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Autore: moriartea    12/02/2013    3 recensioni
Nota a me stessa: Se odio volare, non devo sedere accanto a un ragazzo incredibilmente bello con un sorriso appiccicato sulla faccia e la fossetta su una guancia, gli occhi verdi, soffici capelli castani, e una risata sgradevole... soprattutto se si tratta dello stesso ragazzo sul quale ho fatto cadere una valigia.
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marcus Butler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«No mamma, non puoi farmi questo! Ti prego!»
Urlo, attirando l'attenzione di un paio di bambini lì vicino.
Sono in aeroporto. Devo andare da mia zia, a Los Angeles. Di solito vado con mia madre, ma ora se n'è uscita con la storia che “devo crescere” e vuole farmi andare da sola.
Io. Da sola. Su un aereo.
Non esiste. Non esiste proprio che lei mi lasci qui da sola.
«Stai tranquilla tesoro, vedrai che andrà tutto bene.»
Spalanco gli occhi. «Come puoi dire che andrà tutto bene?! Hai idea di quanti aerei si schiantino al suolo ogni giorno?! Potrei morire, e tu mi lasci sola! Ti prego, mamma!» Alla fine della frase il mio tono suona come quello di una piccola bambina viziata e antipatica, ma non mi importa. Lo sa che volare mi terrorizza, non può lasciarmi sola là sopra!
«Dovrai cavartela da sola, un giorno. Non potrò stare sempre al tuo fianco.»
«Ma mamma! Ho paura! Ti prego, non andare!» Ho gli occhi umidi.
Per qualche assurdo motivo sorride, mi da un bacio sulla guancia e sussurra «Ciao tesoro, stai tranquilla, andrà tutto bene» e si dilegua più in fretta che può. Probabilmente si aspetta che la segua implorandola di accompagnarmi. E sarei anche in grado di farlo, ma del resto ha ragione... devo crescere.
I miei occhi smettono di fissare la polvere sul pavimento dell'aeroporto, e si spostano sul tabellone che elenca tutti i voli in partenza oggi. Londra – Los Angeles. Eccolo lì. Volo 117.
Sì, posso farcela.
Continuo a ripetermi che ce la farò da sola mentre mi incammino e mi metto in fila, col cuore che quasi mi esce dal petto. Calma Hazel, ce la farai, devi solo sconfiggere la paura il terrore.

Trascino la mia valigia, stando attenta a non farla finire sui piedi di qualcuno. Di fronte a me c'è un vecchietto che dubito si sia fatto una doccia negli ultimi dieci anni. Sarà una lunga attesa.

 

 

Sbatto il piede a terra con impazienza. Tiro fuori il cellulare, e mi chiedo se dovrei chiamare mia madre e piagnucolare e chiederle di venire qui e riportarmi a casa perché ho troppa paura di andare a Los Angeles da sola. Insomma, ho sentito dire brutte cose su Los Angeles. E se mi sparassero? E se morissi? Poi si sentirà in colpa per avermi mandato contro la mia volontà e poi – no, ce la farò. Andrà tutto bene.
Sento qualcuno tossire leggermente dietro di me, e mi volto per vedere un ragazzo incredibilmente bello che indica lo spazio formatosi tra il vecchietto e me, il dito come una freccia. Mi sento avvampare.
«Scusa» mormoro, e faccio per ricominciare a trascinare la valigia, ma le ruote sono bloccate e non si muove. Maledico mentalmente questa stupida valigia e cerco di sollevarla dal manico posto sul lato.
Ho questo problema di ansia da separazione. Io sono comoda solo a casa mia. Quindi, ogni volta che mi sposto, imballo tutta la mia camera da letto – o almeno tutto quello che riesco a far entrare nella valigia – e cerco di rendere tutto più simile a casa mia. Di conseguenza, la valigia pesa circa un quintale.
Il peso si fa sentire, infatti appena tento di sollevarla cado ai piedi del ragazzo incredibilmente bello e la mia valigia gli finisce sui piedi.
Sul suo viso si forma un'espressione di dolore, e per un attimo credo che stia per urlare. Si trattiene, e dalla sua bocca esce grido strozzato, che assomiglia tanto allo squittio di un topolino. Sono combattuta tra il ridere – perché il suono era tremendamente divertente – o scusarmi profondamente, poi deciso che scusarmi è più appropriato.
«Oddio, scusami tanto!» Tiro su la valigia a fatica, e vado avanti nella fila, con lui che zoppica dietro di me. «Mi dispiace tanto, scusami!»
Appena raggiungo il vecchietto la fila si sposta di nuovo, quindi dovrò avanzare un'altra volta. Maledizione.
Alzo di nuovo la valigia stando attenta a non cadere addosso al ragazzo, e in un certo senso funziona, perché il peso della valigia sul mio stomaco mi fa capire che sono caduta all'indietro. E a giudicare dal dolore devo aver sbattuto il sedere a terra. Tutti mi guardano. Mi chiedo se potrebbe succedere qualcosa di più umiliante.
Il ragazzo incredibilmente bello questa volta non si trattiene e scoppia a ridere – ride così forte da iniziare ad ansimare.
Oh, al diavolo, io in un aeroporto da sola non ci metto più piede.

 

*

 

Circa un'ora e mezza dopo sono pronta a salire sull'aereo che mi porterà da mia zia.
Questo è il giorno più brutto della mia vita. Ho la nausea e sono stanca morta. Ci vedo appannato, ho le palpebre che si chiudono da sole.
Un 'bip' che precede un annuncio all'altoparlante mi fa sobbalzare.
«I viaggiatori del volo 117 da Londra a Los Angeles sono pregati di salire a bordo. Ripeto, i viaggiatori del volo 117 da Londra a Los Angeles sono pregati di salire a bordo.»
Sospiro, e vado su quello che sicuramente sarà l'aereo che mi porterà non da mia zia, ma alla morte.
Il mio biglietto dice che il mio posto è il 37A, e per la fretta di sedermi e riposare un po' inizio a spingere tra la folla, travolgendo un hostess sulla cui targhetta leggo il nome di Abigail.
Fisso i miei occhi sui numeri mentre mi faccio strada tra la gente. 33 ... 34 ... 35 … 36 … Ah! 37! Finalmente!
Cerco di raggiungere il mio posto mormorando qualche «scusi» «permesso» «signora, dovrei passare – ah, fa attenzione!» «permesso, grazie» e quando finalmente ci riesco appoggio il mio bagaglio a mano a terra e mi siedo, sospirando sollevata.
Infilo le cuffie, sentendomi sia rilassata sia terrorizzata, e guardo l'aeroporto fuori dal finestrino. Sento qualcuno sedersi accanto a me, e presa dalla curiosità di vedere chi dovrà sopportarmi per questo maledettissimo volo mi volto e – oh no, vi prego, ditemi che è uno scherzo.
Sbatto più volte le palpebre, come per mandare via quella visione. Ovviamente non funziona. Il ragazzo incredibilmente bello sul quale ho fatto cadere la valigia è lì, alla mia sinistra, e mi guarda con un sorrisone appiccicato sul volto. I suoi occhi verdi scintillano, e riesce a malapena a trattenere una risata. Deve avermi riconosciuta.
Gli lancio uno sguardo di disprezzo e mi giro tornando a fissare l'aeroporto, senza dire una parola, il che lo fa definitivamente scoppiare a ridere.
Dannazione.

 

*

 

Onestamente parlando, questo è il ragazzo più odioso che abbia mai incontrato. Dimenticando la sua incredibile bellezza, i capelli castani sistemati in una cresta perfetta, i luminosi occhi color smeraldo, la risata meravigliosa e – non è questo il punto! Mi sta facendo impazzire!
Continua a fissarmi, e ogni volta che mi giro per chiedergli il motivo fa finta di niente, torna a fissare lo schermo del suo cellulare, fischietta una canzone o si gira i pollici, come se io fossi così stupida da credere che non lo stia facendo apposta! Quell'idiota!
Se non fosse legato dietro questa cintura di sicurezza, lo avrei già ucciso. Almeno questo gli avrebbe cancellato il sorriso antipatico dalla faccia.
Siamo seduti qui da meno di un quarto d'ora e sto già uscendo di testa.
Prima ho quasi urlato contro gli assistenti di volo quando cercavano di spiegarci come mettere correttamente le cinture di sicurezza, usare i giubbotti di salvataggio e – diamine, non abbiamo nemmeno iniziato a decollare, stiamo ancora aspettando! Che fretta hanno? Tanto moriremo comunque!
Sento la voce del pilota dall'altoparlante. «Signore e signori, grazie per aver scelto di volare con American Airlines.» Scelto, o nel mio caso, essere stati costretti. «Il mio nome è Michael e mi occuperò di garantirvi un volo sicuro da Londra a Los Angeles. Tra pochi minuti inizieremo a decollare, perciò assicuratevi di aver fissato bene le vostre cinture di sicurezza. Buon viaggio.»
Tra pochi minuti inizieremo e decollare. NO! NO NO NO! Morirò di sicuro!

 

L'aereo inizia a muoversi il mio stomaco fa una capriola. Ho sempre avuto il terrore degli aerei, fin da piccola. Non c'è un motivo preciso, mi fanno paura e basta. Di solito mia madre è qui a consolarmi, e quando vengo presa dal panico affogo la testa tra le sue braccia e mi tranquillizzo. Ma stavolta no, devo essere “grande” e “indipendente”. E io davvero inizio ad avere dubbi sul fatto di potercela fare.
L'aereo si sposta in avanti e i pensieri di odio momentaneo per mia madre vengono totalmente sostituiti da quelli di terrore. Odio gli aerei. Odio l'odore che c'è negli aerei. Odio i ragazzi incredibilmente belli che mi si siedono accanto e – maledizione, devo smetterla.
L'aereo brontola, e senza pensare a ciò che sto facendo afferro il ragazzo accanto a me e nascondo il volto nella sua morbida, profumata camicia di cotone bianco. Lo sento sobbalzare ma afferro la camicia ancora più saldamente per cercare di non vedere nulla. Ogni volta che l'aereo si muove il mio stomaco improvvisa qualche salto mortale e stringo sempre di più gli occhi, una mano stretta sulla camicia del ragazzo e l'altra nella sua mano.
Non riesco a smettere di pensare che morirò da un momento all'altro.
L'aereo continua a salire e prima che me ne possa rendere conto la cintura di sicurezza mi sta rendendo difficile respirare, ma non importa e continuo a stare lì, rannicchiata su quel ragazzo. Mi faccio coraggio, alzo la testa dalla sua camicia e lascio andare timidamente la sua mano.
Dio, che imbarazzo.
Fisso le mie mani sentendo il viso andarmi a fuoco e tento di scusarmi. «Mi dispiace, è che... che... non mi piacciono gli aerei... scusami.»
Alzo il viso arrossendo ancora di più e lo guardo. Ha un'espressione divertita, il sorriso ancora più allargato di prima.
Si sta prendendo gioco di me!
Sta ridendo di me!
Lo odio!
«Mi dispiace, davvero...» sbuffo, e poi mi giro per evitare di guardare quella sua faccia così odiosamente bella.
Infilo le cuffie e mi lascio prendere dalla musica.

 

*

 

Qualcuno mi tocca, istintivamente agito la mano, mollando uno schiaffo a qualcuno. Solo dopo essermi ricordata che vicino a me c'era il ragazzo incredibilmente bello apro gli occhi e mi scuso per l'ennesima volta.
Ritira il viso, una mano premuta sulla guancia – devo averlo colpito lì.
Gli si forma un piccolo sorriso sulle labbra. Mi guarda, gli occhi sembrano ridere. Prima poi gli pianto un'ascia in testa, chissà se la smetterà di prendermi in giro.
«Ehm, hanno portato le bevande, vuoi qualcosa?» dice.
Indica con lo sguardo un hostess con aria impaziente in corridoio. E' la biondina che ho travolto prima in corridoio, Abigail.
«Cosa desideri?» chiede, guardandomi in modo sprezzante.
«Mmh.. cos'hai da bere?»
Mi guarda di nuovo male, e indica i cassetti colmi di Coca-Cola, Sprite, Aranciata e altre bevande.
«Prendo solo un succo alla pesca, grazie.» Dico, riuscendo a malapena a sentire la mia stessa voce, tanto è bassa. Dev'essere perché mi sono appena svegliata. O per l'imbarazzo.
Abigail tira fuori una bottiglia di succo e me ne versa un po' in un piccolo bicchiere di plastica. Lo afferro e lo appoggio delicatamente sul tavolino estraibile di fronte a me.
Il ragazzo accanto a me mi guarda, beve un sorso della sua Cola e porge il suo bicchiere verso di me.
«Cin cin!» esclama in tono allegro.
Gli lancio un'occhiataccia, che lo fa ridere di nuovo.
Ma non la smette mai di ridere?! Potremmo morire da un momento all'altro, e lui se ne sta qua a ridere. Starà ancora ridendo quando sarà nella tomba.
Cerco di essere educata e rispondo al brindisi. O almeno ci provo. Perché quando sto per farlo il mio bicchiere si inclina pericolosamente, e prima che possa evitarlo il succo di pesca è tutto sui suoi pantaloni. Beh, almeno ha smesso di ridere.
Il suo sguardo si sposta sui suoi jeans e poi su di me, ma i suoi occhi non sono più luminosi, tutto il contrario.
«L'hai fatto apposta.»
«No! Non volevo!» tento di difendermi. «Mi dispiace! Scusa!»
Sto parlando come un'idiota, ma non importa, perché non potrebbe andare peggio di così.
Premo il pulsante che chiama le assistenti di volo e Abigail è lì in un lampo. I suoi capelli biondi sono perfettamente raccolti in una crocchia sul collo, a parte un paio di ciuffi che le ricadono sulla fronte alta. Sembra che stia per perdere la calma. Non è la prima assistente di volo che si stanca di me.
«Posso avere dei tovaglioli?» indico i pantaloni del ragazzo, completamente bagnati di succo.
Abigail sospira indignata, e per un istante mi ricorda un cavallo agitato.
Si avvia infuriata lungo il corridoio e dopo pochi secondi torna con una manciata di tovaglioli in mano, che mi getta tra le mani.
Consegno timidamente i tovaglioli al ragazzo, che li afferra bruscamente e prende ad asciugarsi i jeans. Beh, almeno i pantaloni non erano bianchi.
Il succo filtra attraverso i tovaglioli, e il ragazzo incredibilmente bello è seduto lì, impotente, con un mazzo di quelli che sembrano tovaglioli sporchi di pipì in mano.
Un ragazza gli passa vicino e lo guarda ridendo, mentre cerca disperatamente di coprirsi i pantaloni con le mani.
Si volta e mi guarda, mi copro il viso con le mani per paura che possa darmi uno schiaffo – e ne avrebbe tutte le ragioni.
«Scusa» mormoro.
Distoglie lo sguardo, come se volesse dimenticarsi della mia esistenza.

 

*

 

Tiro fuori un piccolo taccuino dal mio bagaglio a mano e prendo a sfogliarlo. Devo ammettere che non sono niente male se si tratta di disegnare. Guardo un ritratto di mia madre, lasciando scivolare le dita sulla pagina. Riprendo il mio bagaglio a mano cercando delle matite.
Dove diavolo sono finite?
Cerco per tutta la borsa, aprendo cerniere a destra e a manca. Non posso aver dimenticato le mie matite. Non posso essere così stupida.
Una barretta di cioccolato, un po' di trucco, un libro. Okay, sono così stupida.
Sospiro, facendo per riprendere in mano il mio taccuino, e raggelando quando mi rendo conto che non è dove l'ho lasciato.
Guardo alla mia sinistra, dove Incredibilmente Bello sta ridendo.
Si accorge che lo sto fissando, così mi restituisce il quaderno, sorridendo. Lo vedo allungarmi una penna, come per consolarmi.
Controvoglia la prendo, e apro il mio taccuino, controllando che il ragazzo non abbia rovinato o macchiato nulla. Quando arrivo alla settima pagina, il sangue mi si gela nelle vene.
I miei occhi scorrono velocemente verso il basso della pagina, dove c'è un disegno evidentemente fatto con molta fretta. Un figura che devo essere io è schiacciata sotto a un'enorme valigia, e vicino a lei c'è una figura con la bocca aperta, e come se non bastasse c'è un piccolo fumetto con scritto “HA HA!” dentro.
Dio, è odioso anche sotto forma di disegno.
Ho l'istinto di ucciderlo.
Dovrei chiamare i suoi genitori e dirgli di chiuderlo in camera.
Prendo la penna, e in fretta e furia disegno una figura maschile con una macchia enorme sui pantaloni, all'altezza del pube.
Gli passo il quaderno, e lui prende a guardare il disegno con aria indignata.
HA HA.

 

*

 

L'aereo si sposta su e giù. Sto per morire.
E' tutto così maledettamente spaventoso.
Il pilota annuncia che «Stiamo avendo una leggera turbolenza, ma se assicuriamo le cinture di sicurezza andrà tutto bene» ma non gli credo per nulla. La gente muore sempre sugli aerei. E oggi tocca a me. E probabilmente morirò seduta accanto a un ragazzo incredibilmente bello e antipatico che schiamazzerà dalle risate fino all'ultimo istante.
La mia testa sbatte sopra il sedile e vengo travolta da un forte mal di testa.
Guardo Incredibilmente Bello che sembra tranquillo e a suo agio, si dondola avanti e indietro sul sedile ascoltando chissà quale canzone.
Seppellisco la faccia nella mani. Odio tutto questo. Lo detesto.
Cerco di pensare a cose felici come arcobaleni o coniglietti pasquali ma le immagini di aerei che si schiantano che vedo in televisione o su internet mi invadono la mente. Gli arcobaleni diventano uragani e i coniglietti prendono le sembianze di Abigail, con la differenza che hanno zanne da lupo mannaro.
Sono sul punto di piangere.
Sento un leggero tocco sulla mia spalla, che si trasforma immediatamente in una presa rassicurante. Apro gli occhi lentamente e Incredibilmente Bello mi guarda dolcemente, come per promettermi che andrà tutto bene. Mi prende la mano e la stringe nella sua, come all'inizio del volo.
Sta ancora sorridendo, ma questa volta non è un sorriso irritante.
Fissa dritto davanti a sé, senza accennare ad alcuna risata.


 

*

 

Il volo è quasi finito, finalmente.
La voce di Michael, il pilota, annuncia che lo sbarco sarà tra circa venti minuti.
Sistemo le mie cose. E' imbarazzante il fatto che ho passato un terzo del viaggio tenendo la mano di un perfetto sconosciuto.
L'aereo inizia a scendere e il mio cuore accelera. Chiudo gli occhi e respiro profondamente, cercando di calmarmi. Andrà tutto bene, posso farcela, sì.
Sgancio le cinture di sicurezza e balzo in piedi, felice di essere ancora viva, e prendo il mio bagaglio a mano. Nella fretta di scendere inciampo nel corridoio, cadendo addosso a qualcuno.
E' lui, ovviamente.
Di nuovo.
Sorride, e sto che sta per scoppiare a ridere un'altra volta.
Allunga una mano per aiutarmi, una risata soffocata a fatica. Afferro la sua mano e lo guardo male, sperando che riesca a leggere l'odio nei miei occhi.
Mi tira su, ma perdo l'equilibrio e gli piombo addosso, le labbra sulle sue.
Oh mio Dio, sotterratemi.
Mi alzo di scatto, balbettando «Sono un disastro! Mi dispiace!»
Déjà-vu.
«Mi dispiace! Non volevo!» continuo a blaterare. «Scusami!»
Quello stupido sorriso insopportabile gli appare di nuovo sul volto.
«Non devi scusarti.» e mi attira verso di sé, baciandomi di nuovo.

 

 

*

 

Esco dall'aeroporto, cercando mia zia tra la folla.
Piove.
Sto correndo per cercare un riparo quando sento qualcuno urlarmi alle spalle.
Qualcuno mi afferra per il braccio, e mi volto trovandomi a pochi centimetri da Incredibilmente Bello.
«Dimmi almeno il tuo nome...»
Resto immobile, vedendolo lì, bagnato fradicio, in attesa di una risposta.
«Hazel.» sussurro, cercando di non ingoiare acqua piovana.
Lui sorride. «Ci rivedremo allora, Hazel!»
Inizia a correre verso l'aeroporto dove vedo quelli che devono essere i suoi genitori aspettarlo. Lo guardo, confusa.
«Hey, ma io non so il tuo!» urlo, per farmi sentire.
Si volta e mi guarda sorridendo, per poi urlare «Marcus!»
Mia zia mi raggiunge in auto, e salgo salutandola calorosamente.
Prende a parlarmi di quanto sia mancata a lei e a mio zio durante questi mesi, e di quanto fosse preoccupata per il fatto che dovessi volare da sola.
Almeno lei capisce che ho rischiato!
«Ho visto che hai conosciuto Marcus.»
«Eh? Come fai a conoscerlo?»
«I suoi genitori si sono trasferiti nella casa accanto alla nostra da un paio di settimane ma lui se n'era andato quasi subito, e oggi a quanto vedo è tornato.»
«Cioè Incredib- ehm, Marcus, è il tuo vicino di casa?!»
«Sì, perché?»
Oh, fantastico.
Sarà il soggiorno da zia più lungo di sempre.
«No, niente.»

   
 
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