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Autore: Saradream    30/08/2007    0 recensioni
Un vecchio poeta passeggia per un giardino d'autunno, cercando tra i ricordi e i rimpianti il bagliore della felicità perduta, dell'amore che lo ha abbandonato.Un colloquio con gli spettri del suo passato, una riflessione sulla vanità delle illusioni e sulla malinconia che si infrange sulla vita come foglie morte su uno specchio d'acqua scura.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Colloquio sentimentale

 

Il vecchio poeta camminava con un passo lento e stanco, trascinando il bastone nodoso, suo unico sostegno.

Il giardino d’autunno accoglieva fraternamente quella figura imponente e stonata.

In una tipica sera di novembre, alle Tulieries.

 

Sanno essere infinitamente tristi le sere di novembre, quando una nebbia vaga e fredda sfuma i contorni degli alberi e dei tetti, quando l’unico rumore è l’eco dei passi solitari sulla ghiaia e le foglie morte scivolano sulle acque scure dei laghetti impassibili, quasi fossero congelati dal tempo. Come specchi antichi e polverosi riflettono il grigio delle nuvole e le sagome delle statue immobili.

Solo se soffia, e le foglie turbinano, sembra che esse cambino posizione per cominciare una conversazione antica di ricordi e di impressioni.

 

Il vecchio poeta passeggiava per i giardini morti, e con un passo strascicato, immerso nei pensieri della solitudine si avvicinò allo specchio d’acqua per ritrovare i volti, gli spiriti e l’essenza delle sue memorie, sperando di ritrovare il riflesso dei giorni svaniti nel tempo.

La gioia e la giovinezza erano forse conservate sul fondo di quell’abisso spento che somigliava con insistenza inquietante al suo cuore.

 

Prima delle foglie, prima dell’acqua morta c’era stato un tempo di ridente felicità, di eccessi e di stravaganti passeggiate alla luce del sole,  una vaga idea di avvenire che assumeva i contorni  dell’arte e della poesia, capaci di illudere crudelmente con una dolcezza irresistibile.

 

Mese dopo mese, anno dopo anno, quegli stessi alberi avevano visto il futuro sfumare nel  presente e il presente diluirsi nel passato.

L’avvenire dai vaghi contorni era diventato una ricerca senza tregua e senza meta, e la ricerca sempre delusa rimpianto.

Dove vanno a finire i sogni infranti e le speranze disattese?

Le gioie vissute a fondo, le passioni fugaci e rovinose, i mille volti, i tramonti, gli orizzonti, le parole, gli sguardi e  i sorrisi?

Si dissolvono come neve al sole, o si radunano in un posto segreto, oltre una porta chiusa per sempre, per potersi conservare in eterno?

 

Esistono i fantasmi dei ricordi?

 

Nelle increspature cupe dello stagno al poeta pareva scorgerli di tanto in tanto.

Un volto noto, una giornata di sole, ma il ricordo gli era faticoso.

Sussultò quando alle sue spalle sentì una voce pungente mormorare:

“La disperazione ti porta a cercare tracce di felicità in uno stagno nero?

ti aggiri nel parco in un mattino di grigio e di nebbia come se ormai tu non fossi altro che un fantasma per il mondo.”

 

Un giovane biondo, dagli occhi trasparenti e arroganti. Occhi che avevano perseguitato i suoi sogni e i suoi incubi.

 

“Non vorresti forse ritrovare anche tu la felicità?” rispose il poeta “Ricordi la nostra estasi di un tempo?

 

“Perché mai vuoi che mi torni in mente?Ho bandito il ricordo dalle mie membra, il ricordo è per i deboli e per i disperati.” Disse fissando il cielo il giovane “Perché ricordare una felicità che non esiste più se cancellandola si è più felici ancora?” continuò alzando le spalle.

 

“Il tuo cuore non batte più al solo mio nome, e non vedi più in sogno la mia anima?”domandò il poeta.

 

“no” rispose l’altro

 

“Ah i bei giorni di felicità indicibile che univano le nostre bocche!”

 

“E’possibile che li ricordi” disse il giovane con un lieve sorriso triste “ Ma erano i giorni della debolezza e degli eccessi” sentenziò calciando i sassi bianchi della ghiaia con la punta di una scarpa malandata.

 

“Che cielo azzurro,che speranza infinita” insistette il poeta con sguardo trasognato.

 

“Sconfitta, verso il cielo nero è fuggita!” constatò ad alta voce l’altro “Non l’abbiamo mai afferrata, la felicità, forse ci ha sfiorati… per poi fuggire, spaventata e impotente, di fronte all’impossibile.” Il tono amaro, lo sguardo limpido.

 

“NO, noi abbiamo ucciso la felicità. Noi, con le nostre scelte pazze e i nostri peccati, con le nostre vite maledette l’abbiamo uccisa, anche quando si offriva a noi senza condizioni, e ora incolpiamo il tempo di esserne l’assassino, di averlo sepolta sotto uno strato di rimpianto e di rimorso.”gridò il vecchio agitando il bastone.

 

“E l’amore allora?”chiese il ragazzo “che fine ha fatto quella vecchia maledizione?Non siamo stati noi ad uccidere l’amore!”

 

“L’amore è sempre qui, è ovunque” Mormorò il poeta indicando un bambino che giocava nel parco, in lontananza.

 

“E’laggiù, oppure là, vedi? Proprio dove sembra filtrare un raggio di sole tra le foglie rosse, o è nella fisarmonica di quel vecchio ubriaco” sospirò “E’ sempre dappertutto e in nessun luogo, si sposta, vaga, e quando è stanco di vagare si annida nel cuore pronto a condurre verso il baratro le anime affini, e poi, quando si stanca, riprende il suo eterno vagabondaggio.”

                                                                                                                                             

“Ci ha portato verso un vortice scuro l’amore, e quando se ne va, come una folata di vento, ti spinge verso l’eterna ricerca del nuovo” constatò il giovane.

 

“Forse se avessimo salvato la felicità anche l’amore sarebbe rimasto” sospiriò l’altro.

 

“Forse è come dici, ma bisognava separarsi, del resto tu non hai mai sentito il dolore delle cose mai fatte, dei posti mai visti, del tempo perduto e del tempo sprecato? Quell’ansia bruciante dell’informe e dell’innominato, del senza luogo? L’impellente urgenza di partire lontano senza mai guardarsi indietro?”

 

“Conosco bene quel dolore, ah, è quello il vero assassino della felicità, il vero demone, il vero nemico crudele che ora ci spinge a cercare tra le foglie morte le tracce di una vita che non abbiamo vissuto” gridò il vecchio.

 

I due uomini tornarono allo specchio d’acqua, e rimasero in silenzio a fissare i loro rimpianti senza dire più una parola.

 

 

Era notte ormai quando nel vecchio parco solitario le due figure dagli occhi ormai spenti, le labbra senza più vigore e le parole flebili, si dileguarono nella foschia, svanirono nel buio, lasciando una scia di ghiaccio e di malinconia dietro di loro.

 

 

Il parco solitario e freddo era l’unico custode delle loro confessioni sentimentali, la notte sola testimone di un triste passato rievocato da due spettri.

 

 

 

 

 

 

Nel vecchio parco gelido e deserto
sono appena passate due forme.

Hanno occhi morti, e labbra molli,
e le loro parole si odono a stento.

Nel vecchio parco gelido e deserto
due spettri hanno evocato il passato.

- Ricordi la nostra estasi d'allora?
- E perché vuoi che la ricordi?

- Batte ancora il tuo cuore solo a udire il mio nome?
Ancora vedi in sogno la mia anima? - No.

- Ah, i bei giorni d'indicibile felicità
quando univamo le nostre bocche! - Può darsi.

- Com'era azzurro il cielo, e grande la speranza!
- Vinta, fuggì la speranza, nel cielo nero.

Andavano così tra l'avena selvatica,
e le loro parole le udì solo la notte.

Paul Verlaine

 
  
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