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Autore: Fink    07/02/2013    2 recensioni
Un Judgement Day un po' diverso, con un finale alternativo... molto probabilmente ci sarà meno "Action" e molto piú romanticismo e non solo...
Fa parte della serie "Maybe a second life", nella quale questa long sarà la giusta premessa a "Conosci te stesso"...
Ok...spero via piaccia e buona lettura.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jennifer Shepard, Leroy Jethro Gibbs, Un po' tutti, Ziva David
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Maybe in another life'
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Disclaimer: i personaggi sono di proprietà di D. P. Bellisario e D. McGill che ne detengono tutti i diritti. Tutto ciò che invece esula dalla trama originale della serie è attribuibile a me.



CAPITOLO SECONDO. Il signor Oshimaida

 

 

13 Maggio. Ore 8.00

 

Los Angeles - Deserto

 

L’auto si fermò con una brusca frenata, sollevando una nube di polvere sottile che si posò sulla vettura, imbiancando la carrozzeria.

“Vi avevo chiesto di aspettare.” Sbottò Gibbs rivolgendosi ai due agenti che stavano trasportando alcuni scatoloni su un pick-up scuro.

“Ma io non potevo.”rispose una voce maschile dalla soglia.

“Leon!”

“Tu hai chiamato il Secnav e loro hanno chiamato me. Ai piani alti sono un po’nervosi. Prima il direttore viene sospeso perché si teme un coinvolgimento nell’omicidio di un trafficante d’armi e ora, a tre giorni dal suo reintegro, è coinvolta in una sparatoria in mezzo al deserto.”

“Un bel ginepraio eh? Hanno mandato te a ripulire la stalla?” concluse l’agente anziano con una nota ironica.

“Non scherzare con me Gibbs.” Vance spostò lo stuzzicadenti da un lato all’altro della bocca e si voltò per entrare nella tavola calda, seguito a poca distanza dall’agente.

Alcuni cartellini numerati erano disposti a terra, segnando il punto di giacitura dei bossoli e dei cadaveri; poco oltre il bancone, un foglietto di carta indicava dove si trovava il corpo del direttore. Gibbs guardò la pozza di sangue raggrumato, immaginando la figura inerme di Jen distesa a terra e sentì un improvviso conato salirgli alla bocca dello stomaco, che cercò di ricacciare con la stessa rapidità con cui si era presentato. Si girò verso il vicedirettore, che stava tentando di ricostruire la dinamica dell’accaduto “erano in quattro, due sono entrati dalla porta d’ingresso, gli altri due dal lato. Ha aperto il fuoco contro il primo, che si è accasciato qui, poi si è rivolta verso il secondo. Il terzo e il quarto le sono arrivati alle spalle…Mike Franks è entrato dalla porta sul retro.”

“Deve aver colpito l’uomo alle spalle.”

“È così che i tuoi uomini proteggono il direttore di un’agenzia federale Gibbs!? Dovrei sospenderli.”  

“I miei uomini non hanno commesso nessun errore.”

“Sei pronto a garantire per loro?”

“È il mio distintivo che vuoi Leon? O punti al posto di direttore?”

Vance incassò il colpo “Tu resti qui a sovrintendere la mia indagine. Voglio sapere cosa è successo qui dentro.”

“Quando lo saprò te lo dirò Leon.” Rispose l’agente e uscì.  

“Capo…” DiNozzo si fermò davanti a Gibbs con in mano uno degli scatoloni colmi di reperti, poteva leggergli l’apprensione e il senso di colpa sul viso.

“Non è colpa tua Tony, hai eseguito gli ordini.”

“Franks è con il direttore.” Lo informò Ziva: cerva di nasconderlo, ma la sua postura e la sua voce tradivano una certa apprensione.

“Lo so. Voglio che voi ritorniate a Washington con i corpi e tutto il resto. Tony, tu condurrai l’indagine da Washington fino al mio ritorno.”

“Tu dove vai?”

“A parlare con Mike.” Tuonò Gibbs prima di incamminarsi verso l’auto e comporre il numero di Ducky.

Tony e Ziva lo guardarono allontanarsi lungo la statale, poi si rivolsero al vicedirettore Vance “qui abbiamo quasi finito, signore.”

“Bene. Mi aspetto un rapporto dettagliato dell’accaduto, appena sarete rientrati.” Concluse prima di sparire nel pick-up e mettere in moto.

“Non sei l’unico ad averla lasciata da sola Tony.” Bisbigliò Ziva mentre raccoglieva la macchina fotografica.

“Sono l’agente più anziano. La responsabilità era mia.” Affermò gettando con rabbia lo zaino sul sedile posteriore dell’auto.

 

∂∂∂

 

13 Maggio. Ore 18.30

 

Los Angeles - California Hospital Medica Center

 

Gibbs varcò la soglia del pronto soccorso e si avvicinò alla caposala “Jennifer Shepard. È stata ricoverata ieri con ferite d’arma da fuoco.”

“Lei è un parente?”

“Agente speciale Gibbs, sono…un amico.” Rispose mostrando il distintivo del NCIS.

La donna digitò il nome al computer e avviò la ricerca “il suo direttore si trova al secondo piano, stanza 72” indicò l’ascensore, ma poco dopo lo vide salire le scale, due gradini alla volta.

Mentre copriva la distanza che lo separava da Jen, si guardò attorno alla ricerca di Mike Franks: era sicuro che si trovasse ancora lì, non solo perché glielo aveva detto Ziva, ma perché lo conosceva abbastanza per sapere che non avrebbe lasciato da sola Jen, nonostante le molte lamentele sulla presenza di un direttore donna.

La porta a vetri si aprì automaticamente quando passò davanti alla fotocellula: un medico era in piedi accanto al letto e stava controllando le medicazioni.

“Come sta?” bisbigliò cogliendo di sorpresa l’uomo.

“Ha superato bene l’operazione. Il proiettile è entrato e uscito, ha perso una discreta quantità di sangue me se la caverà. Lei è un parente?”

“Un amico.” Rispose senza esitazione.

“Le ho somministrato degli analgesici, ora sta dormendo, ma se vuole può restare qui per un po’.” Lo avvisò prima di uscire e lasciarlo da solo, nella stanza in penombra.

 Jethro sì avvicinò piano al letto, fermandosi a poca distanza da Jen. Il viso, incorniciato dai lunghi capelli rossi era pallido, ma il respiro era regolare e gli sembrò così fragile avvolta nelle lenzuola bianche e asettiche, che sentì il bisogno di sfiorarle la fronte, quasi a trasmetterle un po’del proprio calore.

“È una donna forte.” Franks era comparso sulla soglia con in mano un pacchetto di sigarette e un vistoso cerotto sulla fronte.

Gibbs indugiò ancora un poco accanto a Jen, prima di raggiungere il suo ex capo e guardarlo con espressione interrogativa.

“Usciamo da qui Pivello, ho bisogno di una sigaretta.” Asserì Franks e lo precedette verso l’ascensore, premendo il pulsante del pian terreno.

“E io di un caffè.”

I due uomini camminarono in silenzio per qualche minuto, attraversando uno dei giardini davanti all’ospedale, lambiti dai caldi raggi del sole di maggio, ormai prossimo al tramonto.

“Ti ascolto Mike.”

L’uomo prese una lunga boccata di fumo prima di cominciare “mi ha chiamato due giorni fa, dopo il funerale di Deker, dicendo di volermi parlare. Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno che fosse esterno all’agenzia.”

“Ti ha detto perché?”

“Ha parlato di una vostra missione in Europa.”

“Ho passato molto tempo in Europa, Mike.”

“Al funerale di Deker ha detto di aver sentito che qualcuno cercava il signor Oshimaida e che quello era il termine da usare se la vostra copertura fosse saltata.”

“A Parigi.” Sospirò Gibbs, mentre la mente tornava a quel lontano 1999.

“Che cosa ti ho sempre detto riguardo alle faccende in sospeso.”

“Ne siamo usciti puliti, tutti e tre.”

“ Eppure lei e Deker erano a conoscenza di qualcosa che tu non sapevi.” Franks prese un ultima boccata di fumo, prima di spegnere la sigaretta e gettarla in uno dei cestini “la copertura di Deker era saltata, ma invece di fare i vostri nomi, vi ha dato un avvertimento, lasciandoci un po’ di tempo.”

“Che cosa è successo?” chiese portando il bicchiere alle labbra.

“Deker aveva lasciato una polizza assicurativa, codificata nelle foto. Tranquillo, Pivello, le carte sono uscite dalla finestra due giorni.”

“Mike. Che cosa è successo laggiù.” Incalzò nuovamente.

“Ero uscito a prendere dell’acqua quando li ho visti entrare: due dalla porta principale e due dal retro. Jen ha sparato due colpi in rapida successione contro il primo, non ha nemmeno avuto il tempo di reagire. È stata colpita al braccio e ha risposto con tre colpi. I due che le sono arrivati di lato hanno aperto il fuoco, un proiettile le ha colpito il fianco, si è girata e ha sparato. Io sono entrato in quel momento.”

“Ma non sei riuscito a coprirle le spalle.” Aveva l’aria truce, ma Mike continuò senza dargli ascolto “ha colpito il terzo alla gamba e si è rivolta verso il quarto. L’uomo a terra si è rialzato, uno dei proiettili mi ha preso di rimbalzo prima che io riuscissi a fermarlo.”

Camminarono in silenzio per quasi mezz’ora, ciascuno immerso nei propri pensieri, accarezzati dalla calda brezza che accompagnava il tramonto.

 “Sai Pivello, sono poche le persone che ho visto sparare così, e di sicuro mai una donna. L’hai addestrata bene!” affermò infine, rompendo il silenzio.

A Gibbs scappò un sorriso e una serie di immagini dal passato gli passarono davanti: rivide sé stesso assieme a Jen al poligono di tiro, intento a migliorarne la postura o a scommettere su chi facesse il maggior numero di centri.

“Già, ma non c’ero neanche questa volta.” Sussurrò a sé stesso guardando verso l’edificio grigio in cemento armato, prima di tornare su suoi passi, con Franks al suo fianco.

 

∂∂∂

 

13 Maggio. Ore 20.15

Washington D.C. – Sede NCIS

 

Il laboratorio di Abby era stranamente silenzioso, mancava qualcosa, mancava la musica,  quel frastuono assordante che ti accoglieva e ti frantumava i timpani non appena uscivi dall’ascensore.

“Niente Materia cerebrale o Plastic death?” Chiese DiNozzo entrando in quel momento assieme a McGee e appoggiando un bicchiere di Caf-Pow sul tavolino.

“Tonyyy!” la scienziata gli gettò le braccia la collo “Sei vivo! Ziva è ancora intera? Oh mio Dio, ero così in pensiero per voi. È terribile quello che è successo al direttore… perché? Chi? E Gibbs? Dov’è Gib…”

“Abby, frena! Stiamo tutti bene. Il direttore è ferito, ma se la caverà. Gibbs è rimasto con lei.”   

“Oh…”Voglio che mi identifichi gli uomini delle foto.” Chiese porgendole una microdrive.

La ragazza inserì la scheda di memoria e qualche istante dopo sul monitor apparvero le immagini di quattro persone.

“Viggo Drantyev.” McGee riconobbe uno degli uomini.

“E tu come fai a conoscerlo Pivello?”

“Il direttore mi aveva mandato alcune istantanee scattate durante il funerale di Deker e mi aveva chiesto di identificare l’uomo.” Intervenne Abby in soccorso al suo collega.

“Che cosa sappiamo su di lui?”

“È arrivato tre giorni fa con un volo da Mosca, ha noleggiato un’auto e si è registrato all’Hotel Excelsior… ha fatto il chek out questa mattina.”

“Queste non sono informazioni.”

“È tutto quello che abbiamo, ho detto la stessa cosa al direttore.”

 “Identità bruciata. E gli altri tre?”

La ragazza passò all’identificazione facciale “Killer professionisti, ricercati dalla polizia di San Diego.”

“Reclutati sul posto.” Asserì McGee ma Tony sembrava non ascoltarlo, la sua attenzione si era rivolta verso due scope, improvvisate come manichini, sulle quali la scienziata aveva incollato le facce sua e di Ziva.

“E quello?” indicò i due vistosi baffi disegnati a pennarello sul suo volto “È opera tua, non è vero?” chiese rivolgendosi a McGee.

“Ti da un tocco di classe, quasi come i baffi di Gibbs.”

DiNozzo lo fulminò con lo sguardo “reclutati sul posto? Ottima intuizione… andiamo McPicasso, dobbiamo scoprire chi li ha assoldati.”

 

∂∂∂

 

14 Maggio. Ore 8.30

 

Los Angeles - California Hospital Medica Center

 

Jennifer Shepard stava ancora dormendo quando Gibbs rientrò nella sua stanza e si sedette accanto al letto, osservandola: le accarezzò il dorso della mano prima di prenderla tra le sue.

 Non riusciva a stare lontano da lei, ne era attirato come il ferro da una calamita e questo a volte, quasi lo spaventava. Non era solo per la sua bellezza fisica, per i lunghi capelli rossi e per quegli occhi color smeraldo che spesso riuscivano a leggergli l’anima. Era affascinato dal suo carattere, dalla sua determinazione sul lavoro e nella vita, era una donna caparbia che allo stesso tempo riusciva ad essere di una dolcezza e di una sensualità disarmanti, e di questo aveva avuto moltissime prove in passato.

Lo aveva respinto ma alla fine era riuscita ad ottenere ciò che desiderava e lui non poteva non ammirarla per questo, era riuscita a tenere l’agenzia nonostante le numerose vicende avverse, dimostrandosi un ottimo direttore e tenendogli testa in modo magistrale.

Teneva ancora la sua mano stratta tra le sue quando sentì che si stava svegliando: la stanza era in penombra, l’unica luce era quella proveniente dal corridoio esterno e Jen dovette sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco il suo volto.

“Jet…Jethro? Jethro, che cosa ci fai tu qui?” chiese con voce impastata cercando di sollevarsi, ma una fitta al fianco le strappò una smorfia di dolore e la costrinse a riappoggiarsi al cuscino.

“Non ti sforzare.”

“Cosa ci fai tu qui?” lo rincalzò.

“Tu che cosa credi?”

Jen lo guardò dritto negli occhi e provò una stretta al cuore, possibile che si stesse preoccupando per lei? O era solo compassione? Non poteva dimostrarsi più vulnerabile di quanto già apparisse in quello stato, con nessuno e tanto meno con lui.

“Non dovresti essere qui.” Fece ricorso a tutte le sue forse cercando di imprimere autorità nelle parole, Jethro se ne accorse.

“Non voglio litigare, Jen.”

Si sentiva debole e stanca a causa dei medicinali“Allora non immischiarti, Jethro. Non sono affari tuoi.” Riuscì a controbattere prima di abbandonarsi nuovamente al sonno.

“Non posso non immischiarmi Jen, come non posso fare a meno di preoccuparmi per te.” Le sussurrò anche se ormai non poteva più sentirlo.

Si alzò, aveva bisogno di sgranchirsi le gambe e di bere un caffè: quando arrivò al bar intero dell’ospedale, trovò il suo ex capo seduto ad uno dei tavolini a sorseggiare del tè.

“Pensavo te ne fossi andato, Mike.”

“E lasciarti tutto il divertimento? Non ci penso proprio.”

Gibbs gli rivolse un’occhiata di gratitudine.

“Che cosa pensi di fare?” gli chiese Franks.

“I medici hanno detto che potrà essere dimessa tra qualche giorno e ritornare a Washington. Fino ad allora resterò qui.”

“Pensi che possano riprovarci?”

“Ne sono convinto, anche se per il momento è probabile che, chiunque siano, la credano morta e questo ci dà un po’ di tempo.”

 “Ma non vuoi correre rischi.”

“Non voglio lasciarla sola, Mike.”

Franks lo scrutò attentamente: era preoccupato e sofferente. Si era accorto da tempo che tra Jethro e il direttore c’era un legame profondo, che andava ben oltre il rapporto di lavoro e l’amicizia; lo aveva intuito in Messico e ne aveva avuto conferma dalle poche battute scambiate con Jen alla tavola calda, prima dell’agguato.

Ma conosceva Gibbs e le sue regola, molte gliele aveva insegnate lui, perciò si limitò a portare la tazza di tè alle labbra e sorseggiare il liquido caldo.

“Non puoi proteggerla da solo, Pivello.”

“Mi stai offrendo il tuo aiuto Mike?” Chiese Gibbs prendendo il cellulare.

 “Chi stai chiamando?”

“Qualcuno che mi deve un favore.” Rispose mentre componeva un numero di Los Angeles.






ANGOLINO AUTRICE:

- Alcune delle conversazioni sono ispirate a quelle della serie, anche se mi sono permessa a volte di cambiare gli interlocutori e la dinamica degli eventi in cui si svolgono.
- Inoltre ci tengo a precisare che non ho nulla contro Leon Vance, anche se so che qui apparirà un po'antipatico. In realtà l'ho molto rivalutato nelle ultime serie... però non potrà mai prendere il posto di Jen, almeno per me.
- Nel prossimo capitolo ci sarà la presenza di un personaggio che abbiamo visto nella sesta serie... non vi dico altro, voglio tenervi un po'sulle spine.


Non posso far altro che ringraziare tutti quelli che sono arrivati a leggere fino alla fine di questo capitolo e quelli che avranno voglia di lasciare un commentino...
Un abbraccio a tutte/i
Alla prossima

Fink
   
 
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