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Autore: Terry17    11/02/2013    6 recensioni
Una figura inquietante riemerge dal passato per distruggere la vita del proprio figlio. Figlio che crescendo si è fatto degli amici, ha fatto i suoi sbagli e che è diventato una persona completamente consapevole di se stessa e delle sue capacità. E ora che è giunto alla resa dei conti non si lascerà distruggere, non quando ha ancora qualcosa per cui vivere...
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Espio the Chameleon, Vector the Crocodile
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Salve. So che per molti di voi sembrerà strano vedere l'angolo dell'Autore in cima alla fanfiction e non in fondo come accade di solito, ma ho scelto di metterlo prima, in questo caso, perché questa è una fanfiction molto particolare: è la prima one-shot che abbia mai scritto in vita mia, e le sue tematiche possono essere... abbastanza forti, diciamo così. Non so se siano stati una combinazione letale di esami andati probabilmente male, di overdosi di studio estremo che mi sto facendo in questo periodo, di commissioni da sbrigare e di nottate passate in bianco. Per non parlare poi della musica che ho ascolato in questo periodo... In particolare quest'ultima deve essere stata davvero illuminante per il concepimento di questa storia malata: basti pensare che le canzoni che ho ascoltato prima di concepire la storia parlavano entrambe di pessimi rapporti padre-figlio (titoli: "Dear Father (Complete Unknown)" dei Sum 41 e "Perfect" dei Simple Plan)... Poi c'è anche "Underneath" di Alanis Morissette, canzone con cui ultimamente mi sono impallata a sangue, che è una delle canzoni più tranquille del mondo. E che non può assolutamente suscitare sentimenti negativi in una persona, dato che parla di un cambiamento interiore destinato a ripercuotersi in positivo sul mondo intero. Però chi mi conosce sa che sono pazza e che probabilmente da me ci si può aspettare questo e altro...

Ecco i disclaimer:
- I personaggi di questa fanfiction non mi appartengono, sono tutti di proprietà della SEGA. Tranne quelli originali che ho fatto io, ovviamente.
- La fanfiction è a rating arancione, quindi se siete dei soggetti facilmente impressionabili e/o non amate particolarmente la violenza, siete liberissimi di tornare all'indice delle storie per cercare qualcosa che incontri i vostri gusti. Anzi, no. Se volete leggere delle vere e proprie meraviglie di fanfiction su Sonic e compagni cliccate qui: questa storia è una raccolta di fanfiction su Sonic the Hedgehog fra le più riuscite di sempre. Non fatevi impressionare dalla lunghezza dei capitoli, leggendoli vi sembreranno pure troppo brevi. Seguite il mio consiglio: leggete, commentate e implorate il genio che l'ha scritta di continuare a lavorare al suo capolavoro. Questa sezione ha bisogno di geni del suo calibro.
- Prima di lasciarvi alla lettura vi devo chiedere un grosso favore: avete mai notato che nella categoria "Sonic" mancano un bel po' di personaggi che voi vorreste aggiungere alla lista dei protagonisti delle fanfiction e non sapete come fare? Cliccate qui e potrete votare i personaggi che volete aggiungere all'elenco dei personaggi utilizzabili nelle fanfiction. Potrete esprimere solo una preferenza a personaggio, e quando un personaggio raggiungerà i 10 voti questo verrà automaticamente inserito nell'elenco. Tenete conto che l'elenco può contenere solo personaggi ufficiali creati dalla SEGA, quindi è vietato cercare di iscrivere fancharacter spacciandoli per personaggi ufficiali. Perché ho messo anche questo avviso? Perché, onestamente, trovo alquanto scandaloso che Chris Thorndike e la sua amichetta Helen (il clone di Maria in carrozzina di Sonic X) siano nell'elenco quando personaggi secondari dei videogiochi, che sono molto più importanti di loro invece no! Insomma, votate se anche voi pensate che questa situazione sia davvero al limite della decenza!

Ho sproloquiato abbastanza: vi auguro buona lettura e vi lascio qualche sacchetto per il vomito e dei pomodori marci da lanciarmi addosso. Se la fanfiction non è di vostro gradimento vi ricordo che c'è pur sempre quella che vi ho linkato che sono addirittura quattro fanfiction in una! Se la mia non vi piace potete sempre rifarvi gli occhi con quelle. Grazie per l'attenzione.









"Non ce l’ha fatta." Quelle parole non avrebbero significato niente per lui se le cose sarebbero andate come dovevano andare fin dall’inizio. Invece l’esito era stato l’esatto contrario di quello che si aspettava. Il suo clan non avrebbe mai più prosperato e tutto questo solo per colpa di quel piccolo demonio. Le regole del clan erano ferree sotto quel punto di vista: il capo del clan doveva avere solo una compagnia per tutta la vita, una compagna che avrebbe dovuto generare dei figli sani e forti per perpetuare il clan. E di quei figli, solo uno si sarebbe dovuto elevare sopra gli altri e spodestare il padre per prendere il comando.

Che cosa doveva fare adesso? Era stato disposto a sacrificare il suo figlio primogenito per garantire a sua moglie la possibilità di vivere e di avere altri eredi, ma l’esito era stato completamente diverso. Lei era morta e il suo unico figlio era sopravvissuto, nonostante la malattia e la sua nascita prematura. E questo non poteva assolutamente accettarlo. Per il capo del clan avere un solo figlio, anche se maschio, era segno di sventura, così come era segno di sventura che il bambino sopravvivesse alla propria madre durante il parto. Quella nascita avrebbe segnato la fine della loro prosperità. Quel bambino era un mostro, un demonio che doveva essere distrutto subito. Non c’era altra spiegazione: quel demone aveva succhiato via la vita alla sua stessa madre per sopravvivere. Non gli avrebbe permesso di fare lo stesso con la sua.

L’uomo entrò nella stanza della nascita con e sguainò il pugnale. Il bambino dormiva sereno nella sua culla, completamente ignaro di tutto. Ignaro del dolore e della disgrazia che la sua nascita travagliata avevano portato. Guardandolo, l’uomo si rese conto che a parte la presenza di un solo corno e di tratti alcuni tratti del viso più lisci e regolari, che aveva ereditato dalla madre, erano molto somiglianti. Quella vista non lo fece minimamente desistere dai suoi intenti omicidi, anzi li eccitò ulteriormente. L’uomo alzò il coltello, pronto a porre fine alla vita del bambino addormentato.

-Cosa stai cercando di fare?-

L’uomo abbassò il coltello per un momento. Il vecchio consigliere lo guardò bene in faccia e spostò lo sguardo sul pugnale che teneva in mano senza perdere la calma. -Non crederai davvero che porre fine alla vita di quella creatura risolverà qualcosa. Lei ormai se n’è andata:  era debole e ha ceduto alla malattia. Lui invece è stato abbastanza forte da sopravvivere, nonostante tutti credessero il contrario. Direi che questa è una prova sufficiente per determinare la sua forza e la sua appartenenza a questa famiglia. A differenza di molti bambini, lui ha lottato per il suo diritto alla vita. Chi sei tu per negarglielo?-

L’uomo fissò il bambino addormentato con disprezzo. -Questo non è un bambino. È un demonio della peggiore specie e ci distruggerà tutti, e tu lo sai. Lasciami fare quello che deve essere fatto.-

-E se lo uccidi chi prenderà il tuo posto? Tutti i tuoi fratelli sono morti; le tue sorelle non potranno mai sostituirti, e per il momento nessuna di loro ha avuto figli maschi; questo bambino è l’unico che può succederti.-

-Sai meglio di me che per il capo del clan restare con un solo figlio maschio è un affronto impossibile da cancellare. È addirittura preferibile non averne. Le cose sarebbero potute andare diversamente, se avessimo agito prima. Guardalo! È un debole, si vedeva già da quando era nel ventre della madre e crescendo la situazione non cambierà sicuramente! È meglio farla finita subito, qui e ora!-

L’uomo cercò di pugnalare il piccolo, ma il vecchio fu più rapido di lui e tolse il fagottino addormentato dalla culla. Il bambino si accorse del brusco spostamento e cominciò a piangere.

-Stai parlando del figlio di mia figlia!- disse il vecchio, fulminandolo con lo sguardo. -Sto soffrendo anch’io per la sua morte, ma allo stesso tempo sono felice, perché so che una parte di lei vive ancora attraverso questo bambino. Se proprio non vuoi prenderti le tue responsabilità di padre, lo crescerò io, come se fosse figlio mio. E fino a quando sarò vivo, tu non dovrai osare toccarlo. Dimentica che è tuo figlio, se vuoi. Io non dimenticherò che è mio nipote.

-Quanto tempo credi che ti rimanga, vecchio?- chiese lui, con un sorriso sprezzante. -Forse pochi anni... Sono una persona molto paziente. Posso aspettare. Tu e il piccolo mostro sarete intoccabili, per il momento. Un giorno, molto presto, avrò la mia vendetta contro l’essere che mi ha rovinato! Riferiscigli questo messaggio: potranno passare pochi giorni, o molti anni, ma alla fine lui sarà mio. Immergerò questo pugnale nella sua carne e lui sentirà la vita scorrere fuori dal suo corpo per causa mia, e quando ciò accadrà mi assicurerò che soffra tutto ciò che un vivente può fisicamente patire fino al suo ultimo respiro. Lui non potrà dormire sonni tranquilli, non finché io sarò vivo! Diglielo!-

Il vecchio vide la follia negli  occhi del genero e scappò via, portando con sé il bambino in lacrime. Purtroppo per lui, nonostante la fuga, le sue folli minacce di morte continuarono a rimbombare attraverso le pareti della grande caserma di legno in cui vivevano insieme agli altri membri del clan.

-Digli queste cose mentre cresce! Digli che per ora mi limiterò a osservarlo da lontano, in attesa del momento in cui io stesso gli toglierò la vita! Digli che sarebbe stato meglio per lui non esistere! DIGLIELO!-

Il vecchio si rifugiò nella sua stanza e chiuse la porta a doppia mandata, temendo un ripensamento e un nuovo tentativo di uccidere il bambino. Aveva sempre disapprovato la scelta della figlia di unirsi con un simile psicopatico, ma non aveva potuto fare niente per impedirle di sposarlo. Era il capo del loro clan, una persona influente e rispettabile, ma il vecchio sapeva che non avrebbe mai potuto essere un buon marito per lei e un buon padre per i suoi futuri figli. Ogni volta che lo guardava negli occhi dubitava che quell’uomo potesse effettivamente provare un qualsivoglia sentimento di affetto verso altre persone che non fossero se stesso, e ne aveva avuto conferma quando non lo aveva visto gioire minimamente alla notizia che presto sarebbe diventato padre. Aveva sorriso, ma la figlia non aveva notato che quello era un sorriso di soddisfazione, che era comparso sul suo volto solo perché sentiva che le cose stavano andando esattamente come desiderava. E quando sua figlia si ammalò alcuni mesi dopo, lui non aveva esitato minimamente a sacrificare il bambino che lei portava in grembo pur di evitare la sventura di avere un solo figlio. Il capo del clan doveva avere almeno due figli maschi, e per questo doveva scegliere come sposa una donna forte in grado di dargli una forte discendenza. Invece sua figlia era morta pochi giorni dopo la nascita del suo primo figlio, sopravvissuto davanti a una nascita e una malattia che sarebbero potute essergli fatali. E per quella piccola, insignificante ragione, secondo una vecchia superstizione del loro clan, la sventura si sarebbe abbattuta su di loro.

Il vecchio diede una rapida occhiata al fagottino urlante fra le sue braccia e si chiese quale sarebbe stato il suo futuro. Ne era certo, quando lui sarebbe morto il suo nipotino sarebbe stato ucciso quasi subito, se non lo avesse portato via da lì. Lui doveva essere l’unica persona in quel posto che non desiderava la morte di quel bambino. Tutti gli altri membri del clan sarebbero stati sicuramente d’accordo con la scelta del capo di assassinare il proprio figlio. Loro non potevano capire: loro non avevano visto la sua piccola pregare per la vita di suo figlio nel delirio della malattia. Lei voleva quel bambino ad ogni costo, e avrebbe fatto l’impossibile per saperlo sano, salvo e felice. Nessuno poteva capirlo, tranne lui. In quel momento lui era l’unica cosa che separava quella creaturina da una fine orribile. Forse fu in quel momento stesso che decise che, quando sarebbe stato il momento, lui avrebbe portato via quel bambino da lì. Lo avrebbe affidato a un suo vecchio amico, un maestro che lo avrebbe addestrato a combattere nell’attesa dell’inevitabile giorno in cui sarebbe stato costretto ad affrontare il suo stesso padre in una lotta all’ultimo sangue. Perché lui lo sapeva, il clan avrebbe preteso la sua testa, e nessuno di loro avrebbe avuto pace finché non l’avrebbero avuta.
 
 

17 anni dopo...

 
 
Era nascosto sotto degli scatoloni in un vicolo freddo e buio. C’era anche un temporale con i controfiocchi, ma solo le scatole di cartone più esterne avevano assorbito l’acqua, lasciando le altre umide, ma abbastanza asciutte da impedire che si bagnasse con un pulcino. Il ragazzo si strinse nella giacca a vento viola in un vano tentativo di combattere il freddo che l’umidità gli stava provocando. Aveva gli occhi chiusi, ma tutti i suoi sensi erano vigili e all’erta per individuare ogni possibile movimento del nemico, ma la pioggia battente e l’odore fogna e di carta bagnata che provenivano dagli scatoloni alteravano la sua percezione sensoriale. I suoi muscoli erano tesi e pulsavano dolorosamente a causa delle ferite riportate nello scontro. Si stava nascondendo per sfuggire al suo avversario e ai colpi formidabili, che non riusciva a evitare nonostante il suo addestramento. Era molto più veloce di lui, ma da quando era riuscito ad afferrarlo per la testa non aveva fatto altro che colpirlo con pugni e bastonate su ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere. Quasi si era dimenticato come era riuscito a liberarsi dalla sua presa e a scappare da quella furia omicida, ma sapeva che la sua fuga non sarebbe durata a lungo. Il suo nascondiglio sarebbe stato il primo posto che avrebbe controllato. Aveva tentato di rendersi invisibile, ma si sentiva troppo debole e stanco per reggere la copertura per molto tempo, e per quel motivo aveva deciso di lasciare perdere. Una parte di lui sperava ancora di poterlo battere, anche se il suo avversario era molto più grande e grosso e lui aveva già una mano fuori uso.  Rifiutava di pensare che il tremore che sentiva fosse dovuto alla paura e non al freddo come stava inutilmente cercando di convincersi: non aveva mai avuto tanta paura in vita sua, ma non poteva lasciare che questa lo paralizzasse, o per lui sarebbe stata la fine.

Il ragazzino si portò la mano destra, la mano ancora sana, sul cuore e cominciò a contare i battiti e a respirare profondamente nel tentativo di calmarsi. Era una tecnica che aveva sempre usato quando aveva paura, e fino a quel momento aveva sempre funzionato alla perfezione. Il suo maestro gli aveva sempre detto che era la consapevolezza di essere ancora vivi che dava a una persona la spinta per sopravvivere anche nelle situazioni più disperate. In quel momento doveva aggrapparsi a quella convinzione, di essere ancora vivo nonostante il dolore e le ferite, e che per restarlo doveva continuare a combattere e sconfiggere il suo avversario. Doveva farlo, sia per portare a casa la pelle, sia per dimostrare a se stesso e agli altri che era davvero destinato a diventare il miglior guerriero ninja del mondo. Non poteva tornare a casa senza averlo fatto. Però, allo stesso tempo, sentiva di non voler più dimostrare niente: aveva già ampiamente dimostrato di essere solo un ragazzino arrogante e fin troppo sicuro di sé, che voleva confrontarsi con un mondo che era ancora troppo grande per lui. Cosa poteva fare a quell’animale che avrebbe continuato a massacrarlo quando lo avrebbe ritrovato con un braccio rotto e forse anche un paio di costole incrinate? Persino respirare gli faceva male. Non voleva trovarsi lì, voleva tornare a casa dai suoi amici. Sperava di vederli sollevare gli scatoloni sotto i quali si era nascosto, prenderlo in giro per il fatto che era bagnato come un pulcino e riportarlo a casa, dove gli avrebbero dato da bere del  tè caldo e gli avrebbero fatto una bella ramanzina per il suo ennesimo colpo di testa. Stavolta se la meritava tutta.

-Che cosa stai dicendo? Le tue ultime preghiere?-

Il ragazzino spalancò gli occhi nello stesso momento in cui sentì di nuovo il cuore che aumentava i battiti. L’orso bruno lo trascinò fuori dal suo nascondiglio prendendolo per il braccio ancora sano e lo scaraventò con violenza contro la parete dall’altra parte del vicolo. Avvertì uno schiocco e un fortissimo dolore alla gamba destra nella caduta, e si rese conto con orrore che anche questa doveva essersi rotta. Era sull’orlo delle lacrime, ma lottò con tutto se stesso per trattenerle. Sentiva che la sua fine era vicina. L’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era che i suoi amici accorressero da lui, che lo salvassero da quella furia scatenata che gli stava letteralmente spezzando le ossa una ad una. Voleva dirgli che gli dispiaceva di aver detto loro così tante cose brutte che in realtà non pensava per davvero, e che era solo uno stupido arrogante. Realizzò con orrore che forse non sarebbe mai riuscito a riferirglielo quando l’orso gli mise un piede sul petto e iniziò a premere forte, peggiorando i danni che aveva già riportato alle costole. Il ragazzino urlò di dolore e le lacrime iniziarono ad uscirgli quasi spontaneamente. L’orso bruno sorrise, soddisfatto, e afferrò la sua giovane vittima per il bavero della giacca a vento per dargli il colpo di grazia.

-Fine dei giochi, marmocchio!- mormorò il suo aguzzino, un secondo prima di tirargli un forte pugno sul naso.

 
Un secondo prima che il colpo raggiungesse il muso del ragazzino un camaleonte di qualche anno più grande si svegliò di soprassalto e si mise a sedere sul letto di scatto. Espio the Chameleon ci mise alcuni secondi per realizzare che doveva essersi svegliato da un brutto incubo e che in realtà era ancora a casa sua, nel suo letto e che non si era mai mosso da lì. Proprio come aveva fatto nel suo incubo si portò la mano sul cuore e cominciò a contare i battiti per calmarsi. Appena il battito si fu regolarizzato il camaleonte si sdraiò. Per fortuna era solo un incubo. Anzi, no: era un ricordo della sua infanzia. Era un evento molto spiacevole che gli era capitato quando aveva circa tredici anni e mezzo, ed era appena entrato a far parte nella neonata agenzia investigativa Chaotix. Un caso che per lui era ancora particolarmente doloroso ricordare, e non solo perché non ricordava di aver mai sentito tanto dolore in vita sua, ma perché proprio a causa di quel caso l’agenzia aveva perso uno dei suoi membri. E proprio per non farsi assalire dai sensi di colpa evitava di pensarci quando non era necessario. Si chiese cosa potesse aver scatenato quell’incubo, e ripensò a tutto quello che gli era successo il giorno prima.

Il giorno prima era stato il suo compleanno, e i suoi amici erano riusciti ad organizzargli una festa a sorpresa senza che lui se ne accorgesse. O quasi. Li avrebbe sicuramente sorpresi se non avesse creduto di aver avuto un allucinazione uditiva quando aveva sentito la porta della sua stanza che si chiudeva a chiave nel bel mezzo dei suoi esercizi di meditazione. La finestra era comunque aperta quindi, se avesse voluto, non ci avrebbe messo niente ad arrampicarsi sui muri esterni della loro casa-ufficio e controllare quello che stava succedendo al piano di sotto, da cui si sentiva un gran trambusto. Ovviamente, data l’esuberanza dei suoi colleghi di lavoro, quella situazione rasentava la più perfetta normalità. Quando aveva sentito la porta che veniva sbloccata si era reso conto che non si era trattata di un’allucinazione e che c’era davvero qualcosa di strano... E il suo sospetto fu confermato quando, una volta sceso nel salotto, vide tutti i suoi amici che gli sorridevano davanti a una tavola lautamente apparecchiata. Il camaleonte era rimasto sorpreso, ma la cosa era stata molto apprezzata. Vanilla gli aveva preparato la sua torta preferita e le era venuta talmente bene che da solo era riuscito a mangiarne quasi la metà senza nemmeno accorgersene. Era stato proprio Charmy a farglielo notare, e quasi non ci poté credere quando si rese conto che l’ape gli stava dicendo la verità. Se non glielo avesse fatto notare sarebbe stato capace di finire la torta quella sera stessa e senza alcun aiuto.

La serata si era svolta senza alcun problema, ma Espio sentiva che mancava qualcosa. Era una sensazione che sentiva ogni volta il giorno del suo compleanno, ma di cui non aveva mai parlato a nessuno. Ogni volta, quel giorno, sperava di svegliarsi al mattino e di scoprire che ciò che era accaduto quattro anni prima non si fosse mai realmente verificato. Sperava di scendere nel salotto e di vedere anche un altro vecchio amico che non vedeva da allora in mezzo alle persone che gli facevano gli auguri e si godevano la festa. Invece, ogni volta, lui non si faceva vedere. Ogni tanto mandava loro lettere e delle cartoline dai posti che visitava, ma Espio aveva sempre avuto paura di leggerle per scoprire se il suo nome fosse almeno incluso nei saluti di rito o meno. Erano passati quattro anni da quando lui e Mighty the Armadillo avevano litigato a causa del caso di Bernie Spaccaossa, e da allora non lo aveva più rivisto. Il criminale, che Espio aveva provato ad acciuffare da solo dopo l’ennesima lite con suoi suoi colleghi sulla loro “linea di condotta morbida” dovuta al fatto che avevano rifiutato il caso, che secondo Vector era fuori dalla loro portata. L’orso bruno si era rivelato molto più forte di quello che si era aspettato ed era riuscito a metterlo in ginocchio dopo pochi minuti e senza versare una goccia di sudore. Quando Vector, Mighty e Charmy lo avevano trovato aveva una gamba e un braccio rotti, una scapola e quattro costole incrinate, e un forte trauma cranico. Era rimasto privo di sensi per diversi giorni, durante i quali l’armadillo aveva deciso di abbandonare l’agenzia investigativa. Aveva sentito abbastanza confusamente i suoi saluti quando era ancora sedato all’ospedale e non era riuscito a scusarsi con lui e a chiedergli di ripensarci e restare con loro se non con qualche balbettio senza né capo né coda.

Il trauma causato dall’aver quasi sfiorato la morte e l’abbandono di Mighty fu tale da fargli cambiare idea su quello che fino a quel momento aveva ritenuto di dover fare della sua vita: decise che non valeva la pena di dover essere uno stupido, impulsivo e arrogante ragazzino che doveva sempre trovare un pretesto per litigare e per dimostrare di essere il migliore in tutto quello che faceva; non ne valeva la pena, non se il prezzo da pagare era l’allontanamento delle persone a cui teneva di più. Lo aveva capito proprio nel momento in cui aveva pensato che la sua vita stesse per finire in quel vicolo sporco e malfamato. Decise di dedicarsi anima e corpo alla meditazione per ammorbidire il suo carattere e di continuare con il suo addestramento ninja. Purtroppo, come Charmy gli faceva notare, a volte si dimostrava sempre troppo supponente e sicuro di sé, e in un certo senso tendeva a mostrare comunque un atteggiamento di superiorità rispetto agli altri, ma non permetteva più che quei difetti del suo carattere influenzassero il suo modo di essere e le sue scelte come quando era piccolo.

L’acchiappasogni appeso alla finestra tintinnò leggermente, distogliendo il camaleonte sulle sue meditazioni sul passato. Era già mattina, e Espio decise che non aveva senso rimettersi a dormire quando il sole era già alto. Osservò l’orologio sul comodino e si rese conto che la sveglia sarebbe suonata solo dieci minuti dopo. La disattivò, si vestì e andò in bagno a lavarsi la faccia. Guardandosi allo specchio notò di essere effettivamente un po’ pallido, ma a parte quel piccolo dettaglio stava benissimo. Scese in cucina, dove trovò Vector intento a preparare la colazione, come sempre. Il coccodrillo espresse una leggera sorpresa nel vedere il suo collega e amico già in piedi, ma a parte quel piccolo dettaglio la giornata andò avanti come sempre: Espio passò la maggior parte del suo tempo a meditare, mentre Vector e Charmy battibeccavano come due bambini capricciosi nell’attesa di una telefonata che indicasse loro che erano appena stati ingaggiati per un nuovo incarico. Quel giorno le uniche telefonate che ricevettero erano tutte di una vecchia signora che continuava a sbagliare numero. Secondo Vector era una cosa alquanto seccante perché questi incidenti bloccavano altre chiamate che potevano arrivare da veri potenziali clienti.

-Pronto, questa è... No, signora, non sono George!- disse un esasperato Vector dopo aver risposto l’ennesima telefonata della donna. -Signora, mi stia bene a sentire. Lei sta continuando a sbagliare numero. Questa è un’agenzia investigativa seria, e chiamando di continuo ci sta impedendo di ricevere le telefonate di veri potenziali clienti!... Sì, signora, sono sicuro di non essere George. ... Come, un gatto?!... Signora, io non mi chiamo George e lei non è mia madre! Per favore, corregga il numero digitato e chiami il suo vero figlio! Le auguro buona serata!-

Il coccodrillo riagganciò e staccò anche il cavo del telefono per assicurarsi che l'insistente signora non li contattasse per il resto della serata. Espio espresse un completo disinteresse per quello che stava succedendo intorno a lui, mentre Charmy scoppiò direttamente in una risata sguaiata.

-Cosa c’è di tanto divertente? Solo il cielo sa quanti clienti abbiamo perso a causa di questa signora!- disse Vector, fulminandoli con lo sguardo.

-Se è lo stesso numero di clienti che abbiamo guadagnato ieri dubito che siano stati molti! Al massimo richiameranno domani.- commentò Espio, senza abbandonare la sua solita espressione seria e neutrale. Il coccodrillo gli rispose con un’occhiataccia, ma si dimenticò all’istante di quello che voleva dire quando vide un pacco di carta comparire all’improvviso dalla buca delle lettere. Il coccodrillo corse immediatamente a raccoglierlo, mentre Espio si chiedeva chi potesse lasciare un pacco a un'agenzia investigativa a quell'ora di sera.

-Ho una brutta sensazione al riguardo...- disse il camaleonte, guardandolo con sospetto.

-Andiamo, Espio! Non devi essere sempre così pessimista!- commentò lui scartando subito il pacco. Il contenuto era piuttosto insolito: sembravano essere delle strane sfere di carta bianca tendente al giallo, con una strana funicella legata intorno e collegata al coperchio del pacco che era stato appena aperto. Espio sapeva di cosa si trattasse, dal momento che divenne pallido come un cencio appena le vide e notò che le funicelle erano rimaste attaccate al coperchio della scatola che le conteneva.

-Vector! Charmy! Tappatevi il naso prima che esplodano!- urlò lui, atterrito. Il coccodrillo lo stava fissando in attesa di una spiegazione che le palline esplosero all’improvviso, iniziando a diffondere una strana nube giallognola. Vector, che si trovava proprio nell’epicentro dell’esplosione, ne fu travolto in pieno e crollò subito a terra, svenuto. Espio prese un respiro profondo e si tappò il naso, ma Charmy non fu altrettanto fortunato: il ragazzino era talmente sorpreso per quello che stava succedendo che corse subito a soccorrere Vector senza preoccuparsi minimamente di seguire l’avvertimento del camaleonte. Urlò il nome del coccodrillo, in preda al panico, e crollò a terra da qualche metro d’altezza pochi istanti dopo. Espio osservò i suoi compagni caduti e la nube che stava rapidamente raggiungendo anche lui con il cuore in gola. Il camaleonte salì immediatamente al piano di sopra e frugò nel cassetto delle sciarpe e dei cappelli invernali in cerca di un pezzo di stoffa fatto di un tessuto dalle fibre abbastanza spesse che non garantissero il passaggio delle spore soporifere. Trovò quello che stava cercando in una delle vecchie sciarpe di Vector, che Espio si passò diverse volte sul naso e sulla bocca.
Il camaleonte ricominciò a respirare e notò che l'espediente stava funzionando quando vide la sottile nebbiolina che aveva iniziato a diffondersi anche al secondo piano e lui non ne sentiva gli effetti.
Scese le scale di soppiatto. Come si aspettava, c’erano degli intrusi. Erano in quattro, tutti vestiti con tute da ninja viola con una mascherina nera che gli copriva completamente il volto, impedendogli di respirare le spore soporifere che ancora vorticavano nella stanza in quella nebbiolina dorata quasi surreale. La mascherina non faceva vedere nemmeno gli occhi dei ninja, ma doveva essere stata realizzata in modo tale che questa non compromettesse in alcun modo la loro visibilità. Apparentemente stavano controllando i corpi svenuti di Charmy e Vector, ma non sembravano molto interessati a loro. Uno dei ninja indicò la porta dello studio di Vector e la cucina, e suoi compagni andarono immediatamente a controllare quelle zone. Il ninja che aveva dato l’ordine, invece, salì le scale trovandosi davanti a Espio.

-Avete scelto di disturbare le persone sbagliate, furfanti!- disse Espio, anche se il ninja probabilmente non lo capì per via della sciarpa. Il camaleonte tirò un calcio allo sterno del nemico, facendolo ruzzolare giù dalle scale. I suoi soci accorsero subito, attratti dal rumore, ma Espio non si mosse dalla sua postazione: sarebbe stato più facile per lui controllare le loro mosse dall’alto. Il camaleonte cominciò a insospettirsi quando si rese conto che nessuno di loro voleva salire per attaccarlo, quasi avessero anticipato le sue intenzioni. Percepì quasi contemporaneamente un lieve rumore nel corridoio del secondo piano. Espio, quasi come se avesse anticipato la mossa del quinto ninja di cui prima non aveva notato la presenza, lo afferrò da dietro le sue spalle nonostante si fosse nascosto alla perfezione nell’oscurità e lo scaraventò giù per le scale, investendo in pieno un altro dei suoi compagni. Espio capì che probabilmente il ninja che aveva appena eluso non era l'unico che si stava aggirando per il primo piano e si rese immediatamente invisibile. I ninja non fecero una piega, e il camaleonte non seppe se interpretare la cosa come un segnale positivo o negativo. Espio scivolò lungo il corrimano senza fare rumore e si acquattò alle spalle dei due ninja rimasti al piano terra, che non sembravano essersi accorti di nulla. Scoprì di essersi sbagliato di grosso quando i due ninja si voltarono di scatto verso di lui e lo colpirono entrambi con un pugno nello stomaco proprio un secondo prima che facesse cozzare le loro teste l’una contro l'altra.

-Dilettante.-commentò uno dei due, sprezzante. Parlava in un'idioma che Espio conosceva molto bene: la lingua del suo paese d’origine.

-Voi siete di...?-cercò di chiedere nella sua stessa lingua.

-Taci, feccia!-l'altro ninja lo zittì con un calcio nello stomaco. Il camaleonte si tenne la pancia con le mani per il dolore, ma il ninja continuò a
prenderlo a calci come se non lo avesse notato.

-Fermo. Ricorda cosa ha detto il capo.-lo fermò il suo compagno dopo che lo aveva colpito numerose volte. Il ninja si fermò, ma Espio ebbe la sgradevole sensazione che se il suo compagno non lo avesse fermato avrebbe continuato a percuoterlo fino a farlo sanguinare. E capì che forse anche il suo compagno si sarebbe unito più che volentieri al pestaggio dal modo in cui lo sollevò afferrandolo per la sciarpa, provocandogli una sensazione momentanea di strangolamento. Il camaleonte lo osservò con gli occhi sgranati mentre prendeva quella che doveva essere una specie di siringa e gliela conficcava nel braccio, immettendogli il liquido contenuto in circolo. Espio cercò di resistere alla sonnolenza, ma fu tutto inutile. In pochi secondi anche Espio si abbandonò al sonno.
 

Vector riprese conoscenza dopo molto tempo. Il coccodrillo si rimise in piedi, contrastando il torpore che sentiva nelle membra e si guardò attorno: apparentemente non era successo niente, ma la carta del pacco e delle bombe era ancora per terra, e i residui di polvere giallognola che si erano depositati sui mobili e sul pavimento testimoniavano che invece qualcosa doveva essere accaduta per forza. A parte quei piccoli dettagli, il salotto era esattamente come lo aveva visto l’ultima volta. Se le persone che li avevano fatti addormentare fossero stati dei ladri avrebbero sicuramente rivoltato la stanza come un guanto per trovare qualche oggetto di valore. Cosa che sarebbe stata impossibile, dato che l’unica cosa che avrebbero potuto rubare lì dentro erano le bollette da pagare.

-Charmy! Charmy!- lo chiamò Vector, scuotendolo debolmente.

-Dai, Vec, altri cinque minuti...- si lamentò l'ape, con enorme sollievo di Vector. Se si comportava in quel modo voleva dire che stava benissimo.

-Se ti svegli in questo preciso istante potrai stare alzato fino a tardi stanotte.- disse il coccodrillo. L'ape rispose alzandosi in piedi e scattando sull'attenti come un perfetto soldato.

-Charmy Bee è completamente operativo, signore!- disse lui, facendo addirittura il saluto militare. Vector sospirò per la solita immaturità dimostrata dal suo giovane collega di quasi sette anni che iniziò a guardarsi in giro per la strana polvere che si era depositata sul pavimento e sui mobili. -Wow. Che disastro. Qualunque cosa sia stata a provocarlo non è stata colpa mia!-

-Lo so. È quello che è rimasto della strana nebbia che ci ha messo K.O.- spiegò il coccodrillo, iniziando ad esaminare l’ambiente circostante. Vector notò che la polvere era meno fitta davanti alle scale, come se qualcuno si fosse mosso più volte in quel punto. Vi erano delle serie confuse di impronte e dei segni di trascinamento. In un punto sembrava addirittura che una persona fosse stata rannicchiata a terra. In prossimità del punto dove avrebbe dovuto trovarsi la testa della persona a terra era rimasta una delle sue vecchie sciarpe di lana, che ormai era completamente impolverata su un lato, come se qualcuno l'avesse indossata; dall'altro lato sembrava essere umida, come se la persona che l'aveva indossata si fosse improvvisamente ritrovato a doverci sputare dentro. Quando notò una strana sfumatura rossa nei liquidi organici, il coccodrillo realizzò che la persona che aveva indossato la sciarpa doveva essere stata picchiata. Il pensiero che forse quella persona potesse essere Espio fece schizzare l’adrenalina del coccodrillo alle stelle. Vector si guardò nervosamente intorno, ma l’unica persona che riusciva a vedere nella stanza oltre a lui era Charmy: non c’era alcuna traccia di Espio.

-Espio! Espio!- cominciò a chiamare il coccodrillo, salendo immediatamente al piano di sopra. La situazione non era molto diversa da quella del piano di sotto, ma la polvere che si era deposita era molta di meno e quasi non c'erano impronte in giro. Il cassetto delle sciarpe invernali era aperto e i capi erano stati spostati senza essere rimessi al loro posto: questo confermava che doveva essere stato Espio a prendere la sciarpa, per non essere steso a sua volta dalle spore. Vector continuò a chiamarlo, ma il camaleonte non rispondeva, e non riuscì nemmeno a trovarlo nelle varie stanze di quel piano. Il coccodrillo setacciò tutta la casa, ma del camaleonte non c’era traccia. Alla fine, terrorizzato come mai era stato in vita sua,  Vector corse verso l’auto afferrando al volo Charmy per la collottola e facendolo salire sul posto del passeggero.

-Vector, cosa sta succedendo?- chiese l’ape, confusa, mentre osservava il coccodrillo che guidava come un pazzo lungo le strade di campagna. -Dov'è Espio?-

-Non lo hai ancora capito? Espio è stato rapito dai tizi che ci hanno mandato il pacco con la polvere soporifera. Rapito, forse anche picchiato! Devo pensare immediatamente a un posto nelle vicinanze in cui potrebbero averlo portato!- urlò lui, colpendosi ripetutamente la fronte con la mano nel tentativo di farsi venire in mente qualcosa.

L’ape sgranò gli occhi. -Che cosa vogliono i cattivi da Espio?-

-Non ne ho idea! Però Espio ha dimostrato di conoscere le bombe soporifere nel pacco... Forse erano ninja! E date le numerose impronte che c’erano davanti alle scale e al piano di sopra oserei dire che erano in tanti... Forse erano in sette o più! Un gruppo numeroso e ben organizzato, con un piano preciso. Volevano Espio e non hanno esitato a picchiarlo quando ha opposto resistenza. Questo vuol dire che è molto probabile che le loro intenzioni non siano amichevoli. Dobbiamo trovarlo subito, prima che sia troppo tardi!- Più dettagli metteva insieme, più Vector veniva assalito dal panico. La vita di Espio era in serio pericolo, e l’unica cosa che lui poteva fare era guidare mentre il suo amico forse stava subendo le peggiori cose che potessero fare a una persona proprio in quel momento.

Charmy, vedendo la disperazione sul volto di Vector, provò ad azzardare delle ipotesi. -Forse, dato che erano in tanti, devono averlo portato in un posto abbastanza capiente che possa ospitare un gran numero di persone! Un posto che in più deve anche essere isolato, perché sono cattivi e non devono farsi scoprire. E, se i miei videogiochi di spionaggio mi hanno insegnato qualcosa, in quel posto devono anche esserci degli strumenti che possano aiutarli a nascondere le prove del misfatto una volta che avranno finito!-

Vector inchiodò improvvisamente e fissò l’ape con stupore. -Charmy, mi hai appena fornito il posto perfetto in cui cominciare la ricerca... Peccato che però sia a quasi due ore da qui nella direzione opposta rispetto a quella in cui stiamo andando noi!-

 
Espio aprì gli occhi, ma non riusciva a vedere assolutamente nulla. Respirando sentiva un vago odore di polvere, e questo gli fece capire che probabilmente dovevano avergli messo un sacco sulla testa per impedirgli di vedere dove si trovasse. Provando a muoversi si rese conto che i polsi e le caviglie erano stati legati in modo da costringerlo a stare seduto sulle ginocchia nonostante fosse svenuto. Non sentiva altri suoni intorno a sé, tranne il ritmo del suo respiro affannato. Non sentiva le voci dei suoi compagni e, in base alle ultime cose che ricordava, quel dettaglio non lo sorprese affatto. Anzi, era la conferma che era proprio lui il bersaglio di quei ninja tanto subdoli e scaltri, e che per questo i suoi compagni sarebbero stati al sicuro, a meno che non lo avessero ritrovato. Quel pensiero bastò a confortare almeno in parte il camaleonte, che cercò di rallentare il ritmo del suo respiro per nascondere la sua ansia ai suoi nemici.

-Scopritelo.-

Appena sentì quell’ordine ricominciò a vedere, solo per desiderare di tornare sotto quella confortante cappa scura. Era in quello che una volta doveva essere stato un grande magazzino. Gli scaffali e le scatole che una volta erano stati usati per contenere oggetti e materiali di varia natura erano vuoti, o coperti da un telo o abbandonati per terra nella polvere. Lui si trovava esattamente al centro del magazzino, e attorno a lui c’era una schiera di ottantotto ninja in viola come quelli che lo avevano attaccato a casa sua. Erano tutti immobili e composti, al punto che Espio arrivò a chiedersi se fossero stati effettivamente esseri viventi. Molti metri più in là rispetto a dove si trovava c’era un piccolo soppalco su cui era seduto un ninja con le gambe incrociate che sembrava immerso in una profonda meditazione. Invece, Espio ne era certo, lo stava fissando. Sentiva il suo sguardo oltre la maschera di tela nera, uno sguardo di puro odio, e quella sensazione bastò a fargli correre un brivido lungo la schiena.

-Signori, dopo dodici, lunghi anni di ricerche, finalmente abbiamo ritrovato la causa della nostra rovina. Fino a prima della nascita di questo demonio il nostro clan è cresciuto e si è espanso, portando onore e gloria alle vostre famiglie! Apparentemente non è cambiato nulla, ma sappiamo tutti che sarà solo questione di tempo prima che la maledizione che questo demone ha portato sul nostro clan con la sua nascita sventurata si compia. Io non sono disposto a permettere che ciò accada. È per questo che siamo qui, miei successori e fedeli discepoli... Per porre fine alla sua esistenza e recuperare la possibilità di avere un nuovo, radioso futuro!-

"Questo tizio è completamente pazzo!" pensò Espio, prima di sentire i bisbigli di approvazione degli altri ninja.

-Questa notte, la maledizione che questo mostro ha portato su di noi nascendo avrà fine. E saremo noi a porre fine per sempre a questo abominio. Ma prima di finirlo, voglio darvi la possibilità di sfogare su di lui tutti i mali che la sua nascita vi ha portato.-Il ninja si alzò in piedi e alzò un braccio. Espio lo interpretò come un pessimo segno. -Procedete. Ricordatevi solo di non ucciderlo. È compito mio finirlo.-

Espio deglutì quando vide tutti quei ninja che gli si avvicinarono con l’intenzione di massacrarlo di botte. Il camaleonte non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe ritrovato a subire una serie di percosse di vario genere senza avere alcuna possibilità di difendersi. Non poteva fare altro che gemere di dolore mentre i ninja gli si avventavano addosso prendendo a pugni e a calci ogni parte del suo corpo che riuscivano a raggiungere. Dopo una lunga serie di colpi Espio sentì un sapore di sale e metallo in bocca e, con suo enorme sconcerto si ritrovò a sputare un fiotto di sangue, ma i ninja non si fermarono. Non volevano ucciderlo, ma ce la stavano mettendo tutta per farlo soffrire il più possibile in attesa del suo inevitabile destino. Uno dei ninja tirò fuori un kunai piuttosto affilato e Espio iniziò a dimenarsi come un’anguilla appena pescata nel vano tentativo di sfuggire alla sua presa. Urlò soltanto quando sentì la punta affilata che gli incideva la pelle della schiena, subito sopra la cresta ossea, lasciandogli delle sottili incisioni che iniziarono a sanguinare quasi subito, facendo ridere di gusto i suoi aguzzini. Sentire il liquido caldo che gli colava lungo la schiena fece capire veramente al camaleonte che se non avesse fatto qualcosa subito quei pazzi lo avrebbero davvero ucciso. Godevano nel vederlo soffrire, e avrebbero goduto ancora di più nel vederlo esalare l’ultimo respiro. Espio iniziò a cercare febbrilmente qualcosa per liberarsi nelle tasche posteriori dei pantaloni e nei risvolti dei guanti, sperando che i ninja si fossero dimenticati di controllarli accuratamente nella fretta di portarlo al loro quartier generale. Fu abbastanza fortunato perché sentì sotto le dita una piccola stella ninja che doveva essere sfuggita al loro controllo nel risvolto del guanto destro. Il camaleonte iniziò a usarla per segare la fune che gli legava mani e piedi, sperando che i ninja non lo notassero o che un colpo particolarmente forte non gliela facesse scivolare dalle mani.

-Basta così!-disse il capo, alzando il braccio. I ninja tornarono immediatamente nei loro ranghi, immobili come statue. Erano talmente impegnati a osservare il loro capo che si alzava in piedi che nemmeno si accorsero che Espio aveva iniziato a tagliare la fune ancora più velocemente. Il capo fece cenno che gli venisse passato qualcosa e uno dei ninja gli porse un cuscino rosso con un inchino. Espio sussultò quando il capo sollevò un pugnale ninja, un sai, senza staccare lo sguardo da lui. Il cuore del camaleonte iniziò a battere all’impazzata, e nemmeno il fatto che la fune si fosse già allentata di molto lo aiutò a calmarsi.

-Aspetta!- disse Espio con calma, cercando di nascondere il fatto di essere spaventato a morte per quello che stava per accadere. Doveva far parlare il capo, doveva prendere tempo per liberarsi dalla fune che lo legava. -Perché mi stai facendo questo? Perché secondo voi io sarei un demone? Se devo proprio essere ucciso vorrei almeno avere una spiegazione plausibile per capire cosa ho fatto per meritare tutto questo odio da parte vostra!-

Il capo dei ninja sussultò davanti all’improvvisa presa di posizione del suo prigioniero. -Vuoi dire che il vecchio non ti ha mai detto niente? Credeva davvero che farti sparire poco prima di morire avrebbe fermato il compimento del tuo destino? Povero illuso! Avrebbe dovuto sapere che un giorno o l’altro ti avremmo ritrovato e che avremmo spazzato via la maledizione che la tua nascita ha portato su tutti noi! Ci sono voluti dodici anni, ma alla fine ti abbiamo ritrovato, e ora non c’è più nessuno che possa proteggerti dal tuo inevitabile destino! Ora tornerai all’inferno da dove sei venuto!-

Il capo dei ninja scese dal soppalco e si tolse il cappuccio e la maschera di tessuto che nascondevano il suo volto alla vista. A quella vista la paura di Espio venne sostituita dall’incredulità più pura: non poteva credere che dietro a quella maschera, che dietro a quell’accanimento così insensato contro di lui potesse esserci proprio quella persona.

-Padre?- annaspò lui, completamente incredulo.

Il capo dei ninja era un camaleonte viola scuro dagli occhi color grigio antracite. A differenza del figlio aveva tre corna: uno in mezzo agli occhi, e altre due più piccole proprio sull’arcata sopraccigliare. Espio ricordava molto bene che quando era molto piccolo viveva a casa di suo padre con suo nonno, e sapeva che le poche volte che lui e suo padre si incrociavano questo faceva semplicemente finta che lui non esistesse, come se si fosse trattato di un moscerino fastidioso. Suo nonno gli aveva detto che si comportava in quel modo perché sua madre era morta poco dopo averlo dato alla luce e che lui stava cercando di dimenticarsi di lei, arrivando persino a rinnegare il figlio che aveva avuto da quella donna. Espio si era abituato da tempo all’idea che suo padre non si sarebbe mai interessato a lui, motivo per cui suo nonno lo aveva portato da un maestro di arti marziali poco prima di morire: entrambi gli avevano detto che non sarebbe più potuto tornare a casa, perché lì sarebbe sempre stato sgradito agli occhi di suo padre. Espio, sentendo quella sentenza così definitiva, ci era rimasto piuttosto male. Era solo un bambino e non capiva perché suo padre potesse odiarlo così tanto per il semplice fatto di esistere. Alla fine si convinse che forse solo qualcosa di grande avrebbe potuto far accorgere suo padre che lui esisteva, che era degno di essere considerato suo figlio. Si convinse che forse, se fosse diventato il più grande ninja del mondo finalmente si sarebbe accorto di lui e lo avrebbe riportato a casa. Aveva vissuto i primi anni della sua vita coltivando quella piccola convinzione, finché non aveva incontrato i Chaotix. Dopo l’incidente con Bernie Spaccaossa si era reso conto che quel completo sconosciuto che lo aveva abbandonato a se stesso non era meritevole della sua considerazione. I Chaotix erano la sua famiglia, ormai. Pensava che se un giorno lui e suo padre si fossero incontrati ancora una volta lui lo avrebbe soltanto trafitto con un’occhiata di sufficienza come quando era piccolo, non credeva che sarebbe arrivato persino ad organizzare una vera e propria spedizione militare per ucciderlo dandogli del mostro e del demonio!

Il padre di Espio sorrise ironico. -Sono passati tanti anni e ancora ricordi il mio volto? Sono sorpreso, lo ammetto.-

Il camaleonte non poteva sapere quanto suo figlio avrebbe voluto averlo dimenticato. Non poteva credere a quello che gli stava accadendo. La vista di suo padre, tornato nella sua vita dopo tanti anni di assenza, alla testa di un plotone di esecuzione schierato contro di lui era stata addirittura più dolorosa delle ferite che aveva già subìto. -Perché, padre? Come mai mi stai facendo questo? Sapevo che il fatto che mia madre fosse morta per darmi alla luce ti aveva sconvolto, ma non avrei mai pensato che potessi addirittura desiderare la mia morte per esserle sopravvissuto!-

Il capo dei ninja rise di gusto davanti allo sconcerto del suo stesso figlio. -Vedo che il vecchio non ti ha raccontato tutta la storia. Vedi, tu sei mio figlio. Il mio UNICO figlio, nato dalla morte della sua stessa madre. Come capo del clan avrei dovuto avere almeno due figli maschi, per assicurarmi una giusta successione. Non uno solo. La successione del clan non è un diritto, ma un privilegio. I figli del capo del clan devono allenarsi incessantemente per tutta la vita, finché non si affronteranno nella lotta della successione. Lotta che può vedere un solo vincitore, che sarà il nuovo capo del clan. Dopodiché, questo successore, deve affrontare il vecchio capo del clan e detronizzarlo, per sancire il suo diritto alla vita e la sua autorità di capo. Non è una questione di sangue, è una questione di forza. Io ho lottato per arrivare dove sono oggi. Ho ucciso i miei fratelli e il mio stesso padre per essere qui.-

-E ora vuoi uccidere anche il tuo unico figlio perché è l'unico modo per scoprire se è davvero degno di essere considerato il tuo erede...-
concluse Espio, sentendo un moto di disgusto per quell’uomo e per la sua logica di successione. Più lo sentiva parlare, più rimpiangeva il fatto che fosse suo padre. Sperò che continuasse a parlare ancora, perché presto sarebbe riuscito a tagliare la corda che lo stava tenendo legato, e allora avrebbe avuto una minima possibilità di difendersi da lui e dai suoi tirapiedi.

-Questo non centra niente con la successione!-disse il camaleonte, fulminandolo con lo sguardo.-Tu non dovevi esistere! Quando tua madre si è ammalata, quando era incinta di te, il medico mi disse che solo facendoti nascere in quel momento lei si sarebbe salvata e avrebbe potuto avere altri figli per perpetuare la gloria del nostro clan. Tu saresti morto quasi sicuramente, ma che importanza aveva? Potevi essere il figlio più debole, oppure potevi essere una femmina! Tua madre poteva vivere e darmi altri eredi! E invece... Invece la sua malattia si aggravò subito dopo il parto e lei morì, mentre tu recuperasti le forze! E avere un solo successore per il capo del nostro clan è una sciagura troppo grande! Una cosa simile è una sventura troppo grande da sopportare! E le regole del clan parlano chiaro, il capo può avere solo una compagna per tutta la vita, a meno che questa muoia senza avergli dato figli sani... E tu sei sopravvissuto!-

Espio cercò di non dimostrarsi troppo impressionato dallo sguardo folle e rabbioso che suo padre gli rivolse in quel momento. Per un momento si aspettò che gli saltasse addosso, ma per sua fortuna preferì continuare a raccontare la storia. Mancava poco perché la fune cedesse.

-Tu sei sopravvissuto, e con te la possibilità di potermi risposare e avere altri eredi è sfumata! Che tua madre vivesse o morisse era ininfluente, eri tu quello che doveva essere sacrificato per il bene del nostro clan! E invece tu sei sopravvissuto, e lei è morta! Tu sei un demonio e ci distruggerai tutti, e questo solo perché sei nato! Io, come capo del clan, devo eliminare ogni possibile minaccia alla nostra prosperità... E tu sei  la minaccia più grande di tutte!-

Il camaleonte rise davanti allo sguardo sconcertato e carico di disgusto che gli rivolse il proprio figlio.-Scommetto che il vecchio ti avrà raccontato una versione un po’ diversa della storia... Magari ti avrà detto che io amavo troppo tua madre e che il fatto di averla persa così prematuramente mentre tu sei sopravvissuto mi abbia fatto passare tutta la voglia di farti da padre... Sarebbe stato proprio da lui. Era il mio consigliere, e per questo motivo non ho potuto toccarti quando eri piccolo: eri l’unico ricordo che aveva della sua cara figlia. E lui era come lei, era un sentimentale. Era una persona molto sveglia, ma era un sentimentale. Decise che tu non dovevi morire, dal momento che eri stato “abbastanza forte da sopravvivere” e io non potei fare altro che rispettare la sua volontà. Finché sarebbe stato vivo, tu saresti stato intoccabile. Dodici anni fa, quando finalmente morì, diedi subito l’ordine che tu fossi portato subito da me per essere giustiziato, ma eri scomparso nel nulla. Il vecchio aveva provveduto a portarti in un nascondiglio sicuro poco prima di morire. Ma nonostante questo piccolo contrattempo non mi sono mai dato per vinto. Ti avrei ritrovato e ti avrei rispedito all’inferno da cui sei venuto a qualunque costo.-

Il camaleonte guardò il sai che teneva in mano e sorrise con soddisfazione.-È da diciassette anni che aspetto questo giorno. Sono curioso di vedere com’è fatto il cuore di un demone...-

-Almeno il cosiddetto demone ce l’ha, un cuore.- commentò Espio, sprezzante. Il camaleonte ignorò il suo commento e si lanciò immediatamente all’attacco con il suo sai. Proprio in quel momento la corda che legava i polsi e le caviglie di Espio cedette, e il giovane ninja riuscì ad evitare l’attacco all’ultimo secondo e si mise sulla difensiva, sfoderando lo shuriken che gli aveva appena salvato la vita. I ninja che li circondarono scattarono in piedi, ma il loro capo li fermò con un cenno della mano.

-Ammirevole. Sei solo, circondato da nemici che fremono dalla voglia di farti a pezzi, e nonostante tutto desideri continuare a combattere!-disse il camaleonte, sorridendo maleficamente. -Accetto la tua sfida, demone. Sarà un regolare duello fra me e te. Se vincerai, cosa di cui dubito date le tue condizioni, avrai salva la vita; se vincerò io, tu morirai. Uno scambio equo, non ti pare?-

Espio scrutò il ninja che si trovava davanti a lui con aria torva. -Non mi stai lasciando altra scelta che affrontarti. Se non lo facessi tu mi uccideresti comunque, e io non ho intenzione di lasciartelo fare.-

-Giusta osservazione.-commentò il camaleonte. Il suo attacco arrivò subito dopo, fulmineo e quasi a tradimento. Espio usò la stella ninja per parare il colpo del sai, e fece lo stesso con tutti gli altri attacchi diretti. Il giovane ninja stava ignorando il dolore ai muscoli causati dai colpi ricevuti in precedenza e il bruciore delle ferite che gli erano state inferte alla schiena per difendersi con tutte le sue forze. Non aveva intenzione di morire, non in quel posto, e non per mano di quel mostro. Non poteva perdonare suo padre per quello che aveva cercato di fargli e per la scarsa considerazione che aveva nutrito per sua madre e suo nonno. Non poteva credere che potesse aver sposato sua madre solo per avere degli eredi per cui, alla fine dei conti, non avrebbe avuto alcuna considerazione. Anzi, forse si sarebbe addirittura divertito a guardare mentre si massacravano a vicenda, in quell’insensata lotta per la vita e per il potere.

All’improvviso il ninja colpì violentemente le gambe di Espio, facendolo cadere a terra. Sì preparò a pugnalare il ragazzo con il sai, ma questo fu più rapido di lui e rotolò via dalla traiettoria del pugnale. Nonostante il dolore alle gambe, il giovane ninja fece una mezza capriola in aria e colpì il genitore in pieno viso con un calcio. Espio si preparò a colpirlo una seconda volta, ma fu respinto con un calcio nello stomaco. In breve tempo tornarono al punto di partenza, con il padre che attaccava e il figlio che si difendeva. In tutto quel delirio, Espio concentrava tutti i suoi pensieri solo una cosa: lui non voleva morire. Era l’unica certezza a cui si stava disperatamente aggrappando da quando aveva visto per la prima volta il capo dei ninja. Voleva tornare a casa, dai suoi amici. Era per loro che stava combattendo: non poteva abbandonare Vector e Charmy, non dopo tutto quello che avevano affrontato insieme negli anni. Certo, a volte erano davvero insopportabili con i loro modi di fare stupidi e infantili e lo facevano sentire in imbarazzo come nessuno sapeva fare, ma non voleva abbandonarli. Il suo posto era con loro. Era per loro che si stava aggrappando così disperatamente alla vita, perché voleva rivederli, continuare a vergognarsi per il loro atteggiamento puerile e continuare a vivere le sue avventure con loro. Aveva già perso Mighty a causa del suo errore in passato, e per lui sarebbe stato insopportabile doversi separare anche da loro. Non lo avrebbe permesso. Non poteva finire tutto in quel modo.

All’improvviso Espio sentì un sibilo e un liquido caldo che iniziò a colare giù dal braccio. Il camaleonte dovette saltare più in alto che poteva nonostante il dolore alle gambe per evitare la cascata di stelle ninja che altrimenti gli sarebbe piovuta addosso. Espio cercò di rispondere, ma si rese conto che i ninja gli avevano davvero sottratto tutte le armi, a parte quel piccolo, provvidenziale shuriken che aveva usato per tagliare la fune. Suo padre aveva a disposizione tutte le armi che voleva, lui no. Più che evitare i suoi colpi e le sue armi non sapeva cosa fare. Espio atterrò davanti al suo avversario che cercò immediatamente di ghermirlo con il pugnale, ma il camaleonte si abbassò e cercò di colpirlo alle gambe. Il ninja saltò per aria e cercò di lanciargli contro un kunai; Espio schivò il colpo e saltò a sua volta, facendo una mezza capriola in aria per colpire di nuovo il suo avversario, che cadde a terra con un tonfo fra le urla di disapprovazione dei suoi seguaci. Espio non gli si avvicinò perché sapeva che se lo avesse fatto il vecchio gli avrebbe sicuramente piantato il sai nello stomaco senza troppe cerimonie. Non poté fare altro che guardare mentre si rialzava in piedi con un colpo di reni e gli si avventava contro brandendo il pugnale e urlando minacce di morte contro di lui; il camaleonte tornò a difendersi usando la stella ninja per parare i colpi. Anche se lui era più giovane, resistente e agile nei movimenti, in quel momento era molto penalizzato: le ferite che prima gli erano state inferte lo rallentavano parecchio, e il fatto che il suo avversario fosse più fresco e riposato e avesse molta più esperienza nel combattimento di lui non lo stava aiutando per niente. Espio non poteva fare altro che difendersi dai suoi attacchi, e solo raramente riusciva a coglierlo di sorpresa. E nemmeno il fatto che potesse rendersi invisibile lo avrebbe aiutato, perché, ne era certo, avrebbe saputo individuarlo anche se non fosse stato capace di vederlo. E lui lo sapeva. Sapeva di essere in vantaggio e che sarebbe stata solo questione di tempo prima che lui capitolasse. Non poteva basare tutta la sua strategia sulla difesa, doveva trovare un modo per coglierlo di sorpresa, ma non sapeva come fare.

All’improvviso gli venne un’idea, che avrebbe potuto segnare la sua vittoria così come la sua condanna a morte certa. Espio si rese invisibile e si inginocchiò, in attesa della mossa del proprio genitore. Si portò una mano sul cuore nel tentativo di rilassarsi e di ricordare perché doveva restare vivo e cominciò a respirare il più silenziosamente possibile per non farsi scoprire, sperando che il suo avversario cadesse nella trappola.

-Così ti stai nascondendo, eh? Cosa c’è, ti sei finalmente accorto che fra me e te non c’è storia?- Il camaleonte si spostò quasi al centro del ring improvvisato, delimitato solo dai suoi scagnozzi ninja. Se avesse fatto un passo in più avrebbe calpestato la mano di Espio e lo avrebbe scoperto, ma il giovane non fece una piega. Il camaleonte sperava solo che nessuno riuscisse a notare quelle gocce di sangue che potevano cadere in ogni momento dalle sue ferite verso il pavimento. Per il momento le perdite non erano molto forti, anche se in alcuni punti poteva ancora sentire il sangue che colava. Quella tensione lo stava facendo impazzire, ma doveva resistere finché non sarebbe arrivato il momento giusto per attuare la sua strategia. -Tranquillo, demonio, finirà tutto in fretta. Presto tornerai a bruciare all’inferno. Basta solo che ti faccia trovare da me! E se stai cercando di scappare, sappi che è tutto inutile: le uscite sono bloccate. Siamo solo io, te, e i miei uomini. Non puoi sfuggire al tuo destino!-

La loro vicinanza stava mettendo Espio in agitazione, ma il camaleonte non mosse un muscolo. Pochi istanti dopo il ninja si allontanò urlando altre minacce di morte al vento, e quando fu abbastanza lontano Espio decise che era il momento di agire: lanciò in aria il suo shuriken, l’unica arma che aveva e l’unica difesa che poteva usare contro il sai di suo padre. Proprio come aveva previsto, il genitore notò lo spostamento d’aria e si precipitò all’attacco senza alcuna esitazione, non pensando minimamente che potesse trattarsi di una trappola: Espio, ancora invisibile, saltò a sua volta e lo colpì con un forte pugno nello stomaco nello stesso istante in cui il ninja si trovò proprio sopra di lui. Il ragazzo cominciò a percuotere ogni centimetro del corpo del suo avversario che riusciva a raggiungere con calci e pugni a mezz’aria, in una posizione in cui per lui sarebbe stato molto difficile contrattaccare. Alla fine lo scaraventò a terra con un calcio. Il camaleonte crollò a terra, nella polvere, e il suo sai cadde a qualche metro da lui, con grande sconcerto dei suoi uomini. Espio atterrò vicino all’arma e la prese, per poi bloccare il camaleonte adulto a terra con il ginocchio. Per assicurarsi che non facesse scherzi gli puntò il pugnale alla gola.

-Allora? Cosa aspetti, demone?- disse il camaleonte, fissando il figlio con odio. -Hai vinto tu. Cosa stai aspettando? Finiscimi. Sono qui, alla tua mercé. Cosa aspetti? UCCIDIMI!-

Espio era molto tentato di eseguire l’ordine del genitore, ma una voce nella sua testa gli stava implorando di non fare come diceva, nonostante sapesse che se lo avesse lasciato andare avrebbe sicuramente provato ad ucciderlo in un secondo tempo. La ragione gli diceva che suo padre era un malvagio, un’anima corrotta, e che aveva appena perso un duello all’ultimo sangue contro di lui, e che per quel motivo sarebbe stato meglio per lui seguire il protocollo ninja e porre fine alla sua vita lì e in quel momento. Ma un’altra parte di lui, una vocina molto flebile, gli stava chiedendo di non fare come gli diceva. Aveva sentito la sua storia, sapeva che quell’uomo aveva compiuto tante azioni ignobili, ma non doveva essere lui a porre fine alla sua vita. Aveva già vinto lui, il suo avversario aveva già ammesso la sconfitta: secondo i patti doveva lasciarlo andare senza fargli del male. Non era necessario che venisse sparso altro sangue inutilmente. Con che faccia si sarebbe ripresentato a casa da Vector e Charmy se lo avesse ucciso senza motivo? Non sarebbe stato molto diverso da lui e dal demonio che lui lo stava accusando di essere se lo avesse fatto, e Espio non si voleva abbassare al suo stesso livello.

-Non posso farlo.- gli disse, lanciando lontano il sai. -Io non sono come te. Una volta volevo esserlo, ma allora ero troppo giovane e ingenuo per capire cosa avrebbe comportato la mia scelta. E quello che è successo qui oggi mi conferma che non ne vale la pena. Io non sono come te. Io non sono un assassino!-

Il camaleonte adulto rise davanti a quella manifestazione di pietà. -Lo sapevo. Non solo sei un demonio, ma sei anche un demonio della peggior specie: un demonio debole e sentimentale!-

-Lo prendo per un complimento.- disse Espio, sentendosi davvero fiero per quello che alle orecchie di suo padre doveva sembrare il peggiore degli insulti. -Sono un ninja. Un guerriero. Potrei essere anche un assassino, ma non lo sarò. Non voglio perdere la mia umanità. Come ti ho già detto, io ho un cuore, e non ho intenzione di perderlo a causa tua. In questi anni ho imparato che la forza fisica non è tutto, o almeno non è la cosa più importante. Non per me, non più. L'ho capito quando ho perso un compagno per colpa del mio orgoglio. Non posso fare qualcosa che ferirebbe a morte le persone che contano per me, e sento che uccidendoti ferirei loro e soprattutto me stesso. Sei l'essere più viscido e ripugnante che abbia mai conosciuto in vita mia, ma rimani pur sempre mio padre.
È per questo che non posso ucciderti, anche se forse sarebbe la cosa migliore per me, per porre fine subito a questa follia. Ma non lo farò. Provo pena per te, perché so che non potrai mai capire davvero le mie parole. Puoi farmi quello che vuoi. Puoi rendere il resto della mia vita un inferno, puoi obbligarmi a scappare per sempre da te, ma non ti ucciderò solo perché tu vuoi che io lo faccia.-

Il camaleonte adulto afferrò il ragazzo per le spalle e lo fece rotolare a terra, dove gli bloccò le braccia con una mano. I ruoli si erano improvvisamente invertiti. Espio trasalì quando vide un kunai nella mano ancora libera di suo padre.

-Hai ammesso la sconfitta! La mia vita è salva! Questo non era nei patti!-urlò lui, vedendola.

-Non lo hai ancora capito? Tu non vincerai mai finché io sarò vivo! - disse lui, contrastando i tentativi del ragazzo di divincolarsi dalla sua presa. - Avevo ragione quando dicevo che eri un debole e che tenerti in vita era uno spreco inutile. Dì queste cose al tuo vecchio quando lo rivedrai all’inferno. E temo proprio che tu ti sia sbagliato: stai per perdere davvero il tuo cuore a causa mia.-

Espio sentì la punta del kunai passargli lentamente sul torace fino a raggiungere il posto dove si trovava il suo cuore, che stava battendo tanto forte da fargli male, come se avesse voluto consumare tutti i battiti che gli restavano prima che fosse troppo tardi. Il camaleonte chiuse gli occhi, aspettandosi di sentire qualsiasi cosa gli avrebbe riservato quel mostro: forse avrebbe sentito il freddo della lama che si immergeva nel suo petto, bloccandogli il respiro; forse avrebbe sentito uno squarcio seguito da uno strappo dolorosissimo e da una cascata di liquido caldo sulla sua faccia; era difficile dire quali sarebbero state le intenzioni di quel folle. In quel momento era talmente spaventato da quello che stava per accadergli da non tentare nemmeno di fingere di non essere impressionato da quelli che stavano per diventare i suoi ultimi momenti di vita.

-CARICA!-

Quell’urlo seguito da un fracasso assordante costrinse Espio ad aprire gli occhi e il suo aguzzino a voltarsi. Alcuni dei ninja che li circondavano erano stati investiti dai detriti, altri da una macchina che aveva appena sfondato il portone principale ed era entrata con prepotenza nel cerchio composto dai ninja.

-Possiamo rifarlo, Vector?- si sentì distintamente dalla macchina
, da cui scesero un coccodrillo verde dall’aria decisamente contrariata e un’ape eccitata come se fosse stata la mattina di Natale. Espio non sapeva se essere più felice per il fatto che i suoi amici fossero accorsi a salvarlo, o preoccupato per la reazione che quell’intrusione improvvisa avrebbe inevitabilmente provocato nei ninja.

-Avete scelto di disturbare le persone sbagliate, furfanti!- tuonò Vector ai ninja svenuti, prima di notare il suo socio bloccato a terra, pesto, sanguinante, e con un kunai puntato al petto. Quella vista lo fece arrabbiare ancora di più. -Tu! Devi essere il capo della banda. Lascia stare il mio amico, oppure te la vedrai con me!-

-Siete amici di questo demone?- chiese lui nella sua lingua. Probabilmente non aveva capito una sola parola di quello che il coccodrillo aveva detto, e lo stesso si poteva dire di Vector. -Non ha alcuna importanza. Dopo sarà anche il vostro turno! Prendeteli!-

-NO!- urlò Espio, vedendo Vector e Charmy che venivano assaliti da una settantina di ninja prima che potessero rendersene conto. Il camaleonte si scrollò immediatamente suo padre di dosso e corse verso di loro solo per realizzare che avevano la situazione più o meno sotto controllo: il coccodrillo stordiva con i suoi possenti pugni tutti gli avversari che gli capitavano a tiro, mentre Charmy si limitava a svolazzare sopra le loro teste, a evitare le armi che gli lanciavano e a canzonarli per il fatto che non riuscivano a prenderlo come se si fosse trattato di un gioco molto divertente. Il camaleonte respirò di sollievo prima di essere afferrato alle spalle.

-Non ti permetterò di aiutare gli altri demoni. Dopo che avrò finito con te sarà il loro turno!-disse il ninja, puntandogli il kunai alla gola.

-E chi te lo dice che ci sarà un prossimo turno?- chiese Espio, pestandogli il piede e tirandogli una gomitata nelle costole. Era un metodo molto poco ortodosso, ma si rivelò comunque efficace. Il camaleonte indietreggiò fino a urtare uno scatolone, che rovesciò a terra rivelando il contenuto nascosto dal panno nero: una tanica di benzina, che riversò il suo contenuto sul pavimento di cemento. Espio impallidì: Vector era abituato ad usare il fuoco contro i suoi avversari, quando la situazione lo richiedeva!

-Vector, è pieno di benzina qui! Non usare la gomma infiammabile!- gli urlò, atterrito dall’effetto che si sarebbe potuto verificare in un posto come quello. Purtroppo, proprio come era accaduto quella sera, il coccodrillo recepì il messaggio troppo tardi e sputò una vampata di fuoco proprio in direzione del barile rovesciato. Espio scappò immediatamente dal soffio infuocato e non poté fare altro che vedere il liquido infiammarsi e le fiamme che investivano in pieno il suo aguzzino, che urlò di dolore. Il camaleonte si alzò in piedi, nonostante fosse completamente avvolto dalle fiamme che gli stavano lentamente divorando la pelle. Il volto del ninja sembrava quasi un teschio in fiamme emerso dall’inferno nonostante avesse appena preso fuoco.

-Tu! Sporco demone, questa è opera tua! Non ti permetterò di distruggerci!- tuonò puntando il dito contro Espio e cercando di afferrarlo per bruciarlo con lui. Charmy fu più veloce e lo punse prima che potesse fare altro male al suo amico. Il ninja, colpito in pieno dal pungiglione dell'ape, iniziò a correre come un pazzo e a rotolarsi per terra nel vano tentativo di spegnere le fiamme, esigendo l’aiuto dei suoi seguaci che accorsero in massa. Espio, nonostante tutto, si sentiva dispiaciuto per l’esito che quella spiacevole vicenda stava avendo.

-Presto! Se ci sono altre taniche questo posto potrebbe saltare in aria!- urlò Vector, trascinando via Espio e Charmy. Il camaleonte fu spinto dentro la macchina e finì lungo disteso sui posti dei passeggeri, mentre Charmy si sedette accanto al posto del conducente. Vector accese la macchina e schizzò fuori dall’edificio prima che i ninja potessero accorgersene. Pochi istanti dopo, quando loro erano già abbastanza lontani, si sentì una violenta esplosione che costrinse Charmy e Espio a voltarsi. Dal vecchio magazzino uscirono delle nubi infuocate prima che il tetto collassasse sulla struttura, seppellendo tutto l’orrore di cui era stato testimone quella notte. Difficilmente ci sarebbero stati dei superstiti fra le persone ancora dentro.

Espio si infilò una felpa nera che Vector doveva aver dimenticato tempo prima in auto per ripararsi dal freddo e si sdraiò. -Per quest’anno basta emozioni forti!- si disse, sentendo che il battito cardiaco stava lentamente ritornando ad assumere un ritmo normale dopo ore di incessante sovreccitamento. -Grazie, ragazzi. Un secondo di troppo e sareste arrivati troppo tardi.-

-Dovere, Espio, dovere!- disse Vector, guardando il camaleonte dallo specchietto retrovisore. Anche Espio si guardò allo specchio e si rese conto che era conciato peggio di quel che credeva: aveva un occhio gonfio e nero e numerosi lividi e tagli su tutto il corpo. Aveva anche dei rimasugli di sangue ai lati della bocca, e se li pulì subito, lasciandosi una sfumatura marroncina sul guanto bianco.

-Che cosa volevano quegli uomini cattivi da te?- chiese Charmy, con una timidezza che non era da lui. Evidentemente si stava rendendo conto solo in quel momento che il suo amico aveva rischiato seriamente la vita in quella situazione.

Espio voleva rispondergli, ma scoprì con sua sorpresa di non riuscire ad articolare a voce quello che gli era successo in quel magazzino. Ora che era tutto finito non sentiva altro che tristezza e rabbia: fino a quel momento non si era mai reso conto quanto effettivamente avesse passato la vita cercando di assomigliare al proprio padre, ignorando quanto lui in realtà lo disprezzasse. Non poteva credere che avesse appena cercato di ucciderlo. E per cosa poi? Per una stupida vendetta nata dal fatto che lui esisteva. Già quel pensiero gli faceva male. Ma se ripensava a quello che aveva osato affermare su sua madre, Espio sentiva le lacrime agli occhi. Non poteva credere che davvero non le importasse niente di lei, che l’avesse voluta solo per i figli che lei poteva dargli. Era un pensiero che lo riempiva di disgusto.

-Espio...?- il coccodrillo rimase sorpreso quando vide che il suo amico era sul punto di scoppiare a piangere. Non lo aveva mai visto tanto sconvolto da qualcosa prima d’ora.

-Era mio padre. L’uomo che stava per pugnalarmi era mio padre.- disse lui, con una voce strana, che quasi non sembrava la sua. Era controllata, ma allo stesso tempo era roca come se fosse stata la voce di una persona in lacrime. Vector e Charmy sussultarono. -Fin da piccolo sapevo che non gli andavo a genio. Mio nonno mi aveva sempre detto che era perché mia madre era morta dandomi alla luce, mentre io ero vivo. Però pensavo sempre che se fossi diventato il migliore ninja del mondo lui avrebbe iniziato ad accorgersi di me, a capire che forse anche lui mi voleva bene come gliene volevo io. Invece... Ha passato tutti questi anni a cercarmi solo per uccidermi! Per una stupida superstizione!-

Espio non riuscì a trattenere le lacrime. Per lui era troppo persino parlarne. Credeva di avere la forza per poterlo fare, e invece aveva finito col voltare le spalle ai suoi amici per non fargli notare che stava davvero piangendo. Che stava davvero sprecando le sue lacrime per una persona che non le meritava minimamente. Vector e Charmy non parlarono per tutta la durata del tragitto, e Espio gliene fu grato. I Chaotix quasi non sembravano loro quando rientrarono nella loro casa-ufficio dopo quella brutta avventura. Vector portò Charmy, che si era addormentato durante il tragitto, nella sua stanza, e Espio si trascinò all'interno della casa ignorando il dolore ai muscoli e la pesantezza che il suo corpo sembrava aver acquisito all'improvviso. Contemplò per un momento il salotto, ancora pieno di polvere gialla. Gli sembrava incredibile che fino a quella sera la sua vita fosse andata avanti normalmente, senza nemmeno avere il sospetto ci ciò che stava per accadergli. Chissà da quanto tempo lo avevano trovato, e per quanto tempo lui e suoi amici più cari erano stati sorvegliati senza che lui si accorgesse di nulla... Avevano fatto le cose per bene. Volevano che fosse impreparato davanti a quello che sarebbe accaduto e così era stato. Se non fossero arrivati Vector e Charmy non sarebbe mai sopravvissuto a suo padre. Come era già accaduto quattro anni prima e in molte altre situazioni spinose, Espio doveva la vita ai suoi fedeli compagni. Si chiese se un giorno sarebbe riuscito a dimostrargli quanto teneva a loro, se sarebbe mai riuscito a ripagarli per tutto quello che avevano fatto e continuavano a fare per lui.

 
-Ho messo Charmy a letto.- annunciò Vector, scendendo le scale. Espio rimase immobile davanti all’ingresso, ancora sconvolto per quello che aveva vissuto e perso nei suoi pensieri. Il coccodrillo voleva dargli una pacca dietro la schiena in segno di comprensione, ma si trattenne nello stesso istante in cui vide uno strano segno rosso sotto al collo. Abbassò delicatamente il cappuccio della felpa e vide uno strano
simbolo inciso sulla sua pelle. La ferita era quasi del tutto rimarginata, ma in alcuni punti si era annerita a causa delle polveri rimaste attaccate, mentre in altri era leggermente arrossata. -Quei pazzi ci sono andati giù davvero pesante. Dovremmo fare qualcosa per quella ferita...-

Vector gli fece cenno di andare in bagno e Espio lo seguì senza parlare. Dopo alcuni minuti il coccodrillo portò una sedia dalla cucina e una pentola piena di acqua calda, e prese un vasto assortimento di creme e di medicamenti. Il camaleonte si tolse la maglia nera che stava indossando, rivelando altre ferite e lividi che fecero rabbrividire Vector, che non avrebbe mai creduto di vedere tanti segni di violenza sul corpo di una sola persona. Il coccodrillo gli porse uno specchio chiendogli di poter tradurre il simbolo che gli era stato inciso sulla schiena, e sul suo volto comparve un'espressione simile sia a un sorriso che a una smorfia spaventata quando lesse la frase "il male deve morire". Una delle frasi che anche lui ripeteva spesso durante i combattimenti. Vector lo invitò a non pensare a quella che sicuramente era stata una strana coincidenza. Il coccodrillo immerse una spugna nell’acqua calda e pulì accuratamente tutte le ferite. In un primo momento Espio sussultò di dolore per il contatto con l’acqua calda, ma ci fece l’abitudine e alla fine trovò quel contatto quasi piacevole. Vector si stava muovendo con la maggior delicatezza che gli era possibile per non fargli altro male, ma sapeva che quelli erano solo dei rimedi temporanei. Il giorno dopo sarebbe andato da Vanilla e le avrebbe chiesto dei consigli su come medicare al meglio quelle brutte ferite. Cercava di contenere la rabbia per quello che quei ninja folli avevano al suo amico perché non voleva premere troppo sulle ferite o strofinare troppo forte.

-Va meglio?- gli chiese il coccodrillo all’improvviso, iniziando a spalmargli sulla schiena una crema che avrebbe dovuto far riassorbire gli ematomi.

-Un po’.- gli rispose Espio, con voce soffocata e con una faccia da funerale. Vector non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe retto a vederlo in quello stato.

-Non ci pensare. È tutto finito. Sono saltati in aria, li hai visti anche tu. Non ti faranno più del male.- gli disse, tentando di rassicurarlo. Espio abbassò la testa in risposta, come per comunicargli che non erano i ninja il problema. -Non so cosa ti sta frullando per la testa, ma sento che non è niente di bello. Ma ti capisco. Non riesco minimamente a immaginare come potrei sentirmi se il mio stesso padre cercasse di farmi la pelle!-

-Ti auguro di non provare mai una cosa simile. Fino ad oggi non mi ero mai reso conto quanto la sua opinione contasse per me. Credevo che crescendo questo fantasma mi avesse abbandonato, ma mi sbagliavo. È stato orribile sentirmi dare del demonio, sentire che lui ha sposato mia madre solo per la discendenza... Non ha mai detto una parola d’amore, nemmeno per lei! Per lui potevamo morire entrambi, non gli sarebbe importato! Come mi dovrei sentire? Era mio padre, nelle mie vene scorre il suo stesso sangue!-

-Per quello ti consiglio una bella trasfusione!- ironizzò Vector. Il camaleonte gli lanciò un’occhiata dallo specchio che forse avrebbe dovuto sembrare rabbiosa, ma invece ne uscì fuori solo una smorfia strana. -A parte gli scherzi, tu non hai niente da spartire con quella bestia!-

-A parte metà del mio patrimonio genetico.- replicò lui, mesto.

Vector gli batté una mano sulla spalla, stando attento a evitare le ferite più dolorose. -Tu probabilmente sei l’unica cosa buona che quel verme ha fatto in vita sua. Ti ha rifiutato? Ha cercato di cancellarti dalla faccia della Terra? Problema suo. Ora tu sei qui, e lui non c’è più. È andato. Caput. Il fatto che sia stato una persona orribile non deve condizionare la tua vita!-

Espio chiuse gli occhi e respirò profondamente, come se fosse stato indeciso se rivelare o meno un segreto inconfessabile. -C’è stato un momento in cui ho visto me stesso nelle sue parole. Mi aveva detto che le regole del clan in cui sono nato decretano che il capo dovesse avere più di un figlio maschio, e che questi figli si sarebbero dovuti affrontare in una lotta all’ultimo sangue per determinare chi dovesse essere il successore. Mi ha detto che era questione di forza. Solo il più forte avrebbe potuto continuare a vivere, gli altri sarebbero stati distrutti!-

Vector impallidì nel realizzare che una volta, molto tempo prima, un giovane camaleonte molto arrogante e testardo aveva fatto un discorso molto simile a tutti loro prima di andare a farsi massacrare da un orso bruno ricercato da mezza Mobius. Espio si coprì gli occhi con le mani, come se avesse cercato di rimuovere un’immagine sgradevole dagli occhi.

-È stato tanto tempo fa, Espio. Eri solo un ragazzino stupido e immaturo, e ora sei una delle persone più serie e pacate che conosca!- gli fece notare Vector. -Capita a tutti di fare stupidaggini, quando siamo giovani! Non puoi lasciare che un solo, piccolo errore condizioni tutta la tua vita!-

-Non alzare la voce, o sveglierai Charmy.- lo avvertì Espio. Il coccodrillo si coprì la bocca con la mano. -Io ho rischiato seriamente di diventare come lui. So di non essere come lui, che io non avrei mai osato fare quello che ha fatto lui, ma è un pensiero che non mi da pace. Se tanto tempo fa fossi riuscito a sconfiggere quell’orso impazzito da solo lo sarei diventato sicuramente! E se ci penso, mi domando cosa mi renda migliore di lui.-

-Il fatto che tu abbia scelto di affidarti ad un altro tipo di forza, magari. Molto tempo fa hai fatto una scelta, e per questo oggi sei la persona che sei! Non ha importanza come tu sia arrivato a questo punto, l’importante è che tu ci sia arrivato. È vero, a volte sei un po’ distaccato e fai troppo il saputello, ma nessuno è perfetto! A parte il sotto scritto, ovviamente!-

-Ma piantala!- disse Espio, tirandogli un leggero pugno sulla gamba. Il coccodrillo notò con soddisfazione che era riuscito a fargli spuntare un piccolo sorriso sulle labbra, che però morì quasi subito. Vector fasciò con attenzione le ferite e andò a preparare dei panini. Quella sera non avevano cenato e in quel momento stavano morendo di fame. Vector fu sorpreso di scoprire che Espio non lo aveva seguito in cucina, ma che era salito nella sua stanza al piano di sopra.

-Non vuoi mangiare anche tu? Sei tu quello che ha più bisogno di nutrirsi per recuperare le forze, fra noi due.- gli disse il coccodrillo, affacciandosi alla porta. Espio si era infilato i pantaloni del pigiama e si era disteso sul letto con le braccia incrociate dietro la testa. Osservava l’acchiappasogni appeso alla finestra mentre tintinnava dolcemente cullato dal letto.

-Non ho fame, grazie.- gli disse, senza distogliere lo sguardo dall’amuleto con aria pensierosa.

-Stai ancora pensando a quello che è successo stasera?- chiese Vector, sperando in una risposta negativa.

-Sì e no.- gli rispose cripticamente. -Stavo pensando a una cosa, una cosa di cui mi sono accorto solo ora. Fino a oggi credevo che mio padre amasse e rispettasse mia madre, e invece... Anche se non fosse accaduto niente, anche se mia madre fosse sopravvissuta alla malattia che l’aveva colpita, noi non saremmo mai stati una famiglia. Dopo stasera ho capito che quelle che erano le mie fantasie infantili, le cose che mi hanno spronato ad andare avanti per una buona parte della mia vita erano solo illusioni!- il camaleonte scattò improvvisamente a sedere come se avesse preso la scossa e fissò Vector con determinazione. -Vector, se mai un domani dovessi sposarmi e avere dei figli lotterò con tutto me stesso per fare in modo che non si sentano mai come mi sto sentendo io adesso! Farò in modo che almeno loro crescano in una vera famiglia, per far sapere loro che potranno avere sempre qualcuno su cui contare, sempre e comunque. E se mi sposerò, non sarà solo per avere dei figli, ma perché proverò davvero qualcosa per la persona con cui passerò il resto della mia vita! Promettimi che se mai dovessi iniziare a comportarmi come mio padre, tu mi riporterai alla ragione. Non permettermi di commettere gli stessi errori!-

Vector era rimasto letteralmente impietrito per quella richiesta improvvisa. -Certo che lo farò! Come mai ti è venuto in mente questo pensiero, collega?
Perché hai paura di non trovare la persona giusta e di volerti sposare solo per soddisfare il tuo ego come probabilmente ha in parte fatto il tuo vecchio? Stai diventando paranoico, ragazzo: non puoi lasciare che il pensiero di quello che ti ha fatto tuo padre invada anche la tua vita sentimentale. Non quando ancora non ne hai una!-

-Vector, abbassa la voce. Charmy è nella stanza accanto.- gli ricordò il camaleonte, ignorando il fatto di averla alzata anche lui a sua volta. -Finora non ho mai realmente pensato a cosa voglio fare in futuro. Certo, voglio continuare a fare il detective e a lavorare all'agenzia con te e Charmy, però ammetto che non mi dispiacerebbe l'idea di crearmi una famiglia un giorno. Sposarmi, avere dei figli. Però... Forse ancora sono troppo scombussolato da questa storia per poterne parlare seriamente!- disse lui, distendendosi su un fianco in un vano tentativo di chiudere la conversazione. -O forse ci sto pensando perché vorrei solo sapere com'è vivere in una vera famiglia.-

Vector rimase impietrito per un istante. Poi scoppiò improvvisamente a ridere e abbracciò Espio di scatto, ignorando completamente le sue ferite. -Stupido testone, per il momento non ti serve quel genere di famiglia, non quando hai già noi! Per noi tre sei come un fratello, anzi, di più! Siamo talmente legati che in confronto i pappagallini inseparabili sono dei passeri solitari! Anzi, siamo così legati che al confronto Sonic e Tails sono nemici giurati! Certo, a volte il fatto che sei espansivo come un fermacarte può far dubitare che tu sia effettivamente capace di provare qualcosa, ma sono certo che sotto sotto anche tu ci vuoi bene nello stesso modo in cui noi te ne vogliamo! E non provare a negarlo!-

-Mi fa piacere sapere che pensi queste cose, Vec. Però ora lasciami andare, mi fanno ancora male le costole!- si lamentò il camaleonte, che però sorrideva nonostante il dolore per quell’improvvisa manifestazione di affetto. Vector e Charmy potevano essere infantili, potevano fargli perdere la pazienza con le loro bambinate, ma ciò non gli era mai importato dal momento che gli voleva bene. Vector aveva ragione: per lui ormai i Chaotix non erano più solo dei colleghi o i suoi migliori amici, erano la sua famiglia e niente avrebbe potuto cambiarlo. A volte non era il sangue che stabiliva quei legami, ma l’anima: Espio, con la sua aria torva e i suoi modi di fare furtivi e silenziosi sarebbe potuto sembrare fuori posto se comparato ai molto più allegri e vivaci Vector e Charmy, ma in realtà non lo sarebbe mai stato. Anche se non lo dava a vedere, anche lui si divertiva quando assisteva alle sceneggiate dell’ape e del coccodrillo. Non li rimproverava il loro comportamento e non lo avrebbe mai fatto. Il più delle volte si limitava a controllare che il loro comportamento non superasse la soglia del decoro in pubblico.

Il coccodrillo liberò il camaleonte dalla sua morsa, lasciò che si distendesse di nuovo sul letto. Si sentiva troppo stanco per continuare a rimanere seduto. Gli si stavano chiudendo gli occhi, ma non aveva intenzione di addormentarsi prima di sapere un’ultima cosa che gli era appena venuta in mente. Erano anni che voleva quell'informazione, ma fino al momento in cui non era stato ad un passo dal perdere la vita aveva avuto troppa paura di chiedere cosa pensava Mighty di quello che era accaduto quattro anni prima.
In quel momento avrebbe tanto voluto dormire, ma sentiva che se non lo avesse chiesto in quel momento probabilmente non lo avrebbe fatto mai più.

-Vector, Mighty ha mai parlato di me e di quello che è successo nelle sue lettere?- chiese il camaleonte, con tono strascicato.

Il coccodrillo sorrise nel vedere che finalmente, dopo tanti anni, si era deciso a fargli quella domanda che gli si leggeva in faccia ogni volta che riconosceva la calligrafia di Mighty sulle lettere e le cartoline che di tanto in tanto comparivano in mezzo alle bollette da pagare. -No. Chiede sempre di te, ma non ha mai mostrato di avercela con te in alcun modo. Sapeva che non pensavi davvero le cose che gli hai detto quella volta.-

Espio aprì gli occhi, ma quello fu l’unico segno di sorpresa che diede. -Allora perché se n’è andato?-

Vector capì all'improvviso quale era stato il motivo dell’esitazione del camaleonte nel chiedere sue notizie per tutto quel tempo e sgranò gli occhi. -Come ti è venuta in mente una cosa simile? Espio, Mighty non se n’è mai andato per causa tua! Ricordi che prima che creassimo l’agenzia Mighty studiava archeologia? Ha continuato a farlo per tutto il tempo che è stato con noi, e proprio nello stesso periodo in cui si è verificato l'"incidente" ha ricevuto una borsa di studio per visitare i più importanti siti archeologici del nostro pianeta! E dire che te lo aveva anche detto quando eri ricoverato! Anche se effettivamente l’infermiera aveva detto che avresti potuto avere dei problemi nel capire ciò che ti stavamo dicendo, nonché difficoltà nel parlare: nessuno ha capito cosa tu abbia cercato di dire quando Mighty ti ha salutato prima di andare a prendere l'aereo!-

Anche se la sua espressione era neutra, Espio era incredulo. Come era stato possibile che avesse passato tutto quel tempo credendo di avere una colpa che in realtà non aveva? Era talmente contento della cosa che pensò persino di essersi già addormentato e di stare già sognando. -Fra quanto tempo tornerà?-
 
-La borsa di studio scade ufficialmente fra sette mesi, ma non ha escluso che potrebbe tornare anche prima. Anche se ha passato tanto tempo lontano non ci ha mai dimenticati. Gli manchiamo tanto quanto lui manca a noi. Il che è comprensibile, dato che anche lui è parte della famiglia!- disse Vector, con un sorriso. Si vedeva che era molto eccitato all'idea che Mighty sarebbe tornato presto da loro. Il team Chaotix sarebbe stato di nuovo al completo, e niente li avrebbe più separati. -Ora che finalmente lo sai ti senti più rilassato?-

-Molto. Ti ringrazio per avermelo detto.- disse Espio, chiudendo gli occhi con un sorriso. Il coccodrillo notò che il suo socio si addormentato quasi all’istante, stremato dalle fatiche e dalle emozioni che aveva provato quella notte. Vector gli rimboccò le coperte come se fosse stato un bambino e spense la luce della sua camera, lasciandolo riposare in pace dopo una notte che tutti loro avrebbero fatto in modo di dimenticare il più in fretta possibile. Vector notò l’acchiappasogni che stava tintinnando alla finestra e sperò che quel piccolo amuleto aiutasse il suo amico a dimenticare in fretta la brutta esperienza che aveva vissuto e gli permettesse di dormire sonni tranquilli.
  
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