Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Violet_forevah    12/02/2013    2 recensioni
Gli occhi sono lo specchio dell'anima. Ogni sentimento, ogni emozione che proviamo si riflette nel nostro sguardo. Cosa si prova a poter sentire tutto quello che provano le persone intorno a te? Quale sentimento riflettono i tuoi occhi, in quel caso? Tutti o nessuno? Io, Sophie Richardson, ho la risposta a tutte queste domande.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



3. Let's talk




Mi svegliai in un luogo piccolo e silenzioso, certamente non era lo stadio della scuola. Non aprii gli occhi, ero ancora spaventata per quello che avevo visto e provato.
Sentivo un forte odore di disinfettante; lentamente spalancai le palpebre e le sbattei per schiarirmi la vista. Davanti a me c’erano Amy e Luke, accovacciati su delle barelle traballanti: ero nell’infermeria della scuola. Tossii un paio di volte, Amy mi si avvicinò: «Come stai? Ci hai fatto prendere un colpo! Non sapevamo che fare e ti abbiamo portato qui, per fortuna nessuno ci ha visto, sai, per via dei tuoi…» - «…Occhi da zombie psicopatica», concluse Luke.
Mi misi a sedere: «Che cosa mi sta succedendo?», chiesi sull’orlo del pianto.
Decisi di rivelargli i miei dubbi, se c’erano delle persone di cui mi potevo fidare erano quei due. «Io…ho sentito la mia testa esplodere. Mi sono sentita sovraccarica di emozioni. Come se provassi quelle di tutte le persone alla partita… e ho ceduto».
 
Non dissi loro di Tobias e di quello che avevo visto, ma non sapevo il perché. Forse era solo troppo presto.
 
Amy e Luke mi guardarono per un po’ come se fossi completamente fuori di testa, poi lui disse:  «Sai, Sophie, forse dovresti considerare seriamente l’idea di andare da uno specialista». Amy gli diede una gomitata. «Quello che pensavamo, in realtà, è che forse dopo l’incidente hai avuto qualche problema, il che è assolutamente normale, e che dovresti confidarti con qualcuno, ma non per forza con uno psicologo, potresti farlo anche con noi…siamo qui per te», disse lei con il tono che si usa con i cuccioli di cane. «L’ho appena fatto! Vi ho detto tutto, ed è vero, è stato un brutto periodo ma avete visto anche voi i miei occhi! Cosa gli spiego a uno strizzacervelli?» urlai io. «Noi volevamo solo aiutarti», abbozzarono loro.
Respirai a fondo per calmarmi. «Okay, io…lo so, ma non mi serve un medico». Feci una pausa. «Sono stanca, me ne vado a casa. Ci vediamo domani». Presi le mie cose e corsi via, trattenendo le lacrime.
 
Sotto le coperte, al sicuro nella mia camera, decisi di fare il punto della situazione: in primo luogo, avevo qualcosa che non andava, e che riguardava i sentimenti e le emozioni altrui – o forse i miei? –, ma non sapevo ancora cosa fosse. In secondo luogo tutte le persone a cui tenevo pensavano che fossi pazza o che avessi bisogno di aiuto, e cominciavo a pensarlo anche io, il che era più grave. In terzo e ultimo luogo, avevo visto gli occhi di Tobias Bryson sbiancare esattamente come i miei, perciò eravamo in qualche modo collegati. E questa era una certezza.
 
La mattina dopo andai a scuola con un piano in mente: avrei cercato di controllarmi e non svenire di fronte a mezza scuola, avrei rappacificato le cose con Amy e Luke, ma soprattutto avrei superato la mia timidezza patologica (e il mio terrore) e avrei parlato con Tobias.
 
Le prime ore passarono velocemente, non parlai quasi con nessuno e mi tenni lontana il più possibile dai gruppi di persone per evitare di perdere di nuovo il controllo; sembrava però tutto normale, come se non mi fosse successo niente di strano.
 
Ben era sovreccitato perché a quanto pare avevano vinto la partita della sera prima. Finsi per tutta la mattina di averla seguita per intero, complimentandomi per i punti che aveva segnato. Non che mi importasse davvero, avevo cose più serie per la testa.
Cercai con lo sguardo la testa riccia di Tobias Bryson nelle classi, ma a quanto pare non avevamo lezioni in comune quel giorno. Ne fui sollevata, perché ancora non sapevo cosa dirgli. Gli avevo parlato una volta sola (se quella si poteva considerare una conversazione) e non avevo idea di come cominciare.
 
Incontrai Amy e Luke nel corridoio prima di pranzo.  «Non trovi che Jake Morgan sia carinissimo? Mi ha fissato tutta la mattina», disse lei, su di giri. «Oh, sì, ha dei capelli stupendi. Sareste carini insieme, lui è uno a posto», risposi, entusiasta. Jake era davvero carino, era capitano della squadra di nuoto e una specie di genio matematico. Lui e Amy sarebbero andati d'accordo.
«No, siamo seri, guarda il suo mento: sembra il sedere di una gallina! Non vi ci vedo insieme…insomma non vorresti dei figli che somigliano al didietro di un uccello, vero?», esclamò  Luke. Lo guardai storto per un po’. “Che diamine stava facendo?”, pensai.

Mangiammo insieme, non ci vollero parole per sistemare la nostra discussione, mi bastò che Amy mi abbracciasse e che Luke mi lanciasse patatine fritte a pranzo ed era tutto come prima.
Finsi di non aver parlato con loro dei miei occhi sbiancati, anzi di non averli avuti affatto. Stava diventando un’ abitudine, comportarmi come se tutto fosse normale, quando sentivo l’esatto contrario.
 
Appena dopo pranzo scappai via da loro e mi precipitai verso il muretto nel cortile della scuola, sperando di trovare Tobias. Non mi sbagliavo, era appoggiato lì, con le cuffiette nelle orecchie e la testa bassa. Non sapevo che cosa avrei detto, ed ero terrorizzata. Ma dovevo cominciare da qualche parte, così tossii per attirare la sua attenzione. Non si mosse di un millimetro. Tossii ancora. Nessuna reazione: cominciai a pensare che fosse sordo. Mi schiarii di nuovo la voce, questa volta più forte. Niente. Non era sordo, mi stava ignorando. “Che cosa irritante”, pensai e probabilmente lo stava pensando anche lui. Non intendevo lasciar perdere, però. 
«Posso parlarti per un secondo?», gli chiesi con voce tremante. Alzò gli occhi al cielo, quegli occhi che non riuscivo a smettere di fissare, con l'iride così chiara e luminosa, si tolse una cuffietta e disse: «Se ne hai tutto questo bisogno» - «Io…ehm…vorrei chiederti una cosa su ieri sera, alla partita», feci una pausa. «Qualcosa che ho visto prima di svenire». - «E, tanto per sapere, perché lo stai chiedendo a me?». Era indifferente e agitato. Per tutta la mattina mi ero preoccupata su cosa dirgli, non avrei mai pensato che lui non volesse parlarmi.
«Bhe, la cosa che ho visto stava succedendo a te», risposi. Aggrottò le sopracciglia. «Sai, Sophie…ti chiami così, giusto?». Annuii. «Io non ero alla partita ieri, perciò dubito che tu mi abbia visto. Probabilmente mi hai confuso con qualcun’altro». Fece un sorrisino decisamente finto, si girò e rientrò nella scuola.
Ero stupita dalla sua reazione e mi sentivo un’idiota. Ero sicura che fosse lui alla partita, anche se, dovevo ammetterlo, sapeva mentire bene. Ma non per questo mi sarei arresa.
 
Lo seguii nei corridoi, non poteva vedermi, c’erano troppe persone. Girò l’angolo ed entrò in una porta a destra. Aspettai cinque minuti fuori e poi lo feci anch’io; era la biblioteca. Si era seduto sulle poltroncine infondo alla sala, ma non leggeva, ascoltava semplicemente la musica. Nella sala non c'era nessun'altro a quell'ora, era vuota e buia, perfetta per chi vuole stare da solo. Afferrai un vecchio libro a caso dagli scaffali di olmo, mi sedetti sulla poltrona di fronte alla sua e lo aprii a metà. Nemmeno finsi di leggerlo.
 
«Sei consapevole che questo è stalking?», dissi lui rompendo il silenzio. «La biblioteca è un luogo pubblico, sto solo leggendo», risposi fredda. «Sì, “I crimini sessuali nell’Ottocento” di Ronald Hawkins. Deve essere interessante». - «Ci devo fare una tesina», dissi. «Pensi di scriverla al contrario? Sei piuttosto diabolica».
“Perfetto” pensai. “Sto leggendo un libro sconcio al contrario. E con questa siamo a due brutte figure”. Non sapevo perché mi importasse.
Buttai il libro sulla poltrona accanto e decisi di andare dritta al punto, scavalcando le mie paure. «Ieri alla partita, non negare di esserci stato perché non ti crederei, ho visto i tuoi occhi diventare bianchi prima di svenire. E anche i miei lo erano, e non è stata la prima volta. Voglio solo sapere perché.» Ero stata troppo diretta o forse non voleva che gli chiedessi una cosa del genere, in ogni caso, era arrabbiato. Si guardò velocemente intorno preoccupato, poi tornò alla sua indifferenza forzata. «Sophie, fidati di me, oppure no, non mi interessa, ma non è vero. I tuoi occhi non potevano essere bianchi. È impossibile e basta. Ti sei solo immaginata tutto. E anche se fosse, io fossi in te non lo vorrei sapere», rispose a denti stretti.
 
Sembrava che i suoi occhi lanciassero fiamme argentate. Si alzò di scatto e uscì, lasciandomi lì, da sola, con troppe domande e nessuna risposta.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Violet_forevah