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Autore: Boli    07/02/2013    0 recensioni
Ho la bocca piena di cibo, giurerei di essere riuscita a mischiare un bignè e un crostino, totalmente noncurante dell’accostamento dei sapori, quando sento quella voce.
La sua voce.
Mischiata ad altre quattro. Ma la riconoscerei mischiata ad altre migliaia.
Lo inquadrano.
E’ famoso, con stuoie di stupide oche che urlano non appena uno di loro gli tocca la mano. Ce l’ha fatta. Un senso di odio misto a disgusto mi pervade, mentre gli occhi mi iniziano a pizzicare.
Lui è li, intoccato da tutto ciò che è successo, e io qui, devastata e distrutta. Non lo trovo giusto.
Ora è in primo piano.
“I’ll be coming back
For you
Back for you”
Indica con una mano le telecamere mentre canta queste poche parole. Ha un tatuaggio sul polso.
Una piccola A.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ehi Milla svegliati- le dico, scuotendola dolcemente.
-Mmm…ancora cinque minuti…sveglia prima Pepe…- mi risponde, più addormentata che sveglia.
-Dai alzati! Lo sai che poi la Durtley non ci da colazione se arriviamo tardi. Pepe…sveglia su…a colazione oggi ci sono i cereali al cioccolato.-
-DOVE?-
esclama saltando subito in piedi; mi scappa un risolino.
-ALLY!!!NON ME LO AVEVI DETTO CHE C’ERANO I CEREALI!!!- visto? Come far svegliare Camilla in una sola mossa.
Buongiorno, non mi sono presentata: il mio nome è Ally,il cognome non ce l’ho e Camilla e Jose sono i miei fratelli. Cioè, non sono veri fratelli, ma sono ciò che di più vicino a essere una famiglia ho, poi c’è anche la Durtley ovviamente.
Camilla è italiana e ha dieci anni, lunghi capelli biondi che tutte le mattine le raccolgo in due trecce, gli occhi di un meraviglioso azzurro, i lineamenti fini e una pelle candida e perfetta come porcellana, a prima vista la si potrebbe credere svedese, il che potrebbe anche darsi, ma nessuno di noi sa la propria provenienza, ne avrebbe utilità scoprirla.
Jose, che però tutti chiamiamo Pepe, è spagnolo, ha cinque anni e gli occhi dello stesso colore della cioccolata e la pelle abbronzata. E’ un bambino esile, ma ha un gran cervello, ed è molto maturo per la sua età. Ha i capelli neri come la pece tagliati corti, e il viso segnato da cicatrici delle quali temo di averne capito la provenienza.
Io, bè, io credo di essere inglese, di dove precisamente non ne ho idea, ma non mi interessa dopo tutto. Ora vivo nei quartieri bassi di Londra, in un orfanotrofio con i miei fratelli, e menomale che ho loro: per me sono tutto ciò che costituisce la mia vita, perché a parte loro e quelli dell’orfanotrofio,  non ho nessuno.
Sono una quindicenne bassa, una cosa che mi da molto fastidio, perché non sono poi tanto più alta di Milla, anche se è altissima per la sua età, perciò un pochino sono giustificata. Ho gli occhi marroni, e Pepe dice che sono più tendenti al color miele quando sono felice, e più tendenti al colore della cioccolata fondente quando sono triste, ma non so quanto ci sia di vero in questo. Ho i capelli bipolari: sono lisci fino a metà collo e poi si aprono in strani riccioli confusionari, di un colore imprecisato tra il marrone e il nero. A giudicare dai miei colori probabilmente non sono di sangue puramente inglese, oltretutto avendo la pelle scura di natura.
Come tutte le mattine scendiamo dai dormitori per primi, perché io sono la più grande di tutti gli orfani, e devo aiutare Rita (si, ormai chiamo la Durtley per nome) a dare i pasti ai bambini più piccoli. In questo modo, arrivando prima, a volte riesco anche a prendere una manciata di biscotti in più per i miei fratelli; so che non è giusto, ma i bambini sono troppi rispetto ai soldi che ci arrivano dallo stato, e non ne posso più di vedere Milla e Pepe cosi magri. Addirittura gli cedo metà della mia colazione tutte le mattine, un giorno a una e un giorno all’altro.
Distribuiamo latte e biscotti a tutti i bambini, che mangiano velocemente e si vanno a preparare per le lezioni. Non andiamo a scuola, ci vengono mandati degli insegnanti  che tengono le lezioni a classi organizzate per fasce d’età. Per me non ci sono insegnanti, perché sono troppo lontana dalla fascia della classe di Milla, che è tra i grandi, e anche perché classe sua è troppo piena.
Io faccio lezione con Rita, perché lei prima di aprire l’orfanotrofio era un’insegnante, e mi spiega un po’ di tutte le materie. Ma solitamente rifinisco con il chiederle dei miei genitori, ma lei non mi dice molto; sarà che sono passati dodici anni o che non mi vuole dire nulla, ma io voglio sapere. Probabilmente è solo una stupida azione autolesionistica, ma io voglio liberarmi di quegli incubi che puntualmente mi fanno svegliare tutte le notti ansimando e cercando di abbracciare qualcuno nel buio. A volte mi capita di desiderare di non averla nemmeno mai vista mia madre, con i capelli biondo cenere e gli occhi grigi brillanti.
Rita mi insegna anche a suonare la chitarra, una vecchia e scordata appartenuta a suo padre, ma io l’adoro. Adoro suonare, e la musica. Ti aiutano a estraniarti da tutto ciò che ti circonda nel caso tu voglia prenderti una pausa da tutto e tutti, e ti fanno volare con la fantasia, ti fanno sognare.
Ovviamente, visto che chiedere che qualcosa vada per il verso giusto sembra troppo, gli insegnanti non bastano, perciò devo anche insegnare ai più piccoli le tabelline, i verbi. Ma qualcosa di buono c’è.
Sono riuscita a procurarmi trenta flauti.  Come? Lavorando al mercato la il sabato e domenica mattina. Scarico le merci dai camion e le porto ai diversi banchi. Mi pagano in nero, ovvio, e mi danno quindici sterline la settimana, ma in due mesi e mezzo mi sono comprata i flauti necessari per una classe.
Così, dopo le lezioni, insegno ai bambini a suonare il flauto e io li accompagno con la chitarra. Il flauto è uno strumento un po’ insulso, ma era l’unico che avesse un prezzo accessibile. Disinfetto i flauti dopo ogni lezione cosi riesco a fare anche tre classi ogni pomeriggio.
Pepe è bravo in tutte le materie, ma Milla è dislessica. Non possiamo permetterci un insegnante di sostegno, cosi i suoi voti sono un po’ quello che sono, ma è bravissima a disegnare, e a cantare.
Essere uno degli orfanotrofi più grandi del paese ha i suoi pro e i suoi contro. Il contro è che i soldi che ci manda lo stato non bastano mai. Il fatto positivo è che essendo tra i più noti siamo anche i più visitati, cosi che molti bambini riescono a trovare una casa prima degli undici anni, per questo sono preoccupata per Camilla. Preoccupata in senso buono, perché magari potrebbe riuscire a trovare una casa vera: chi non la vorrebbe? E’ carina e educata, timida e sensibile. Per Pepe non sono in ansia più di tanto: ha il viso segnato da cicatrici che non lo rendono proprio bellissimo sebbene abbia dei lineamenti armoniosi, con un corpo fin troppo magro e l’aria malaticcia, anche se è sano come un pesce, un pesce sottopeso. E’ un bambino solare ed estroverso, intelligente per di più, ma i pregiudizi delle persone sull’aspetto fisico non hanno mai fine.
Io ormai mi sto rassegnando all’idea di rimanere qui fino alla maggiore età. Non so se troverò lavoro, non avendo alcun buon titolo di studi, probabilmente tornerò a lavorare qui, come ho sempre fatto da quando c’era Cassandra.
Cassandra è stata la mia prima amica all’orfanotrofio. Eravamo inseparabili, in pratica una sorella maggiore, dato che lei aveva due anni più di me. Non era una sorella vera, ma qui le parentele te le inventi per avere un’illusione di casa.
Cassandra era bella, aveva ordinati boccoli castani che le scendevano dolcemente fino al gomito, la pelle bianca e gli occhi di un verde scintillante. E poi era intelligente, educata, simpatica e dolce. Non c’è da sorprendersi se , anche se era più grande di me, lei è stata adottata e io no. Chissà dov’è ora. Magari ha ripreso seriamente gli studi, magari in un altro paese, non la sento da quattro anni. Non so nemmeno se lei si ricorda ancora di me. Io sicuramente non mi scorderò di lei.
Mi ricordo che fu un trauma dovermi separare da lei, ricordo le parole che mi disse:
-Ti verrò a cercare appena potrò-
-Davvero?-
-Te lo prometto-

Quelle parole bastarono  a farmi separare da lei sulla porta dell’istituto che allora era semi nuovo, con l’intonaco ben messo e l’erba del cortile tagliata.
Ma ora non posso pensarci, sarebbe inutile e mi farei male da sola.
                                                                     
 Mi sveglio come tutte le mattine, scuotendo Milla e abbracciando Pepe, e scendiamo a fare colazione.
Oggi sarà una giornata più stancante delle altre perché arrivano i vestiti usati dai bambini a cui non stanno più, quindi ci sarà da provare le cose a tutti, rattoppare quelle bucate e rincollare le suole delle scarpe rotte. Io preferirei non dividere i vestiti tra i bambini, secondo me crea solo rivalità tra due contendenti di una maglietta, ma la Durtley dice che cosi si sentono tutti un po’ a casa propria avendo le proprie cose. Ma è questa la nostra casa, nessuno ne ha una propria, al massimo un letto.
Ma la vita non è male. I bambini studiano e giocano, Rita sta facendo uno sforzo enorme per non farli sentire abbandonati, ma ci sta riuscendo molto bene; addirittura i più piccoli la chiamano nonna. Io sarei mamma. Tutto sommato mi piace stare qui, rido e scherzo, e i sorrisi dei bambini intorno a me sono il dono più bello del mondo.
Ogni tanto mi soffermo a pensare perchè mi sia affezionata cosi tanto a Milla e Pepe, nessun altro bambino mi è mai stato più a cuore, forse perché quando erano appena arrivati, mi sembravano cosi piccoli, che volevo in qualche modo mi sentivo in dovere di "proteggerli".
Mi ricordo perfettamente di come arrivarono.
Milla arrivò in un piovoso tardo pomeriggio d’ottobre. I suoi la lasciarono qui due anni fa come si farebbe nei film, sulla soglia della porta: suonarono e scapparono. Non credo che si sarebbero potuti comportare peggio. Aveva solo otto anni. Ma a otto anni si ricorda tutto.
Aveva la febbre molto alta, a momenti sfiorava le crisi epilettiche, e io e Rita la lavammo, le demmo dei vestiti puliti e la mettemmo a letto sotto la mia e la sua coperta e le preparai del brodo di pollo. La accudii cosi per tutta la settimana successiva, fino a che non guarì e cosi si scongiurò il rischio di un’epidemia di febbre in tutto l’istituto. Anche quando guarì restò sempre accanto a me, e non si è più staccata, per fortuna.
Pepe arrivò in una afosa mattina d’estate, l’anno dopo, con le lacrime agli occhi, con un coniglietto di pezza mezzo strappato nella mano sinistra e un poliziotto nella destra. Aveva delle cicatrici fresche sulle guance e la Durtley mi disse di portarlo con me e Milla a giocare nell’altra stanza mentre lei parlava con “gli uomini blu”.
Quando se ne andarono, io tornai nell’ufficio dal quale erano usciti e parlai con quella che potrei chiamare mamma:
-Che cosa hanno detto?- chiesi, con una punta di preoccupazione nella voce.
-Niente di che, i suoi genitori si sono separati, non ha parenti adeguati all’affido e il tribunale non si è deciso se darlo alla madre o al padre- ma mi guardava con l’espressione di chi è dispiaciuto del doverti raccontare una bufala, anche se a fin di bene.
Risposi che avevo capito con lo stesso tono, e mi allontanai con il pensiero che temevo di aver capito d a cosa derivassero quelle cicatrici.
Tornando al presente, la giornata dei vestiti è stancante, ma viene presa bene da tutti perché vuol dire che il giorno dopo si va in gita. Le gite sono una bella cosa per due motivi: ti diverti e vedi un sacco di cose interessanti, e andando in giro ti fai vedere e metti in mostra l’istituto, cosi che dopo un paio di settimane abbiamo molte visite nelle quali vengono adottati anche venti bambini.
Il giorno delle adozioni è incredibile. Ci sono bambini che indossano i loro abiti migliori correndo per tutto il cortile e salutando i passanti al di là della staccionata bianca. Quando poi entrano due persone dal cancellino è festa grande. Ma è bellissimo l’amore che c’è tra gli orfani, se qualcuno viene adottato e l’amico accanto no, non ci sono rivalità o gelosie, solo esclamazioni di felicità da entrambe le parti, e la promessa che ci si incontrerà ancora.


Buonasera!
(e buongiorno per chi legge domani)
Chiariamo subito una cosa:
è la mia prima fanfiction, devo imparare perciò vi chiedo umilmente pietà.
Poi forse non imparerò mai, ma una chance va sempre data alle persone
(ma siccome si tratta di me di chances ne serviranno parecchie)
Come vi sembra il capitolo?
Lo so, è presto per dirlo ma vi attrae la storia?
Solo per sapere se devo smettere in partenza o posso continuare :)

Vabbè vado, spero che leggiate in molte!

-boli.

 

  
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