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Autore: 3lo_2ofi    12/02/2013    1 recensioni
Immaginatevi i personaggi che abbiamo amato, dopo anni, circa dieci.
Giappone, due Clan diversi ma una passione in comune. Le auto.
Come i buoni e i cattivi. In questo periodo della storia delle corse in Giappone sono i cattivi a regnare. Ma Rui, una bionda tutto pepe e ambizione vuole cambiare le cose, arrivando a chiedere aiuto persino a Ciel, arrogante e orgogliosa. Entrambe faranno di tutto per sopportarsi e per vincere coloro che vogliono controllare il Giappone su quattro ruote.
Una sfida dietro l'altra a tutta velocità. Ma non ci vuole solo quello, ma firbizia e macchinazione di tutto quello che gli sta attorno.
Riuscite a immaginarvi la Inazuma competitiva come sempre ma su quattro ruote?
Se ci riuscite aprite questa storia e godetevela, e se non ci riuscte provate a leggere e cambiate idea.
Spero di avervi incuriosito almeno un poco. Buona lettura e commentate!
Genere: Azione, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vidi Ciel sparire a tutta velocità con la sua amata auto. La fissai finché il posteriore della sua Porsche non fu più visibile.
Calciai un sassolino il quale si trovava accanto a me, facendolo arrivare ad una distanza sorprendente. Per poco non sfiorò la Lamborghini di Burn.
-Allora pensi che accetteranno?- domandò Kru, seduto sul cofano della sua auto. Lo fissai.
-Sicuramente. È stata molto convincente.- mormorai. Lui mi fissò sconcertato dalla mia risposta, senza nessuna battutina o insulto.
-Ma ti senti bene?- disse Dylan, toccandomi la fronte. Gli tolsi la mano in modo abbastanza brusco.
-Come al solito. Perché?- domandai togliendo i capelli dal viso.
-Ho … nulla.- disse, allontanandosi.
-Bene.- feci, troncando il discorso. Fidio mi fissò a lungo. Sentivo il suo sguardo gentile perforarmi.
-Cosa vuoi anche tu?- domandai sbuffando sonoramente, appoggiando le mani sui fianchi. Continuò a fissarmi insistente, con i suoi occhioni blu. Era davvero adorabile.
-Smettila! Quando mi guardi così, non resisto!- gridai gettandogli le braccia al collo e strusciando la mia guancia contro la sua. Poi mi staccai, sorridendogli.
-Allora questo glorioso discorso?- domandò l’italiano.
-È davvero brava con le parole.- mi fissarono tutti e tre assieme, -ma rimane comunque un inglese borghese.- conclusi, chiudendo gli occhi e sorridendo strafottente.
-Mi sono perso qualcosa d’interessante?- domandò Hiroto, arrivando in quel momento.
-Veramente no, perché non si è parlato di me.- gli risposi fissandolo. Lui si mise a ridere, tra gli sguardi scioccati degli altri.
-Ho conosciuto moltissime persone nella mia vita, ma tu sei la più egocentrica di tutte.-commentò osservandomi intensamente.
-Grazie del complimento.- dissi fissandolo estasiata. –Hai ancora voglia di fare quei giochini che dicevi l’altra sera?- domandai, maliziosa. Mi guardò confuso.
-Scusa, ma non so di cosa tu stia parlando. Potresti rispolverarmi la memoria?- si avvicinò curioso. Mi avvicinai appoggiando le labbra sul suo lobo.
-Potrei anche ma … - gli soffiai nell’orecchio provocandogli dei brividi, -non lo so nemmeno io.- conclusi allontanandomi, cingendolo per le spalle.
-Ti sei perso un’occasione d’oro.- commentò Dylan, rompendo quell’atmosfera creatasi. Gli mollai un pugno in testa.
-Non dire mai più una cosa del genere in mia presenza o finisci male.- lo minacciai indicandolo, lui sorrise nervoso. Solo allora mi accorsi di Edgar seduto a terra. Era stato brutalmente abbandonato da Ciel. Mi allontanai dai ragazzi.
-Ed?- lo chiamai, piegandomi in avanti e facendo ricadere i miei lunghissimi ricci biondi davanti al viso. Lui fece sfrecciare i suoi occhi azzurri nei miei.
-Sì?- disse, fissandomi. Andai a sedermi alla sua destra, mentre sentivo gli altri quattro ragazzi chiacchierare tra di loro.
-Come mai qui tutto solo? Ciel se né andata già da un po’.- sghignazzai ad alta voce, ma non ottenendo il risultato sperato.
-Che vada a farsi fottere.- disse lui sputando tra i denti. Non avevo mai visto Edgar arrabbiato. Ma come ripeto spesso, c’è sempre una prima volta.
-Cos’è successo?- gli domandai fissandolo. Lui sospirò innervosito.
-Mi ha stufato. E siccome fa quello che vuole, mi ha lasciato qui a marcire.- si alzò da terra, spolverandosi i pantaloni.
-Dire che ti ha lasciato in un luogo dove poter affogare la tua rabbia.- commentai mostrandogli il bar a luci rosse.
-Non mi va di scherzare.- disse semplicemente, voltandosi di schiena e camminando verso gli altri quattro. Mi alzai anchio a quel punto. Stufa di guardarlo dal basso.
-Allora mi vuoi dire cosa ti ha detto per farti incazzare così?- dissi a quel punto, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendolo rallentare.
-Visto che t’importa tanto …- disse sbuffando, e voltando lo sguardo verso di me. –In pratica Angeline ed io abbiamo fatto sesso.- lo interruppi immediatamente.
-Non credevo fossi cosi volgare Ed.- lo accusai, scuotendo la testa delusa.
-O insomma … Ciel mi ha detto che Angeline le ha confidato un’altra versione. Ovvero, che abbiamo fatto “l’amore”.- disse facendo le virgolette. - Ma io per quella ragazza non provo niente e credo che la francese abbia frainteso.- lo fissai sbalordita.
-In pratica per te è stata solo una follia da una notte. Mentre lei, da ragazzina stupida ed ingenua,- sottolineai gli insulti, -crede che sia stata la tua dichiarazione d’amore.- conclusi. Lui annuì sconsolato. Sghignazzai. Quella ragazza non mi andava molto a genio.
-E ora cosa pensi di fare?- domandai, tornando seria.
-Non lo so, trovare un passaggio come prima cosa.- rispose fissando il cielo azzurro.
-Potrei dartelo io, tanto non ho mai nulla da fare.- gli proposi, con le mani in tasca, fissando Hiroto da lontano. Lui si accorse del mio sguardo ambiguo, ma non fece commenti.
-Allora vogliamo andare?- domandai, guardando velocemente l’orario sul cellulare: 15.30. Lo vidi ragionare per pochi istanti, poi prese la sua decisione.
-Per me va bene.- quindi ci dirigemmo verso la mia auto.
-Ragazzi, faccio fare all’inglese un bel giretto turistico.- dissi ai quattro ragazzi.
-Non credevo fosse il tuo tipo.- disse Mark, chiudendo un occhio e sogghignando bastardo. Hiroto mi lanciò una strana occhiata.
-Tranquillo, l’unico che avrebbe il permesso di stare con la sottoscritta si presume che verrà a saperlo molto presto.- risposi fissando Hiroto, finché non vide il mio sguardo intenso in sua direzione.
-Allora tornerai per la cena?- domandò Dylan, guardandomi.
-Credo di si, tou-san.- risposi, prendendolo in giro. Mi mandò a quel paese.
-Allora noi andiamo!- esclamai trascinando Edgar in auto. Prima di partire abbassai lo specchietto, fissando i miei amici, ma soprattutto Hiroto.
-Aspettami.- dissi muovendo solamente le labbra. Lui annuì sorridendomi complice. Poi me ne andai a tutta velocità, guardando Hiroto nello specchietto finché non lo vidi più.
-Attenzione alla strada!- mi gridò nelle orecchie Edgar. Mi fece sterzare bruscamente per lo spavento.
-Non gridare! Io non sbaglio mai, ma se mi spaventi ovvio che sbando.- feci ovvia.
-Mi sembri tanto Ciel se parli in questo modo da pilota esperta.- mormorò incrociando le braccia al petto.
Frenai bruscamente, facendogli sfiorare il viso contro il parabrezza.
-Non fare mai più un paragone con quella testa di cazzo.- sibilai, fissandolo. Lui alzò le mani in senso di resa. Poi ripartì a tutta velocità.
-Allora, Mister …- mi bloccai. –Ora che ci penso, non conosco il tuo cognome.-
-Valtinas.- rispose fissando davanti a sé, le auto che sfrecciavano.
-Bene… Mister Valtinas dove vuole andare?- domandai con pessimo accento in inglese. Lo vidi sorridere.
-Non prendermi in giro. Lo so che non sono granché come english. Si dice così vero?- dissi, sorpassano un’utilitaria.
-Very good.- disse sorridendo galante. Aveva davvero il fascino da gentiluomo.
-Allora dove andiamo di bello?- chiesi.
-Come, andiamo?- disse, facendo l’eco. –Non vorrai venire con me, vero?- mi fissò da sotto la sua bizzarra capigliatura azzurra.
-Perché no? Eccetto che tu non voglia andare in chiesa, ti seguirò ovunque!- esclamai allegra.
-Non volevi farmi fare un giro turistico per la città?- disse a quel punto. Mi s’illuminarono gli occhi.
-Vediamo … potrei portarti … dimmi ti piacciono i musei?- gli domandai mollando le mani dal volante e afferrandolo per la maglietta. Lui prontamente prese il posto del conducente, sospirando.
-Si m’interessano, però non ti sembra di esaltarti un tantino troppo?- domandò.
-No. Torna al sedile dei passeggeri, nessuno può guidare il mio Mustang.- lo avvertì serissima. Lui fece come gli chiesi, senza replicare.
-Comunque mi piacerebbe vedere il territorio capisci cosa intendo? Monumenti o altro.- mi chiese.
-Ho capito. Possiamo andare al Palazzo Imperiale. Vedrai ti piacerà da impazzire.- lo incitai, prendendo la strada per raggiungere l’antico castello.
Arrivammo a destinazione, trovando posteggio quasi subito.
-Vedi quello è uno dei tanti giardini che circonda il palazzo.- gli comunicai indicandolo.
-Si trova in una zona vastissima- commentò lui, mentre ci dirigevamo verso la porta principale, passando per il ponte Nijubashi.
Poi arrivammo all’entrata ma finalmente capì perché i posteggi erano deserti.
-È chiuso!- gridai innervosita e appoggiandomi al portone di legno.
-Su non arrabbiarti …- mormorò lui, sorridendo e porgendomi una mano per tirarmi in piedi. L’accettai volentieri.
-Possiamo andare nel giardino che ne dici?- disse lui, sorprendendomi.
-Credevo che non ti avrebbe interessato.- commentai, fissandolo.
-Adoro passeggiare all’aria aperta, incontrando piante e fiori che non ho mai visto in vita mia.-
-Anche a me piace. Ho sempre amato i giardini.- gli confidai, finalmente arrivati al Higashi Gyoen.
Lo percorremmo in tranquillità, estasiati dalla bellezza dei fiori e da quell’atmosfera rilassata. Senza parlare, ma restando con i propri pensieri. I fiori di ciliegio mi fecero tornare in mente mio fratello Hanaki. Chissà dov’era in questo momento … Trasferito? O addirittura morto?
Scossi la testa, scacciando quello stupido pensiero pessimista.
-Che ti prende?- domandò Edgar, osservandomi confuso.
-Nulla. Stupidi pensieri che dovrei evitare di fare.- gli risposi, sorridendo.
-Vuoi parlarmene?- mi fece strano ricevere una domanda da parte sua. Ma accettai ugualmente.
-Perché no, non potrà farmi che bene.- poi presi a raccontare. Gli dissi che avevo un fratello, di cinque anni più grande di me. Però avevo perso le sue notizie appena ero partita per viaggiare.
-Hai un fratello, di nome Hanaki, e non sai più che fine ha fatto?- esclamò stupefatto l’inglese. Annuì.
-Vedrai che alla fine vi rincontrerete.- mi consolò, appoggiando timidamente la mano sulla mia spalla. Poi una voce metallica ci riprese.
-Il giardino sta chiudendo. Vi chiediamo di uscire il prima possibile. Grazie dell’attenzione.- poi quel suono scomparve, lasciando di nuovo il silenzio.
Guardai l’orario sullo schermo del mio telefonino e vidi che erano le 16.30.
-Penso che ci convenga andare.- gli mormorai.
-Non pensavo che ci fosse un orario di chiusura persino per i giardini.- commentò, mentre raggiungevamo la mia auto. Non risposi.
-Dove vuoi andare di bello?- gli domandai, ingranando la marcia e sistemando lo specchietto.
-Non saprei. Dove ti va di andare?- lo fissai di striscio.
-Ho voglia di mangiare qual cosina. A te non è venuta un po’ di fame?-
-In effetti, ora che mi ci fai pensare …- rifletté lui. –Portami dove fanno il miglior Oden!- propose. Sapevo esattamente, dove andare.
Raggiungemmo un ristorante accogliente, dove lavorava un cuoco che conoscevo molto bene. Passarono pochi minuti, poi ci raggiunse una cameriera.
-Cosa vi porto?- ci domandò gentilmente, sfogliando un block notes e avvicinando la matita alla carta.
La fissai intensamente, tentando di ricordare dove l’avessi già vista. Capelli tenuti dietro alle orecchie di un castano scuro lucido e occhi altrettanto scuri.
-Ora ricordo! Tu ti chiami Aki!- gridai, alzandomi in piedi ed indicandola. Lei mi fissò sorpresa.
-Come fa a conoscermi?- domandò, dandomi del lei.
-Non mi riconosci?- le domandai. Lei scosse la testa, sorridendo nervosa.
-Possibile che tu conosca sempre o quasi, tutti?- disse Edgar, esasperato. Io sorrisi.
-Sono Rui.- mi presentai. I suoi occhi si spalancarono.
-Elementari …?- mormorò non troppo sicura.
-Hai fatto centro!- mi complimentai, sedendomi nuovamente. -Ci porti due Kanto-daki? Grazie.- le ordinai. Lei scarabocchiò velocemente sul blocco appunti, e poi sparì in cucina.
-Prima fai tutta la carina e cerchi di fare amicizia e poi la bidoni così?- disse Edgar, sorridendomi. –Sei una stronza.- m’insultò amichevolmente.
-Non credevo conoscessi questo tipo di parole Ed.- lo rimproverai. –Non sapevo che altro dire. E pure lei, lì a fissarmi immobile.- obbiettai, chiudendo gli occhi e accavallando le gambe.
Aki tornò poco dopo con i piatti fumanti di Oden.
-Ittadakimasu!- esclamammo assieme, gettandoci sul cibo.
Venti minuti dopo, ci trovavamo fuori dal locale a prendere un po’ d’aria.
-Era ottimo. Mai assaggiato Oden così gustoso.- commentò estasiato.
-I ristoranti giapponesi negli altri paesi non reggono il confronto con quelli in casa.- lo ribeccai, sorridendo beffarda.
-Certo. La prima volta che verrai a Londra, dovrò farti assaggiare il Rostbeef.-aggiunse. Sta volta fu lui a guardare l’orologio.
-Con piacere. Mi piace la cucina straniera.- poi mi diressi verso l’auto.
-Vieni o no che ti riporto a casa?-gli dissi, aprendo la portiera. Lui sorrise raggiungendomi, con passo veloce.
La strada per raggiungere la villa di Ciel, la percorremmo in totale silenzio.
Solamente la radio rompeva quel fastidioso silenzio.
Arrivai al gigantesco cancello della Villa Pridenson, poi si aprì lentamente. Voltai lo sguardo verso Edgar.
-Cancello elettrico, anche se non sembra.- sorrisi divertita dalla sua espressione.
Lo lasciai alla porta d’entrata.
-Grazie per avermi fatto compagnia Rui. Mi sono divertito.- disse lui, appoggiandosi all’auto.
-Anchio.- commentai sbrigativa. Stavo per ripartire quando Edgar, mi richiamò.
-Senti … fra tre mesi si tiene il ballo annuale organizzato dal padre di Ciel. Che ne diresti di venire con me?- domandò fissandomi speranzoso. Ci pensai su brevemente. Non ero mai andata ad un ballo di borghesi per borghesi.
-Quindi a luglio … Accetto, fammi sapere tutte le informazioni quando sarà il momento.- gli risposi sorridendogli, poi senza pensarci, ripartì a tutta velocità.
Mi stavo dirigendo finalmente a casa ma il cellulare prese a squillarmi insistente nella tasca dei pantaloni.
-Pronto?- risposi, rallentando leggermente.
-Ciao Rui, sono Hiroto.- allora aveva capito che mi riferivo a lui con quella frase …
Tranquillo, l’unico che avrebbe il permesso di stare con la sottoscritta si presume che verrà a saperlo molto presto.- “
-Ciao Hiroto.- lo salutai, cambiando tono, rendendolo più sensuale.
-Ti va di passare da me questa sera?- mi chiese.
-Aspetta un momento che devo pensarci.- non appena allontanai il cellulare dal mio orecchio, improvvisai un balletto con il braccio libero. Poi cercai di contenermi.
-Vengo eccome. Dimmi dove abiti che passo subito.- non so come feci, ma percepì il cambiamento d’umore, alla notizia che andavo da lui. Mi diede il suo indirizzo. Poi appesi e accelerai impaziente di arrivare a casa sua.
La raggiunsi in pochissimo tempo. Abitava in un appartamento simile al mio. Posteggiai l’auto sul ciglio della strada e poi salì le scale, cercando il numero 03.
Arrivai al secondo piano e individuai l’appartamento esatto. Mi avvicinai, e schiacciai con energia il campanello. In quel momento pensai che fosse stato tutto il tempo dietro alla porta ad aspettarmi, perché me l’aprì immediatamente accogliendomi con un grosso sorriso. Entrai gettandomi letteralmente tra le sue braccia. Poi alzai il volto, incrociando i suo occhi, di quel fantastico colore.
-Come mai hai deciso di invitarmi a passare la notte da te?- gli domandai, sussurrandogli quelle parole nell’orecchio.
-Diciamo che qualcuno, mi ha convinto a fare il primo passo.- mi rispose, mettendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Poi, presa da una passione che non provavo più da molto gli balzai addosso, allacciando le mie gambe alla sua vita. Ci fissammo negli occhi per interminabili minuti. Era come se il tempo si fosse fermato.
Poi Hiroto appoggiò, le sue labbra sulle mie, e senza perder tempo introdusse la sua lingua, intraprendendo una danza sensuale con la mia. Sembrava non avesse aspettato che quel contatto così intimo con la sottoscritta. Continuammo a baciarci con trasporto finché non raggiungemmo la stanza da letto. Mi trovai in pochissimi attimi sdraiata sul materasso, indossando solamente l’intimo, con il ragazzo che baciava ogni millimetro di pelle libera che trovava sul suo percorso.
E dà lì la strada fu in discesa. Ci ritrovammo nudi e sotto le coperte,a fare l’amore, come due adolescenti alla loro prima esperienza. Quel momento fu un tripudio di emozioni che avevo già provato, ma con lui fu come la prima volta.
Alla fine, ci trovammo abbracciati l’uno all’altro. Avevo la testa comodamente appoggiata al suo petto, ascoltando rapita il battito ritmico del suo cuore.
-Mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista. All’inizio ho scambiato quella scarica come stupida eccitazione, ma mi sono decisamente sbagliato.- commentò accarezzandomi dolcemente i ricci biondi che m’incorniciavano il viso.
-Anchio ho provato la stessa cosa.- mormorai sorpresa. –Ma credi che si possa parlare già di amore?- domandai, alzandomi sui gomiti, e nascondendo il seno nel lenzuolo.
-Piuttosto direi colpo di fulmine.- disse, trascinandomi nuovamente sotto le coperte. Passammo tutta la notte a rotolarci tra le coperte, finché il sonno non ci catturò tra le sue grinfie.
  
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