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Autore: Shainareth    01/09/2007    7 recensioni
*** 1^ classificata al primo concorso di Art Fiction indetto dal Midori Mikan. ***
"Decise di analizzare la questione. Zoro: era rozzo, volgare, anti-romantico per eccellenza, e violento; ma di un’imponenza, una virilità, un orgoglio ed un coraggio senza pari. Era vieppiù ottuso, ignorante come una capra, e cocciuto; e tuttavia aveva dalla sua un senso di giustizia, di amicizia e di lealtà ineguagliabili. Nami non aveva la più pallida idea di quel che lui poteva averle promesso mentre davano sfogo alla passione, ma di una cosa poteva esser sicura: Zoro non era un bugiardo, Zoro manteneva sempre la parola data – tutt’al contrario di lei, insomma."
(ZoroxNami).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE CONSEGUENZE DI UNA NOTTE

 

 

 

Un lampo illuminò i nuvoloni neri che coprivano il cielo del mattino, ed una manciata di secondi dopo il tuono rispose al suo richiamo. Ma non c’era da preoccuparsi per quell’acquazzone scoppiato all’improvviso, diceva Nami: il vento era debole, e loro si stavano avvicinando ad un’isola dal clima estivo, ne era sicura. A conferma di ciò, la bella navigatrice aveva aperto un vecchio volume polveroso – recuperato dalla libreria della propria cabina, che ormai condivideva da un po’ con l’altra donna dell’equipaggio, Nico Robin – sul tavolo della cucina, sotto gli occhi dei compagni, più intenti ad ingozzarsi con la colazione che ad ascoltarla. Eccezion fatta per il biondo cuoco, naturalmente, che mai, per nulla al mondo, avrebbe perso una sola delle sillabe uscite dalle deliziose labbra della cara Nami. Labbra che ora il giovane fissava, per una volta in vita sua, senza apparente desiderio.

   «Nami-san,» cominciò quindi ad esprimere i propri dubbi il galante Sanji, il cipiglio preoccupato, mentre si accostava alla ragazza, seduta come di consueto tra Robin ed il più pigro dei membri della ciurma di Cappello di Paglia, Roronoa Zoro. Nami alzò distrattamente lo sguardo sul cuoco, e questi continuò: «Qualcosa non va?»

   Il cuore della navigatrice fremette per un solo, maledetto istante, confermando tosto l’ansia del compagno nella donna che le sedeva accanto. Robin, tuttavia, non fiatò, e Nami fu libera di sfoggiare uno dei suoi migliori, quanto falsi, sorrisi, pronta a rassicurare Sanji che tutto andava ottimamente.

   «Ma ti sei morsa le labbra, per caso? Sei nervosa? Sicura che non ci sia nulla che non ti turbi, mia cara?»

   A questo nuovo attacco, la fanciulla dal caschetto rosso aggrottò le sopracciglia quasi quanto quelle del musone che sedeva alla sua sinistra – Zoro era infatti spesso monoespressivo quando lo si lasciava da solo, immerso nei propri pensieri, e la sua fronte risultava perennemente corrucciata senza reale motivazione. La punta dell’indice e del medio della mano sinistra di Nami – con la destra ella continuava a tenere la forchetta – andarono quindi a sfiorarle la bocca, riconoscendo subito, al contatto, la veridicità delle parole di Sanji.

   Merda. Si era morsa le labbra per il nervosismo e non se ne era nemmeno accorta. «Sarà stato l’improvviso calare della temperatura, dovuto alla pioggia, che me le ha screpolate.»

   «Ma non avevi detto che ci stavamo recando su un’isola estiva?»

   Colui – pover’anima – che pronunciò quella subdola quanto legittimissima domanda, fu seccato da due pupille furibonde, oltre che da una forchettata fra gli occhi che Nami giustificò con uno dei suoi soliti e ragionevoli attacchi di isteria. «Se allora ascolti la gente quando parla, perché fingi sempre di non capire quel che ti si dice?!» ululò fra le urla di dolore del povero capitano che ora, piombato in terra dalla panca sulla quale era seduto fino a poco prima, agitava convulsamente le gambe per aria, tentando di estrarre i denti della forchetta del proprio ufficiale dalle cervella, senza possibilmente trascinare anche queste fuori dalla scatola cranica.

   Inutile dire che Chopper, dopo aver istintivamente usato il Guard Point, timoroso di essere in qualche modo coinvolto dai nervi della ragazza, si precipitò in soccorso di Rufy in qualità di medico di bordo.

   «Basta, m’è venuto mal di testa…» sospirò la cartografa, una mano alla fronte. «Vado a prendere un po’ d’aria» affermò poi, tendendo le braccia in avanti per recuperare il libro. Lo richiuse e lo strinse sotto al braccio sinistro mentre scavalcava la panca alle spalle dei due compagni che le sedevano accanto, in modo da non disturbarli.

   «Nami-san, vuoi che ti prepari una tisana rilassante?»

   «No, Sanji-kun, grazie. Non occorre» sorrise al solo fine di tranquillizzarlo. Quindi, si accomiatò dal resto del gruppo ed uscì sul ponte sotto gli occhi preoccupati non solamente del cuoco, ma anche di Usop che, un grosso tozzo di pane fra i denti, non aveva bevuto le scuse accampate dalla compagna. Scuse che, era palese, nessuno di loro aveva prese per vere, ma che nessuno si scomodò a smontare per non dover fare la fine di Rufy che, poveraccio, ora si accingeva nuovamente a sedere al tavolo con un vistoso cerotto sulla fronte che gli conferiva un aspetto tremendamente ridicolo, ed il cappello di paglia sulle spalle, scivolatogli dal capo allorquando Nami lo aveva violentemente sbalzato a terra.

   Lo sguardo felino di Nico Robin cercò silenziosamente la rude figura dello spadaccino che ora, sparita Nami, le sedeva accanto: Zoro era forse il solo che aveva continuato a mangiare e a bere senza far troppo caso a quanto gli era appena accaduto intorno. Un episodio visto e rivisito, a onor del vero, che si ripeteva su per giù quelle quattro o cinque volte a settimana, e al quale egli, come lei, aveva ormai fatto il callo.

 

Chiusa la porta della cucina alle proprie spalle, Nami rabbrividì subito per la doccia fredda che pioveva prepotentemente dal cielo ancora occupato dai pesanti e scuri nembi che non volevano saperne di lasciar filtrare neanche il minimo fascio di luce solare. Non poteva tornare in cabina, non le sarebbe riuscito di rilassarsi. Non lì, sul suo letto, dove invece avrebbe avuto voglia di rifugiare se stessa dalla pioggia e dai propri pensieri.

   Ma cos’è che turbava la bella navigatrice della Merry? Delle immagini. Immagini troppo assurde per esser vere, ma troppo, dannatamente realistiche per appartenere alla sfera onirica.

   La sera prima, sulla nave, si era svolto un festino, uno dei tanti che la ciurma organizzava sovente per distruggere la noia che a tratti calava su di loro durante le lunghe traversate fra un’isola e l’altra. E come accadeva il più delle volte, avevano tutti alzato il gomito. Ecco, lei era stata una delle amanti più focose dell’alcol servito da Sanji, quella notte, ed il risultato della sua ingordigia era divenuto presto la cagione del tormento che adesso l’assaliva. Era stata troppo brilla, infatti, per ricordare ora, a mente lucida, se quel che, a sparuti flash, le tornava alla mente rispondeva a verità oppure al sogno. Sapeva solo che quella mattina si era svegliata sì nel proprio letto, il logpose appoggiato come sempre sullo scrittoio per paura di danneggiarlo nel sonno, i vestiti e le scarpe gettati alla rinfusa sul pavimento come ogni qual volta eccedeva con l’alcol; però… Ecco, c’era un però. Un però che nemmeno ricollegava al suo essersi svegliata avvolta nel lenzuolo di cotone – ed unicamente in quello – ma a qualcos’altro. Più precisamente a quelle maledette immagini alle quali ancora Nami non riusciva a venire a capo, e che tutt’ora la facevano rabbrividire – se per ribrezzo o altro non sapeva ben stabilirlo.

   Scrollò quegli odiosi, assillanti pensieri con uno scossone del capo, decisa più che mai a dimenticare ogni cosa, e mosse i primi passi verso la scaletta che, a poppa, l’avrebbe condotta dagli amati mandarini un tempo appartenuti alla sua mamma adottiva.

   La porta della cucina, però, si spalancò una seconda volta, mostrando uno Zoro sbadigliante, una mano ancora alla maniglia, l’altra nella pancera verde che gli faceva perdere i tre quarti del fascino che avrebbe altrimenti avuto un giovane dall’aspetto piacevole ed aitante come lui. Lo spadaccino si accorse solo in un secondo istante della sua compagna – la quale già meditava una fuga, senza tuttavia osare metterla in atto per non dar credito alle parole pronunciate da Sanji pochi minuti prima.

   «Hai mangiato pochissimo» osservò Roronoa, richiudendo la porta e facendosi più vicino alla ragazza. «Sicura di star bene?»

   «Certo» rispose Nami dopo un attimo di esitazione, e senza dare un tono particolare a quella risposta. Ma, per quanto si sforzasse si apparir rilassata, i suoi occhi non volevano saperne di incrociare lo sguardo di lui, andando piuttosto a posarsi sulla sua figura. Ahi. La pioggia battente era così infingardamente bastarda da avergli già inzuppato la maglietta bianca, rendendola perciò trasparente. E come un lampo, una delle immagini più vivide rimaste impresse nella memoria della rossa, quella di due corpi nudi che si cercavano fra le lenzuola, la fece nuovamente sobbalzare.

   Distolse con fare precipitoso gli occhi dal compagno, portandosi, impacciata, la mano destra al petto, la sinistra che ancora stringeva il libro dalla copertina rigida che bene o male riparava in qualche modo le pagine dalla pioggia.

   Accortosi di questa reazione, e unita a quelle seppur impercettibili che aveva scorto a tavola, Zoro si massaggiò la nuca con una mano, sospirando pesantemente: sapeva bene cosa provava la ragazza, lo sapeva fin troppo bene. Risoluto a parlarne con lei per dissipare ogni equivoco di sorta, tese una mano, al fine di richiamare la sua attenzione, e la prese con fare gentile per un polso.

   Non aspettandosi una mossa del genere, Nami trasalì al punto da lasciar cadere il libro in terra senza neanche avvedersene, lasciando che si inzuppasse d’acqua. Ed osservando quella mano grande, forte, ruvida – così diversa dalle sue piccole e lisce! – una nuova immagine, quella di una carezza gentile data da quella stessa mano, le balenò alla mente.

   «Non mi toccare!» esclamò spaventata la ragazza, liberando il braccio dalla presa di lui con un brusco scossone.

   Impietrito, Zoro la fissò sconcertato, la mano ancora tesa in avanti che ormai stringeva il vuoto. Non fiatò.

   Fu Nami a farlo quando, accarezzandosi con fare confuso il polso che lui le aveva appena stretto, balbettò un poco comprensibile: «Ah…» Si era immediatamente resa conto di aver avuto una reazione spropositata a quel gesto del tutto innocente.

   La pioggia continuava a cadere scrosciante, arrivando a formare delle pozze d’acqua ormai su quasi tutta la superficie del ponte, specie sulle tavole di legno degli scalini alle spalle della navigatrice. Era, quello dell’acqua che cadeva dal cielo e baciava il suolo, l’unico rumore che si udiva intorno a loro.

   Non reggendo più né l’opprimente silenzio né l’imponente figura dello spadaccino, la ragazza cercò di rispolverare il sorriso che aveva rivolto a Sanji a colazione, ma con ben scarso successo; anche perché quell’espressione più agitata che allegra fu accompagnata da una serie di inutili parole bofonchiate nell’imbarazzo più completo.

   «Scusa, sai… Questa pioggia mi aumenta il mal di testa, per cui divento nervosa…» farfugliò, dando quindi conferma, anche se con una menzogna, alle parole del cuoco.

   Zoro però rimase muto, e l’ansia di Nami crebbe. La cartografa indietreggiò di un passo, poi di un altro, senza avvedersi di aver ormai raggiunto le scale. Il giovane se ne accorse, invece, e temendo che la compagna mettesse un piede in fallo e precipitasse malamente di sotto, si mosse verso di lei con uno scatto. Ancora una volta, però, quel nobile gesto venne temuto dalla ragazza, che subito indietreggiò nuovamente, come d’istinto. E pur rischiando di cadere per il dislivello fra il primo gradino ed il ponte su cui si trovavano, riuscì a mantenere l’equilibrio.

   Adombratosi per il suo modo di fare, Zoro strinse le mascelle ed incupì lo sguardo. «Smettila di comportarti come una sciocca: quel che è fatto è fatto, ormai» la riprese quindi bruscamente, senza più tanti riguardi.

   Il cuore di Nami sussultò di nuovo, e di nuovo lei si morse le labbra: allora era accaduto davvero…

   Chinò il capo, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi in un senso di abbandono, e finalmente parlò con fare sicuro. «Hai ragione. Quel che è fatto è fatto. Però… avresti anche potuto aver riguardo, visto che non ero lucida» affondò a quel punto.

   «Perché, quando mai tu ne hai avuto per me?» ribatté lui, con veemenza tale che la ladra, indispettita, lasciò immediatamente da conto il pudore – che invero non aveva mai avuto in vita sua – per caricarsi di sentimenti negativi.

   «Tu…! Brutto animale…!» iniziò, puntandogli il dito indice contro, con fare accusatorio. «Ti sei approfittato della situazione!»

   «Certo! Non sono mica scemo!» confessò Zoro, spazientito, facendola ammutolire. Lei subito sgranò gli occhi, allibita. «Chiunque al mio posto avrebbe agito in quel modo!»

   Ah! Lo ammetteva, quindi! D’accordo, sapeva di esser bella e sexy, una fatale consapevolezza che la rendeva ulteriormente pericolosa per l’intero genere maschile. Ma da qui ad irretire nelle sue maliarde reti di sirena seduttrice persino l’unico uomo tutto d’un pezzo dell’equipaggio…! Accidenti, si era sottovalutata. Già a Whisky Peak aveva vinto l’orgoglio del compagno battendo le ciglia e mostrando due occhioni da lui offesi e delusi – oltre a tutte le volte in cui l’aveva avuta vinta a suon di legnate, si intende – ma mai si era immaginata di raggiungere un tale traguardo: vincere Zoro tentandolo con le proprie grazie.

   No, un secondo. Se anche lei lo aveva tentato sotto i fumi dell’alcol, arrivando così a trascinarselo in cabina e a passare una notte d’amore, tutt’altro che deludente per quel che ricordava, Zoro non era assolutamente tipo da approfittarsi così biecamente delle persone, figurarsi di lei.

   Eppure l’aveva appena ammesso: chiunque, al suo posto, avrebbe agito nel medesimo modo. Era stato dunque tanto avvinto dalla sua bellezza da perdere completamente il nume della ragione? Oppure – Nami rabbrividiva di nuovo al solo pensarci – si era riscoperto addirittura innamorato di lei, al punto da non riuscire, con la forza della sola mente, ad avere la meglio sulla passione che traboccava ormai dal suo cuore, completamente rapito dallo splendore di lei?

   Quest’ultimo pensiero lusingò la fanciulla così tanto, che ella si ritrovava, ora, molto più ben disposta di prima ad ascoltare le spiegazioni del suo pretendente – tale lo vedeva, adesso – uomo di grande valore, al punto che, complici le immagini della notte precedente che ancora scorrevano davanti agli occhi di lei, la mente di Nami annullò di colpo tutti i pregiudizi su di lui e le di lui mancanze in fatto di gentilezza.

   «Bene…» cominciò quindi a balbettare la ragazza, cercando di dominare le emozioni che, sotto lo sguardo perplesso di Zoro, non erano riuscite a non sfumarle il viso di un rosa così grazioso da renderla, insieme ad un’insolita, innocente, nuova luce che le splendeva negli occhi nocciola, ancora più bella del solito. «Quindi… che si fa?» domandò, non senza un lieve tremore nella voce, non già squillante come al solito, ma dolce e – quasi – timida.

   Infilando le mani nelle tasche dei pantaloni neri nel più rozzo dei modi, Zoro alzò le spalle. «Ci atteniamo a quanto stabilito ieri notte, no?» osservò nella più totale ovvietà.

   Ovvietà che, si può ben immaginare, a Nami non parve tale. Ricordava la notte d’amore, seppur a brevi ed interrotti flash, ma delle parole, delle promesse, dei sussurri e dei giuramenti non v’era la minima traccia nella sua povera testa sempre più confusa.

   Decise di analizzare la questione. Zoro: era rozzo, volgare, anti-romantico per eccellenza, e violento; ma di un’imponenza, una virilità, un orgoglio ed un coraggio senza pari. Era vieppiù ottuso, ignorante come una capra, e cocciuto; e tuttavia aveva dalla sua un senso di giustizia, di amicizia e di lealtà ineguagliabili. Nami non aveva la più pallida idea di quel che lui poteva averle promesso mentre davano sfogo alla passione, ma di una cosa poteva esser sicura: Zoro non era un bugiardo, Zoro manteneva sempre la parola data – tutt’al contrario di lei, insomma. E queste qualità immense, unite al suo aspetto per nulla sgradevole – era invero un gran bel ragazzo, sosteneva Nami, e se si fosse vestito in maniera un po’ meno trasandata, ne avrebbe guadagnato non poco – e agli sparuti frammenti d’amore che l’avevano inizialmente spaventata, ma che ora le apparivano preziosi al punto da farle trepidare il cuore in presenza di lui, le davano un’unica certezza: quella notte le loro anime si erano unite. E se pure non aveva notato grandi cambiamenti nel modo in cui Zoro le si rivolgeva, questo era indubbiamente da attribuirsi al suo essere poco avvezzo alla galanteria e alle buone maniere. E non di meno, Nami ora sentiva di poterlo amare follemente, o di poter essere sulla buona strada per farlo. Davvero, non lo avrebbe mai creduto possibile, e invece…

   Stese le labbra nel più civettuolo dei sorrisi, e, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno ad un dito, chinò il capo, senza però scostare lo sguardo da lui. «Lo diciamo agli altri?» domandò, ben immaginando la risposta: sebbene la cosa potesse farlo grande ed invincibile contro Sanji, da sempre suo rivale nelle più svariate questioni, orgoglioso com’era, figurarsi se lo spadaccino avesse potuto aver voglia di fornire ai più infantili del gruppo un pretesto per canzonarlo.

   Le parole che egli pronunciò, tuttavia, le fecero corrucciare la fronte. «Lo sanno già, non ricordi? Li ho chiamati a testimoniare mentre concludevamo il tutto.»

   Nami impallidì. «Co-come… come “mentre concludevamo”…?» e lasciò la frase a metà per lo stupore.

   Zoro sorrise con fare furbetto. «Beh, non sono mica così sciocco da contare unicamente sulla tua parola…»

   Il pallore lasciò posto all’ira, e la ragazza avvampò, urlando: «Che cavolo vuol dire che non puoi contare sulla mia parola?! Su una questione tanto delicata, poi?!»

   «E’ proprio per via di questa “questione” che non mi sono voluto fidare» insistette lui, di gran lunga più rilassato, cosa che contribuì ad urtare i nervi della compagna.

   «Ah, e così non ti fidi?!»

   «No, per nulla.»

   «E me lo dici con tanta tranquillità?!»

   «Vuoi che faccia un annuncio solenne con le trombe?» sdrammatizzò Zoro, non vedendo dove fosse il problema. «Non posso fidarmi di te, visti i tuoi precedenti.»

   «Questa è tutt’altra questione, per la miseria!» continuò a vociare Nami nella sua animata protesta. «Come puoi pensare ch’io sia capace di... di…?!» e concluse la frase con un ruggito di rabbia, pestando un piede in terra e schizzandosi così l’acqua fino alle caviglie. «Tu non mi conosci affatto, Zoro!»

   «Oh, sì che ti conosco, mia cara» sbuffò a quel punto lui, cominciando a credere che, nonostante tutto, Nami volesse rimangiarsi la parola data. «E gli altri sono stati tutti d’accordo con me» aggiunse, pronto a perorare la propria causa con mille argomentazioni ed appoggi.

   E così tutti la credevano una poco di buono, una sgualdrina?! Tutti?! Certo, non aveva un grande senso del pudore, ma da lì a far l’amore con qualcuno ne passava! Insomma, ora si parlava di sensibilità, di rispetto e di… di amore…

   Il senso di delusione che si abbatté su di lei, schiacciandola in un oscuro stato di smarrimento e desolazione, fu tale che Nami perse ogni voglia di controbattere – con grande stupore dello spadaccino che mai era riuscito a ridurla al silenzio così vittoriosamente e senza troppo impegno. La navigatrice lo fissò un’ultima volta, con furia, delusione, rancore, e si voltò di scatto verso le scale, pronta a piantarlo lì senza mai più rivolgergli la parola.

   Fu un attimo: si girò, il suo piede scivolò sulle tavole bagnate, e lei rovinò per i gradini in modo disastroso. Eppure non si fece nulla, giacché non cadde da sola, e neanche le fu concesso di piombare lunga, stesa fra le pozze d’acqua dovute alla pioggia che adesso cominciava a scemare.

   «Tu…» sentì rantolare vicino a lei. Tremendamente vicino. «Tu sei la mia catastrofe personale…»

   Riaprì gli occhi, riprendendo coscienza, e solo allora realizzò di essere fra le braccia del compagno che, accortosi prima di lei della brutta caduta che stava per prendere, era balzato in suo aiuto, precipitandosi così ad attutirle il colpo ed evitarle eventuali fatalità.

   «Sei una stupida!» fu l’urlo agitato che Zoro, il cuore che ancora batteva a mille per lo spavento preso – Nami poteva ben sentirlo, stretta com’era al suo petto – ebbe la grazia di starnazzarle all’orecchio, incurante del fatto che i loro amici erano accorsi dalla cucina per comprendere quanto stava accadendo di fuori. «Vuoi stare un po’ più attenta a dove diavolo metti i piedi?!»

   «E’… è colpa tua che…» provò timidamente a protestare la ragazza, subito zittita dallo sguardo furibondo di Roronoa che, scattando finalmente a sedere e sbalzandola di lato per scrollarsela di dosso, riprese immediatamente nella sua ramanzina.

   «Ti rendi conto che potevi rischiare grosso?! Te ne rendi conto o no?! E se non c’ero io a fermare la caduta?! Se avessi battuto la testa?! Perché, per quale dannatissimo motivo devi mettere quei trampoli per fare il pirata?! Tu e la tua stupida, inutile vanità! Come se non fossi già bella di tuo! Come se ti mancasse l’altezza! Cosa diavolo hai per la testa, si può sapere?!»

   Pareva talmente evidente a tutti i presenti che l’agitazione di Zoro derivasse da uno spavento fuor del comune, che nessuno, neppure Sanji – che in ben altre circostanze avrebbe sputato fuoco e fiamme contro di lui – osò fiatare prima che lo facesse Nami.

   Questa, mortificata oltre ogni dire, e sempre più sopraffatta dalle mille emozioni che continuavano a travolgere il suo cuore di minuto in minuto, si morse le labbra ed esalò un affrantissimo e fievole “Mi dispiace”, reazione che la fece apparire agli occhi dei più come una bambina rimproverata aspramente dal papà.

   Zoro, che detestava veder piangere la gente, specie le donne – e Nami in particolar modo – affondò il viso nella mano. Un lungo, lunghissimo sospiro accompagnò quel suo gesto nel tentativo di poter calmare i nervi. Era un tipo iracondo, così come lo era anche lei, ma non era solito scattare per un nonnulla, perdere il controllo in tal modo senza ragione. Con quello spavento, però, si era giocato almeno dieci anni di vita: Kuina, la cara, amata Kuina, compagna di screzi e spade, colei che aveva condiviso il suo sogno più grande, era morta proprio in quella maniera: le era stata fatale una caduta dalle scale. Se Nami fosse finita allo stesso modo? Zoro non volle – non poté – neanche pensare ad un’eventualità del genere, né a cosa sarebbe accaduto ad ognuno di loro senza di lei. Nami era necessaria a tutti, e non solamente in quanto navigatrice, ma anche e soprattutto come amica. Il vuoto che avrebbe lasciato, non solo fisicamente, sarebbe stato insopportabile, fatale anch’esso come quella caduta che già aveva privato lo spadaccino di una persona per lui tremendamente importante. Se Nami avesse seguito Kuina, Zoro era sicuro che ne sarebbe impazzito – e già folle lo si considerava da un pezzo, a dirla tutta, dalla maggior parte delle persone con cui aveva a che fare anche solo superficialmente.

   «E’ colpa tua, però» fu la frase che lo riportò alla realtà, segno che, ripresasi dalle urla e riacquistato un po’ di orgoglio, Nami aveva già smesso i panni della bambina giudiziosa che impara dai propri errori ed ammette le proprie colpe senza mettere in discussione l’autorità paterna. Zoro scostò il viso dalla mano di quel tanto che potesse consentigli di indirizzarle un’occhiata malevola. «Mi hai dato della sgualdrina.»

   «Io?!» trasecolò il giovane, apparendo a dir poco sbigottito.

   «Sì, tu!»

   «Cos’avrebbe fatto, questo lurido marimo?!» strillò l’indiscusso difensore delle fanciulle, il quale si sarebbe volentieri buttato giù dal cassero se Robin non glielo avesse impedito, trattenendolo con il proprio potere, curiosa – come gli altri tre – di vedere come si sarebbe conclusa quella discussione tra navigatrice e spadaccino.

   «Quando mai avrei detto…?!» non si capacitava quest’ultimo, cominciando a temere che, nonostante tutto, la compagna avesse comunque battuto la testa nella caduta.

   «Oh, non rimangiarti la parola, sai?!» prese colore Nami, indispettita per quell’ennesima delusione. «L’hai detto tu che non ti fidi di me!»

   «Sì, ma che c’entra col fatto che…» prese a farfugliare confusamente lui, capendone sempre meno ed arrabbiandosi sempre più.

   «E non avevi chiamato loro» e la rossa indicò i compagni alle proprie spalle. «per incastrarmi?! Incastrare, poi, una fanciulla ubriaca che… che per una volta in vita sua aveva deciso di dar retta al cuore anziché alla ragione! E’ un oltraggio!» si ritrovò costretta a confessare la poveretta, sopraffatta dal dolore e dalla vergogna di essersi ormai più che esposta davanti a tutti.

   Zoro la fissò, se possibile, ancor più stranito di prima, tacendo per timore di non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto, o forse nella speranza che l’altra si spiegasse meglio. Ma il rossore ed il dispetto di lei erano tali che il ragazzo dovette rassegnarsi a non ricevere altre delucidazioni al riguardo. Si risolse quindi ad aprir bocca. «Nami, ma tu… Ti ricordi cosa ci siamo detti, ieri?»

   Lei divenne ancor più paonazza di prima e si strinse nelle spalle. «Non… non rammento le esatte parole, ma…»

   «Non rammenti quelle, o anche tutto il resto?» A questo punto ammutolì, facendosi pensierosa. Colto da uno strano tic, Zoro riprese: «Tu mi stai accusando di un qualcosa che si basa solo su delle stupide congetture da romanzetto rosa?»

   Nami, coda di paglia, levò un dito al cielo con fare minaccioso e glielo agitò sotto al naso. «No! Ehi! Aspetta!» esclamò, fortemente contrariata, senza quasi rendersi conto del brusco cambiamento che stava per sopraggiungere nella sua testolina rossa. «Chi ha mai parlato di “romanzetti rosa”?!» domandò, acida. «Sperare di poter parlare con te di un qualcosa che vada oltre il dormire, il mangiare ed il maneggiar spade è pura illusione!»

   «Ma hai parlato di sentimenti» infierì la serafica Robin, tappando anche la bocca a Sanji quando questi cominciò ad ululare insulti troppo volgari da potersi scrivere qui in direzione dello spadaccino.

   «TACI, TU!» sbottò Nami, sul punto di una crisi isterica, additando la compagna questa volta. «C’è sempre da parlare di sentimenti, di cuore, di amore, quando si tratta di denaro!»

   Ah, ecco. La sua bocca era arrivata prima di lei al punto. Ora ricordava. Tutto, nei minimi dettagli.

   Durante la sbornia in tandem, Nami aveva condonato il vecchio debito dello spadaccino, debito che ormai ammontava – a dire della cartografa – a circa un milione di berry e che mai, con tutta la buona volontà – che invero non aveva – Zoro avrebbe potuto saldare.

   La bella fanciulla con l’hobby dell’estorsione saettò un malevolo sguardo in direzione di quel gorilla a tre spade che ancora le sedeva accanto e, ringhiando, lo afferrò violentemente per il bavero. «Tu…!» iniziò, furibonda, per poi lasciarsi andare ad urla truculente, tali da atterrire anche il pirata più coraggioso dei quattro mari. Frattanto, Usop aveva messo su un banco di scommesse su quanti secondi sarebbero passati prima che Nami stordisse Roronoa a suon di botte, e Rufy si era subito precipitato a fare la sua puntata, mentre Chopper correva invece a prendere la cassetta del pronto soccorso e Sanji si riprendeva e, la bocca ora libera, cominciava ad incitare la compagna alla rissa. «Sei uno schifosissimo approfittatore!»

   «Ah! Io?!» ribatté Zoro, troppo stupito, nella sua rabbia, per poter reagire altrimenti.

   «Certo!» continuò a gridargli in faccia la ragazza, cominciando, in più, a mostrare il pugno. «Come diavolo t’è venuto in mente ch’io potessi accettare di azzerare per davvero il tuo debito?!»

   «Sei stata tu a propormelo, e loro ne sono testimoni!» replicò ancora il giovane, facendo cenno verso il resto della ciurma.

   «Confermo» risposero prontamente in coro gli interpellati; eccetto Sanji, privato nuovamente di parola per ovvie ragioni, che ora si agitava nuovamente per accorrere in soccorso della sua amata al fine di punire quel villano dalla testa di verza. Tuttavia, il galante cuoco non osava forzare troppo la prigione di braccia con cui Robin lo teneva immobile, incollato alla paratia esterna della cucina, e che alla lunga Sanji scopriva non dispiacergli affatto, vista la quantità di mani che l’affascinante archeologa gli aveva messo addosso – sempre troppo poche, per lui.

   «Un accordo del genere non può essere valido, se effetto di una sbornia, mio caro» risolse allora Nami, mollando la presa sulla maglia di Zoro e distendendo apparentemente i nervi, vista l’evidenza dei fatti. «Ti sei approfittato dei vantaggi che potevi trarne senza tener minimamente conto il senso dell’onore. Che delusione…» sospirò infine, fingendosi davvero affranta. «Ti avevo sopravvalutato, Zoro.»

   Questi, più calmo di lei, inarcò un sopracciglio; e dopo un attimo di silenziosa riflessione, mormorò: «Eppure ieri notte hai detto esattamente il contrario.»

   Nami sobbalzò, cominciando a sudare freddo. Rivolse una timida occhiata al giovane ed impallidì ulteriormente quando ne incrociò lo sguardo: quel bastardo sorrideva. Soddisfatto, per di più.

   «Di che parli?» chiese, al solito curioso come un bimbo, il capitano, cominciando a pendere come una scimmietta dalla balaustra del cassero che affacciava sul ponte, il cappello di paglia legato al collo che pendeva nuovamente dalle sue spalle.

   Lo sguardo della navigatrice si restrinse, e lei segò sul nascere ogni altra possibile domanda da parte di terzi. «Di niente.»

   «Di niente?» ripeté lo spadaccino, con chiaro intento provocatorio.

   «Di niente» confermò lei, ricambiando il sorriso da schiaffi che l’altro le rivolgeva.

   Eccola lì la Nami che conosceva, si disse compiaciuto il giovane. Se fosse rimasta a far la parte della fanciulla in fiore, di sicuro avrebbe dato di stomaco. Ma Nami rimaneva sempre Nami, da qualunque parte la si guardasse. Aveva già anteposto il vecchio credito da riscuotere all’altro e più inquietante – ed accattivante – ricordo della notte appena trascorsa.

 

Era accaduto tutto quando, dopo aver stabilito che Zoro non le dovesse più un soldo, la ragazza si era alzata ed aveva barcollato per tutto il ponte, ridendo senza sosta, ed additando la luna piena aveva esclamato: «Sembra la pancia di Rufy!» E la risata si era fatta più forte per via del paragone azzeccato: il capitano era schiattato accanto all’albero maestro pochi istanti prima, addormentandosi di colpo con un pancione da far invidia al vecchio Lou, membro della ciurma del Rosso. Usop e Chopper, invece, avevano continuato ancora per un po’ l’uno nelle vesti dell’eroico pirata che aveva salvato un ippopotamo dalla furia cieca di un mostro della Calm Belt, l’altro, evidentemente troppo brillo per ricordare che gli ippopotami non vivono nelle acque salate, in quelle del suo più grande ammiratore. Dall’altro capo della nave, Sanji, stanco per la titanica impresa di star dietro allo stomaco di Rufy, una volta libero di uscire dalla cucina, si era subito messo a tallonare la giunonica Robin, l’unica del gruppo ad essere tanto in sé da risolvere di andarsene a coffa con la solita coperta, il solito libro di mille pagine e la solita caraffa di caffè caldo per compagnia nella veglia del suo turno di vedetta.

   «Uh, Sanji-kun mi trascura di nuovo per Robin» aveva osservato Nami, fissandoli da lontano più con curiosità che disappunto. Ma la vanità femminile è grande, e di sentirsi messa in secondo piano rispetto ad un’altra donna, la bella navigatrice non poteva sopportarlo. Aveva quindi adocchiato la propria vittima stravaccata poco più in là, dietro di lei, ancora intenta a tracannare birra; con lo stesso passo barcollante, reso stavolta strascicato dall’aggiunta di malizia nel suo modo di esporsi, la rossa era tornata da dov’era venuta, era piombata alle spalle del giovane, circondandogli il collo con le braccia e buttandosi a peso morto su di lui, unico abbastanza lucido, oltre Robin, da poterle dar retta. Lui l’aveva guardata male, aveva grugnito, ma poi aveva ripreso a bere come se nulla fosse accaduto, come se non avesse mai avuto un paio di mastodontiche tette seminude incollate alla nuca. Stizzita, Nami gli aveva allora soffiato in un orecchio, facendolo rabbrividire, e, scivolando su di lui, gli aveva letteralmente spalmato i seni contro la schiena nuda. Aveva poi riso nell’udire le sue imprecazioni, biascicate fra i denti, e per la sua espressione imbarazzata che lei avrebbe incorniciato all’istante. Infine, divertita dalle sue proteste quando gli aveva scippato di mano la bottiglia, era scattata in piedi ed era fuggita in coperta, ben sapendo che – non essendoci altri fiaschi disponibili nei paraggi, se non quelli vuoti lasciati sparsi sul ponte – lui l’avrebbe senza dubbio inseguita, foss’anche soltanto per schiaffeggiarla.

   Ma gli schiaffi non l’avevano raggiunta, e la bottiglia era comunque stata vuotata in due, poco prima che Zoro, vedendola vicina – troppo – e stuzzicato nella fantasia dal comportamento audace della compagna, aveva reputato l’immagine di lei, illuminata dalle risate, dal rossore del bel volto accaldato per via dell’alcol, e dalla lucentezza degli occhi scuri che lo fissavano fra scherno e malizia, la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua. L’aveva baciata.

   Risvegliata come da un sonno improvviso, Nami aveva ripreso parziale coscienza di quanto stava avvenendo; eppure non si era allontanata né aveva protestato. Semplicemente aveva deciso di prendersi quel bacio, così come lui glielo aveva dato. E quando le loro labbra si erano scostate l’una dall’altra, lei aveva voluto ripetere l’esperimento, trovandolo ancora una volta tremendamente piacevole, proprio come il compagno le stava apparendo più attraente del solito.

   Il resto, poi, era venuto da sé. E nel migliore dei modi, persino, per quel che potevano ricordare entrambi, abbastanza brilli da potersi permettere un tale ardire, e tuttavia ancora lucidi al punto da capire e da vivere appieno le proprie azioni.

   Ma, fra i due, Nami era quella che aveva bevuto di più, e che quindi la mattina seguente avesse avuto un attimo di sbandamento prima di rendersi del tutto conto che quanto accaduto appena poche ore prima corrispondeva effettivamente alla realtà e non ad un sogno, come aveva inizialmente creduto, non parrà strano a nessuno di noi.

 

E adesso? Rimessi insieme tutti i tasselli del puzzle, la ragazza ce l’aveva con lo spadaccino. E non certo perché avevano fatto l’amore nel bel mezzo di una sbornia. Quello che invece ora Nami rimproverava al proprio amante, era la faccia tosta con cui aveva fatto finta di nulla, nonché il fatto di averle fatto fare la figura della scema, divertendosi alle sue spalle, persino. Roba da pestarlo tanto forte e tanto a lungo, da renderlo pressoché irriconoscibile. Beh, magari non così forte e così tanto, si ritrovò a riflettere meglio la ragazza, segretamente allettata dall’idea di poter ripetere anche quel secondo esperimento, di gran lunga più approfondito del primo. Sì, perché Zoro ormai le piaceva. Molto. Forse troppo. Ed era lampante che la cosa non era propriamente positiva, visti i risultati ottenuti.

   «Ah…» sospirò, arrendendosi a se stessa, la navigatrice, tirandosi finalmente in piedi e portandosi entrambe le mani alle tempie. «Mi è aumentato il mal di testa per colpa tua…»

   «Mia?» ribatté con fare scocciato Roronoa, restando seduto dov’era a fissarla dal basso. «E io che c’entro? Sarà per tutto l’alcol che hai bevuto ieri sera.»

   Nami sorrise – e non certo di gioia – e lo guardò molto male. «Ti diverti, eh?» mormorò quasi fra i denti, tanto che nessun altro, a parte lo spadaccino, poté udirla.

   «Mai quanto ieri notte» confessò il giovane, alzandosi per torreggiare su di lei con la sua imponente altezza, le mani in tasca, il sorriso strafottente sulle labbra, gli occhi nei suoi.

   La ladra, seccata, arrossì. «Stupido» farfugliò, riprendendo le scale per raggiungere gli altri mentre il compagno continuava a seguirla con lo sguardo, un’espressione raddolcita in viso. No, non era stata soltanto Nami quella che aveva subito delle conseguenze a livello emotivo dopo quanto accaduto. La vide chinarsi per raccogliere il libro che aveva fatto inavvertitamente cadere alcuni minuti prima, e scrollarlo per levargli dalla copertina e dalle pagine zuppe il grosso dell’acqua. «Speriamo non si sia rovinato troppo…» si lagnò la ragazza, seriamente dispiaciuta. Rivolse una nuova, minacciosa occhiata all’amico rimasto di sotto, e quello inarcò un sopracciglio, perdendo il sorriso: sapeva già cosa gli avrebbe detto. «Ovviamente me lo ripagherai.»

   «Sei stata tu a farlo cadere! Io che c’entro?!»

   «Taci e mettiti al lavoro per asciugare il ponte insieme agli altri» liquidò la questione lei, agitando una mano per aria come a non volergli più dare troppa importanza. «Ha smesso di piovere, e fra non molto il cielo sarà completamente sgombro di nubi. Tutti al lavoro, ragazzi!» ordinò quindi alla ciurma, attirandosi consensi, imprecazioni e baci volanti.

   «La solita aguzzina senza cuore» ringhiò Zoro, prendendo uno spazzolone dal magazzino lì vicino ed issandoselo in spalla, pronto ad obbedire come sempre.

   E mentre si dirigeva a prua, una voce lo raggiunse: «Farete tutte queste scenate ogni volta?»

   Sgranò gli occhi e vide Robin che, un sorriso a fior di labbra, gli passava accanto per andare nella direzione opposta. Argh… ecco l’unica che aveva capito tutto. Accidenti a quella, imprecò fra sé e sé Roronoa. E grattandosi la nuca con fare impacciato, il volto in fiamme per l’esser stato oggetto di analisi da una terza persona, ma soprattutto di scherno da parte di questa, proseguì verso prora.

   Avendo osservato lo scambio di sguardi, Nami scoppiò a ridere, e, cercando di non farsi notare da nessuno, si nascose alla vista degli altri dietro la porta della cucina dove ancora Sanji doveva finire di rimettere in ordine. Si lasciò andare contro la paratia, lo sguardo che da lontano cercava la figura del burbero spadaccino che l’aveva amata poche ore prima.

   Chissà, si disse, che cosa le avrebbe risposto se gli avesse chiesto nuovamente di bere insieme, da soli, nella sua cabina… E ben conoscendo l’esito di quella domanda, per nulla preoccupata di apparire arrogante anche solo a se stessa, la navigatrice mise via il libro per tornare sul ponte ad aiutare il resto del gruppo.




  
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