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Autore: Valeriagp    12/02/2013    8 recensioni
Attenzione! Spoiler sulla 5a Stagione.
Merlin ha cercato Arthur ogni momento delle sue innumerevoli vite. Ormai rassegnato a non vederlo mai più, un viaggio in Metro gli cambierà la vita.
Primo capitolo ispirato ad una fic breve letta su Tumblr mesi fa, di cui purtroppo non ho mai più trovato l'autore.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Galvano, Merlino, Parsifal, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Thousand Years and Back'
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Nota dell’autrice:

Vi ringrazio per le recensioni, e vi chiedo di mandarmene altre! Questa è la prima fanfic che scrivo, e per me leggere cosa ne pensate, nel bene e nel male, è un’ottima scuola per imparare e migliorare.

Questo capitolo è più lungo dei precedenti, avevo bisogno di mettere pià carne al fuoco prima di ciò che accadrà nei prossimi. Buona lettura!

Valeria



"MORDRED!!!"

L'urlo riecheggiò nel salone dell'enorme villa, e fece sì che chiunque si trovasse nei paraggi sparisse alla velocità della luce. Due delle governanti si incrociarono nel corridoio adiacente al salone, e si scambiarono uno sguardo a metà fra il divertito e il terrorizzato, prima che una delle due dicesse, sottovoce: "Ci risiamo. Prepariamoci ad un altro dei suoi sfoghi...."


Mordred era nel suo studio, sdraiato su un divano con davanti a sé un libro, e accanto un blocco pieno di appunti scritti in una grafia decisa ma disordinata, e bordato di scarabocchi di simboli e strane creature.

La divisa scolastica che portava il ragazzo testimoniava il suo status sociale, visto che era di una delle scuole più prestigiose d'Inghilterra.  I suoi capelli neri lasciati crescere più del dovuto, sconvolti ad arte, tradivano invece il fatto che questo ragazzo, delle regole impostegli dal suo stato sociale, se ne infischiava. Gli occhi intelligenti e svegli, del colore del ghiaccio, erano intenti a leggere il libro che aveva davanti, ma allo stesso tempo in essi c'era una nota di divertimento in reazione all'urlo che aveva interrotto il silenzio nel maniero.

 

La porta dello studio si spalancò violentemente e, come un tornado di capelli neri e abito e scarpe firmati, Morgana entrò.


"Mordred! Vuoi spiegarmi che diavolo è successo oggi a scuola??"

"Beh, il solito che succede a scuola, sorella."

"Certo!! Il solito per te! Ma come ti è venuto in mente di far diventare i capelli verdi alla professoressa di storia?!?"


"Ha giudicato insufficiente il mio saggio sull’Inquisizione Cristiana... solo perché sostenevo che la magia non è stata sconfitta con i roghi e le persecuzioni, e che continuano ad esistere al giorno d’oggi potenti stregoni. Mi ha detto che non dovevo scrivere una storia di fantasia bensì un saggio basato sui fatti. Mi sono sentito in dovere di dimostrarle che era esattamente quello che avevo fatto.”


“Mordred, quante volte ti devo dire che non devi esporti così tanto! E’ vero che non siamo più ai tempi dell’Inquisizione, e nessuno ci brucerà al rogo per la nostra magia, ma comunque dobbiamo mantenere il vantaggio della segretezza se vogliamo essere al sicuro...”

“Ma chi se ne importa di essere al sicuro! Io voglio affermare la mia superiorità, Morgana! In fondo noi siamo superiori....”


“Mordred, mio avventato, giovane, e ambizioso fratellino... essere superiori è una cosa; essere superbi è un’altra. Non dovresti volerti imporre, Mordred. Un buon leader non è temuto, ma amato e rispettato. Se vuoi essere visto come una guida, non puoi instaurare il terrore.”


“Detto da te, cara Morgana, fa quasi ridere! Tutta la servitù della casa, e le persone che lavorano per te nell’impresa di catering, sono letteralmente terrorizzati di te!” rise Mordred...

“Ma la loro paura è totalmente infondata... io non farei mai loro del male, anche se potrei tranquillamente trasformarli in statue con la magia!”

“Si ma questo loro non lo sanno, e gli basta un tuo sguardo per scappare spaventati!”


“Non è colpa mia se sono una perfezionista, e se non accetto niente di meno dagli altri sul lavoro... il nostro nome è fondato sull’eccellenza dei servizi che forniamo, quando un VIP si rivolge a noi per organizzare un party, sa già di partenza che il suo sarà l’evento dell’anno, e che tutti ne parleranno per mesi! Se qualcosa va storto, Mordred, perdiamo il nostro vantaggio e possiamo dire addio al nostro stile di vita!”


Mordred era evidentemente poco impressionato dalle parole di sua sorella, anche se lasciò cadere l’argomento.

Morgana si sedette accanto a lui, e gli accarezzò i capelli con dolcezza: “Mordred, lo dico solo per te... i nostri genitori se ne sono andati troppo presto, ed è da quando siamo rimasti soli che mi prendo cura di te. Sai quanto io ti voglia bene e quanto voglia la tua felicità... se solo mi ascoltassi un po’ di più...”


“Io ti ascolto, sorellona, e faccio miei i tuoi consigli... è solo che a volte ho l’impressione di perdere tempo e che dovrei fare di più, osare di più, perché so di essere destinato a grandi cose, e mi sento recluso nella vita di un normale ragazzino di 16 anni, quando so bene di non esserlo...”

“Lo so Mordred, ho avuto anche io questa fase quando avevo la tua età... la ribellione e la voglia di affermarmi mi avevano quasi portato alla rovina. Ma poi ho trovato la mia strada, ho trovato qualcosa in cui eccellevo, e sono cambiata, cresciuta. Vedrai che anche per te sarà lo stesso, prima o poi. Non avere fretta o farai degli errori che potrebbero compromettere il tuo futuro. E io non posso sopportare di vederti fare i miei stessi sbagli, Mordred.”


Mordred finalmente alzò lo sguardo, e in esso si vedevano il grande amore e rispetto che aveva per sua sorella. Le sorrise e l’abbracciò, ben sapendo che aveva ragione e lui avrebbe dovuto essere più cauto, con i suoi poteri. Si ripromise di tenere a bada i suoi bollenti spiriti per i prossimi tempi.


“Cosa hai in programma, Morgana, per il pomeriggio?”


“Fra poco arriverà una potenziale cliente, una certa Ms. Wallace, per valutare insieme la possibilità di organizzarle un evento. Non ho ancora dettagli su cosa voglia realizzare, ma devo essere pronta a qualsiasi possibilità, soprattutto quando chi mi contatta è una virtuale sconosciuta. Non so nulla di lei... Ti va di partecipare all’incontro con me, Mordred? Sei un ragazzo molto intuitivo, magari puoi avere qualche buona idea...”


“D’accordo”, disse Mordred, “Allora vado a togliermi questa noiosa divisa e mi metto un po’ in ordine. Non vorrei far sfigurare la mia sorellona che si è messa in tiro!”


Si alzò ridendo dal divano e si diresse alla sua camera da letto. Morgana rimase seduta qualche secondo in più, poi fece un sospiro e si alzò; con un impercettibile movimento della mano, liberò con la magia il tavolino da tutte le cose che Mordred aveva lasciato lì, e rassettò il divano.


Era tutto pronto per il suo appuntamento.


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Nei pochi secondi dopo che Arthur aprì la porta, rivelando Percival e Leon, accaddero molte cose in contemporanea: Gwaine scattò in piedi a bocca aperta, Merlin si mise a ridere spostando lo sguardo fra tutti i presenti nel salone, Arthur scosse la testa sorridendo e fissando i due ragazzi appena arrivati, che invece rimasero per un momento immobili guardandosi intorno, poi si girarono l’uno verso l’altro, si sorrisero e si abbracciarono.


Gwaine corse verso di loro e si unì all’abbraccio, e iniziò a dire: “Percival, Leon, amici miei!! Ma voi vi conoscevate già! Sapevate chi dovevate incontrare? Io ho appena scoperto tutto! Ma insomma che...”

Arthur si intromise e disse: “Gwaine, lasciali respirare! Sedetevi, miei Cavalieri e raccontateci tutto!”


Percival e Leon riuscirono a scollarsi di dosso Gwaine, si girarono verso Arthur e si inchinarono solennemente in ginocchio. Leon fu il primo a parlare: “Arthur, mio Re ed amico, è un onore incontrarti di nuovo.”

Percival aggiunse: “Mio Re. Sono come sempre al tuo servizio. E sono confuso ma felice di vedere tutti voi.”

Arthur si avvicinò e fece alzare i due, stringendo loro l’avanbraccio nel saluto dei Cavalieri, e li fece accomodare sul divano.


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Gwaine si sedette accanto a Percival, ancora incredulo di avere accanto il suo amico...


Lo guardava e lo riguardava, gli appoggiò la mano sul braccio come per assicurarsi che fosse vero, ed era lì, solido, la sua presenza fisica imponente come la ricordava. Un gigante buono... ed incredibilmente bello... Gwaine si fermò per un secondo a quel pensiero, e staccò subito la mano dal braccio di Percival, come imbarazzato per aver formulato un giudizio di quel genere.


Ma che gli veniva in mente?? Percy era suo amico, suo fratello quasi, e per lui avrebbe spostato montagne, ucciso mostri e belve e combattuto stregoni, ma il suo attaccamento nei suoi confronti era assolutamente e solo da amico!


Alzò lo sguardo e di sottecchi guardò il profilo del biondo, e sentì formarsi nel suo petto una sensazione che poteva descrivere solo come “farfalle nello stomaco”.

Abbassò di nuovo lo sguardo di fretta, e si rese conto che stava arrossendo.... ma che diavolo gli stava succedendo?? Era un uomo, che amava le donne e le aveva sempre amate, e stava per sposarsi. Che significava questa sensazione??


Gwaine decise che ora era più importante capire cose fosse successo ai suoi amici, e come fosse possibile che fossero lì davanti a lui. Avrebbe pensato ai suoi tumulti interiori in un altro momento.


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Leon iniziò a raccontare: “Tutto questo è davvero surreale! Io e Percy ci conosciamo da anni ormai, siamo compagni nel’esercito da quando eravamo reclute, ma fino a quando non ho posato gli occhi su di te, Arthur, non avevo memoria del fatto che lui fosse stato mio compagno d’armi anche in un’altra vita! E’ una sensazione molto strana, i ricordi si sovrappongono adesso! Assurdo...”

Leon scoppiò a ridere, ed intervenne Merlin: “E’ evidente che è il rivedere te, Arthur, che ha sbloccato in tutti loro i ricordi della loro vita precedente! Ora almeno capiamo come succede..”


Arthur annuì, e guardò Percival che era seduto accanto a Gwaine e sembrava esaltato. Disse: “Anche per me è stata la stessa cosa, fino a poco fa non ricordavo niente di Leon che non riguardasse questa vita, ed ora si mischiano ricordi dell’esercito e di Camelot... ma questa cosa mi rallegra tantissimo!! Ora capisco perché ho sempre voluto bene a questo buffone qua!”

Percival disse, e allungò una mano sulla coscia di Leon, dandogli un’affettuosa pacca sulla gamba.


Gwaine seguì la mano di Percival con lo sguardo, e...


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...avrebbe voluto afferrare quella mano e strapparla da lì!! Cosa voleva dire quel gesto?? erano così in confidenza, Percival e Leon, da permettersi carezze così affettuose?? Che significava mai?

Gwaine si ritrovò a pensare che voleva che Percival facesse un gesto come quello nei suoi confronti... e che non ci capiva più niente. Che cavolo voleva? Non era lui il latin lover, il rubacuori che faceva cadere donne su donne ai suoi piedi? E allora perché pensava certe cose di un amico, e uomo?


Aveva l’impressione che presto avrebbe dovuto ragionare un po’ sulle sue priorità.


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Arthur prese la parola: “Leon, Percival, devo dire che ero scettico quando mi è stato detto che erano stati scelti degli operativi per me, ma vedendo che siete voi, ho ancora più fiducia nel giudizio di Mr. Williams. A proposito, uno di voi può dirmi qualcosa su di lui?”

Percival rispose: “Non l’abbiamo mai visto. Ci ha contattato tramite il suo assistente, che ci ha spiegato che dovevamo fare report qui, al Capitano Arthur Smith, per partecipare ad una missione top secret. Non sappiamo altro.”


Arthur soppresse un sospiro... dubitava che avrebbe mai saputo qualcosa di preciso su questo Mr. Williams... era più misterioso della Regina!

Ed ovviamente, come aveva detto Merlin, era uno stregone, e conosceva bene lui e i suoi Cavalieri, tanto da mandarli a lui per aiutarlo nella sua missione. Che Arthur ancora non conosceva.

Iniziava a fargli male la testa... Sentiva di non aver controllo su quanto stava accadendo, e questo lo metteva sempre a disagio. Era abituato a guidare le persone, e a sapere tutto, quindi essere così completamente all’oscuro di cosa avrebbe dovuto fare, lo confondeva e rendeva insicuro.

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Merlin guardava il gruppo di uomini di fronte a lui, e pensava che non avrebbe voluto accanto nessun altro in questo momento. Il loro gruppo stava riprendendo forma, ora tutti loro erano al corrente del perché - per quanto al corrente si potesse essere mentre si stava attendendo di capire quale sarebbe stata esattamente la loro missione.


Merlin decise di eliminare subito l’elefante dalla stanza, e per evitare di dover spiegare di nuovo tutto a Percival e Leon, decise semplicemente di mostrare loro la sua magia.


Protese la mano destra, e mormorò “Upastige draca!”. Gli occhi di tutti per un momento furono su di lui, poi si spostarono sul piccolo drago che si formò davanti a loro, creandosi dal nulla, fatto di scintille come se ci fosse un fuoco nel mezzo della stanza. Arthur guardò Merlin dall’altra parte della piccola creatura magica, e gli fece un cenno di assenso, sorridendo... Merlin era sicuro che Arthur ricordasse che fu così che gli mostrò, per la prima volta, i suoi poteri. Lo stregone rabbrividì a ripensare alle ore successive alla sua rivelazione, quando Arthur lo rifiutò categoricamente, quando era spaventato e sconvolto da quella scoperta.


Da una parte lo capiva, sapeva che gli aveva mentito per tanti anni, non parlandogli di una cosa così importante di sé. In fondo, Arthur si fidava ciecamente di lui, tanto da chiedere il suo consiglio in più di un’occasione, da pari. E Merlin aveva tradito la sua fiducia non rivelandosi prima.


Avrebbe voluto dirglielo centinaia di volte, quando erano a Camelot, ma Arthur era sempre stato ambiguo nel suo atteggiamento sulla magia, e Merlin non voleva mettere il suo amico nella posizione scomoda di dover decidere fra la lealtà al suo regno e alle sue leggi, e la lealtà nei suoi confronti.


In alcuni momenti, Merlin si era anche convinto che Arthur sapesse già, che avesse indovinato da solo che aveva dei poteri, tanto che in alcuni momenti lo stregone era stato molto poco cauto nell’usarli in prossimità del Re. Ed invece il suo testa di fagiolo era poco attento, evidentemente, o lo considerava incapace di qualcosa di così speciale.


Il rifiuto di Arthur lo ferì più di qualsiasi altra cosa avesse provato fino a quel momento, quindi non era spaventato da quella che poteva essere la reazione di Leon e Percival. Qualsiasi cosa sarebbe stata più facile da affrontare che quel “Vattene” sentito tanti secoli fa.


Il drago di scintille battè le ali due, tre volte, e poi sparì. Merlin guardò Leon, poi Percival, in attesa di una reazione... i due lo fissarono a bocca aperta, increduli, e poi Leon scoppiò a ridere sonoramente. Merlin rimase perplesso perché non si aspettava QUESTA reazione, fra le tante.


Leon rise fino alle lacrime, e poi, quando riuscì a ricomporsi, disse: “ECCO cosa c’era che non riuscivo a cogliere di te, Merlin... la magia! E dire che per anni ho ipotizzato teorie su teorie sul perché fossi sempre in prima fila con noi cavalieri, senza nemmeno un’armatura, e riuscissi a tornare indietro SEMPRE senza nemmeno un graffio!! E io che pensavo avessi manie suicide... Ora capisco tutto! E bravo il nostro Merlin!”


Percival aggiunse: “Devo ammettere che sono piuttosto stupito, ma conosco il nostro Merlin e mi fido ciecamente di lui... quindi mi sento di poter accettare questo lato di lui senza alcun problema. Grazie per esserti fidato di noi e di averci confidato questo segreto.”


Merlin sorrise lievemente imbarazzato, essere accettato dai suoi amici era per lui una soddisfazione enorme, e finalmente poteva sentirsi parte del gruppo completamente senza più segreti. Beh, se si escludeva la sua inguaribile cotta per il loro Re... Ma quella era un’altra questione.


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Il gruppo a quel punto si rilassò. Era una situazione così tranquilla, in cui tutti iniziarono a chiacchierare a gruppetti: Arthur con Leon, il suo Capitano, seduti sul divano, a raccontarsi chi fossero in questa vita. Gwaine e Percival si erano alzati e spostati vicino alla finestra, e stavano evidentemente facendo lo stesso.


Merlin rimase fermo per un secondo, poi disse ad alta voce: “Ragazzi, che ne dite di ordinare qualcosa per pranzo? A meno che qualcuno di voi non abbia voglia di cucinare per tutti...”


Arthur guardò Merlin e disse, con tono scherzoso: “Perché, Merlin, tu hai qualcos’altro da fare? So che sei arrugginito, ma il tuo ruolo di servitore...”

“Te lo dò io, il mio ruolo di servitore!” disse Merlin, e iniziò a bombardare Arthur di frutta facendola volare con la magia dalla cucina. Arthur venne colpito da un paio di mele, poi iniziò a parare i colpi e si alzò in piedi... schivò un arancio, afferrò una fragola ed avanzò verso Merlin con aria divertita.


Merlin, intuendo le sue intenzioni, si alzò e iniziò ad indietreggiare, lanciando ancora più frutta addosso al biondo, che però continuava a parare i colpi e a lanciare lontano gli improvvisati proiettili.


Arthur raggiunse Merlin, lo afferrò in un abbraccio strettissimo per immobilizzarlo, e gli spiaccicò in faccia la fragola che aveva precedentemente afferrato, cercando di sporcare il più possibile Merlin... che rimase incredibilmente immobile.

Arthur, che nel frattempo si era avvicinato ad un palmo dal viso di Merlin, gli disse: “Beh, Merlin, dov’è finita tutta la tua altezzosità, signor stregone? Che c’è, sei allergico alle fragole? Ho trovato la tua Kriptonite?”


Allora Arthur si rese conto che Merlin, sotto i pezzi di fragola che aveva sul volto, era diventato rosso come un peperone, e non opponeva resistenza. Il biondo si accorse in che posizione erano finiti: Merlin con la schiena appoggiata al muro dietro di lui, Arthur che lo stringeva con un braccio intorno alla sua vita, i loro corpi incollati dalle gambe in su, i loro visi a pochi centimetri di distanza.


Poteva sentire il respiro di Merlin sulle sue labbra, e questo gli fece mollare la presa in fretta e furia. Arthur si allontanò di corsa verso la cucina: mentre andava al lavandino a sciacquarsi la mano, si rese conto di essere arrossito anche lui, e fece di tutto per nasconderlo agli altri, che li stavano fissando in silenzio cercando di non farsi notare.


Arthur disse: “Chiamerò la pizzeria da cui ordino di solito, oggi pizza per tutti. Merlin, vai a sciacquarti la faccia, il bagno è la seconda porta a destra nel corridoio accanto a te. Non impicciarti troppo in giro, potresti rompere qualcosa, sbadato come sei.”


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Merlin rimase per qualche secondo lì, appoggiato al muro, a riprendere fiato... sentire Arthur addosso a lui, sentirsi bloccato fra il muro e il suo corpo, era stato troppo per lui. Il suo cervello era andato in tilt, e tutto quello a cui era riuscito a pensare in quei momenti, era l’odore di Arthur, i muscoli del braccio di Arthur che sentiva tesi intorno alla sua vita, le labbra di Arthur così vicine alle sue.


Se continuavano a giocare così, presto non avrebbe più risposto di sé stesso. Se solo fossero stati soli... Ma ricordare che avevano un “pubblico” costituito da Leon, Percival e Gwaine aveva fatto si che Merlin tenesse sotto controllo i suoi istinti, che lo avrebbero portato senza pensare ad avvicinarsi alle labbra di Arthur, e a baciarlo. E già sapeva che si sarebbe beccato un doloroso ceffone, e l’amicizia con il suo Re sarebbe finita malamente.


Da una parte era stata una fortuna che non fossero soli.


Merlin si risvegliò dal torpore in cui era caduto quando Arthur si era allontanato, e sentì le sue ultime parole... qualcosa a proposito di sciacquarsi la faccia, un bagno e un corridoio. Ancora frastornato si diresse verso il corridoio, e vide che c’erano svariate porte.


Non avendo idea di dove fosse il bagno, visto che non aveva praticamente sentito niente di quello che Arthur gli aveva detto, iniziò ad aprirle a caso... la prima a sinistra era una specie di armeria: c’era di tutto, dalle pistole e i fucili, a coltelli di varie misure... Merlin decise che era meglio non impicciarsi troppo ed uscì, chiudendo silenziosamente la porta. Allora gli venne in mente che era probabile che il bagno fosse una delle due porte in fondo al corridoio, ed aprì la porta alla sua destra.


Accese la luce e si rese conto di trovarsi nella camera da letto di Arthur. Questa stanza era completamente diversa dal salone: tutta su colori dai toni caldi, si vedeva che era stata arredata con amore, con in mente l’idea di creare un ambiente comodo e accogliente.


Merlin sapeva che non sarebbe dovuto entrare, che stava invadendo la privacy del suo amico, ma non resistette: era come vedere uno spaccato della sua vita quotidiana, che era una delle cose che gli erano mancate di più in tutti quegli anni.


Entrò, accostò la porta dietro di sé, e si guardò intorno.


Il pavimento era un parquet di legno color caramello, e le pareti erano di un colore arancio chiarissimo.


Sulla sinistra, c’era un guardaroba a cabina, la cui porta era stata lasciata aperta. Di fronte un’enorme finestra, con delle lunghe tende chiare, parzialmente aperte, che lasciavano intravedere la città al di sotto del palazzo.


Una poltrona comoda accanto ad un tavolino era alla destra della finestra. Accanto all’ingresso del guardaroba, c’era una scrivania con un computer portatile e un numero imprecisato di penne, matite e pennarelli, il tutto lasciato in un evidente disordine.


Alla destra della stanza, un enorme letto, coperto da quello che aveva l’aria di essere un morbidissimo piumino bianco, e svariati cuscini. Per un istante Merlin ebbe la tentazione di sedersi sul letto, prendere un cuscino ed abbracciarlo, pensando che Arthur dormiva lì ogni sera. Ma poi pensò al numero di donne che erano probabilmente state in quel letto, e si fermò. Sapeva che era inutile essere gelosi di qualcosa che non poteva avere, ma il solo pensiero di quello che era stato fatto in quel letto lo infastidiva.


Si diresse silenziosamente verso il guardaroba, e fece un paio di passi al suo interno. Nei vari ripiani c’erano divise militari, completi eleganti, camicie, maglioni, abiti sportivi... Merlin si avvicinò ad una camicia e la annusò, per ricercare l’odore di Arthur che lo aveva inebriato pochi minuti prima. Ma la camicia era profumata di biancheria, evidentemente lavata da poco.

Merlin si rese conto che forse stava esagerando, così decise di uscire dal guardaroba per potersene andare dalla camera da letto e continuare a cercare il maledetto, elusivo, bagno.


Uscendo dal guardaroba aveva di fronte il letto di Arthur, ed istintivamente alzò lo sguardo: si bloccò sui suoi passi perché aveva visto una cosa onestamente incredibile.


Un enorme dipinto di due occhi, in bianco e nero, che erano evidentemente i suoi.

Arthur aveva un dipinto degli occhi di Merlin sopra al proprio letto.


Chiuse un momento gli occhi, e gli tornarono alla mente le parole che Arthur gli aveva detto quella mattina: I tuoi occhi, in particolare... il tuo sguardo mi ha accompagnato per tutti questi anni.... Ho cercato i tuoi occhi per gli ultimi 20 anni...”


Dovette sedersi. Arthur aveva cercato i suoi occhi per tutti quegli anni, e non trovandoli, si era fatto realizzare un dipinto, a memoria, di essi. Guardò per qualche minuto il quadro, e notò tutti i dettagli, i particolari, e non c’erano dubbi che fossero proprio i suoi occhi. Come aveva potuto ricordarli con così tanta precisione? Quante volte li aveva osservati, mentre erano a Camelot, per poterli ricordare così bene? E soprattutto, cosa significava tutto ciò?


Merlin decise che era davvero il momento di andarsene, l’ultima cosa che voleva era che qualcuno lo scoprisse lì dentro, ad invadere un luogo privato ed evidentemente sacro per Arthur.


Si alzò dalla poltrona, si diresse alla porta, spense la luce, e mentre stava uscendo e chiudendo la porta, sopraggiunse Arthur dicendo “Merlin, dove diavolo sei? sono arrivate le pizz...”. Arthur si interruppe, raggelato, quando vide che porta stava chiudendo Merlin. Lo fissò per un lungo istante, mentre Merlin si sarebbe voluto sotterrare, imbarazzatissimo sotto lo sguardo del suo amico. Arthur guardò verso la porta, improvvisamente ansioso, e poi di nuovo verso Merlin.


Il ragazzo disse di corsa: “Questa casa è un labirinto! Ma dove cavolo è il bagno?”

Arthur, ancora evidentemente scosso, indicò la porta accanto a quella della camera da letto, si girò senza dire una parola e se ne andò.


Merlin pensò di averla fatta grossa. E poi ripensò che Arthur aveva un dipinto dei SUOI occhi in camera da letto. E il suo cuore, suo malgrado, batté più velocemente, perché sebbene non potesse credere di pensarlo davvero, Merlin iniziò a sperare.


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Gwaine e Percival stavano chiacchierando del più e del meno, quando avevano assistito al siparietto di Arthur, Merlin e la frutta.

Si guardarono sorridendo, e a Gwaine si allargò il cuore a pensare di poter condividere di nuovo con Percival quella specie di telepatia che avevano sempre avuto: Percival lo guardava come a dire “Quei due credono di essere discreti”,  e Gwaine ricambiò lo sguardo con l’aria di chi pensava “Si, e infatti ci riescono proprio bene!”


Arthur tornò in cucina e, dopo essersi lavato le mani, chiamò e ordinò le pizze.

Gwaine aveva voglia di stare un po’ da solo coi suoi pensieri, così disse ad Arthur: “Questa casa di lusso ha anche un balcone? Qua vedo solo vetrate, e io ho una gran voglia di prendere un po’ d’aria...”

Arthur rispose: “Se le va bene lo stesso, Sir Gwaine, c’è un grosso terrazzo sul tetto del palazzo.”

“Oh si, Maestà, andrà benissimo!”


Sorridendo, Arthur spiegò a Gwaine che per salire sul terrazzo, doveva uscire dall’appartamento e salire una rampa di scale. Gwaine allora fece per uscire, e Percival lo seguì dicendo: “Anche io ho voglia di prendere un po’ d’aria. Posso farti compagnia?”

Gwaine sorrise e aprì la porta a Percival, e insieme si diressero al terrazzo.


Una volta che furono all’aperto, videro delle sdraio in un angolo, accanto ad un ombrellone chiuso, e vi si diressero. Si sedettero, ed entrambi allo stesso momento allungarono le gambe e si sdraiarono, le sedie vicine, al sole tiepido di mezzogiorno.


Ci furono degli istanti di silenzio, e alla fine fu Gwaine a interromperlo: “Insomma, sei frastornato da tutto quello che è successo nelle ultime ore?”


“Più che frastornato, sono sconvolto!” disse ridendo Percival, e aggiunse: “Ancora non posso credere  che tu sia seduto qui accanto a me, e stiamo parlando di cose futili. Ricordo l’ultima volta che ti ho visto... Vederti morire è stato orribile. Non posso ripensare a quanto mi ha perseguitato negli anni successivi.”


Gwaine era lusingato, da quelle parole, ma come sempre tentava di buttare tutto sullo scherzo; “Naahhh, dev’essere stato un sollievo liberarti di me... finalmente non c’era più nessuno a farti scherzi di cattivo gusto! Ricordi quella volta in cui ti feci trovare un enorme ranocchio verde nel letto, con un biglietto che diceva ‘Prova a baciarla, magari diventa una principessa’?”


Percival scoppiò a ridere, e aggiunse: “E io per vendicarmi ti mandai un servo vestito da donna, che ha dovuto dirti. ‘Sono la tua principessa, grazie per avermi liberato dall’incantesimo’”


Percival rideva con le lacrime agli occhi, e Gwaine rise con lui, godendosi quella sensazione di complicità che, da quando aveva ricordato la sua altra vita, era quello che più gli mancava.


Percival si ricompose, e si fece di nuovo serio: "Sai, quando sono rimasto solo, ho vissuto in una specie di limbo... Non che non amassi e rispettassi Gwen, ma tutto quello che conoscevo ed amavo era sparito. Arthur era morto. Il sogno di Albion era fallito, almeno per come lo avevamo immaginato, con il Re a capo di essa. Merlin era scappato da Camelot perché non sopportava di tornare senza Arthur... E tu eri morto. Gwaine, non sai cosa sia stato perderti.


Ho ancora i brividi se ripenso a quanto mi sono sentito smarrito senza te al mio fianco... Era come se una parte di me se ne fosse andata. E rivederti stamattina, è stato uno shock: nello stesso istante, ricordare quanto mi mancassi, ed averti di fronte, mi ha davvero sconvolto."


Gwaine abbassò lo sguardo e rimase in silenzio. Nella sua testa giravano mille pensieri, ma quello su cui tornava sempre era che Percival sentiva di aver ritrovato una parte di sè, quella mattina. Era lo stesso per lui. E questo lo confondeva...

Da quando era successo tutto, quella mattina, non aveva più dedicato nemmeno un pensiero a Elena. O al suo lavoro. Tutto scompariva davanti a questo. Era questa la sua vera vita, la sua vera gente, si ritrovò a pensare. Cosa avrebbe fatto con l'altra vita, ora?


Gwaine si alzò dalla sdraio, confuso e preoccupato, e si diresse verso la balaustra. Si affacciò e guardò di sotto, cercando di riordinare i suoi pensieri, che erano un tornado di idee e sensazioni.


Dopo qualche minuto, Gwaine sentì una mano sulla sua spalla: Percival si era avvicinato a lui, e lo guardava con un misto fra preoccupazione ed affetto. A Gwaine si mozzò il respiro a metà, e si girò dall'altra parte. Era tutto troppo intenso...


Percival gli disse: "Tutto bene, amico mio?"

Gwaine rispose: "Starò bene, non preoccuparti. Troppe emozioni, sai che io sono uno che non è abituato a provare così tanto tutto insieme! Sono un uomo semplice."


"No che non lo sei... Fai finta di esserlo, e butti tutto sul gioco, soprattutto quando sei in difficoltà. Ma sei una persona profonda, Gwaine, che tu lo riconosca o no. Io lo so bene."


Gwaine si girò di nuovo verso il suo amico, che lo stava fissando, e questa volta non distolse lo sguardo. Si mosse verso di lui e lo abbracciò. Percival ricambiò l'abbraccio, e Gwaine disse: "Quando questa mattina ho visto Merlin e Arthur, ho provato una gioia enorme. Ritrovare i compagni di una vita, è stato un po' come tornare a casa. Però mancavi tu... E la casa era praticamente vuota, per me.

Mi sono abituato a condividere qualsiasi cosa con te, nel bene e nel male, e il pensiero di non poterlo fare mi distruggeva. Poi vederti lì davanti a me, mi ha allo stesso tempo esaltato e terrorizzato... Cosa vuol dire, Perce? Perchè sono qui abbracciato a te, e non a telefonare alla mia fidanzata?"


Percival si irrigidì per un istante, poi si allontanò leggermente da Gwaine per poterlo guardare in faccia. Gwaine sentì il suo cuore accelerare, e poi vide, prima di sentirla, la decisione in Percival, che si chinò verso di lui e posò le labbra sulle sue.


Gwaine rimase per un istante immobile, sconvolto. Poi qualcosa scattò in lui, e si abbandonò a quello che sentiva dentro di sé. Premette le labbra con più forza su quelle dell'amico, ricambiando il bacio e incoraggiandolo, e Percival prese questo come un segnale per andare avanti. Mise una mano dietro la testa di Gwaine, intrecciando le dita fra i suoi capelli, e socchiuse le labbra.


Gwaine a quel punto perse il controllo e si buttò: la sua lingua seguì il contorno delle labbra dell'amico, e poi si avventurò esitante in cerca di quella di Percival. Ne seguì una danza scoordinata e goffa, in cui entrambi cercavano di dettare il ritmo del bacio, senza successo.


Gwaine non poteva credere che stesse baciando Percival, e si rese conto di quanto avesse desiderato quel momento. Era una sensazione nuova, diversa dal baciare una donna; era quasi una battaglia. Il sapore di Percival era forte, delizioso, il suo odore lo avvolgeva, come le sue braccia enormi che lo stringevano e sembravano aver intenzione di non lasciarlo più.


Percival si allontanò per riprendere fiato, e poggiò la fronte su quella di Gwaine, che a sua volta col respiro corto, lo tenne stretto, le mani dietro la schiena sulla cintura dei suoi jeans.


"Vuoi sapere cosa significa, Gwaine? Che tu provi quello che provo io. Che senza di me non puoi vivere, come io senza di te. E io posso dirtelo con certezza, perchè ho vissuto anni senza di te, e non è stata vita."


Gwaine fissò il suo amico negli occhi, quegli occhi azzurri che adorava, e si rese conto che era vero. Ora che l'aveva ritrovato non poteva immaginare di vivere senza di lui. Ma una fitta di senso di colpa gli trafisse il cuore... Elena.


Cosa avrebbe fatto con lei? In fondo le voleva bene, ma si rese conto in quel momento che non era l'amore della sua vita. L'amore della sua vita era qui davanti a lui, e lo aveva avuto accanto come compagno d’armi per anni, senza accorgersene.


Ma non poteva. Non poteva farlo, non così... Non poteva ferire la sua ragazza in quel modo, erano promessi sposi, la loro casa, i loro progetti... Gwaine soppresse un singhiozzo, perchè era dilaniato e diviso in due da quello che provava.


Guardò un'ultima volta Percival e poi disse, con gli occhi pieni di lacrime: "Non posso, Perce, non così. Perdonami." E si allontanò da lui, ritornando verso l’appartamento.


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Arthur tornò in cucina, si lavò le mani per togliersi i resti della fragola che aveva spalmato in faccia a Merlin, e prese il suo telefono.


Era ancora scosso: non si era reso conto di quanto fosse vicino a Merlin, o per meglio dire appiccicato a lui; preso dallo scherzo lo aveva di fatto immobilizzato col suo corpo e ora non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di averlo così vicino, completamente alla sua mercè, e pensava a tutto quello che avrebbe voluto fargli. Ma per fortuna non erano soli, e così si era risparmiato il rifiuto che sarebbe sicuramente seguito.


Merlin era imbarazzato, lo aveva notato quando lo aveva visto rosso in viso, e sicuramente era a disagio per la situazione in cui Arthur lo aveva messo... a malincuore, si ripromise di stare più attento a come si comportava con lui da quel momento.


Chiamò la pizzeria e ordinò, poi si sedette su uno degli sgabelli che circondavano l’isola centrale della cucina e appoggiò la testa su una mano.

Gwaine e Percival salirono in terrazza, così rimasero soli lui e Leon.


Leon si avvicinò con cautela a lui, si sedette su un altro sgabello, e disse: “Arthur, stai bene? Ti vedo scosso.”

Arthur rispose: “Leon, certo che sto bene, sono solo un po’ stanco da tutti gli eventi di stamattina. Merlin mi ha raccontato cosa è successo a Camelot dopo che io me ne sono andato... Ho saputo di te e Gwen.”
 

Leon abbassò subito lo sguardo, e iniziò: “Sire, io non...”

Ma Arthur lo interruppe subito: “Amico mio, sono felice di sapere che Gwen non è rimasta sola a portare il peso del regno, e che sia stato tu a starle vicino dopo che me ne sono andato. Ho sempre pensato che voi due provaste molto affetto e rispetto reciproco.”


Leon, risollevato da quelle parole, disse: “Questo è vero. Siamo cresciuti insieme, e ho sempre saputo che era una donna buona ed intelligente. Non mi sembrava giusto che venisse usata come moneta di scambio per assicurare alleati a Camelot. Mi dispiace se questo ti ferisce in qualche modo.”

“Non mi ferisce assolutamente... Sai io ho molto voluto bene a Gwen, l’ho sempre rispettata profondamente, e in una qualche forma l’ho sicuramente amata, ma il nostro rapporto era più un’amicizia che un grande amore. Forse lo era stato all’inizio, ma dopo qualche tempo quel sentimento è andato affievolendosi. Ciononostante, sono stato onorato di averla come compagna dei miei anni di regno.”


“Capisco cosa vuoi dire, anche fra noi non c’era un amore sfrenato, noi eravamo due amici che si aiutavano reciprocamente ad affrontare un compito più grande di loro. Non è stato facile governare al tuo posto.”


I due si guardarono e si sorrisero, ma Leon vedeva che c’era ancora qualcosa che non andava nel suo Re.


“Arthur, sei sicuro di non volermi parlare di cosa ti turba? Ti vedo in difficoltà.”

Arthur iniziò di nuovo a negare, ma Leon decise di essere sfacciato e gli disse: “Si tratta di Merlin?”

La testa di Arthur si alzò di scatto, e il Re fissò Leon con aria quasi infuriata, prima di riabbassare lo sguardo e decidere che, tanto valeva confidarsi con qualcuno... “Si, Leon, si tratta di Merlin. Non so come farò a vivergli vicino senza imbarazzare me o lui. Come hai fatto a capire?”


“Capire? Non c’era niente da capire. Voi due siete completamente persi uno nell’altro, Arthur. Si vede lontano un miglio. Si è sempre visto. Nel modo in cui parlate, vi guardate, è dai tempi di Camelot che so che non avete occhi per nessun altro. Ora ho solo avuto conferma che in questa vita, nulla è cambiato.” disse Leon sorridendo.


“Per quello che riguarda me, puoi sicuramente dirlo. Ma Merlin? So che mi rispetta e mi ha sempre aiutato, mi ha sempre servito al meglio delle sue possibilità, ma non sono sicuro che ci sia altro, da parte sua...”


“Arthur, possibile che tu sia così cieco? Non ha occhi che per te, è sempre stato così. Quante volte ci siamo trovati in situazioni pericolose e rischiose, lui ha sempre e solo guardato al tuo benessere, anche a discapito del proprio. Se questo non è amore...”


“O forte senso di responsabilità. Non sono sicuro che tu abbia ragione, Leon. Ma di certo prima o poi troverò il coraggio di scoprirlo.”


Leon allungò una mano e diede una pacca sulla spalla all’amico, e si alzò, visto che nel frattempo era suonato il campanello, evidentemente erano arrivate le pizze.


Arthur si guardò intorno e notò che Merlin non era ancora tornato, così decise di andarlo a chiamare. Entrò in corridoio e lo vide lì, ancora sporco di fragola in viso, con la mano sulla maniglia della sua camera da letto.


Arthur ebbe un tuffo al cuore. Il quadro! Aveva sicuramente visto il quadro.... non poteva crederci. Era così imbarazzato che proprio Merlin avesse visto quanto Arthur fosse ossessionato da lui, tanto da sentire il bisogno di avere un dipinto dei suoi occhi in camera da letto.

 

Arthur odiava sentirsi così esposto, per giunta proprio con l’unica persona che non avrebbe dovuto vedere quel lato di lui, visto che sicuramente Merlin avrebbe intuito quanto grande fosse la sua fissazione con lui, e per paura o ribrezzo, si sarebbe allontanato. E Arthur non poteva sopportare di perderlo di nuovo.


Indicò il bagno a Merlin, e tornò in salone, il suo umore notevolmente peggiorato. Mentre lui tornava, rientrò Gwaine dalla terrazza, e anche lui non sembrava passarsela bene: aveva gli occhi lucidi e sembrava sconvolto.

E Percival dov’era? Cosa era successo in terrazza? Arthur scosse la testa e si disse che i ragazzi avrebbero risolto i loro problemi, lui ora aveva per la testa cose ben più complicate.


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Leon aveva aperto i cartoni delle pizze e li aveva disposti sull’isola della cucina. Dopo Gwaine e Arthur, Merlin e Percival apparvero in salone più o meno allo stesso momento, e si sedettero tutti  per pranzare. Nessuno dei quattro amici alzava gli occhi dalla pizza, e Leon, scuotendo la testa,  si disse che sperava vivamente che si sbrigassero a risolvere i loro problemi, e a capire quanto tenevano gli uni agli altri, perché questa situazione di tensione, e la nota di disperazione che leggeva in tutti e quattro i presenti, iniziava a stufarlo.


Sapeva che Merlin e Arthur si adoravano, e aveva sempre sospettato che anche Gwaine e Percival provassero qualcosa di più di una semplice amicizia. A giudicare dalle loro espressioni, dagli occhi rossi che entrambi avevano, e dal fatto che non si guardavano in faccia, evidentemente era successo qualcosa mentre erano in terrazza, e non era finita bene.


Avrebbe dovuto parlare anche con loro, presto, e cercare di farli ragionare.


Per ora si preoccupò della sua pizza.


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Morgana stava aspettando Ms. Wallace. Era nello studio, seduta alla scrivania, con davanti a sé decine di cataloghi di allestimenti, fiori e pietanze di lusso. Non conoscendo la sua potenziale cliente, doveva essere pronta ad ogni eventualità.


Entrò Mordred, che si era cambiato, mettendo un bel completo elegante blu scuro, con una camicia grigio perla e una cravatta blu, che metteva in risalto la sua carnagione chiara e i suoi bellissimi occhi. Morgana era orgogliosa di suo fratello, nonostante fosse una testa calda era un bravo ragazzo in fondo, era intelligente e diligente a scuola, ed aveva molti interessi ed una cultura superiore a quella dei suoi coetanei.


Dopo pochi secondi, qualcuno bussò alla porta. Si affacciò una delle cameriere, che disse: “Ms. Wallace, signora.”

Morgana fece un cenno e la porta si aprì ulteriormente, rivelando una bellissima donna di circa 30 anni, molto elegante in un completo grigio, dalla carnagione chiara, gli occhi azzurri e i capelli castani. Un tocco di rossetto rosso fuoco le dava un’aria provocante, ma era l’unico indizio di una personalità forte, se si escludeva lo sguardo predatoriale con cui guardò prima Morgana e poi Mordred.


Morgana le andò incontro sorridendo, ed estese la mano destra per presentarsi: “Ms. Wallace, sono Morgana Rogers. E’ un vero piacere conoscerla.”

“Il piacere è tutto mio, Morgana! Ma la prego, mi chiami Nimueh.”

“Nimueh... prego, si accomodi.” Morgana le indicò la sedia di fronte alla sua scrivania.

Una volta che si fu seduta, Morgana aggiunse: “Questo è mio fratello, Mordred. Mi affianca spesso nei miei incontri di lavoro, spero che non le dispiaccia che sia presente oggi.”


“Ma assolutamente, al contrario! Sono felice di conoscere anche te, Mordred. Ho tanto sentito parlare di voi due, e finalmente posso vedere con i miei occhi che quanto ho sentito è assolutamente vero.”


“Beh, spero che abbia sentito cose positive!” Rise Morgana. Mordred sorrise alla nuova arrivata, sicuramente affascinato dalla bellezza della donna. Anche Morgana la riteneva molto interessante, c’era qualcosa in lei che la affascinava.


Dopo qualche secondo, Morgana disse: “Allora, Nimueh, di cosa ha bisogno?”


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In un ufficio anonimo della periferia di Londra, una donna era seduta ad una scrivania, con in mano un cristallo che emetteva luce propria. All’interno del cristallo, era visibile uno studio, con tre persone sedute ad un tavolo, che parlavano animatamente mentre consultavano cataloghi e brochures.


La donna, con un sorriso maligno sul volto, sussurrò, fra sé e sé: “Finalmente, sorella, gli eventi si sono messi in moto. Dopo tutti questi secoli potremo finalmente prenderci quello che è nostro di diritto.”

  
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