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Autore: Padmini    09/02/2013    6 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Stavolta il capitolo è arrivato un po' più in fretta ma sono particolarmente ispirata.

Molte volte mi succede di creare prendendo spunto da cose che mi hanno colpita o che mi sono piaciute. In questo caso parlo della storia di Kazuma e Tsubasa, due personaggi del manga “Karekano” o, in italiano “ Le situazioni di lui e lei” di Masami Tsuda, che ho imparato ad amare grazie alla mia cara amica Giulia.

In questo caso John sarebbe Kazuma e Sherlock Tsubasa … quindi capirete che alla fine tutto andrà bene per i nostri eroi!

Buona lettura.

 

 

 

 

 

 

Il mio bimbo

 

 

 

 

 

 

Era passato quasi un mese da quando John era tornato nel suo appartamento. Non aveva più sentito Sherlock e nemmeno lui aveva accennato a fare la prima mossa.

John se l'era aspettato e, d'altra parte, riconosceva di essere dalla parte del torto. Era lui quello che se n'era andato sbattendo la porta. Lui l'aveva spaventato a morte con il suo desiderio.

Sherlock si era chiuso a riccio. Sicuramente avrebbe ignorato messaggi e chiamate e l'unica cosa da fare sarebbe stata andare di persona da lui, ma aveva paura di ricadere nello stesso errore.

No, non poteva più vederlo. Lo desiderava così tanto, ma sapeva che quello era un sentimento sbagliato. Gliel'aveva fatto capire Sherlock quella notte e lui non aveva più avuto il coraggio di tornare all'argomento, anche con sé stesso.

Non sapeva come stava Sherlock, ma sperava che se la stesse cavando. In fin dei conti in quegli ultimi anni lo aveva fatto, perciò pensò che avrebbe continuato così. Sì, se ne era convinto, eliminando ogni altra possibilità.

Non voleva sentirsi in colpa per lui.

 

 

I giorni di John si erano susseguiti uno uguale all'altro. Tante perle in un filo di cotone. Sufficientemente forte da tenerle insieme ma altrettanto fragile da potersi spezzare al minimo scossone. Sarebbe bastato un niente a romperlo e a disperdere la serenità che era faticosamente riuscito a ricrearsi. Serenità fittizia, ma pur sempre un equilibrio.

La vita di John si era dunque di nuovo ridotta al solito andare e venire dalla casa alla clinica, intervallato ogni tanto da qualche birra con Stamford. Si sentiva esattamente come quando era tornato dall'Afghanistan.

Solo.

Sherlock era tutto ciò di cui aveva bisogno, ma era troppo codardo per ammetterlo. Finalmente era riuscito a dichiararsi apertamente e lui l'aveva rifiutato. In cuor suo sapeva che era questo il vero motivo che l'aveva spinto ad andarsene.

Orgoglio.

Stupido orgoglio.

Non poteva sopportare di essere rifiutato e aveva mascherato questo sentimento con il disagio che provava nel vedere adulto lo Sherlock che aveva conosciuto bambino. In effetti c'era anche questo, ma in misura minore. Erano troppe le volte in cui la personalità e il corpo del suo ex coinquilino avevano destato in lui desideri troppo imbarazzanti da essere espressi a voce e sapeva che, se l'avesse rivisto così, non avrebbe resistito.

Per questo se n'era andato. Non voleva essere rifiutato un'altra volta.

Tutti questi pensieri avevano vagato nella sua mente i primi giorni, insieme agli incubi ricorrenti, poi aveva creato un muro, una diga tra lui e la sua emotività. Voleva proteggersi dal dolore. La valvola di sfogo era rappresentata dalla consapevolezza che Sherlock era vivo e questo doveva bastargli.

 

Così la sua collana di giorni continuava ad allungarsi, come un rosario infinito che ripeteva ogni giorno la stessa monotona litania. John non sapeva, però, che quel giorno sarebbe arrivata una forbice che avrebbe vanificato il tutto, distruggendo il suo precario castello difensivo.

Stava per andare a casa. L'orario delle visite sarebbe finito di lì a pochi minuti ma la sala d'aspetto era vuota e ormai non avrebbe fatto in tempo a visitare più nessuno e anche Sarah era andata via. Aveva appena chiuso la porta del suo studio, quando sentì la porta esterna aprirsi.

“L'orario delle visite è finito” disse senza girarsi “Torni domani alle otto …”

Quando si girò, la voce gli morì in gola. Di fronte a lui c'era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere.

“Buonasera, dottor Watson” disse l'uomo, chinando leggermente il capo in segno di rispetto “Mi duole disturbarla a quest'ora tarda, ma ho assoluta necessità di discorrere con lei. Proprio per questo motivo ho scelto di venire qui ora”

Siger Holmes era invecchiato ma conservava ancora la dignità che John aveva imparato a conoscere quando frequentava la sua casa per badare a suo figlio. In quel momento i pensieri che provava verso Sherlock tornarono a galla e si sentì avvampare per la vergogna.

“Buonasera, Signor Holmes” disse cercando di darsi un contegno “Cosa desidera?”

Siger sospirò. Era evidente che qualcosa lo turbava.

“Non occorre che cerchi di nascondermi il suo amore per mio figlio” disse guardandolo francamente negli occhi “So cosa prova per lui e devo ammettere di averlo intuito già molti anni fa, quando ancora faceva da babysitter a Sherlock. Mi dica, cosa è successo tra di voi?”

John vide il luccichio di una lama che si stava avvicinando alla fila di perle che rappresentava i suoi giorni. Cosa sapeva Siger?

“Non si preoccupi” lo rassicurò Holmes, sorridendo gentilmente “Sono solo un padre preoccupato per il figlio, tutto qui. Non ho intenzione di immischiarmi negli affari vostri, ma vorrei sapere perché Sherlock si è ridotto in quelle condizioni”

La lama si posò delicatamente sul filo di cotone.

“Quali condizioni?” chiese John preoccupato.

“Sarà meglio che venga a vedere” lo pregò Siger “Il mio autista ci porterà a casa”

 

Uscirono in strada, dove una lussuosissima auto li stava aspettando per portarli a destinazione. Quando si accorse che non stavano andando a Baker Street, si sporse verso l'autista.

“Dove diavolo sta andando? Baker Street è da tutt'altra parte!”

“Si calmi, dottor Watson. Sherlock è a casa mia. Quando l'ho trovato a Baker Street non ho potuto lasciarlo lì … gliel'ho detto … ora vedrà”

John si lasciò cadere sul sedile. Se Siger era preoccupato fino a quel punto, voleva dire che Sherlock si era messo nei guai. Come? Non sapeva darsi risposta. Non poteva lasciarlo solo nemmeno cinque minuti che già aveva bisogno d'aiuto?

Immerso nei suoi pensieri, non si accorse che nel frattempo erano arrivati. Il suono delle ruote dell'auto sull'asfalto venne sostituito da quello più crepitante della ghiaia e la macchina si fermò davanti all'ingresso per permettere ai due uomini di scendere.

“Mi segua” disse Siger “Non c'è un momento da perdere”

John lo seguì in casa e poi lungo le scale, fino alla stanza che così tante volte aveva visitato.

Dentro la luce fioca proveniva da un'unica lampada accanto al letto, ma fu quello che vide su quel giaciglio ad agghiacciarlo. Fu ciò che fece strappare il filo. Sentì le singole perle cadere a terra con un frastuono che lo assordò. Tutto era finito. Non c'era più pace, non c'era la falsa serenità che si era faticosamente creato. C'era Sherlock.

Giaceva immobile sul letto. Le braccia, più magre di quanto si ricordasse, sembravano quelle di una marionetta alla quale avevano tagliato i fili. Uno solo era rimasto, quello di una flebo, posizionata vicino alla testiera.

Il viso era scavato, pallido e negli occhi non avevano più quel lampo di vita che li contraddistingueva. Erano spenti, lucidi di pianto e fissavano un punto imprecisato della stanza senza vederlo. Sicuramente stava vagando senza meta nel suo mind palace.

John restò sulla soglia, tramortito. Siger gli posò una mano sulla spalla e sospirò.

“Cosa … cosa gli è successo?” chiese con voce roca.

“Depressione, John” gli rispose Siger stringendogli involontariamente la spalla “Da un mese a questa parte non ho più avuto sue notizie e la cosa mi aveva preoccupato. Solitamente Mycroft mi teneva aggiornato sui suoi movimenti, ma in questo periodo nessuno dei suoi agenti l'aveva mai visto uscire di casa. La cosa non mi avrebbe insospettito, ma quando anche Lestrade è venuto da me per avere informazioni ho temuto il peggio.

Sono andato in casa vo … sua e l'ho trovato in condizioni pietose. Era raggomitolato sulla poltrona. Il fuoco era spento e lui si trovava in questo stato catatonico ed era denutrito. Non aveva febbre e non aveva nemmeno assunto cocaina, ma dalle analisi del sangue è venuto fuori che stava quasi per esaurire le scorte di glicogeno *… Insomma, l'abbiamo trovato giusto in tempo.

È qui da un paio di giorni. Possiamo nutrirlo solo tramite flebo perché si rifiuta di mangiare, di bere o di parlare. Ormai si sta riprendendo, ma non è la sua salute fisica che mi preoccupa, al momento. Capisce cosa intendo”

Si portò la mano per coprire la bocca. Anche lui era sconvolto, ma John lo era sicuramente di più. Si avvicinò al letto con passo spedito, senza staccare gli occhi da quel viso smunto che apparteneva al suo migliore amico.

Si inginocchiò al suo fianco e gli prese la mano. Era gelata e incredibilmente sottile. Non strinse troppo, per paura di fargli male. Sembrava fragile come una statuina di cristallo.

“Sherlock, brutto stupido … che hai fatto?” chiese, mentre le lacrime scivolavano silenziose dai suoi occhi per abbattersi sulla pelle chiara di Sherlock.

John non si aspettava risposta ma questa, incredibilmente, arrivò.

Sherlock sbatté tre volte gli occhi e girò lentamente il viso verso di lui.

“Ja-Jawn ...” disse con voce debole.

“Sì, sono Jawn” annuì lui convinto “Sono il tuo Jawn”

Baciò quella mano e se la posò sulla fronte. Alle sue spalle, Siger gli sfiorò la spalla.

“Vi lascio soli” disse con un sorriso che John non poté vedere “Avete molto di cui parlare e, John … ti ringrazio. Di tutto”

Detto questo uscì e John si lasciò ulteriormente andare. Le lacrime continuavano a scendere e lui cominciò a singhiozzare.

“Perché, Sherlock? Dimmi perché?” chiese, anche se conosceva già la risposta.

“Te ne sei andato …” rispose Sherlock tornando a fissare il soffitto “ … mi sentivo così solo … così solo ...”

“Come pensi che mi sia sentito io nei tre anni in cui tu sei sparito, eh?” domandò John, senza poter trattenere una vena di rimprovero nella voce, ma si morse il labbro. Ormai quella era acqua passata. Non doveva continuare a rimproverarlo per quello.

“Scusa, Sherlock. Scusa. Non volevo dirlo … cioè, volevo dirlo, ma ho sbagliato. Non pensarci più”

Sherlock cominciò a tremare, scosso dal pianto.

“Anche allora mi sentivo solo” sussurrò tra le lacrime “Ma sapevo che tu stavi bene, da qualche parte … e questo mi aiutava ad andare avanti, ma adesso … non potevo sopportare che tu non mi volessi più bene ...”

Scoppiò a piangere e la cosa tranquillizzò John. Almeno era una reazione. Quelle lacrime gli avrebbero fatto bene, ripulendolo del dolore accumulato in quei giorni neri.

Lo fece sedere e lo riempì di piccoli baci su tutto il viso, continuando a piangere.

“Io non ho mai smesso di volerti bene, Sherlock. Mai. Non ti ho mai voluto così tanto bene come ora”

“Allora perché sei andato via? Cosa ho sbagliato, Jawn? Dimmelo ...”

Lo abbracciò e lo carezzo sulla testa e sulla schiena, ridendo e piangendo insieme.

“Non hai fatto nulla di sbagliato, Sherlock. Al contrario, mi hai salvato. Hai rinunciato a tutto per salvare me e questa è la cosa più bella che tu abbia mai fatto. Sherlock, me ne sono andato per non spaventarti con i miei sentimenti. Capisci? Ti amo così tanto, piccolo mio ...”

Rise e lo strinse più forte. Non gli importava che fosse più alto di lui, più intelligente o più furbo. Lui era il 'suo piccolo Sherlock', bisognoso d'amore. Un amore che lui poteva dargli.

“Anch'io ti amo, Jawn ...” sussurrò Sherlock “Ti amo … per piacere, non lasciarmi più solo ...”

“Non lo farò. Te lo prometto. Starò sempre con te”

Restarono abbracciati a lungo. Sherlock tremava tra le sue braccia, ma pian piano si rilassò. John sapeva che era molto debole. In quel momento lo vedeva come un delicato fiore da accudire, da sfiorare, per non sgualcirne i petali.

Soavemente lo posò sul materasso e cominciò ad accarezzargli la fronte con movimenti ampi e lenti e asciugargli il suo viso dalle lacrime con un soffice fazzoletto di stoffa.

“Ora devi riposare, Sherlock” gli disse dolcemente.

“Domani, quando mi sveglierò, ti troverò qui?” chiese con un filo di paura.

“Sì” confermò John annuendo e sorridendo “Mi troverai qui”

Sherlock sorrise e chiuse gli occhi.

“Parlami, Jawn” disse, cercando la sua mano. Una volta che l'ebbe trovata la strinse.

John si sorprese sentendo tutta quella energia ma d'altra parte si era ormai abituato alle sorprese che il grande detective sapeva elargirgli, giorno dopo giorno. Anche quella richiesta lo incuriosì.

“Vuoi … che parli?” gli chiese, incredulo.

“Sì. Sono stanco e ho sonno, ma non riesco a dormire. Parlami, ti prego. Vorrei addormentarmi al suono della tua voce”

Un largo sorriso illuminò il viso di John. Come aveva fatto ad allontanarsi da lui? Come aveva potuto abbandonarlo? No, quello era un errore che non avrebbe ripetuto.

“Vuoi che ti racconti una storia?”

“Quello che vuoi” rispose Sherlock sorridendo “Basta che parli. Mi piace la tua voce”

John rise, pensando che a parlare era un uomo con una voce così sensuale da sciogliere di desiderio sia donne che uomini.

“Mi piace anche quando ridi, Jawn”

“Allora vedrò di farlo più spesso” rispose lui “Stando con te non mi sarà difficile. Ora vediamo … cosa potrei dirti … o raccontarti?”

Gli sembrò di essere tornato indietro di anni e di raccontare la fiaba della buonanotte al suo bimbo.

Quello che aveva di fronte era sì il suo bimbo ma era anche l'uomo che amava. Comprese che avrebbe dovuto portare molta pazienza, ma non avrebbe sopportato di stare lontano da lui nemmeno mezzo minuto. L'amore che provava per lui andava al di là del sesso e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Non si alzò per prendere una sedia. Non lasciò la presa della mano di Sherlock. Allungò un braccio verso la poltrona e afferrò un comodo cuscino, su cui si adagiò, restando seduto sul tappeto.

“Quando ancora i pirati costituivano una minaccia per la compagnia delle Indie ...”

 

 

 

 

 

 

 

* è un polisaccaride (uno zucchero) che si deposita nei muscoli e nel fegato ed è la nostra ultima riserva di energia. Quando si esaurisce si muore.

   
 
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