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Autore: Carlos Olivera    09/02/2013    4 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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19

(PRIMA PARTE)

 

 

Izumi continuò a correre a correre senza mai fermarsi, perdendosi nel silenzio spettrale ed angosciante della foresta che circondava le terme, ed i cui alberi, come un esercito di fantasmi, la sovrastavano, la soffocavano, sembravano volerla avvinghiare.

Era colpa sua.

Era tutta colpa sua.

Nagisa aveva ragione.

Niente sarebbe mai accaduto, se lei non fosse mai entrata nella vita di Eric.

Ogni volta che lei si era trovata in pericolo, lui era accorso per proteggerla mettendo a rischio la sua vita; era stato così anche quella notte, solo che questa volta rischiava di essere l’ultima.

Era vero quando Nagisa diceva che, dentro di lei, Izumi in qualche modo aveva sempre saputo che, qualunque fosse stato il pericolo in cui si fosse venuta a trovare, Eric in qualche modo sarebbe sempre intervenuto ad aiutarla.

Talmente a lungo si era adagiata su questa convinzione che aveva finito per darla inconsciamente per scontata, e ora Eric rischiava di pagare il prezzo della sua impulsività.

Non meritava di stagli vicino.

Di più, non doveva.

Standogli accanto lo avrebbe solo messo in pericolo.

Dopotutto, era anche colpa sua se erano successe molte di quelle cose; colpa del suo sangue speciale, del suo potere di attirare i vampiri.

“Eric. Mi dispiace!” continuava a pensare addentrandosi sempre più nel bosco.

Le parole di Nagisa le risuonavano nella mente come le unghie sulla lavagna, riempiendole il cuore di amarezza e dolore.

Perché?

Perché tutto quello che sapeva fare era mettere in pericolo la persona che diceva di amare?

E ancora di più le faceva male pensare a quanto Nagisa dovesse avere sofferto per tutto quel tempo, costretta a mascherare i suoi sentimenti e ad osservare nel frattempo il suo signore che si scioglieva per un’altra.

Con che coraggio avrebbe potuto guardarla ancora negl’occhi?

Fu così che, nel momento in cui una malevola radice interruppe la sua corsa, vedendo un breve ma ripido pendio aprirsi da un istante all’altro sotto di sé, per un attimo arrivò quasi a sperare che quella fosse la fine; almeno, così, non avrebbe più arrecato danno a nessuno.

 

All’albergo, almeno tra quelli che sapevano, regnava l’attesa.

Eric era stato chiuso in camera sua, guardato a vista, e almeno per il momento non c’erano segni di miglioramento.

Tutto era nelle sue mani. Stava solo a lui trovare la forza necessaria per non soccombere al virus. Di tanto in tanto Kaien, appostato fuori dalla sua porta, lo sentiva mugolare e lamentarsi, segno che, pur nel delirio del dolore, stava sforzandosi di combattere.

«Come procede?» chiese Peter passando per l’ennesima volta davanti agli occhi del direttore, ricevendo per l’ennesima volta lo stesso cenno del capo

Peter gettò quindi uno sguardo a Yagari, seduto ad un tavolino del salotto accanto; anche se cercava di far credere di stare ingannando il tempo giocando a shoji contro sé stesso, i continui sguardi di sottecchi verso la porta erano più che eloquenti, e non lasciavano alcun dubbio su quali fossero le sue reali intenzioni.

Anche per quello Kaien aveva voluto sostare tutto il tempo a guardia di Eric; non che non si fidasse del suo vecchio amico Yagari, ma non se l’era sentita di rischiare a scoprire fino a che punto potesse arrivare la sua cieca determinazione.

Ma non c’erano solo i tre insegnanti a girare attorno a quella porta.

Nagisa, subito dopo quel violento diverbio con Izumi, era tornata indietro per rivedere il suo maestro, ma anche a lei come a chiunque altro era stato proibito di avvicinarsi per motivi di sicurezza. Così era uscita di nuovo in giardino, mettendosi in un punto da cui aveva una visuale chiara di quello che accadeva là attorno e nascondendosi nell’ombra, in modo da poter vedere e sentire qualunque cosa senza che nessuno si accorgesse di lei.

Se davvero era un cane da guardia, allora era suo compito vegliare il suo padrone soprattutto ora che stava soffrendo.

Tuttavia, per qualche motivo, non le riusciva di svolgere il suo incarico di guardia fedele con la stessa efficienza di sempre.

La sua mente era troppo annebbiata, troppo confusa. Ripensava a quanto successo, a tutte le cose che aveva detto, e a come, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, avesse esternato i propri sentimenti e le proprie emozioni così, senza freni.

Ripensava al volto di Izumi, alla sua espressione affranta ed incredula, e senza sapere perché iniziò ad essere presa da un insopportabile ed inspiegabile senso di colpa.

Perché doveva sentirsi così se si era limitata a dire la verità?

Il suo maestro stava morendo, e se non fosse stato per lei non sarebbe accaduto. Ma se era così, e se continuava a pensare che quello che aveva detto fosse giusto, allora perché se si sentiva così male?

Nel mentre il direttore, giusto per tenersi impegnato, aveva deciso di chiamare Tokyo per informarli dell’abbattimento del Livello E infetto, e recuperato il suo i-phone chiamò Negi a casa sua.

«Che vuoi?» domandò bruscamente Kogoro rispondendo al telefono dopo essere sceso di malavoglia dal letto

«Volevo informarti che il Livello E affetto da rabbia è stato abbattuto.»

«E non potevi aspettare domattina per dirmelo?»

«Volevo tenermi impegnato. Ti mando le specifiche, così puoi stilare il rapporto».

Kaien a quel punto spedì tutto quello che aveva: foto del corpo, informazioni varie e la sua testimonianza firmata dell’avvenuta uccisione.

Le informazioni arrivarono per e-mail quasi subito, e Kogoro staccò qualche secondo per esaminarle; il direttore credeva che fosse tutto apposto, ma la faccia del suo vecchio amico quando ricomparve sul monitor lasciava intendere che invece non era così.

«A che gioco stiamo giocando? Non è lui.»

«Come!?» disse Kaien incredulo «Che vuoi dire?»

«Non si è capito? Non è lui il vampiro che stavamo cercando.»

«Che cos’hai detto!?».

L’esclamazione del direttore fu udita anche da Peter e Yagari, e anche da Nagisa, che nonostante la distanza e le porte chiuse aveva dalla sua l’udito eccezionale di un vampiro.

«Ma sei proprio sicuro? Sei sicuro che non sia lui?»

«Non vedo come non potrei non esserlo, visto che il nostro vampiro è una donna.»

«Una donna!? E perché non lo hai detto subito, razza di professore alcolizzato!»

«Beh, il lato positivo c’è.» commentò mestamente Peter quando il direttore ebbe riattaccato «Questo aumenta sensibilmente le speranza di Eric. Contrarre l’infezione in modo indiretto è sicuramente meglio che contrarla dal paziente zero.»

«Ormai non manca molto al sorgere del sole.» ordinò Kaien «Teniamo alta la guardia e facciamo attenzione. Con un po’ di fortuna si risolverà tutto entro l’alba.

Gli studenti sono tutti al sicuro?»

«Li ho contati poco fa.» disse Yagari «Ci sono tutti».

E invece no.

Loro non potevano saperlo, ma qualcuno non c’era.

Izumi, istintivamente, guardò alle proprie spalle, verso la montagna.

Non sapeva perché, ma di colpo la prese un senso di ansia.

Perché si sentiva così? Perché doveva preoccuparsi di quello che poteva succederle? Non le aveva appena detto che sarebbe stato molto meglio se fosse scomparsa.

Così, Eric sarebbe stato tutto suo. Ci sarebbe voluto del tempo, ma sicuramente l’avrebbe dimenticata.

Ma poi, con che coraggio avrebbe continuato a stargli vicino? Come si sarebbe giustificata?

Per un attimo ebbe la sensazione di stare diventando proprio come quegli stessi vampiri che sia lei che il suo maestro odiavano tanto.

Il suo cuore era una tempesta senza fine.

Non riusciva a pensare. Non riusciva a decidere.

Che cosa doveva fare?

 

Le prime due cose che Izumi sentì riprendendo i sensi furono un rumore di acqua che scorreva e un dolore tremendo alla gamba destra.

Il pendio da cui era caduta era davvero molto lungo e ripido, e l’aveva fatta finire sulle sponde di uno dei tanti ruscelli che scorrevano sul fondo delle vallate circostanti.

Per qualche motivo, forse grazie all’erba, era sopravvissuta, ma quando provò ad alzarsi il dolore alla gamba fu tale da farle stringere i denti.

La guardò per capire l’entità del danno; non si erano aperte ferite, per fortuna, ma la caviglia era rossa e gonfia, segno che doveva essersela slogata.

Sperò che il potere di Izanami tornasse ad aiutarla, ma se ci aveva messo quasi un’ora per riparare un taglietto chissà quanto avrebbe impiegato a risanare una slogatura.

Il pensiero per un attimo la fece quasi vergognare: ancora una volta contava su qualcosa non suo per uscire dai guai, non sulle sue sole forze, come avrebbero fatto Eric o Nagisa.

Ma in quel caso, non che ci fosse molto da fare; non aveva la benché minima idea di dove si trovasse, e non era sicura che quella luce arroccata in cima ad un pendio fosse la pensione: se non fosse stato per la notte particolarmente illuminata, si sarebbe addirittura ritrovata completamente al buio.

Faticosamente, strisciando sulle rocce, si trascinò fino ad un grosso masso che emergeva dall’acqua, e una volta che vi si fu appoggiata immerse nell’acqua il fazzoletto che portava sempre con sé, tirando un paio di respiri profondi prima di appoggiarlo sulla caviglia.

Riuscì a trattenere le urla per un vero miracolo, ma proprio mentre iniziava a sentire un po’ di sollievo ebbe di nuovo quella solita, orribile sensazione.

C’era qualcuno che la osservava.

Un brivido le corse lungo la schiena, mentre si guardava attorno forsennatamente sperando di scorgere la minaccia.

Come avrebbe fatto a cavarsela in quelle condizioni, sola e impossibilitata a muoversi?

Cercando una soluzione che potesse salvarla, la mano le passò casualmente nel risvolto dei calzoncini da escursione che indossava, saggiando qualcosa di duro e levigato che le risultò subito famigliare.

Lo guardò. Era il pugnale. Il pugnale che Emma-senpai le aveva regalato perché imparasse a difendersi.

Da quel giorno aveva cercato di non pensarci più, volendo dimenticare ciò che era accaduto e quello che aveva fatto, ma per qualche motivo che non le riusciva di scoprire, quasi ogni volta che si era ritrovata a dover stare da sola aveva sempre finito, quasi inconsciamente, per portarlo con sé.

Forse era stato l’istinto.

La volontà sottile e segreta di potersi sempre difendere anche nelle situazioni più difficili, come se dentro di lei ci fosse sempre stata una parte che, nonostante tutto, voleva crescere e farsi indipendente.

Si guardò ancora attorno, quindi guardò il pugnale.

Dentro di lei sentì montare il coraggio.

Aveva sempre deprecato la violenza e l’omicidio, e sempre lo avrebbe fatto, ma ora si trattava di sopravvivenza.

«Non fuggirò.» disse tra sé e sé «Non questa volta.» e portatasi con la schiena contro il masso, per avere le spalle coperte, sfoderò l’arma.

Chiunque l’avesse voluta, l’avrebbe assalita a suo rischio e pericolo.

 

Le condizioni di Eric diventavano sempre più critiche.

Sembrava che tutto stesse andando abbastanza bene, e l’aver scoperto che le sue ferite erano state provocate da un infetto di secondo livello aveva accresciuto leggermente le speranze dei suoi compagni di vederlo guarire, poi all’improvviso, tutto ad un tratto, il giovane aveva iniziato a lanciare urla strazianti dimenandosi furiosamente nel letto, urla tali da essere udite in tutto l’albergo terrorizzando gli studenti.

Era la resa dei conti.

La malattia era entrata in fase acuta: Eric poteva o soccombere o vincere.

Il dolore che provava era immenso, e a questo si aggiungevano angoscianti visioni ed allucinazioni, che contribuivano ad accrescere il suo senso di smarrimento ed estraniamento dalla realtà.

In quelle immagini dettate dal dolore il giovane vampiro rivedeva tante cose; la sua infanzia, la sua famiglia, la sua vita tormentata, fino all’incontro con Valopingius.

E vedeva lei.

O meglio. Vedeva loro.

Le due persone più importanti per la sua vita, una piccola ma fedelissima amazzone e una rosa dai petali neri, delicata come niente altro ma dotata di affilatissime spine grondanti dolcissimo sangue.

Le urla andarono avanti per molti minuti, e non era un bene: se Eric urlava era perché il virus stava cercando di raggiungere le sinapsi e i centri umorali del cervello, lì dove si sarebbe annidato generando il nucleo infettivo.

Kaien si mordeva nervosamente l’unghia del pollice, Peter sembrava volersi prendere a pugni, e Yagari restava in silenzio, apparentemente impassibile a quell’urlo disumano.

Poi, d’improvviso, Toga si alzò dalla poltroncina, dirigendosi a passo spedito verso la porta della stanza.

«Aspetta, che vuoi fare?» domandò Kaien conoscendo già la risposta

«Ormai non c’è più tempo.» rispose lui mettendo mano al fucile che aveva dietro la schiena

«Non vorrai ucciderlo!?» ringhiò furente Peter alzandosi in piedi e mettendosi di traverso davanti alla porta

«Sicuramente anche lui preferirebbe morire che diventare un mostro impazzito. E tu lo sai.»

«Lui sta ancora lottando! Non lo senti? Sta combattendo!»

«E sta perdendo. Se non lo facciamo ora, dopo sarà più difficile. E potrebbero andarci di mezzo degli innocenti.»

«Dovrai passare sul mio cadavere!».

A quel punto accadde ciò che il direttore non avrebbe mai voluto vedere; due Hunter, due cacciatori, con le rispettive armi rivolte l’uno verso l’altro, il primo che bramava di entrare in quella stanza per fare il suo sporco lavoro, ed il secondo che avrebbe fatto di tutto per impedirglielo.

«Fammi strada, ragazzo.» disse Toga impassibile «Lo dico per il tuo bene.»

«Dovrai spararmi per riuscire a passare.» replicò Peter con lo stesso tono «Non ti lascerò ammazzare un mio amico».

Poi, d’un tratto, le urla cessarono così, di colpo, lasciando dietro di sé solo un preoccupante silenzio che poteva voler dire tante cose.

Tutti e tre i professori restarono sgomenti, guardando verso la porta senza sapere cosa pensare.

Eric poteva avercela fatta come aver ceduto definitivamente, entrando nella breve fase di stasi che precedeva il completo affermarsi della malattia.

Bisognava entrare, fu il pensiero di tutti e tre, che si guardarono un momento negli occhi scambiandosi un cenno di assenso.

Ma per farlo, bisognava anche abbattere la barriera che circondava la stanza.

Non c’era niente da fare; era necessario essere preparati anche al peggio.

Armi in pugno, e con le mani che tremavano, si avvicinarono cautamente alla porta, il direttore fece scattare la serratura ed i tre, timidamente ma fermamente, entrarono.

La stanza era a soqquadro, ma ciò che li colpì di più fu vedere Eric inginocchiato sul futon, le mani sopra la testa e le zanne scoperte; tremava e respirava a fatica.

«Eric…» disse Peter facendo un passo avanti.

Il ragazzo li guardò: i suoi occhi, nonostante tutto, brillavano del loro solito bagliore oceanico.

Ce l’aveva fatta.

La sua volontà era stata più forte del virus, e lo aveva debellato.

«Sei davvero tu?» domandò incredulo il direttore

«Credo… credo di sì.» rispose il ragazzo, affaticato dalla lunga battaglia e dai postumi della malattia.

Sembrava che fosse davvero finito tutto.

Peter, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Yagari, aiutò Eric a rimettersi in piedi, e gli fu portato un pasto frugale per aiutarlo a smaltire la debolezza.

Invece, le brutte notizie non erano ancora finite.

«Direttore.» disse Zero comparendo da un istante all’altro «Non riesco a trovare Izumi.»

«Che cos’hai detto!?»

«È così. L’ho aspettata sveglio per tutto questo tempo, ma non è rientrata in stanza. L’ho anche cercata dappertutto.

Temo che non sia qui in albergo».

I tre professori si guardarono tra loro, e dai loro sguardi Eric intuì che stava succedendo qualcosa di grave.

«Che è successo?» domandò «Perché siete così preoccupati?».

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Credevate che fossi sparito, vero?

Purtroppo, dopo l’ultimo aggiornamento, sono sopraggiunte una serie di complicazioni che hanno ridimensionato di molto il mio tempo libero, inoltre una notizia inattesa mi ha spinto a rimettere mano ad un mio vecchio progetto e a pubblicare una nuova storia fantasy che ora vorrei cercare di portare avanti.

Ma alla fine, sono tornato.

Come avete potuto notare questo capitolo è molto più corto della mia media abituale.

Infatti, ho deciso di variare la mia politica. Da ora in poi, se mi accorgerò che un capitolo sta diventando troppo lungo, lo spezzerò in due capitoli distinti, ma piuttosto che numerarli diversamente mi limiterò ad enunciarli, come ho fatto in questo caso, come Prima e Seconda parte.

Questo dovrebbe rendere la lettura un po’ più fluida, spero.

Scusate ancora per questa lunga assenza.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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