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Autore: NoaLillyORiordan    08/02/2013    1 recensioni
Come possono cambiare due vite con un solo incontro? Ed è davvero possibile? Due sconosciute, piene dei loro silenzi si incontreranno prima sul campo sportivo, compagne di squadra, amiche e poi? Questa è la storia di due anime che prese dalla difficoltà della vita, finiranno per incontrarsi e scontrarsi...come potrebbe capitare a tutti noi, del resto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Michela non rispose subito al messaggio. Di tanto in tanto lo rileggeva, provava a scrivere qualcosa, ma poi posava il cellulare. Stava uscendo pazza: prendeva e posava il cellulare ogni dieci minuti. Lo fissava, provava a prenderlo e poi lo lasciava nuovamente. Come se il cellulare scottasse come una patata bollita. Chiara dall’altro capo fissava il cellulare. Sperava che da un momento all’altro le arrivasse una risposta. Aspettava da ore. Si chiese se non fosse stata avventata. Forse poco chiara. Forse era suonato stupido. Troppi forse e nessuna risposta. Alla fin fine sapevano cosi poco l’una dell’altra, si potevano dire sconosciute. Eppure qualcosa le legava, un sentimento, forse. Un evento, un ricordo un qualcosa che le univa tanto da separarle. Entrambe le ragazze aspettavano. Qualunque cosa: anche un improbabile segno dal cielo sarebbe stato gradito. Uno squillo fece trasalire Chiara. Pensò di non farsi false speranze. “Potrebbe essere lei ma non ci sperare”. Con il cuore a mille prese il cellulare, lo sbloccò: “1 NUOVO MESSAGGIO”. L’avviso troneggiava sullo schermo del cellulare: la ragazza con mani tremanti premette “LEGGI”. “Gentile cliente la informiamo che il suo credito sta per terminare”. Con sguardo basito e attonito Chiara mollò il cellulare con comò. “Ma vai a cagare!” imprecò. Decise allora di non perdere più tempo, di alzarsi e portare avanti la sua giornata. Ma il risultato fu che si mise a sedere sul divano a guardare pigramente la televisione sperando silenziosamente in un qualcosa.
 
“Mi sembri una pazza, ti calmi?” esclamò scocciata Laura. Michela trasalì. La guardò negl’occhi. “Ma che ci tieni con sto’ cellulare?” disse sbattendo il cucchiaio sul tavolo. “Scusa?” chiese stizzita Michela. Non solo stava in casa sua, occupava il divano, stava sempre tra i piedi, non accennava ad andarsene ma osava anche criticare le sue cose? “Si! E lo prendi, e lo posi, poi scrivi qualcosa, poi no. E basta! E falla sta chiamata!” disse alzandosi e poggiando in malo modo la tazza con cui faceva colazione nel lavello. Michela rimase molto colpita del suo atteggiamento. Ma non ci badò più di tanto e lasciò il cellulare sul tavolo. Andò a vestirsi e decise di fare un giro in moto, tanto per svagare la mente. In camera, mentre infilava i jeans buttò l’occhio sul disegno che aveva fatto Chiara settimane prima. Era cosi lontano eppure cosi vicino quell’evento. Si abbandonò ai ricordi stendendosi sul letto. Quando la spiò da dietro la porta, quando si accorse di quanto era bella, il suo sorriso teso, lo sguardo serio ma impaurito. Chissà che le avrebbe detto quel giorno e che sarebbe successo se non fosse mai tornata Laura. Il turbine dei ricordi strinse pian piano sempre più e sempre più forte lo stomaco e l’intestino, fino a farle sentire dolore. Il fiato le mancava dai polmoni e non riusciva a inspirare, il cuore di dimenava come un pazzo nel petto. Gli occhi della ragazza,  già chiusi, si strinsero più forte fino all’esplosione di mille scintille. Le mani afferrarono un angolo del lenzuolo fino a quando ossigeno non invase i polmoni, il respiro tornò regolare, il cuore riprese i suoi ritmi e il corpo si rilassò. Michela non capiva perché dovesse avere una tale reazione verso una persona di cui sapeva ben poco: quel tanto che bastava che l’avrebbe dovuta mettere in fuga da un pezzo. Invece più si avvicinava, più l’abisso tra le due ragazze cresceva. E più questo accadeva più voleva quella ragazza tra le sue braccia. D’improvviso si alzò, si diresse in cucina e prese il cellulare.
 
“Tu cosa proponi?” questo il breve messaggio da parte di Michela. Chiara rilesse più volte il messaggio per controllare che fosse davvero lei. Cosi attese troppo e il telefono squillò ancora. “Ti va una passeggiata al mare?”. Ancora una volta attese troppo. Quel tanto che bastava da convincere Michela a chiamarla. Il cellulare cominciò a suonare e vibrare e il cuore di Chiara batteva forte. Ebbe la tentazione di nascondere il cellulare sotto il cuscino, ma poco prima che Michela cedesse, rispose.
“Ah, ehm, ciao, ti disturbo?” disse Michela imbarazzata. “Pronto? C’è nessuno?” chiese dopo qualche secondo di silenzio. “S-si, sono io. Ciao” rispose dall’altro capo Chiara rossa in volto e in evidente stato di imbarazzo. Ancora una volta le due ragazze tacquero. Chiara prese fiato e tutto d’un colpo disse “Quando vorresti andare al mare?”. L’imbarazzo la fece parlare cosi veloce che temeva la ragazza dall’altro lato non avesse capita. Michela sorrise. “Ti va se passo ora?” disse con il cuore in gola, quasi lo dovesse rigettare. Chiara rimase sorpresa. “O-Ok” confermò, nonostante fosse titubante. “Se non ti va facciamo un’altra volta” disse Michela pentendosi della fretta che aveva avuto. “No, ok, ti aspetto”. Le due ragazze si salutarono imbarazzate. “Esci?” chiese Laura. Michela non le diede retta e si chiuse in camera. Si spogliò completamente, rimanendo in mutande e reggiseno. Si mise davanti all’armadio e pensò a cosa avrebbe dovuto mettersi. Laura intanto seduta sul divano era torva. Aveva dato poco a vedere che la faccenda la faceva arrabbiare, ma ora era troppo. Rivoleva Michela, l’avrebbe riavuta a tutti i costi. Era sua. Sferrò un pugno nell’aria. Si alzò e se ne uscì di casa. Michela riaprì la porta della stanza, sentita la porta di casa chiudersi e chiamò la ragazza senza ricevere risposta. “Laura sei uscita?” chiese ancora, sentendo solo la sua voce. “Evidentemente si” pensò tra se e se. Troppo elegante, troppo sportivo, troppo casual, troppo trasandato: qualunque abbigliamento lo trovava inappropriato. Cosi fece un bel respiro e cercò di calmarsi. Accese lo stereo e con un po’ di musica cercò di riflettere. Il ritmo si impossessò del suo piede e dei suoi fianchi che cominciarono ad ondeggiare. Sull’onda della musica decise di indossare un paio di jeans comodi, una maglietta verde pastello con un gilet nero. Infilò le scarpe e un giubbino, prese chiavi, portafoglio e caschi e usci di casa, non senza accarezzare il cane. “Dai Cagnone, torno presto”. Le batteva forte il cuore. Chiara l’aspettava, l’aspettava un lungo pomeriggio. O forse no. Montò in sella, con il piede tolse il cavalletto, girò la chiave nel quadro, inserì la prima, lasciò la frizione e partì. Scorrazzava per le strade, il vento avvolgeva il suo collo, il cuore non smetteva di correre, ogni suo muscolo contratto ed eccitato.
Chiara d’altro canto, non era più quieta. Sentiva tutto il corpo tremare. Fissava il suo sguardo allo specchio: occhi pieni di paura, di domande di perché e desideri. Non sapeva cosa l’aspettava. Sapeva cosa voleva. Cosa aveva. Ma non sapeva dove sarebbe arrivata. Michela arrivò presto, prima di quanto sperasse. Non si dissero una parola, un intenso sguardo bastò. Chiara  montò in sella e si concesse la libertà di abbracciare Michela e lasciarsi cullare dall’andatura. Michela ne rimase sorpresa ma la piacque quel contatto. La pancia e il seno che aderivano morbidi e caldi alla sua schiena. Le braccia che cingevano la sua vita, il mento appoggiato alla sua spalla. “Siamo arrivate” disse Michela, dopo un viaggio lungo ma piacevole. Chiara sorrise imbarazzata. Le due ragazze camminarono sulla spiaggia, per un po’, in silenzio, finché Michela non decise di sedersi. Si tolse le scarpe, i calzini e lasciò che ogni singolo granello di sabbia si infilò tra le dita. Strinse le gambe tra le braccia e poggiò il mento tra le ginocchia. Si voltò e sorrise a  Chiara. “Che hai fatto di bello oggi?” chiese per rompere il silenzio. Chiara la fissò stupita. Michela sorrise ancora e allora continuò “Non voglio metterti in soggezione, non dobbiamo per forza parlare di cose importanti. O meglio si, ma voglio conoscerti, voglio passare del tempo con te, voglio conoscere la tua voce”. “Io per esempio oggi ho cercato il coraggio per chiamarti. E pensa Laura si è infuriata  perché smaniavo con il cellulare di continuo” continuò ridendo. “Quindi dimmi: cosa hai fatto di bello oggi?”. Chiara schiarì la  sua voce. “In realtà molto del mio tempo l’ho passato ad aspettare una tua risposta. Ah, e a maledire i messaggi del proprio operatore”. Entrambe scoppiarono a ridere. “Perché non mi racconti qualcosa di te?” chiese Michela seria. “Dimmi che fai nella vita”. Chiara guardò l’orizzonte. Prese fiato, il cuore martellava in petto. Michela le prese la mano e la strinse. “Va bene, tranquilla, non devi per forza. Posso cominciare io”. “No, no tranquilla. Voglio.” rispose con voce agitata la ragazza. “Frequento l’università: studio Psicologia” cominciò a raccontare, con voce tremante. “È l’unica concessione che mi ha fatto mio padre da quando è morta mia madre”. “Come è morta?” chiese Michela. “Credo una malattia. Mio padre non ne ha mai voluto parlare e io ero piccola, per ricordare. Avevo sei anni e l’ultimo ricordo che ho di lei è quando mi prese in braccio mi accarezzò la spalla e mi disse –coraggio-”. Chiara si fermò e sospirò. “Non devi per forza” cercò di dire la ragazza che le era seduta a fianco. Restarono in silenzio per un po’, ognuna assorta nei proprio pensieri. Michela scavava in profondità, nella sabbia, con le dita dei piedi, fino a sentire la sabbia bagnata e fredda. Chiara voltò la faccia dall’altro lato per non far vedere che due grosse lacrime le rigavano le guance pallide come la Luna. “Ti manca?” chiese Michela senza attendere risposta. “Non c’è vergogna nel piangere”. Chiara arrossì a quella affermazione. Asciugò le lacrime con la manica del suo cardigan. “Capii più tardi che voleva dire mia madre”. Poi non disse più nulla. Aveva un groppo in gola, un nodo che non riusciva più a sciogliere. Così Michela le prese la mano e la strinse. “Invece io lavoro per vivere. Potrei trovare di meglio che la  pizzeria, ma mi sono fatta degli amici li e mi sono sempre detta che sarebbe stato temporaneo, che… che sarebbe tornata. Laura intendo” si girò per controllare la reazione di Chiara ma entrambe tennero ben salda la stretta delle mani. “Me ne sono andata di casa, mai ufficialmente s’intende, a 19 anni, quando i miei mi hanno trovata in camera mentre baciavo la mia ex ragazza. Nessuno ne fece parola, mai. Non si discusse, nessuna minaccia o tentativo di qualche tipo. Pensai che forse mi ero sbagliata e che l’avevano accettato semplicemente. Quando poi cominciarono a combinarmi incontri con i figli delle amiche di mia madre capii la situazione” la ragazza fece una pausa e scoprì di avere lo sguardo di Chiara addosso. Pendeva dalle sue labbra. “Che noiosa la storia della mia vita eh?” disse scherzando. “No! Continua, ti prego” disse con slancio, Chiara, arrossendo ancor di più appena si accorse dello sguardo divertito della sua interlocutrice. Le onde cullavano piano le parole della ragazza, che riprese a parlare. “Cosi una sera in preda allo sconforto presi la moto e andai. Percorsi cosi tanti chilometri che nemmeno lo so, stetti cosi tante ore fuori di casa! Alla fine esausta, trovai una pizzeria in chiusura e chiesi solo una birra. Il proprietario mi disse che quello non era un bar, ma me la diede comunque. La bevvi mentre i ragazzi lavavano per terra. Uscendo vidi il cartello “CERCASI CAMERIERE”, ritornai sui miei passi e semplicemente il proprietario mi invitò a ritornare il giorno dopo. Non capii mai perché lo fece, ma è da allora che lavoro li. Non ebbi quindi tempo di pensare che avrei fatto l’università, me ne andai di casa qualche settimana dopo, con il disaccordo e la disapprovazione dei miei. Vissi per un po’ nel retrobottega dormendo sul divano. Poi, in un piccolo monolocale vicino la pizzeria”. Michela si fermò, ma non si voltò a vedere la sua ascoltatrice. Stava per arrivare una parte del racconto che non sapeva se Chiara aveva piacere di ascoltare. Cosi tacque. Il sole era diventato di un arancione tendente al rosso e stava per immergersi nel mare, trasformandolo in oro liquido. “Immagino hai conosciuto Laura in pizzeria” disse dopo un po’, timidamente, Chiara. “Si” rispose semplicemente Michela, tacendo nuovamente. Chiara appoggiò la testa nella spalla di Michela. Stupita, la ragazza non azzardò nessun movimento. Aveva paura di fare qualcosa di sbagliato, ma continuò a stringere la mano della ragazza. “Cosa succederà ora?” chiese Chiara, più  se stessa che a qualcuno. Michela avrebbe voluto chiederle cosa intendesse, ma lo sapeva bene, era la stessa cosa che si chiedeva lei. Ormai il pomeriggio era volto al termine e l’ansia saliva. “Sono quasi le sette di sera, sarai affamata e annoiata dal mio lungo monologo. Ti riaccompagno a casa” disse in tono pacato, anche se l’avrebbe voluto chiedere. Chiara alzò la testa con aria interrogativa e fissò negl’occhi quella che poteva essere definita un’amica. Forse. Michela alzò un sopracciglio, divertita. “Non deve succedere nulla, ok? Non accadrà nulla che nessuno delle due non desidera” disse sorridendo. Lasciò, a fatica, la presa di Chiara, si rimise le scarpe e si alzò in piedi. Si scosse tutta la sabbia di dosso e tese una mano alla ragazza ancora seduta. Sembrava si fosse richiusa in se stessa, ma quando alzò lo sguardo sorrideva e appariva visibilmente più distesa. Si avviarono alla moto in silenzio. Si prepararono al viaggio indossando i caschi e chiudendo bene le giacche. “Guarda che mi devi raccontare ancora molto di te” disse scherzando Michela. Per tutta risposta Chiara diede due pizzicotti ai fianchi della centaura. Poi l’abbracciò e si assopì durante tutto il viaggio.

  
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