uscire e
lasciarlo da solo, nella stanza in
penombra.
Jethro sì
avvicinò piano al letto, fermandosi
a poca distanza da Jen. Il viso, incorniciato dai lunghi capelli rossi
era
pallido, ma il respiro era regolare e gli sembrò
così fragile avvolta nelle
lenzuola bianche e asettiche, che sentì il bisogno di
sfiorarle la fronte,
quasi a trasmetterle un po’del proprio calore.
“È
una donna forte.”
Franks era comparso sulla soglia con in mano un pacchetto di sigarette
e un
vistoso cerotto sulla fronte.
Gibbs
indugiò
ancora un poco accanto a Jen, prima di raggiungere il suo ex capo e
guardarlo
con espressione interrogativa.
“Usciamo
da qui
Pivello, ho bisogno di una sigaretta.” Asserì
Franks e lo precedette verso
l’ascensore, premendo il pulsante del pian terreno.
“E
io di un caffè.”
I due
uomini
camminarono in silenzio per qualche minuto, attraversando uno dei
giardini
davanti all’ospedale, lambiti dai caldi raggi del sole di
maggio, ormai
prossimo al tramonto.
“Ti
ascolto Mike.”
L’uomo
prese una
lunga boccata di fumo prima di cominciare “mi ha chiamato due
giorni fa, dopo
il funerale di Deker, dicendo di volermi parlare. Aveva bisogno
dell’aiuto di
qualcuno che fosse esterno all’agenzia.”
“Ti
ha detto
perché?”
“Ha
parlato di una
vostra missione in Europa.”
“Ho
passato molto
tempo in Europa, Mike.”
“Al
funerale di
Deker ha detto di aver sentito che qualcuno cercava il signor Oshimaida
e che quello
era il termine da usare se la vostra copertura fosse
saltata.”
“A
Parigi.” Sospirò
Gibbs, mentre la mente tornava a quel lontano 1999.
“Che
cosa ti ho
sempre detto riguardo alle faccende in sospeso.”
“Ne
siamo usciti
puliti, tutti e tre.”
“
Eppure lei e
Deker erano a conoscenza di qualcosa che tu non sapevi.”
Franks prese un ultima
boccata di fumo, prima di spegnere la sigaretta e gettarla in uno dei
cestini “la
copertura di Deker era saltata, ma invece di fare i vostri nomi, vi ha
dato un
avvertimento, lasciandoci un po’ di tempo.”
“Che
cosa è
successo?” chiese portando il bicchiere alle labbra.
“Deker
aveva
lasciato una polizza assicurativa, codificata nelle foto. Tranquillo,
Pivello,
le carte sono uscite dalla finestra due giorni.”
“Mike.
Che cosa è
successo laggiù.” Incalzò nuovamente.
“Ero
uscito a
prendere dell’acqua quando li ho visti entrare: due dalla
porta principale e
due dal retro. Jen ha sparato due colpi in rapida successione contro il
primo,
non ha nemmeno avuto il tempo di reagire. È stata colpita al
braccio e ha
risposto con tre colpi. I due che le sono arrivati di lato hanno aperto
il
fuoco, un proiettile le ha colpito il fianco, si è girata e
ha sparato. Io sono
entrato in quel momento.”
“Ma
non sei
riuscito a coprirle le spalle.” Aveva l’aria truce,
ma Mike continuò senza
dargli ascolto “ha colpito il terzo alla gamba e si
è rivolta verso il quarto. L’uomo
a terra si è rialzato, uno dei proiettili mi ha preso di
rimbalzo prima che io
riuscissi a fermarlo.”
Camminarono
in
silenzio per quasi mezz’ora, ciascuno immerso nei propri
pensieri, accarezzati
dalla calda brezza che accompagnava il tramonto.
“Sai Pivello, sono
poche le persone che ho
visto sparare così, e di sicuro mai una donna.
L’hai addestrata bene!” affermò
infine, rompendo il silenzio.
A Gibbs
scappò un
sorriso e una serie di immagini dal passato gli passarono davanti:
rivide sé stesso
assieme a Jen al poligono di tiro, intento a migliorarne la postura o a
scommettere su chi facesse il maggior numero di centri.
“Già,
ma non c’ero
neanche questa volta.” Sussurrò a sé
stesso guardando verso l’edificio grigio
in cemento armato, prima di tornare su suoi passi, con Franks al suo
fianco.
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13 Maggio. Ore
20.15
Washington D.C. – Sede NCIS
Il
laboratorio di
Abby era stranamente silenzioso, mancava qualcosa, mancava la musica, quel frastuono assordante
che ti accoglieva e
ti frantumava i timpani non appena uscivi dall’ascensore.
“Niente
Materia cerebrale o Plastic
death?” Chiese DiNozzo entrando in quel momento
assieme a
McGee e appoggiando un bicchiere di Caf-Pow sul tavolino.
“Tonyyy!”
la
scienziata gli gettò le braccia la collo “Sei
vivo! Ziva è ancora intera? Oh
mio Dio, ero così in pensiero per voi. È
terribile quello che è successo al
direttore… perché? Chi? E Gibbs?
Dov’è Gib…”
“Abby,
frena!
Stiamo tutti bene. Il direttore è ferito, ma se la
caverà. Gibbs è rimasto con
lei.”
“Oh…”Voglio
che mi
identifichi gli uomini delle foto.” Chiese porgendole una microdrive.
La ragazza
inserì
la scheda di memoria e qualche istante dopo sul monitor apparvero le
immagini
di quattro persone.
“Viggo
Drantyev.”
McGee riconobbe uno degli uomini.
“E
tu come fai a
conoscerlo Pivello?”
“Il
direttore mi
aveva mandato alcune istantanee scattate durante il funerale di Deker e
mi
aveva chiesto di identificare l’uomo.” Intervenne
Abby in soccorso al suo
collega.
“Che
cosa sappiamo
su di lui?”
“È
arrivato tre
giorni fa con un volo da Mosca, ha noleggiato un’auto e si
è registrato
all’Hotel Excelsior… ha fatto il chek out questa
mattina.”
“Queste
non sono
informazioni.”
“È
tutto quello che
abbiamo, ho detto la stessa cosa al direttore.”
“Identità
bruciata. E gli altri tre?”
La ragazza
passò
all’identificazione facciale “Killer
professionisti, ricercati dalla polizia di
San Diego.”
“Reclutati
sul
posto.” Asserì McGee ma Tony sembrava non
ascoltarlo, la sua attenzione si era
rivolta verso due scope, improvvisate come manichini, sulle quali la
scienziata
aveva incollato le facce sua e di Ziva.
“E
quello?” indicò
i due vistosi baffi disegnati a pennarello sul suo volto
“È opera tua, non è
vero?” chiese rivolgendosi a McGee.
“Ti
da un tocco di
classe, quasi come i baffi di Gibbs.”
DiNozzo lo
fulminò
con lo sguardo “reclutati sul posto? Ottima
intuizione… andiamo McPicasso,
dobbiamo scoprire chi li ha assoldati.”
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14 Maggio. Ore 8.30
Los Angeles - California
Hospital Medica Center
Jennifer
Shepard
stava ancora dormendo quando Gibbs rientrò nella sua stanza
e si sedette
accanto al letto, osservandola: le accarezzò il dorso della
mano prima di
prenderla tra le sue.
Non riusciva a stare lontano
da lei, ne era
attirato come il ferro da una calamita e questo a volte, quasi lo
spaventava.
Non era solo per la sua bellezza fisica, per i lunghi capelli rossi e
per
quegli occhi color smeraldo che spesso riuscivano a leggergli
l’anima. Era
affascinato dal suo carattere, dalla sua determinazione sul lavoro e
nella
vita, era una donna caparbia che allo stesso tempo riusciva ad essere
di una
dolcezza e di una sensualità disarmanti, e di questo aveva
avuto moltissime
prove in passato.
Lo aveva
respinto
ma alla fine era riuscita ad ottenere ciò che desiderava e
lui non poteva non
ammirarla per questo, era riuscita a tenere l’agenzia
nonostante le numerose
vicende avverse, dimostrandosi un ottimo direttore e tenendogli testa
in modo
magistrale.
Teneva
ancora la
sua mano stratta tra le sue quando sentì che si stava
svegliando: la stanza era
in penombra, l’unica luce era quella proveniente dal
corridoio esterno e Jen dovette
sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco il suo
volto.
“Jet…Jethro?
Jethro, che cosa ci fai tu qui?” chiese con voce impastata
cercando di
sollevarsi, ma una fitta al fianco le strappò una smorfia di
dolore e la
costrinse a riappoggiarsi al cuscino.
“Non
ti sforzare.”
“Cosa
ci fai tu
qui?” lo rincalzò.
“Tu
che cosa
credi?”
Jen lo
guardò
dritto negli occhi e provò una stretta al cuore, possibile
che si stesse
preoccupando per lei? O era solo compassione? Non poteva dimostrarsi
più
vulnerabile di quanto già apparisse in quello stato, con
nessuno e tanto meno
con lui.
“Non
dovresti
essere qui.” Fece ricorso a tutte le sue forse cercando di
imprimere autorità
nelle parole, Jethro se ne accorse.
“Non
voglio
litigare, Jen.”
Si sentiva
debole e
stanca a causa dei medicinali“Allora non immischiarti,
Jethro. Non sono affari
tuoi.” Riuscì a controbattere prima di
abbandonarsi nuovamente al sonno.
“Non
posso non
immischiarmi Jen, come non posso fare a meno di preoccuparmi per
te.” Le
sussurrò anche se ormai non poteva più sentirlo.
Si
alzò, aveva
bisogno di sgranchirsi le gambe e di bere un caffè: quando
arrivò al bar intero
dell’ospedale, trovò il suo ex capo seduto ad uno
dei tavolini a sorseggiare
del tè.
“Pensavo
te ne
fossi andato, Mike.”
“E
lasciarti tutto
il divertimento? Non ci penso proprio.”
Gibbs gli
rivolse
un’occhiata di gratitudine.
“Che
cosa pensi di
fare?” gli chiese Franks.
“I
medici hanno
detto che potrà essere dimessa tra qualche giorno e
ritornare a Washington.
Fino ad allora resterò qui.”
“Pensi
che possano
riprovarci?”
“Ne
sono convinto,
anche se per il momento è probabile che, chiunque siano, la
credano morta e
questo ci dà un po’ di tempo.”
“Ma non vuoi
correre rischi.”
“Non
voglio
lasciarla sola, Mike.”
Franks lo
scrutò
attentamente: era preoccupato e sofferente. Si era accorto da tempo che
tra
Jethro e il direttore c’era un legame profondo, che andava
ben oltre il
rapporto di lavoro e l’amicizia; lo aveva intuito in Messico
e ne aveva avuto
conferma dalle poche battute scambiate con Jen alla tavola calda, prima
dell’agguato.
Ma
conosceva Gibbs
e le sue regola, molte gliele aveva insegnate lui, perciò si
limitò a portare
la tazza di tè alle labbra e sorseggiare il liquido caldo.
“Non
puoi
proteggerla da solo, Pivello.”
“Mi
stai offrendo
il tuo aiuto Mike?” Chiese Gibbs prendendo il cellulare.
“Chi stai
chiamando?”
“Qualcuno
che mi
deve un favore.” Rispose mentre componeva un numero di Los
Angeles.
ANGOLINO AUTRICE:
- Alcune delle conversazioni sono ispirate a quelle della serie, anche se mi sono permessa a volte di cambiare gli interlocutori e la dinamica degli eventi in cui si svolgono.
- Inoltre ci tengo a precisare che non ho nulla contro Leon Vance, anche se so che qui apparirà un po'antipatico. In realtà l'ho molto rivalutato nelle ultime serie... però non potrà mai prendere il posto di Jen, almeno per me.
- Nel prossimo capitolo ci sarà la presenza di un personaggio che abbiamo visto nella sesta serie... non vi dico altro, voglio tenervi un po'sulle spine.
Non posso far altro che ringraziare tutti quelli che sono arrivati a leggere fino alla fine di questo capitolo e quelli che avranno voglia di lasciare un commentino...
Un abbraccio a tutte/i
Alla prossima
Fink