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Autore: Padmini    08/02/2013    4 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi qui! John dovrà portare molta, moltissima pazienza con Sherlock, in tutti i sensi … un po' come voi per aver aspettato così a lungo questo capitolo! Hahahaha

Ho voluto attingere nuovamente dal canone, spero che il risultato vi piaccia.

Vi aspettavate tanto fluff e invece dovrete accontentarvi di un po' di angst.

Ormai sapete che, come Holmes, mi piace essere drammatica, ma amo anche il lieto fine, perciò non dovete preoccuparvi.

Buona lettura.

Mini

 

 

 

 

 

 

 

Charles Augustus Milverton

 

 

 

 

 

 

 

 

Non era stato facile riprender la vita di tutti i giorni.

Erano pur sempre passati tre anni e avevano lasciato il loro segno sulle spalle stanche di John, che portava un peso non indifferente di ansie, paure e dolore.

Sherlock, contro ogni aspettativa, era riuscito però a compiere un vero miracolo.

Mentre John si torturava cercando di ritrovare un equilibrio che sembrava perduto, Sherlock vagava per il loro appartamento, dove il dottore si era nuovamente trasferito, come se niente fosse.

Lo si poteva vedere in pigiama, con la veste da camera e scalzo, mentre suonava il violino o sedeva chino sul suo microscopio, analizzando chissà quali esperimenti.

Ogni mattina John si svegliava dopo l'ennesimo brutto sogno. Gli incubi dell'Afghanistan si mescolavano con il sangue di Sherlock sul marciapiede del Barts e solo con un grande sforzo di volontà non gridava. Si metteva a sedere sul letto tremando come una foglia, poi si costringeva ad alzarsi e a vestirsi e quando entrava in cucina e vedeva il suo Sherlock, tutto cambiava.

Allora non erano passati tre anni, lui non era morto spiaccicato sulla dura terra.

Erano sempre stati insieme.

 

Quindi erano tornati quelli di prima. Holmes e Watson, inseparabili. John seguiva Sherlock nei casi più interessanti, lo aiutava, qualche volta lo salvava da morte quasi certa e molto spesso lo medicava. Il tutto però avveniva in modo assolutamente formale e, anche se ormai John non si arrabbiava più quando li indicavano come coppia, non erano mai andati oltre quel primo fatidico bacio.

John ci aveva riprovato varie volte, ma in ogni occasione si era presentato un intralcio. Un nuovo caso, la signora Hudson che entrava senza preavviso o Sarah che lo chiamava per una sostituzione lampo alla clinica.

Quella sera si era ripromesso di andare fino in fondo. Sherlock aveva appena risolto un caso e ciò gli dava la speranza di poter avere una sera tutta per loro.

Si avvicinò all'amico con passo sicuro. Non voleva girarci attorno. Sherlock era raggomitolato sulla poltrona.

Leggeva.

Cosa, non aveva importanza.

Teneva il libro sulle ginocchia piegate e con un dito affusolato si rigirava un ricciolo. L'espressione era concentrata e le labbra corrucciate. Era sexy in un modo impressionante e John lo avvertì immediatamente al cavallo dei pantaloni.

Andò verso di lui con l'intenzione di strappargli il libro dalle mani e liberarlo di quello stupido pigiama, quando suonò il campanello.

Dall'urgenza del trillo doveva essere qualcosa di molto grave. L'idea di dover accogliere un cliente a quell'ora della sera lo smontò all'istante. Sherlock era balzato in piedi per andare a cambiarsi, quindi capì che spettava a lui fare gli onori di casa.

Andò ad aprire e accolse una giovane donna, letteralmente distrutta dal dolore.

Era alta, bionda, con un paio di magnifici occhi azzurri come la porcellana. Il viso era magro di suo, ma la preoccupazione le aveva scavato le guance e tremava.

“Sto cercando Sherlock Holmes” disse, asciugandosi le lacrime che avevano iniziato a solcarle in viso.

John si girò verso la stanza del detective e questo uscì con passo sicuro.

“Si accomodi, signorina. John prepara del tè”

Mentre Sherlock prendeva posto nella sua poltrona di pelle e la donna su quella di fronte, John andò in cucina, irritato. Con gesti bruschi iniziò a preparare il tè, ma non poté trattenersi dal sorridere vedendo l'espressione di gioia dell'amico, mentre si preparava ad ascoltare la giovane cliente.

Si voltò per prendere le tazze e quando tornò a guardare il detective, vide la sua espressione gioiosa farsi man mano più grave. Il caso doveva essere serio. Decise di ritardare il più possibile la preparazione del tè per permettere alla donna di sfogarsi e a Sherlock di raccogliere tutti i dati senza essere interrotto.

Stava giusto versando il liquido ambrato nelle tazze, quando vide Sherlock alzarsi di scatto e cominciare a passeggiare avanti e indietro per la stanza. Il segugio era stato sguinzagliato.

Capì che era il momento giusto per entrare, ma Sherlock non sembrava in vena di bere tè.

“John, non ho tempo per il tuo tè. Danne un po' alla signorina. Ne ha bisogno. Non disturbarmi”

Senza dire altro, si fiondò in camera sua, chiudendosi bruscamente la porta alle spalle.

John era rimasto imbambolato per alcuni istanti, chiedendosi come mai si dovesse sorprendere dopo tutti quegli anni insieme.

“Prenda pure, signorina …?”

Lasciò un punto di domanda in sospeso perché, in tutto quel trambusto, non si erano nemmeno presentati.

“Eva Brackwell” rispose lei prendendo la tazza che John le porgeva “La ringrazio. Sono molto tesa di questi tempi ...”

Rise istericamente e bevve il tè, che sembrò calmarla.

“Non si preoccupi” disse lui, occupando la poltrona da poco lasciata da Sherlock “Sono sicura che Holmes saprà risolvere la situazione”

La donna annuì, poco convinta.

“Sì, lo so … Ma non riuscirò a trovar la pace finché non avrò chiarito questa faccenda. È troppo delicata”

John non sapeva cosa turbasse la donna, ma aveva abbastanza esperienza – maturata negli anni di professione medica ma soprattutto seguendo i casi con Sherlock – da poterla confortare. Il tè e la sua voce rassicurante l'aiutarono a ritrovare un po' di colore sul viso e addirittura un abbozzo di sorriso.

 

 

 

 

 

Il problema di Eva Brackwell era apparentemente semplice, ma presentava una serie di ostacoli non indifferenti.

Sherlock passeggiava avanti e indietro nella sua stanza. Avrebbe preferito farlo davanti al camino, magari con il suo amato Stradivari, ma sapeva che la donna aveva bisogno di essere consolata, così aveva deciso di lasciare quella tediosa incombenza a John.

Nel frattempo la sua mente lavorava.

Un ricatto non è mai un caso facile da affrontare, tanto meno quando la vittima non ha nessuna carta a suo favore.

Miss Brackwell non era che l'ultima di una lunga lista di persone che era finita sotto le mani di Charles Augustus Milverton.

Aveva già sentito parlare di lui da alcuni criminali dei bassifondi ma non aveva mai avuto modo di incrociare la sua strada, cosa di cui era profondamente grato al destino, almeno fino a quel momento.

L'idea di avere a che fare con un uomo del genere lo disgustava. Non era un criminale raffinato come lo era stato Jim. No, costui era una bestia travestita da gentiluomo. I ricatti ai quali sottoponeva le donne più in vista di Londra erano a dir poco abominevoli. Non c'era intelligenza dietro tutto questo ma pura malvagità.

Non c'era nessun puzzle da districare, nessun mistero. Solo un lungo e laborioso lavoro di diplomazia, che Sherlock non si sentiva in grado di portare avanti, sempre che la diplomazia potesse avere qualche effetto su quell'essere immondo.

Dopo cinque minuti di ragionamenti aveva già preso la sua decisione.

Aspettò quasi pazientemente che John finisse di cianciare con la donna e, quando sentì che se ne era andata, ritornò in salotto con la ferma intenzione di suonare tutta la notte. Si tolse la giacca, le scarpe e i calzini, rimise la veste da camera e tornò con passo leggero in soggiorno.

Ignorò lo sguardo implorante di John, che evidentemente voleva dormire e non sentire il suo violino tutta la notte e si posizionò con lo strumento accanto alla finestra.

Aveva bisogno di riflettere. Il piano era pronto e doveva solo definirne i dettagli.

 

 

 

 

 

Sherlock aveva suonato tutta la notte. Sarebbe stato bello se avesse suonato qualcosa di riconosciuto o quantomeno ascoltabile. Invece il detective, perso in chissà quali ragionamenti, aveva strimpellato tutto il tempo motivi sconnessi.

Con la pazienza che lo aveva contraddistinto fino a quel momento, John aveva sopportato ed era riuscito, in qualche modo, a dormire.

Il giorno seguente sperò di cavare qualche informazione dal suo amico.

Niente.

“Non è nulla per cui tu possa aiutarmi, John” gli aveva detto mentre bevevano il tè della mattina “Non preoccuparti se starò via qualche giorno, sto svolgendo delle indagini”

“Sei sicuro che non possa darti una mano?” gli aveva chiesto, sperando che cedesse.

La risposta era stata la stessa. No, non aveva bisogno di aiuto.

Si era quindi annoiato tutto il giorno, sperando che quel sociopatico iperattivo che si ritrovava per coinquilino tornasse presto.

Cosa che non accadde. Era l'una passata quando John si risvegliò seduto in poltrona e Sherlock non era ancora rincasato. Lo aveva avvisato del fatto che probabilmente sarebbe rimasto fuori casa qualche giorno, così si alzò con la schiena dolorante e andò a dormire.

 

I giorni seguenti furono un vero inferno. Sherlock arrivava a casa alle ore più strane e restava pochissimo, giusto il tempo di farsi una doccia veloce e consultare i suoi archivi.

Quella sera però John era particolarmente preoccupato. Aveva cominciato a piovere e minacciava temporale e Sherlock non era ancora tornato a casa. Non aveva motivo di pensare che si trovasse all'aperto. Probabilmente si era rintanato in uno dei suoi tanti nascondigli, ma non era tranquillo.

La sua preoccupazione svanì quando sentì la chiave girare nella toppa al piano di sotto. Sherlock era tornato.

Non andò ad accoglierlo alla porta ma si fiondò subito in cucina per scaldare l'acqua per il tè. Sherlock entrò con il giaccone leggermente umido, Per sua fortuna era riuscito a scampare la pioggia che, di lì a pochi minuti, iniziò a scendere una pioggia insistente e fitta.

“Jawn, tu non pensi che io sia un uomo da sposare, vero?”

La sua domanda gli giunse come una martellata in testa.

“Co-cosa?” domandò, cercando di non strozzarsi con la sua stessa saliva.

“Hai capito benissimo”

“Be' …” rise imbarazzato. Non aveva mai pensato ad un matrimonio con lui, ma … la frase successiva spezzò quel bel pensiero.

“Dunque sarai felice di sapere che sono fidanzato”

Molto probabilmente Sherlock aveva l'intenzione di fargli distruggere almeno un paio i tazze. Stava appunto avvicinandosi a lui con due tazze colme di tè, quando disse ciò e per poco non le fece cadere in terra. Riuscì a recuperare quel minimo di autocontrollo che gli era stato tanto utile in guerra e le posò sulla mensola del caminetto, il luogo più vicino al momento. Una gelosia mai provata prima, nemmeno ai tempi della Donna, lo invase come un fiume in piena.

“Cosa hai detto?” domandò, sperando di aver capito male.

“Ho detto ciò che hai sentito. Mi sono fidanzato” sorrise malizioso “Con la cameriera di Charles Augustus Milverton”

La faccia di John doveva essere estremamente buffa, perché Sherlock si mise a ridere.

“Sherlock … sei serio?”

Il detective annuì, poi scosse il capo.

“Sì e no. Avevo bisogno di informazioni su Milverton. È lui l'uomo che ricatta Eva Brackwell. L'ha minacciata di mandare a monte il suo matrimonio grazie ad alcune lettere compromettenti se non lo paga. Le ha chiesto una cifra enorme, impossibile per lei se non chiedendola al futuro marito. È in trappola, perciò in questi giorni, travestito da idraulico, ho raccolto più informazioni possibili su quell'essere che pretende di farsi chiamare uomo”

Lo osservò con attenzione. Era la prima volta che manifestava un tale sentimento per un caso.

“Quindi … hai corteggiato la cameriera di Milverton solo per avere informazioni?”

Sherlock annuì cupo. La pioggia era aumentata e minacciava temporale. John lo guardò con disapprovazione. Non tanto per i mezzi che aveva usato per raggiungere tal nobile fine, ma per avergli fatto prendere quello spavento inutile. Alla fine si rassegnò. Ormai conosceva lui e la sua tendenza alla drammaticità. Lo guardo mentre si avvicinava alla finestra e osservava le raffiche di vento che spazzavano le strade, portando secchiate di pioggia contro i vetri della finestra.

“Che magnifica notte” esclamò, come se si trattasse di una battuta teatrale.

John lo guardò esterrefatto.

“Stai scherzando, vero? Sembra che si stia scatenando il diluvio universale!”

Sherlock si concesse un mezzo sorriso.

“È la notte ideale per un furto con scasso, Jawn”

Questa notizia lo sconvolse ancora di più della precedente.

“Stai scherzando, spero”

Sherlock sorrise e scosse la testa.

“Sei ripetitivo stasera” disse tornando al camino e prendendo la sua tazza di tè “Te l'ho detto. Ho corteggiato Beth per ottenere informazioni sulla casa di Milverton. Non preoccuparti, però. Ho un degno rivale che me la porterà via appena volterò lo sguardo” disse poi, portando una mano sul cuore e ostentando una faccia addolorata. John rise, suo malgrado.

“Come mai tutta questa messinscena per un semplice ricatto? Non è da te!”

Sherlock bevve un lungo sorso di te e posò bruscamente la tazza sul tavolino.

“Tutto ciò è deprecabile, Jawn. Non c'è fantasia, non c'è un problema da risolvere. Tutto ciò che ho è solo un verme che campa con i problemi degli altri. So che non concorderai, ma quasi rimpiango Jim. Lui era creativo, agiva per un motivo più alto … questo Milverton è un essere spregevole che non vede altro che il suo interesse”

“Sherlock, ne hai incontrati tanti così ...” cercò di calmarlo John.

“No. Non così. I criminali che ho incontrato fin'ora erano spregevoli ma ne erano almeno consapevoli. Questo tizio crede di essere furbo, in realtà è solo un prevaricatore e un violento. È un volgare topo di fogna che pretende di agire come un felino.

Stanotte lui sarà fuori casa per una festa di beneficenza. Ne approfitteremo per entrare in casa sua e distruggere i documenti compromettenti. Solo così potrò liberare Miss Brackwell dal suo persecutore e, chissà, magari anche qualcun altro”

Restarono qualche minuto in silenzio. Sì, quei tre anni avevano profondamente cambiato Sherlock. Non era più il freddo detective che agiva con il solo scopo di tenere allenata la mente. C'era qualcosa di diverso in lui, un lato umano che stava affiorando.

Passarono altri minuti. Sherlock si era seduto in poltrona e aveva chiuso gli occhi, così John si era rassegnato al suo mutismo poi, improvvisamente aprì gli occhi e si alzò.

“Direi che possiamo andare” disse, poi si voltò verso l'amico “Perché verrai anche tu, non è vero?”

John esitò. Da tanto tempo aveva desiderato vivere un'avventura con il suo migliore amico, ma questo …

“È per una buona causa, Jawn!” gli disse Sherlock, vedendo la sua incertezza “Ho bisogno del tuo aiuto … non posso farcela senza di te”

Gli sorrise e lo guardò con quegli occhioni che, fin da bambino, lo facevano cedere senza fatica. D'altra parte anche lui non stava nella pelle e desiderava azione.

“Va bene” disse infine, bevendo tutto in un sorso il tè che ormai era quasi freddo “Andiamo”

“Ora ti riconosco, Jawn” gli fece l'occhiolino e si vestì velocemente “Sarei perduto senza il mio primo ufficiale” ed uscì di corsa.

 

 

 

 

 

L'incursione notturna era andata abbastanza bene. Erano riusciti ad entrare evitando le telecamere di sicurezza e i cani e ora si trovavano nello studio di Milverton. Mentre John guardava alternativamente fuori dalla finestra e dalla porta che dava sul corridoio, Sherlock tentava di scassinare la cassaforte dove Milverton teneva le prove contro le sue vittime.

“Sherlock, muoviti!” disse John preoccupato “È appena rientrato in casa. Hai finito con quella roba?”

Sherlock annuì nel buio e stava per estrarre i fogli dalla cassaforte quando sentirono i passi del padrone di casa farsi più vicini. Non ci fu tempo per fare altro. Fu costretto a lasciare lì tutto. Si nascosero dietro lo spesso tessuto della finestra e attesero.

Milverton entrò nello studio e si sedette alla scrivania. Accese la luce e iniziò a controllare alcune carte.

Sherlock era al massimo della tensione. John, accanto a lui, lo vedeva respirare piano, gli occhi puntati sulla cassaforte semichiusa e i documenti ancora da distruggere. I muscoli del collo erano tesi così come il viso e le labbra erano socchiuse. Nonostante la strana situazione, John dovette ammettere di non averlo mai visto così sensuale e lo desiderò come non aveva mai fatto in vita sua. Si morse il labbro e cercò di scacciare quei pensieri, quando avvenne il fatto.

Successe tutto molto velocemente. Una donna entrò nella stanza e affrontò l'uomo. Era sicuramente una delle tante sue vittime. Lui non fece nemmeno in tempo a parlare perché lei estrasse una pistola e la scaricò sul suo petto.

Sherlock, con la velocità di spirito che lo aveva sempre contraddistinto, uscì dal nascondiglio veloce come un fulmine e finì il lavoro. Smosse le braci del caminetto con l'attizzatoio e ci buttò sopra le carte e alcune chiavette usb, poi aiutò la combustione con un accendino. Riuscì a fare tutto nel giro di pochi minuti, durante i quali la donna si era dileguata uscendo dalla finestra, e tornò da John. Lo afferrò per un braccio e lo condusse fuori, dalla stessa apertura per la quale era fuggita l'assassina.

Approfittarono delle tenebre per non farsi vedere e correndo raggiunsero un vicolo più appartato e da lì riuscirono a tornare a casa. Nessuno li aveva visti.

 

 

Erano euforici.

“È stato … fenomenale!” esclamò John, cercando di riprendere fiato dopo la corsa “Non mi divertivo così tanto da … non ne ho idea!”

Erano appena rientrati a casa, entrambi affaticati per la lunga corsa ma anche per l'eccitazione.

“Jawn, è appena morto un uomo” finse di rimproverarlo Sherlock.

“Non era un brav'uomo” si giustificò lui scuotendo la testa “Come quel tassista. Prima o poi sarebbe accaduto. Sinceramente non penso che lo rimpiangerò”

Sherlock sorrise e si avviò verso camera sua.

“Sherlock?” lo chiamò John.

Il detective si girò. Era stupendo.

I capelli erano leggermente scompigliati e il viso era ancora pregno della tensione e della gioia per quell'avventura. Le guance, leggermente imporporate, facevano da cornice alle labbra, rosse e sensuali che non chiedevano altro che essere baciate.

Quella sera era stata piena di avvenimenti e prove di coraggio, così John decise che avrebbe potuto affrontare anche quella.

Si avvicinò a Sherlock con passo deciso e lo afferrò per le spalle, alzandosi leggermente sulle punte dei piedi per eliminare la differenza di altezza che li separava.

“Tu non vai da nessuna parte, stasera” gli disse con un tono che non ammetteva repliche.

Sherlock arrossì ancora di più e fece un passo indietro.

“Jawn … cosa … cosa vuoi fare?” chiese, senza riuscire a nascondere una vena di panico nella voce.

“Voglio fare ciò che aspetto da mesi … da anni” rispose lui, avvicinandosi ancora di più al suo viso.

Lo baciò. Unì le loro labbra e sperò che rispondesse, ma ciò non avvenne. Sherlock si era irrigidito ed era sbiancato come se avesse visto un fantasma.

John non se ne accorse e cominciò a carezzargli il petto, per poi scendere più in basso, ma Sherlock gli afferrò il polso e lo allontanò.

“Jawn, ti prego ...”

Allora John si accorse che Sherlock era paralizzato dal terrore e si accigliò.

“Sherlock … cosa significa?” chiese bruscamene “Pensavo che tu ...”

“Ti voglio bene, Jawn” disse lui, in evidente disagio “Ma ...”

“Mi hai baciato quando sei tornato! Mi hai detto di amarmi!”

Sherlock lo guardò con occhi imploranti.

“Perdonami, Jawn, ma io ...”

“Sei adulto, Sherlock. Adulto. Non ho intenzione di ...”

“Sono ancora vergine, John. Sarò pure adulto e … sì, ti amo, ma non ho mai avuto esperienze di questo tipo e … mi spaventano”

“Non ti fidi di me?”

“Sì, mi fido … solo ...”

“Sei stranamente esitante, stasera” lo prese in giro John.

“Tutto questo … sta accadendo troppo velocemente!”

“Non mi sembra proprio! Tu ...”

Questa volta fu John ad esitare. Aveva puntato il dito contro Sherlock e fu allora che lo vide. Nonostante gli anni e le numerose esperienze, Sherlock era rimasto innocente come un bambino per quanto riguardava il sesso. Si ricordò il dialogo tra lui e il fratello, a Buckingham palace e capì.

Il sesso lo turbava. Aveva intuito che le sue intenzioni andavano oltre quel semplice bacio che si erano scambiati quando era tornato e si era spaventato.

Aveva sbagliato. Lo aveva forzato contro la sua volontà e lo aveva anche sgridato per questo. Vide il suo viso sofferente, per il senso di colpa e la paura e si sentì un verme.

“Sherlock, mi dispiace ...” disse.

Sherlock annuì piano, ma la sua tristezza era evidente.

“Dispiace anche a me, Jawn. Ci riuscirò un giorno, ma ora ...”

Sentimenti contrastanti si mossero nel petto di John. Da una parte c'era il desiderio che aveva di lui, dall'altra il suo senso di protezione, sempre vivo, che gli impediva di fargli del male. Davanti a lui non c'era Sherlock Holmes il grande detective, c'era Sherlock, il bambino a cui disinfettava le croste da caduta di bicicletta.

Il suo istinto ebbe la meglio sul desiderio.

“Sherlock, ti desidero troppo. Non posso più vivere con te”

Quelle parole, se possibile, lo spaventarono ancora di più del desiderio di John.

“Non puoi dire questo!” disse “Non puoi andatene! Come farò senza di te?”

John tremò impercettibilmente e si allontanò.

“Quando pensavo che fossi solo il miglior consulente detective non osavo avvicinarmi a te perché ero troppo codardo per ammettere di essermi innamorato. Ora che lo shock del tuo ritorno mi ha fatto ritornare la memoria, faccio fatica a pensare a te come un adulto, soprattutto quando mi fai queste scene così … infantili!”

Sherlock si morse il labbro, a disagio e lo guardò con i suoi occhioni azzurri, che non erano in effetti molto cambiati da quando era bambino.

“Mi dispiace, Jawn ...” disse, facendo qualche passo verso di lui con il braccio teso nel tentativo di fermarlo.

“Non chiamarmi così, ti prego” disse John “Rendi tutto più difficile. Io ti desidero, ti desidero follemente, ma cerca di capire la mia situazione. Ti ho considerato come un figlio per anni … come potrei ora …” scosse la testa “Mi dispiace. Non ce la faccio. Non così”

Sherlock era rimasto senza parole e, anche se ne avesse avute, non sarebbe riuscito a pronunciarne neanche mezza.

John era infatti corso in camera sua prima che potesse riaversi da ciò che gli era stato detto.

Tornò dopo una ventina di minuti con due grossi borsoni colmi di vestiti. Quando lo vide, Sherlock reagì.

“No! Ti prego, Jaw... John! Ti prego! Non andartene!” implorò Sherlock, irrigidito per la paura e con gli occhi fissi su di lui.

“Non ce la faccio, Sherlock”

“Ce la possiamo fare, invece! Possiamo tutto, ricordi? Sarei perduto senza il mio blogger!”

“Dimmi come posso fare allora!” rispose John, buttando in un gesto di stizza “Dimmi come posso fare! Ragiona, grande detective! Voglio fare sesso con un uomo che ho conosciuto da bambino occupandomi di lui come se fossi suo padre e che ora ha addirittura paura di ciò che provo per lui! Sarai anche intelligentissimo, Sherlock, ma se infantile. Sei ancora un bambino ai miei occhi e … non potrei fare ciò che desidero con te”

Senza dire altro riprese le sue borse e uscì di casa, sbattendo la porta.

   
 
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