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Autore: Shichan    10/02/2013    4 recensioni
A discolpa di Murasakibara c’è da dire che, dopotutto, lui non è mai stato paziente e che il suo essere una persona istintiva sotto ogni punto di vista non ha aiutato affatto.
[A CriminalDanage (L)]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Tatsuya Himuro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi sono proprietà di Fujimaki Tadatoshi.
Note: a CriminalDanage. Tanti auguri, Murochin (LL)
Grazie a Rota per il prompt (L)

 

 

Quando Himuro uscito dalla doccia, l’asciugamano per i capelli leggermente umidi intorno al collo, arriva nella stanza di Atsushi questi si alza dal letto e gli dà il cambio, oltrepassando la porta per dirigersi a sua volta in bagno.
Il moro si prende il tempo dell’assenza dell’altro per sistemarsi – recuperare il borsone della Yosen dalla sua posizione vicino alla scrivania, prendere l’occorrente per la notte – per poi sedersi sul letto dell’altro.
Atsushi ha insistito perché rimanesse da lui; non è la prima volta che succede, tanto che Himuro conosce i piccoli dettagli di casa Murasakibara che di primo impatto possono sembrare sciocchezze. Con un po’ di attenzione, però, si nota che sono quel tipo di particolari che solo frequentando assiduamente una casa si possono conoscere – dove trovare la salsa di soia in cucina, dove prendere gli asciugamani per gli ospiti e sì, anche dove Atsushi teneva le scorte di snack in camera.
Ad Himuro viene sempre da sorridere quando, guardando il più alto recuperare una barretta di cioccolato o una caramella da questo o quel cassetto, si riscopre ad aver indovinato il nascondiglio giusto. Gli dà la sensazione di conoscere davvero tutto di Atsushi, ma soprattutto gli fa provare uno sciocco – infantile forse – senso di superiorità per il vedere lati del suo ragazzo che altri magari nemmeno sospettano.
«Muro-chin» il richiamo di Atsushi, che in quel momento rientra nella stanza, lo distrae «tieni.» lo sente dire e sposta lo sguardo su di lui, con fare interrogativo.
In quel momento il più alto allunga una mano verso di lui, e gli lascia scivolare sulle gambe una maglietta che profuma di pulito. Gli basta spiegarla per notare che è troppo grande per essere la propria, dimenticata magari lì chissà quando.
«Atsushi?» lo richiama, senza capire, ma non riceve subito risposta e sospira con una sfumatura di rassegnazione.
Da quando quel pomeriggio ha giocato un uno contro uno con Taiga in una sorta di ritorno ai vecchi tempi, Atsushi è stato silenzioso; non ci è voluto molto a capire che è stato per gelosia.
Non che questo spieghi meglio la presenza della maglietta.
L’altro però non gli lascia il tempo di chiedere altre spiegazioni e gli fa segno di indossarla; tanto per stare sicuro poi, gli ruba di mano quella che il moro aveva tirato fuori dal borsone. Sono inutili i tentativi – per i cinque minuti seguenti – di riavere indietro la propria: alla fine il moro si arrende ad indossare quella del compagno, e normalmente potrebbe anche riuscire a fare il collegamento giusto, ma benché tutto sommato gli piaccia anche il lato infantile di Atsushi non ha una pazienza infinita, e vorrebbe almeno capire qual è il problema.
Il più alto lo osserva, sembra soppesare qualcosa, e l’unica cosa che Himuro pensa sia evidente è quanto enorme gli stia quella maglia, niente di più; Atsushi tuttavia posa quella del moro sulla sedia della scrivania e poi, senza preavviso o senso alcuno, lo raggiunge, si china su di lui, lo chiude in un abbraccio che fa pensare ad un orso più che altro, e fa poca resistenza alla forza di gravità.
Tatsuya è abituato abbastanza a quegli approcci da affondare nel materasso, sotto Atsushi, senza conseguenze gravi se non uno sbuffo leggero – non riesce mai ad essere davvero arrabbiato con lui in quei frangenti che sono un misto dell’essere eternamente bambino dell’altro e della sua goffaggine data da un corpo tanto grande.
Gli cinge le spalle con un movimento lento e leggero, nessuna stretta possessiva, più quella che si userebbe per tranquillizzare qualcuno forse; una mano aderisce alla sua schiena, vi passa carezze leggere e distratte: «Atsushi?» tenta di nuovo.
A discolpa di Murasakibara c’è da dire che, dopotutto, lui non è mai stato paziente e che il suo essere una persona istintiva sotto ogni punto di vista non ha aiutato affatto; non c’è da stupirsi se non risponde, in un infantile sottolineare quanto si senta offeso e tradito nel profondo, neanche Himuro gli avesse rubato l’ultima barretta di cioccolato. Né è così sorprendente che a delle parole, ad una spiegazione, vengano sostituiti i gesti.
Non è che Atsushi non sappia mettere due parole insieme, anzi, Tatsuya ha scoperto a sue spese che l’altro sa essere fin troppo diretto nell’esprimere il suo punto di vista. Di certo, però, quel che gli riesce meglio è comunicare con i fatti più che con discorsi lunghi che non fanno per lui.
«Muro-chin» si lamenta da qualche parte vicino al suo orecchio, e affonda di più il viso vicino al collo di Himuro, sfiorandolo con il naso nell’ennesimo gesto da bambino – se per dargli fastidio o scatenargli un tragico moto di tenerezza Tatsuya non lo sa.
Lo sente fermarsi, inspirare e borbottare qualcosa che non capisce nonostante la vicinanza tra i loro visi; sospira rassegnato all’idea che non riceverà una risposta, e la mano sale tra i capelli di Atsushi sfiorandoli piano e quasi distrattamente. In qualche modo – non sa come – questo ha il potere di convincere l’altro almeno ad instaurare con lui un contatto visivo, che risulta essere ad una distanza infima dal proprio viso perché da quella posizione l’altro non sembra volersi muovere.
Quando incontra il suo sguardo non sa dire di preciso cos’è che Atsushi stia pensando; poi il ragazzo si china su di lui, e annulla quella poca distanza che permetteva già di per sé ai respiri di mescolarsi.
Gli posa sulle labbra un bacio leggero, un contatto casto che dura qualche secondo, quasi fosse incerto se allontanarsi oppure no; da lì si sposta, scende e gli posa quello che sospetta sia un bacio quasi causale sulla linea della mandibola, e poi scende ancora finché non raggiunge il collo.
Il morso arriva del tutto inaspettato, motivo principale per cui la mano fra i capelli si stringe istintivamente attorno a qualche ciocca e lui – Tatsuya – si irrigidisce appena; Atsushi morde, non così forte da fargli male ma nemmeno così piano da farlo sembrare un mordicchiare scherzoso, poi gli inumidisce la pelle con la lingua e torna all’attacco con i denti, e il momento in cui a Himuro si accende davvero la lampadina (non perché a diciassette anni non ci arrivi ma perché Atsushi morde nei contesti più disparati) è quando il danno è probabilmente già fatto.
Quando si allontana dal suo collo, il più alto lo fa quanto basta a guardarlo nuovamente il viso: ha l’espressione contrariata a modo suo.
Tatsuya non aspetta davvero che gli dica cosa c’è che non va: Atsushi è possessivo, lo è sempre stato, ed è chiaro quanto non gli piaccia perdere – non solo nel basket – ma sa anche che l’altro sta probabilmente facendo appello ad ogni residuo di buona volontà per non dirgli quello che, poi, gli si legge in faccia.
Ossia di non vedere, non parlare, non incontrare Kagami – e che se proprio deve non vuole saperlo, ma d’altra parte se Himuro non glielo dicesse Murasakibara la prenderebbe anche peggio.
Legge nei suoi gesti il voler rivendicare una sorta di proprietà privata, che sia con un segno rosso sul collo difficilmente fraintendibile o che sia obbligarlo ad indossare qualcosa di suo, con forse la sciocca idea che così Himuro profumerà di lui in un certo, stupido, infantile senso.
Ci si può arrabbiare con qualcuno così?
«Atsushi.» lo richiama ancora una volta, ma non con il fare interrogativo di chi vuole una spiegazione; porta una mano sulla spalla dell’altro ed esercita una pressione sufficiente a fargli capire che vuole potersi spostare, ma non tale da fargli credere che lo sta respingendo.
Quando è in grado di puntellarsi su un gomito si alza leggermente con la schiena dal materasso, si avvicina al viso del più giovane, posa un bacio sul suo mento ed uno sulle labbra, quest’ultimo nemmeno così casto visto che la lingua guizza fuori il necessario a sfiorargli le sue in maniera provocatoria.
Himuro rivendica il suo possesso esattamente come Atsushi, dopotutto.

   
 
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