Rosa Rubra
Sul mio letto durante le notti
ho cercato
colui che la
mia anima ha amato.
Ca
3:1
Louisa si svegliò
di soprassalto da un altro incubo e le dita le corsero automaticamente alla
lampada sul comodino. La luce cancellò le ultime tracce del sogno,
permettendole di calmarsi e di ricominciare a respirare normalmente.
Seguendo un vecchio
consiglio di Isaiah, prese dal comodino il quaderno e una penna e iniziò ad
annotare tutto quello che aveva sognato.
Descrisse
accuratamente la sensazione di gelo che le avevano lasciato le incubatrici, la
voce distaccata e la forza straordinaria dell’uomo biondo che infestava i suoi
sogni e l’angosciante sensazione di impotenza che l’aveva afferrata mentre
affogava. Scrisse tutto, senza omettere nulla, e poi lo confrontò con i suoi
sogni precedenti.
L’uomo dei suoi
sogni era una costante. Le mostrava scenari terrificanti di distruzione e
violenza, oppure Dimitri morente tra le sue braccia e in tutti, lei non poteva
fare niente.
Alla fine Louisa,
si era convinta che quell’uomo fosse la rappresentazione del suo senso di colpa
per non aver alcun potere. Se li avesse avuti, avrebbe potuto aiutare gli altri
a salvare il mondo e Dimitri si sarebbe affaticato di meno.
Si strinse addosso
la vestaglia e scivolò fuori dal letto matrimoniale. La camera d’albergo, anche
se modesta aveva tutto il necessario per il suo soggiorno a Roma.
Andò in bagno, a
spruzzarsi il viso con dell’acqua fredda quando qualcuno bussò alla porta. –
Louisa? – la voce morbida di Jason la fece sobbalzare. Come aveva fatto a
sentirla? Aveva urlato di nuovo? – Louisa stai bene? Apri prima che scardini la
porta.
Louisa spalancò la
porta con uno strattone. – Cosa vuoi? – chiese brusca. Non aveva voglia di
parlare con Jason né di sopportare la sua ironia o rispondere alle sue domande.
Lui la prese per la
vita e la spostò di peso, facendosi largo in camera sua. – Hai avuto un incubo.
– disse senza preamboli. – Cos’era questa volta?
– Nessuno ti ha
dato il permesso di entrare. – gli indicò la porta ancora aperta. – Fuori!
– Non ho bisogno tuo
permesso. Come tutti i grandi eroi, arrivo al momento giusto. E nessun eroe
chiede il permesso. – si sedette sulla poltrona e accese la lampada da lettura
in ottone, guardando beatamente il soffitto. – Inizia a parlare, Louisa o mi
annoierò. E tu non mi vuoi vedere annoiato.
– Perché,
altrimenti? – lo sfidò. Voleva che se ne andasse e la lasciasse sola, aveva già
rivissuto il suo sogno per scriverlo sul quaderno e non voleva farlo di nuovo
con Jason. Nelle ultime settimane il ragazzo non faceva altro che bombardarla
di domande sui suoi incubi.
Lui lanciò
un’occhiata pigra al letto sfatto e poi alla vestaglia verde di Louisa. – Se
inizierò ad annoiarmi, controlleremo insieme la comodità del tuo materasso.
– Vattene!
Jason si alzò dalla
poltrona e la spinse contro la porta del bagno, impedendole ogni via di fuga. –Mandami
via.
– Potrei ordinarti
di andartene.
– Vorrei che ci
provassi.
Erano così vicini
che i loro nasi si potevano sfiorare mentre si guardavano in cagnesco. – Perché
non puoi semplicemente lasciarmi sola?
– Perché non tiri
fuori le palle e me lo ordini? Se lo farai, ti giuro che me ne andrò.
–Saresti costretto
a farlo. – ringhiò Louisa. – Non ci sarebbe gusto.
– Puoi sempre
provare a liberarti con i mezzi tradizionali. Ti ho insegnato le basi, Louisa,
dovresti riuscire ad allontanarmi.
– Sei più alto e
grosso di me. – protestò lei.
– Vorresti
affrontare nemici della tua altezza? – le fece un ghigno. – Dovresti cercare
dentro un asilo, allora.
Offesa, Louisa gli
montò sul collo del piede e lo spinse via con tutte le sue forze.
– Sei
insopportabile! – si riprese il suo spazio, allontanando Jason e si sedette sul
letto a braccia incrociate.
– E tu, – disse
Jason ridendo. – Mi hai appena fatto perdere l’equilibrio. Dovresti esserne
orgogliosa.
Louisa lo guardò a
bocca aperta. Era vero, per qualche secondo Jason aveva perso l’equilibrio e
lei si era liberata.
Lo fulminò un’altra
volta, ancora scossa per aver avuto Jason così vicino. Ormai ci stava facendo
l’abitudine, ma c’erano momenti, quando lei si sentiva più fragile, che averlo
vicino le faceva battere forte il cuore e non riusciva a sostenere il suo
sguardo.
Jason si avvicinò e
le scostò una ciocca di capelli dal volto. – Dimmi cosa hai sognato, Louisa. –
sussurrò, prima di baciarle la fronte. – Non voglio prenderti in giro, la madre
di Will diceva sempre che raccontando un brutto sogno ad alta voce dopo non sarebbe
più tornato.
Magari
fosse così,
pensò lei amaramente. – Non so veramente cosa dire. – sospirò, stanca. Non
sapeva nemmeno che ore fossero, ma probabilmente era notte fonda e Jason si era
svegliato per lei. Appoggiò la testa sulla sua spalla e lui la circondò con un
braccio. – Ogni notte, ho paura di addormentarmi. Ho paura dei sogni che farò e
di mettermi a urlare nel sonno. Ci sono momenti, in cui non so se mi sveglierò
mai da sogni del genere. Poi mi ritrovo seduta sul letto, senza fiato e con
l’impressione che sia tutto vero, che quello che ho visto non sia solo un sogno…
– Jason intrecciò le dita tra le sue e ricaddero insieme sul materasso. – Che
stai facendo? – chiese lei imbarazzata, divincolandosi.
Lui non si oppose,
stringendola un po’ più forte. – Non voglio farti nulla. Voglio stare così. Con
te. Coccolarti un po’. È così brutto starmi vicino?
– Non dovresti
prenderti certe libertà.
Jason ghignò e si
rimise in piedi con un colpo di reni. – D’accordo. Me ne vado di là.
Buonanotte.
– Buonanotte? –
chiese lei mettendosi seduta a bordo letto. – Tutto qui? Buonanotte?
– Cosa dovrei
dirti? ‘Dormi bene, tesoro mio’? Se vuoi te lo dico, previo pagamento di
cinquanta sterline.
Louisa gli tirò un
cuscino, colpendolo sulla spalla. – Sei sempre il solito.
– Anche tu. – disse
lui chinandosi a raccogliere il cuscino. – Mi tiri sempre contro qualcosa. La
prima volta fu il mio shampoo.
– Mi stavi
guardando mentre ero sotto la doccia.
Lui alzò le spalle.
– Tu non avevi chiuso a chiave. E poi mi hai tirato: qualche libro, un
soprammobile, un mestolo, devo proseguire? La lista è lunga.
Louisa sbuffò e
prese al volo il cuscino che Jason le lanciò. – Te li sei meritati tutti.
– Forse. Ora vado
di là. Chiamami se hai bisogno di qualcosa. O chiama il servizio in camera, se
hai fame.
– Jason? – si voltò
a guardarla con un sopracciglio alzato. – Vorresti, – sentì le guance
infiammarsi per l’imbarazzo. – Vorresti tenermi compagnia un altro po’? Magari
leggendo qualcosa ad alta voce?
– Cosa vorresti che
ti leggessi?
Louisa scosse la
testa. – Non lo so. Scegli tu, qualcosa di bello.
Jason sorrise e si
sedette a bordo letto. – Levati la vestaglia e infilati sotto le coperte, io
inizio a raccontare.
– Non prendi il
libro? – chiese lei dandogli le spalle, togliendosi la vestaglia, rimanendo
solo con il pigiama.
– Non ne ho
bisogno. Quello che voglio recitare sono alcune delle poesie più belle mai
scritte. Dove i sentimenti, diventano parole, le parole immagini, le immagini,
sogni. – il ragazzo sistemò i cuscini da un lato del letto e si sedette contro
la testiera. – Robert Burns è il mio poeta preferito, il modo in cui racconta
le cose è unico. L’unico problema è che le poesie sono in inglese arcaico.
Quindi dovrai lasciar andare l’immaginazione. – ridacchiò e Louisa lo fissò
quando si stese accanto a lei a gambe incrociate, ma non disse nulla,
affascinata da ciò che lui voleva raccontarle. – Chiudi gli occhi, Louisa, –
disse accarezzandole una guancia. – E lascia che parole diventino immagini
nella tua testa. – Louisa obbedì e si tirò le coperte fino al mento, aspettando
che Jason iniziasse a parlare.
Il ragazzo non la
fece attendere e la sua voce morbida si fece strada nella sua testa,
trasformando le poesie in vivide immagini della Scozia.
Vide le montagne
innevate, poteva sentire l’aria fresca sulla pelle e i conigli bianchi che
lasciavano le impronte sulla neve. Sentiva i ruscelli scorrere e scrosciare
sulle rocce, unendosi tra loro a formare i grandi fiumi.
Sotto i suoi piedi,
la terra tremò, quando un cervo le passò accanto, sfrecciando tra gli alberi,
inseguito da alcuni cavalieri armati.
Camminò tra le
colline e i declivi in primavera, le foreste e i boschi mentre si tingevano di
tutti i toni del rosso e del marrone, in autunno. Poteva sentire il canto degli
uccelli in estate, mentre le rose tardive riempivano l’aria del loro profumo
unendosi a quello dei fiori d’acqua.
E attraverso tutte
quelle immagini, poteva sentire Jason che le parlava della sua terra, che
raccontava del suo amore per la vita, e del coraggio dei suoi antenati.
L’orgoglio che gli
gonfiava il cuore quando parlava della Scozia, le fece venire i brividi e si
strinse istintivamente a lui, pregando silenziosamente che non si
interrompesse.
Se lei avesse letto
quelle poesie in un libro, non avrebbe provato le stesse emozioni. Erano i
sentimenti di Jason che arrivavano a lei tramite le poesie. Era quello che
provava lui a trasformare le parole in immagini vivide nella testa, come se le
stesse vivendo sulla sua pelle.
Non si ritrasse
quando una mano di Jason si posò sulla sua schiena, al contrario appoggiò la
testa sul suo petto. Sentiva il suo cuore battere, lento e costante, ma allo
stesso tempo forte e vigoroso. – Non smettere. – mormorò assonnata.
Jason sussultò, ma
non si fermò, accarezzandole dolcemente la testa. – Non lo farò, ma tu dormi. –
Louisa annuì, tornando a perdersi nella voce melodiosa di Jason.
Erano quasi le
quattro del mattino, quando Jason aprì gli occhi, sentendo qualcuno bussare
piano alla porta.
Louisa dormiva
rannicchiata accanto a lui, con i capelli castani che le ricadevano in
disordine sul viso.
Aveva continuato a
recitare le poesie a bassa voce, in modo che solo Louisa potesse sentirle,
lasciando per ultima la sua preferita: “A red, red rose”. L’aveva sussurrata
alla ragazza, quando lei si era già addormentata da diverso tempo, in modo che
non potesse sentirne le parole, ma ci aveva messo tutta la forza dei sentimenti
complessi che provava per lei, con la speranza che le arrivassero dritti al
cuore.
I rumori alla porta
aumentarono di intensità , e Jason scivolò fuori dal letto facendo attenzione a
non svegliare la ragazza
Aprì la porta e si
trovò davanti James, pallido, con i capelli arruffati e completamente vestito,
che lo fissava a bocca aperta. – Credevo, – disse gelido, guardando da un’altra
parte. – Credevo che fosse la camera di Louisa, devo aver sbagliato. Torna a
dormire.
Jason fece un
sorriso sarcastico e gli fece cenno di entrare, ben sapendo che fra qualche
secondo James si sarebbe incazzato. – Ma questa è
la camera di Louisa.
James lo squadrò
dall’alto in basso per poi guardare il letto. – Cosa ci fai qui? – parlò a
denti stretti, aprendo e chiudendo le mani.
– Ci dormo. –disse
lui mentre il sorriso sul suo volto andava allargandosi, consapevole del fatto
che il ragazzo non si sarebbe trattenuto ancora per molto. – Mi ha invitato
lei. – fece un cenno con la testa verso la ragazza. – Puoi chiederglielo, se
vuoi.
James alzò il
mento, in segno di sfida. – Lo farò non ti preoccupare.
– Prego,
accomodati. Ma ho dovuto recitare a memoria ben ventidue poesie prima che
prendesse sonno di nuovo. Se la svegli, – disse con calma mettendosi le mani in
tasca. – Io ti ucciderò e getterò il tuo cadavere nel Tevere. – il sorriso
sulle labbra rimase immutato, ma James non si sarebbe azzardato a svegliare
Louisa, o gli avrebbe reso il pugno che gli aveva dato tempo prima.
James lo afferrò
per il collo del pigiama e lo tirò a sé. – Ringrazia il cielo che ho cose più
importanti a cui pensare.
– Figurati! – si
liberò della presa di James, afferrandogli due dita e minacciandolo di
spezzargliele, se non lo avesse lasciato. – Cosa sei venuto a fare qui, James?
Sei venuto a controllare che Louisa si stesse comportando come vuoi tu?
– Sono venuto per avvertirla
che domani non mi avrebbe trovato. – sussurrò James, quando Louisa si girò nel
letto. – Non le avrei detto il motivo, ma visto che dorme, lo dico a te. E ti
chiedo di non riferirglielo. Dimitri è stato male e ho fatto venire
un’ambulanza. Starò via qualche ora e appena saprò qualcosa di più la chiamerò.
– Dim che cosa? – Louisa si mise a sedere sul letto, guardando
prima lui e poi James.
Jason alzò gli
occhi al cielo per l’esasperazione. Voleva evitare proprio cose del genere.
– James, cosa è
successo a Dimitri? – Louisa scalciò via le coperte e in un lampo, fu fra lui e
James, guardando quest’ultimo con apprensione.
– Nulla di grave.
– È in ospedale?
Dimmi cosa è successo. Deve fare una trasfusione? Gli sono tornati i dolori? Ti
prego, dimmi che non è così. Gli hanno dato la morfina? – lo afferrò per la
giacca e lo scosse. – Gli hanno dato la morfina? James, dì qualcosa!
Lui si limitò a
scuotere la testa. – Tornerà presto. Ora vado da lui e ti faccio sapere appena
posso. – lanciò un’occhiata a Jason, che annuì capendo cosa volesse il ragazzo.
Afferrò Louisa per
la vita e la tirò via di peso, rifiutandosi di lasciarla andare nonostante lei
scalciasse e urlasse. – Lasciami! James! Cosa è successo a Dim? Dimmelo!
Lasciami! Jason, lasciami! – gli affondò le unghie nelle mani, ma lui la
strinse a sé, ignorando il dolore.
– Non posso,
Louisa. James ti farà sapere, ma tu devi rimanere qui.
– No! – scalciò
ancora, con James che li fissava sempre più pallido. – Jason! Ti ordino di
lasciami andare!
Un feroce dolore
gli artigliò il cuore e gli impedì di respirare. Cadde a terra, dimenticandosi
tutto il resto al di fuori di ciò che provava. Doveva lasciar andare Louisa,
solo così sarebbe stato meglio. Anziché obbedire al suo ordine, la strinse
ancora più forte, avvolgendola in un abbraccio. – Non posso. – ansimò. – O
farai qualcosa di stupido.
– James! – urlò
lei. – Cosa è successo a Dimtri?
Gli si annebbiò la
vista per il dolore. Era come se le sue vene si fossero svuotate e il contenuto
fosse stato sostituito da aghi. Ogni respiro gli costava fatica e ogni battito
cardiaco era un dolore che si irradiava alle braccia e allo stomaco.
– Dimitri, – disse
infine James. – Ha iniziato a respirare male. Ha un problema ai polmoni. Forse
un edema, o un embolo. Non volevo farti preoccupare, ti avrei detto tutto non
appena lui sarebbe stato meglio. – disse prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Louisa si accasciò
contro di lui e iniziò a piangere. – Lasciami, Jason – singhiozzò. – Non vado
da nessuna parte, ma se non mi lasci, la coercizione continuerà a farti
soffrire.
Jason sciolse
l’abbraccio e il dolore scomparve immediatamente, tornando a vedere e a
respirare bene. Afferrò Louisa pochi istanti prima che cadesse a terra e la
strinse di nuovo a sé, cercando di esserle di conforto.
Louisa tremava
contro di lui, senza riuscire a fermarsi. – Lo sogno sempre. – disse contro la
sua maglietta. Aveva la voce rotta dal pianto. – Sogno sempre Dimitri morente e
io che non posso fare nulla per aiutarlo.
– Louisa…
Scosse la testa,
interrompendolo. – Ogni volta che penso alla sua malattia mi si stringe il
cuore. Posso solo pregare per lui.
– Puoi fare
qualcosa per lui. Puoi non torturarti con pensieri del genere. Puoi sorridergli
e stargli vicino.
Louisa lo guardò
negli occhi, tirando rumorosamente su con il naso. – Posso uscire a cercare il
Sigillo. – disse risoluta.
– Cosa?
Lei si alzò in
piedi, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. – Se esco a cercare il
Sigillo, non dovrà farlo Dimitri e avrà più tempo per riposare.
Jason le strinse il
gomito. – Non ci pensare. Sono le quattro del mattino, dove pensi di andare?
– Fuori.
Jason rise senza
allegria. – Certo come no. Per quanto apprezzi le prese di posizione, nemmeno
io sono così folle da uscire alle quattro del mattino. Vuoi andare a cercare il
Sigillo? Ottimo! Ci andremo insieme, ma alle mie regole.
– Ma…
– Niente ma, James
e Dimitri passeranno tutto il giorno in ospedale solo per gli accertamenti.
Abbiamo una giornata intera che possiamo sfruttare. Quindi ti dirò cosa faremo:
ora, ti sdraierai a letto, almeno per un altro paio d’ore, poi ti farai una
doccia, ti vestirai e infine faremo colazione in albergo. Dopo di che andremo a
cercare il Sigillo
– Ma…
Jason incrociò le
braccia al petto. – Queste sono le mie condizioni, Louisa. Prendere o lasciare.
E se lasci, ti legherò alla testiera del letto e sarai costretta a rimanere lì
tutto il giorno.
Lo sguardo della
ragazza scivolò dal pavimento al letto sfatto. – Non riuscirei a dormire. Ho
bisogno di fare qualcosa e non di stare qui ad aspettare.
Jason si alzò e la
spinse verso il letto. – Almeno provaci. Ti terrò compagnia e poi usciremo.
Troverai solo perditempo e ubriachi in giro a quest’ora, gente con cui non
vorresti avere a che fare.
Louisa sospirò e si
infilò di nuovo sotto le coperte, dandogli la schiena. – Perché vuoi sempre
avere ragione?
– Perché sono
egocentrico, megalomane, arrogante, superbo e tiranno. E perché ho ragione a
prescindere. Ed inoltre sono bellissimo. E questo non guasta mai. – sorrise e
si sedette a bordo letto, ben sapendo che Louisa non avrebbe gradito un’altra
sua intrusione. Adocchiò la poltrona in un angolo e decise di passarci il resto
della notte, convinto che se avesse lasciato sola Louisa lei sarebbe sgattaiolata
via alla prima occasione.
– Jason, cosa stai
facendo? – sussurrò Louisa, quando lui spostò la poltrona per mettersi comodo.
– Secondo te?
Avvicino le due poltrone, così posso allungare le gambe.
Louisa si mise a
sedere sul letto.
Si fissarono nella
penombra per qualche secondo, in un silenzio carico di tensione e di domande
inespresse.
– Senti, – cominciò
Louisa spostandosi dal centro del letto. – Perché non ti sdrai accanto a me?
Non fraintendere, è solo che quelle poltrone non sono così comode come
sembrano. – scosse la testa, non sicuro di aver capito bene le parole della
ragazza. Louisa lo stava invitando nel suo letto?
La buttò sul
ridere, con il cuore in gola. – E tu chi sei? Che ne hai fatto di Louisa?
– Ma che domande
fai?
Le prese il volto
tra le mani, appoggiando la fronte contro la sua. – E non hai neanche la
febbre. Che sia una qualche malattia ancora sconosciuta? Magari fin ora è stata
silente e sei così sconvolta che straparli.
Louisa gonfiò le
guance tra le sue mani, prima di sbuffare sonoramente. – Guarda posso sempre
cambiare idea. Volevo solo essere gentile ed evitarti un mal di schiena. – si
voltò dall’altra parte, tirandosi la coperta fin sulla testa. – Antipatico.
Jason tentennò
qualche altro secondo, poi si stese accanto a lei, facendo attenzione a non
sfiorarla, nonostante lo desiderasse con tutto sé stesso.
Il respiro di
Louisa era lento e costante eppure qualcosa gli diceva che non stesse dormendo,
ma era immersa nei suoi pensieri. – Se la caverà. Dimitri è forte e James è con
lui.
– Ho paura. – Jason
si fece un po’ più vicino, costatando che aveva visto giusto. Nonostante Louisa
stesse controllando il respiro, tremava da capo a piedi. La strinse di nuovo a
sé, fregandosene di quello che lei avrebbe potuto pensare e affondò il viso tra
i suoi capelli.
– Lo so. – mormorò
accarezzandole una mano. – So cosa vuol dire, aspettare l’alba con il terrore.
Avere paura che le notizie che arriveranno ci spezzeranno definitivamente, ma
credimi, l’attesa e l’incertezza sono le parti peggiori.
– Hai già vissuto
tutto questo?
Jason sorrise,
nell’oscurità. – Non proprio. Ho vissuto un momento di incertezza e paura.
Louisa si
rannicchiò tra le sue braccia, cercando conforto. – Ti va di raccontarmela?? Non
riuscirei comunque a chiudere occhio.
– Dopo la morte di
mio padre non riuscivo a stare a casa mia. Tutto di quella casa mi opprimeva.
Stare da Will mi faceva stare peggio; tutti si prendevano cura di me,
guardandomi costantemente come se fossi un malato terminale. E così mi sentivo,
in effetti. Non avevo alcuna speranza. La persona che mi aveva amato e
cresciuto se n’era andata, lasciandomi solo. Ero furioso. Con me, con lui, con
la famiglia di Will. Una sera presi la vecchia auto di mio padre e me andai. Passai
giornate intere a guidare senza parlare con nessuno, fermandomi solo per
dormire e mangiare. – le accarezzava piano il braccio, mentre tirava fuori quei
ricordi dolorosi. – Scappai come un codardo dalla mia vita, incapace di
accettare quello che stava succedendo. Non rispondevo alle telefonate di Will e
Sophie e quando non avevo voglia di passare del tempo tra la gente, mi chiudevo
in auto per nottate intere maledicendo mio padre.
– È orribile.
– Pensi che me ne
importasse qualcosa? Passai i primi mesi girando su e giù per la Scozia e
l’Inghilterra, usando una parte dei soldi che avevo in eredità, poi, quando mi
bastò più, abbandonai l’auto e me ne andai in Francia. Fu in una di quelle
sere, che Sophie mi mandò un messaggio; ero abbastanza ubriaco, ma non dimenticherò
il suo contenuto neanche tra un milione di anni. Mi scrisse che Will si era
fatto male e che stava sanguinando. Niente altro. Terrorizzato, saltai,
letteralmente, sul primo volo per Edimburgo e corsi a casa. L’unico pensiero che
mi frullava in testa era che avevo abbandonato le persone a cui tenevo di più.
Per tutto il viaggio di ritorno, provai una gran paura, soprattutto, rimorso
per quello che non avevo mai detto a Will.
– Ma Will ora sta
bene.
– Oh sì, – precisò
Jason. – Ma quella volta mi ha fatto perdere dieci anni di vita, e lui e sua
sorella l’hanno pagata cara. Quando spalancai la porta di casa loro, trovai
Will sul divano che leggeva e Sophie stesa sul tappeto che giocava con il cane.
Lei mi fissò e scoppiò a ridere, dicendo che ci avevo messo un sacco di tempo a
tornare.
– Ma Will? Non si
era fatto male? Ti avevano preso in giro?
– No, Will si era
fatto realmente male. Si era fatto un taglio su un dito, mentre sbucciava le
patate. Taglio che gli costò cinque punti e un bernoccolo.
– Un bernoccolo?
Jason rise contro
il collo di Louisa. – Glielo feci io quando cozzai le loro teste una contro
l’altra, per la paura che mi fecero prendere. Ma quella volta capii chi era
realmente importante per me. Capii che per loro avrei attraversato un oceano a
nuoto. Ma la paura che avevo provato nel non sapere, quella non potrei mai
dimenticarmela. Loro sono la mia famiglia, come Dimitri e James sono la tua, e
come io ho fiducia in Will e Sophie, tu devi averne in loro. Dimitri è forte,
molto più di quello che pensi ed io, – la strinse un po’ più forte avvicinando
le labbra al suo orecchio. – Sono un vero idiota a dirti che devi credere in
James, visto quanto mi sta sulle palle.
– James non è
cattivo.
– No, – rispose
Jason allontanandosi da lei, prima di esagerare. – È solo diversamente
accondiscendente.
Louisa ridacchiò
contro la sua spalla e Jason posò la testa sulla mano, tirandosi su per vederla
meglio nonostante il buio. – Stai ridendo.
– Sì. È che l’idea
di James come lo descrivi mi fa ridere.
– Sei più bella
quando ridi, lo sai? – si morse la lingua quando Louisa ammutolì e si scostò di
qualche centimetro da lui. – Rilassati, era solo un complimento.
– Faccio fatica a
rilassarmi con te vicino. Non fai altro che provocarmi. – Louisa parlava
tranquillamente e Jason capì che nonostante fosse a disagio, non si era
arrabbiata.
– Se tu non
accettassi le mie provocazioni, io smetterei, ma fai delle facce così buffe che
non riesco a trattenermi.
Louisa gemette. –
Non puoi tornare a essere gentile come prima? Quando recitavi le poesie?
– Ti sono piaciute?
– chiese interessato. Non a tutti piaceva Robert Burns, usava come metafore
piante e animali per descrivere i sentimenti umani.
Louisa annuì contro
il suo braccio. – Erano belle, ma mi piacevano soprattutto per come le dicevi
tu, con quel tuo accento scozzese e la r strana. E poi si capiva che ami molto
la tua terra.
Jason le punzecchiò
il fianco con un dito. – La mia r strana? Hai mai sentito la tua? Hai la r
moscia e un accento pessimo, quasi peggio di quello di James, non riesco a
credere che sia inglese.
Louisa si voltò
verso di lui. – James non è inglese, è americano. Viene dal Texas.
– Ora capisco
perché lo detesto. Beh, ce lo vedo bene James a cavallo che spinge mandrie di
bestiame a destra e sinistra e va in giro con il cappello da cowboy e la
bandana al collo.
Louisa scoppiò a
ridere sonoramente. – Tu non dirglielo, ma ogni tanto ce lo vedo anche io. –
Jason resistette alla tentazione di strapparle un bacio e si accontentò di
accarezzarle i capelli, inspirando forte il profumo del suo sapone. – Jason, –
il tono di Louisa lo fermò e si chiese se di nuovo avesse osato troppo. –
Prima, quando mi sono addormentata di nuovo ho fatto dei bei sogni.
Jason si rilassò e
riprese a coccolarla. – Arcobaleni e unicorni?
– Circa. C’erano
colline verdi, animali e fiori. Mi chiedevo: se avessi di nuovo un altro
incubo…
– La mia porta è
sempre aperta, Louisa. – disse interrompendola prima che lei potesse dire
qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. – Se avrai altri incubi, puoi venire da
me. Burns è stato parecchio prolifico in vita, posso leggerti un sacco di
poesie se vuoi.
Louisa sospirò
soddisfatta. – Grazie.
Jason stava per
aggiungere qualcosa, quando il cellulare della ragazza squillò. Senza attendere
il permesso, se lo mise all’orecchio. – Pronto? Qui è il telefono di Louisa. Se
non è importante, sappiate che è un’ora pessima e che ci stavamo quasi
divertendo.
– Spero per te che
fosse una partita a Scarabeo e che tu non l’abbia toccata. – ringhiò James nel
microfono. – O troverò un metodo particolarmente fantasioso per ucciderti via
telefono. Passami Louisa, devo parlarle.
Gli occhi di Jason
corsero alla ragazza, che nel frattempo aveva acceso la lampada del comodino. –
È James. – disse sentendo il cuore contro lo sterno per la preoccupazione.
Mentre Louisa avvicinava la testa alla sua per sentire insieme la telefonata,
pregò che il ragazzo avesse buone notizie.
– James? – chiese
Louisa, titubante. – Ci sono novità?
–Sì. Hanno
sottoposto Dimitri ad alcuni esami e ha un edema polmonare. Gli hanno già
somministrato dei farmaci e dato l’ossigeno. Ora sta riposando, però dovremo
stare qualche giorno in ospedale, almeno finché non si sarà riassorbito l’edema.
– Jason tornò a respirare e mise un braccio intorno alle spalle di Louisa,
visibilmente sollevata. – È una bella notizia, Louisa. – proseguì James. – I
farmaci stanno già iniziando a fare effetto e respira meglio. Domani
pomeriggio, dopo che saranno passati i medici, potrete venire a trovarlo.
Una lacrima corse
lungo la guancia della ragazza. – Grazie, James. Grazie.
– Un’altra cosa poi
ti lascio tornare a riposare. – precisò James. – Dì a Jason che faremo i conti
dopo. Ha dormito con te, non gliela faccio passare liscia. – Jason le strappò
il telefono di mano, lasciando che la ragazza si prendesse qualche minuto per tranquillizzarsi
e si concentrò su James. – Perché non me le dici in faccia, anziché mandare
Louisa come ambasciatore? Non le ho fatto nulla, abbiamo solo parlato.
– Non mi interessa.
Ti stai approfittando di lei e la distrai. – lasciò che James continuasse con
la sua ramanzina e smise di ascoltarlo quando vide con la coda dell’occhio
Louisa che si avvicinava alla finestra come una sonnambula e scostava le tende
per guardare fuori.
– Jason, – sussurrò
lei, tornando a guardarlo. – Dobbiamo uscire. – aveva gli occhi sgranati e si
torceva le mani. – Jason, è importante. Lo sento. Riesco a sentire il Sigillo e
non è distante da qui.
Chiuse il telefono
in faccia a James e guardò fuori anche lui. – Sicura? Sono le cinque e mezzo
del mattino.
– Lo sento.
Lui annuì,
credendole ciecamente. – Vado a vestirmi, tu fa lo stesso, ci vediamo fra dieci
minuti.
Corse in camera
sua, lanciando la chiave elettronica sul tavolino e iniziò a vestirsi al buio,
scegliendo i vestiti a casaccio dalla borsa. Saltellò fino alla porta,
infilandosi una scarpa, quando Louisa bussò, vestita di tutto punto con il
cappotto in mano. – Sei pronto?
Senza farselo
ripetere due volte, afferrò la giacca di pelle e se la mise sulle spalle. –
Andiamo.
Nella Roma di prima
mattina giravano già dei pendolari assonnati che si recavano chi a scuola, chi
a lavoro reggendosi in piedi a stento. In mezzo alle auto strombazzanti e ai
tram, Jason seguiva Louisa che camminava a passo svelto verso il centro
cittadino. – Sicura di sapere dove andare? – chiese prendendole la mano per non
perderla in mezzo alla folla che aumentava di minuto in minuto.
– Sì. – disse
svoltando in una via laterale di scatto. – Da questa parte.
– Non potrebbe
essere Dimitri oppure James?
Louisa iniziava ad
avere il fiatone per la passeggiata all’aria fredda del mattino, ma non
rallentò – No. Sono sicura che fosse qualcun altro. Qualcuno che non conosco.
Camminava sicura
per le strade di Roma, seguendo un istinto che solo lei poteva sentire. Jason la
fermò quando riconobbe la struttura in fondo alla strada. – Louisa, quello è il
Colosseo. Pensi di trovare il Sigillo, qui?
– Lo sento vicino.
– strattonò la manica del cappotto, liberandosi di Jason e proseguì, senza
controllare che lui la seguisse ancora.
– Louisa? – si
fermò, quando la vide chinarsi per controllare il terreno vicino ad un muro di
mattoni rossi.
– Guarda. – disse
indicandogli la base del muro annerito e la cenere a terra. – Sembra che
qualcuno abbia dato fuoco al muro.
Jason seguì la
linea nera, costatando che proseguiva lungo tutto il muro, fino all’angolo.
Sobbalzò, quando un gatto gli sfrecciò tra le gambe per andare a strusciarsi su
Louisa, facendo le fusa.
– Ma come sei
carino. – disse Louisa grattandogli la testa. – Vorrei che tu mi potessi dire
cosa è successo qui. Sento tanta energia e sento il Sigillo. Non è che per caso
lo conosci, eh?
Jason alzò gli
occhi al cielo e fulminò il gatto che lo fissava. In genere amava gli animali,
ma quelli che lo guardano mentre si facevano coccolare da Louisa, gli
scatenavano un’ondata di gelosia. Un po’ come il Boa della biosfera. Quel gatto
aveva lo stesso, identico sguardo di sfida e tracotanza. – Sciò! Louisa,
potrebbe avere le pulci o le zecche, smetti di accarezzarlo.
– Ma no, ma no. –
rispose lei, facendo al gatto lunghe carezze dal muso alla coda. – Mi
piacerebbe avere un gatto.
– Te ne prenderò
uno, – disse lanciando un’occhiata assassina all’animale che sonnecchiava sulle
ginocchia di Louisa. – Che ne pensi di tornare al Sigillo?
– Oh sì, – lei
annuì, ma non accennò ad alzarsi. – Giusto, il Sigillo.
Una voce squillante
che parlava in italiano fece sobbalzare Louisa, che si voltò a guardare la
ragazza che correva verso di loro. I lunghi ricci rossicci, danzavano sulla
sciarpa gialla e azzurra e da sotto il cappotto a tre quarti rosso, spuntavano
un paio di calze verdi. A tracolla portava una borsa ricoperta di spille colorate.
Quando fu
abbastanza vicina, Jason vide che aveva il naso sporco di nero e una matita che
usava come fermaglio per capelli. Parlò per un po’ in italiano e Louisa rispose
nella stessa lingua.
– Un po’. – disse
infine la ragazza in inglese, prima di voltarsi verso Jason. – Ma dico! Quella
è pelle? Una giacca di pelle? – Jason annuì, notando che aveva delle spille
anche sulla sciarpa. Aveva l’aria di una matta. – E ti sorprendi se il gatto
non ti vuole toccare? Ma dico! La tua amica invece l’ha rassicurato subito! –
si voltò verso Louisa, prendendo in braccio il gatto e tastando il cappotto di
Louisa. – Quello che indossi è cotone, vero? I vestiti di origine animale
inquinano i Chakra. Per questo piaci ai gatti! Non come il tuo amico! Scommetto
che beve anche il caffè! Ma dico! Abiti di pelle e caffè, e poi ti domandi
perché stai antipatico agli animali! Ora devo andare a scuola! Ciao! – lasciò
cadere il gatto su una mezza colonna e si allontanò saltellando.
– Che matta. –
commentò Jason quando lei non fu più a portata di orecchio.
– Seguiamola! –
disse Louisa alzandosi e iniziando a seguirla.
– Che cosa?
Lei si voltò, senza
smettere di camminare. – È lei, Jason! È il Sigillo!
Jason gemette,
infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e saltando insieme a Louisa
sull’autobus affollato, all’inseguimento della ragazza.
Lanciò un’ultima
occhiata alla matta, mentre lei si grattava il naso con un carboncino e tirava
fuori un pezzo di carta, mettendosi a disegnare a più non posso.
Sbuffò. Sarebbe
stata una giornata molto lunga.
NdA: strano a
dirsi, mi sono ricordata che dovevo aggiornare. Scherzi a parte, avevo questo
capitolo pronto da un po’, ma è stato solo dopo aver finito il 13 che ho deciso
di mettere fuori questo. Forse perché dovevo ben decidere come si svolgerà l’avventura
di Roma… Ringrazio Alberto, per la traduzione lampo del titolo!
Il titolo riprende
la poesia di Burns, “A red, red rose” che vi posto qui la traduzione:
Il mio Amore è come una rosa rossa,
rossa
che è da poco sbocciata in giugno:
il mio Amore è come una melodia
dolcemente e armoniosamente suonata.
Sì bella tu sei, mia leggiadra
fanciulla
che pazzamente innamorato io sono;
e sempre io ti amerò mia cara
finché non s'asciugheranno tutti i
mari;
finché non s'asciugheranno tutti i
mari, mia cara,
e non si fonderanno le rocce al sole:
e sempre io ti amerò, mia cara,
finché scorrerà la sabbia della vita.
Addio, mio unico Amore!
Addio per un poco!
Io ritornerò mio Amore,
anche se a dieci mila miglia.