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Autore: Sghisa    14/02/2013    1 recensioni
A qualche anno di distanza dalla fine del college, a Neptune si incrociano nuovamente i sentieri di vecchi amici. Un mistero sembra celarsi dietro alle loro ordinarie e serene vite. Un mistero che li riunirà.
Genere: Romantico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Segreti svelati


Sto perdendo il controllo, ecco cosa sta succedendo. Sto perdendo il controllo, oppure mi trovo in un sogno. Non c'è altra spiegazione. L'odore di Logan, misto all'alcol e al profumo fruttato del bagnoschiuma le stavano dando alla testa. Era tutto vero? Beh, i suoi sensi, seppur appannati, le dicevano di si, anzi lo urlavano! Se apriva gli occhi, li poteva fissare in quelli di lui, profondi e tormentati, e perdersi in essi. Mentre le mani forti e grandi di Logan le sfioravano la pelle, le si infilavano tra la felpa sformata e la schiena, il respiro di lui copriva ogni altro suono. Il sapore della sua bocca e l'odore della sua pelle le dicevano “bentornata!”.
Poi all'improvviso la razionalità fece una breccia nella solida muraglia che i suoi sensi avevano rapidamente costruito, e lei si rese conto che non andava affatto bene. Che come al solito stavano facendo il passo più lungo della gamba, saltando alcuni passaggi fondamentali. Ma chissà per che non le importava: tutto ciò che contava, in quel momento, era abbandonarsi alle braccia di lui, ai suoi tocchi, ai suoi baci. Veronica fece scivolare le mani lungo le spalle larghe di Logan, per poi farle scendere lungo il suo muscoloso petto, fino ad arrivare alla fine della maglietta, dove si soffermò brevemente, prima di sollevarne il lembo inferiore. Aveva deciso che si sarebbe lasciata andare: perché combattere contro qualcosa che le riusciva così bene e che la accendeva con tale passione? Non ne valeva davvero la pena!

Aveva appena preso questa decisione, spinta dal calore che il corpo di Logan emanava, e che, dai palmi delle mani di lui le entrava fin nelle ossa; ma si era dimenticata che le cose si fanno in due. Logan, senza staccare le sue labbra da quelle di lei, sfilò le mani di Veronica da sotto la maglietta. Solo allora si staccò da lei, senza lasciarle le mani. “Veronica” lei finalmente rallentò il respiro e lo fissò, decisamente stupita da quella reazione “Lo sai che di solito non è da me tirarmi indietro. Soprattutto se ho per le mani una bella bionda come te...” le sorrise, ma lei continuava ad essere allibita: effettivamente Logan non si era mai tirato indietro di fronte ad un'occasione come quella!
“Sei stato tu a cominciare!” disse in tono capriccioso ma sensuale. Oh no, non gli avrebbe permesso di lasciarla a bocca asciutta.
Si fece più vicina e gli posò una mano sulla gamba. Logan abbassò lo sguardo, per rialzarlo subito dopo. Le regalò una delle espressioni più divertite che lei avesse mai visto. “Sono onorato, Veronica, e credimi se fossimo soli in questo momento non avrei un istante di esitazione. Anzi, penso che adesso come adesso avresti ben poca stoffa addosso!” Il discorso si stava facendo interessante alle orecchie di Veronica, che languida si sporse verso di lui , con poco successo “Ah-ha” fece lui, mettendo le mani avanti “devo ricordarti che lì fuori c'è un certo Mr. Kane pronto a rivelarci il suo grande segreto? Ti facevo più attenta, Ronnie, molto più attenta di così! E soprattutto molto più curiosa!” e sorrise malizioso prima di prenderle nuovamente il volto tra le mani e baciarla dolcemente sulle labbra. “Ma non ti preoccupare, perché il nostro randevù è solo rimandato!” Veronica dovette accettare la sua argomentazione e, di malavoglia, alzarsi dal letto per tornare in salotto e affrontare, una volta per tute, Duncan Kane e il suo segreto.



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Duncan era seduto sul divano, si tormentava i corti capelli. Era combattuto tra l'ansia di dover dire loro tutta la verità e la voglia di fuggire. Non vedeva l'ora che arrivasse quel momento e allo stesso tempo ne era terrorizzato; non sapeva se liberarsi la coscienza valesse ciò che lo aspettava anche perché non sapeva ciò che lo aspettava. Erano i suoi migliori amici, di questo era certo, nonostante gli anni di lontananza; quello di cui non era certo, era come avrebbero reagito alla notizia, e alla sua richiesta. Si sarebbero arrabbiati? Poco ma sicuro. Ma avrebbero capito perché lo chiedeva proprio a loro? Di questo non aveva certezza, come non sapeva se avrebbero accettato.
Doveva essere convincente, mettere da parte orgoglio e paure, se non altro per la sua bambina. Doveva mettere da parte il passato, superare una volta per tutte quelle che c'era stato tra di loro, quello che li aveva separati, ma anche quello che una volta li aveva uniti.
Da quando aveva ricordi, la dolce e delicata Veronica aveva sempre fatto parte della vita sua e di sua sorella: le due avevano fondato un'associazione a delinquere fin dalle scuole elementari. Tutte chiacchiere e segreti, avevano condiviso ogni momento della loro vita. In realtà non sapeva nemmeno come avevano fatto a conoscersi... ricordava che la madre di Veronica era stata un tempo la segretaria di suo padre. Forse era cominciato tutto lì. Magari un giorno Veronica e Lilly erano arrivate assieme alla Kane Software e la scintilla era scoccata nella sala d'attesa. O forse far conoscere e socializzare le due bambine era una scusa per continuare a frequentarsi... insomma Jake e Lianne erano stati re e reginetta del ballo al liceo e ora, a oltre vent'anni di distanza, stavano finalmente consumando la loro storia d'amore. O almeno questo era quello che gli ha riferito Clarence.

Lui e Logan, beh erano destinati ad essere migliori amici. Le loro madri avevano seguito lo stesso esclusivo corso pre-parto ad Oceanside. Aaron stava girando un film, e Lynn non ne poteva più di stare da sola a Los Angeles, così si era rifugiata a sud, presso una clinica estremamente costosa e altrettanto di classe. Era lì che, mangiando uva e sorseggiando succo di aloe arricchito di vitamine, lei e Celeste erano diventate grandi amiche. Era naturale che i due maschietti che stavano per nascere avrebbero condiviso un legame altrettanto forte e forse più sincero. Fin da dentro la culla, Duncan e Logan avevano condiviso spazi, momenti, vizi e regali. Poco dpo il parto Lynn era tornata a Los Angeles, ma le due famiglie si incontravano spesso e volentieri, rafforzando un legame che già esisteva. Era a casa di Duncan che finalmente, quando gli Echolls si erano trasferiti a Neptune, che i fab-four erano diventati una cosa unica, si erano conosciuti, fusi e non si erano più separati... beh quasi.
Ora Duncan sapeva che stava per mettere a dura prova la loro amicizia, e aveva paura di quello che sarebbe successo. Tremava come una foglia, ma dove smetterla: la voce doveva essere forte, il tono risoluto. Non doveva dare loro la sensazione che avrebbero potuto dirgli di no.

La maniglia della porta della camera di Veronica si abbassò, e i due, testa bassa e sguardo colpevole, uscirono finalmente. Lui li squadrò “Sono di fronte a due persone adulte con le quali parlare una buona volta, o no?” “Si” rispose Logan, dopo aver scambiato uno sguardo complice con Veronica. I due si sedettero sul divano, vicini ma non troppo, tesi l'uno verso l'altro ma in direzioni opposte. La cosa insospettì Duncan, che però non aveva tempo di approfondire la sua riflessione: se non l'avesse fatto ora, sapeva che non ci sarebbe riuscito mai.
“Devo chiedervi una cosa, e voglio che mi promettiate due cose prima che io cominci a spiegarvi il tutto. La prima è che mi ascolterete fino in fondo, senza commentare né giudicare. La seconda promessa sarà per voi molto più difficile da mantenere, ma non voglio che, nel rispondere alla mia richiesta, voi vi facciate guidare dall'affetto o dai sensi di colpa, ma solo dal raziocinio e dalla logica. Se non mi prometterete questo, io prenderò Lilly e uscirò dalle vostre vite per sempre.”
I due lo fissarono esterrefatti. Veronica non amava i paletti, e sapeva benissimo che nel momento in cui gliene avessero imposti... beh, quello era il momento in cui lei, tranquilla tranquilla, li scavalcava. Duncan lo sapeva, e quindi se le poneva dei limiti significava che per lui era necessario che lei li accettasse. Lo osservò, e lesse nei suo occhi, non solo paura, ma anche panico. Gli sfiorò la mano e gli sorrise. “Hai la mia parola. Niente interruzioni, niente intromissioni. E quando mi avrai chiesto ciò che devi, beh, ci penserò attentamente e non mi farò guidare dall'impulso!” Logan si limitò ad annuire, facendogli l'occhiolino.

Duncan non aveva mai detto a nessuno quello che stava per riferire ai suoi più cari amici, ma a qualcuno doveva pur dirlo, anche per liberarsi di quel peso opprimente che gli schiacciava il petto da mesi ormai. Gli costò davvero una fatica immensa tornare a quel giorno di qualche mese prima, raccogliere ricordi e pensieri, quei pochi che aveva.


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Finalmente aprì gli occhi. Aveva l'impressione di aver dormito per secoli, che avrebbe dovuto essere sveglio e cosciente, ma chissà perché era accaduto qualcosa e non si ricordava né che giorno fosse, né cosa ci facesse a casa. La luce filtrava dalla finestra, quindi era giorno. Perché non era al lavoro? Perché c'era silenzio in casa? Perché gli doleva così tanto la testa? Alzò il braccio per toccarsi la nuca, che pulsava come un martello pneumatico, ma non ci riuscì. Si guardo allora le mani e si rese conto di essere legato al suo letto da spesse catene. Era disteso, una flebo gli pendeva dal braccio sinistro, in casa solo un leggero brusio di voci. Non capiva cosa fosse successo, la testa non gli dava tregua, e mentre il cervello sembrava sbattere contro le pareti del cranio, dei flash, delle immagini, gli riempivano gli occhi ogni volta che li chiudeva. Vasi infranti, finestre in frantumi, una sedia, le grida di sua figlia, le mani forti della sua guardia del corpo, Don, che lo afferrano. Si sente la gola in fiamme, deve aver urlato. Gli fanno male le mani, deve aver tirato dei pugni. Intontito si domanda se sua figlia stia bene, se qualcuno li abbia trovati. La paranoia è una costante nella sua vita. Non possono trovarli, devono scappare. Pensieri sconnessi si susseguono nella sua mente: il sorriso di Meg l'ultima volta che l'ha vista viva; le notti in bianco a cullare Lilly; Lilly, sua sorella, che balla in piscina assieme a Logan e Veronica; suo padre e sua madre, la delusione dipinta sui loro volti nel momento in cui ha detto loro che stavano per diventare nonni; la prima volta che aveva picchiato qualcuno: i corridoi del Neptune High, lui e Logan; Veronica alla festa di Shelly, fuori di sé, che lo trascina nel letto della stanza degli ospiti, la loro prima volta; la fuga dal Messico; Clarence che lo informa che Aaron è morto e che sua sorella è stata finalmente vendicata; lui e Lilly da bambini; il primo compleanno di sua figlia... Non è pronto a dover ricacciare tutto dentro un compartimento stagno, fuggire e dimenticare nuovamente. Non possono...
All'improvviso si domanda cosa sia successo a sua figlia. La sua bambina. Prova ad urlare, ma dalla sua bocca non esce nulla. La testa pulsa più forte. Perché è legato? Li hanno rapiti? Ma allora perché si trova nella sua camera da letto? Sente avvicinarsi dei passi, percepisce delle voci. Sua figlia! É viva! Ma allora...
Poi capisce: un'altra crisi.



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“Saranno anche passati gli anni, saremo cresciti, ma alcune cose non sono cambiate” dopo quasi cinque minuti di silenzio, finalmente Duncan aveva deciso di aprire bocca e raccontare la sua storia, svelare il suo segreto. Veronica e Logan, in perfetto silenzio, avevano aspettato e ora, in perfetto silenzio, avrebbero ascoltato.
“Andrò subito al punto, senza girarci troppo intorno: sarebbe solo una perdita di tempo, e io non ne ho molto. Lo sapete tutti e due di cosa soffro, quale malattia mi tormenta da sempre. Logan ha anche assistito a una mia performance. Non male, vero? Beh, come potete immaginare, l'epilessia non passa da sola! Ha delle fasi acute e delle fasi dormienti, connesse allo stress, all'ansia, ma anche a fattori assolutamente imprevedibili. In questi anni ho avuto pochissime crisi epilettiche, quasi nessuna. I farmaci che prendevo hanno sempre fatto effetto, e quindi per me è sempre stato relativamente semplice gestire la mia malattia.” sospirò, prendendo tempo. Raccontare quelle cose era per lui estremamente penoso. “Ma ero terrorizzato da quello che avrei potuto fare a mia figlia. Nei primi anni di fuga, mosso dalla paura di non poterla proteggere da me e dalla mia follia, prendevo doppia dose di farmaci. Pessima idea: il mio sistema nervoso si è lentamente assuefatto, e così il farmaco ha smesso di fare effetto e di controllare i miei momenti bui. Tutto ciò è accaduto gradualmente, ma nell'ultimo anno e mezzo le cose hanno cominciato a complicarsi. Ho iniziato a maturare una rabbia che all'inizio ho confuso per legittima e reale: ero costretto a vivere sotto falso nome per colpa dei Manning. I miei genitori erano due traditori. Il mio migliore amico era ripetutamente stato con colei che ritenevo l'amore della mia vita. Lei era lontana e a quanto pareva voleva rimanerci: non era voluta fuggire con me anche se avrebbe potuto.” Fece una pausa, e poi, fissando Veronica riprese a parlare. “Sai, mi sono sempre chiesto perché non sei fuggita via con me quella volta. Non avevi poi molto da perdere... ma a quanto pare mi sbagliavo!” e fulminò Logan con lo sguardo. La situazione si stava facendo imbarazzante: poco prima lei e Logan stavano per esibirsi in costume adamitico dopo anni, e adesso Duncan li stava rimproverando per essere stati assieme anni prima. Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo di quanto stava accadendo pochi minuti prima... Però aveva promesso che non avrebbe interrotto e così fece.
Abbassò lo sguardo e lo piantò per qualche istante sulle grandi mani di Logan. Qualcosa le si mosse dentro. Fatti una doccia fredda, Veronica, e frena i bollenti spiriti: non è decisamente il momento adatto per pensare a certe cose... Dopo essersi mentalmente rimproverata, decise che avrebbe posato lo sguardo solo su Duncan per il resto della serata. Il contatto visivo con Logan o con una qualunque delle sue parti del corpo era decisamente fuori discussione.
Duncan riprese la parola “Beh ecco, insieme alla rabbia sono comparsi momenti di defiance: a volte mi mancavano dei pezzi della mia giornata, alle volte non sapevo perché mi trovavo in un posto. Ho scoperto che erano messaggi che il mio corpo mi stava mandando, ma li ho letti troppo tardi. Poi sono cominciate le crisi di panico, la paranoia, l'insonnia... attribuivo tutto ciò allo stress e al fatto che non ce la facevo più a vivere come un criminale, come un fuggiasco. E la mia soluzione? Aumentare il dosaggio di tranquillanti. Il mio sistema nervoso non ce l'ha più fatta: un bel giorno sono ricominciati gli attacchi. Prima brevi e rari, poi sempre più lunghi e frequenti. Per fortuna Don, la mia guardia del corpo, non mi lascia solo un attimo. È il cugino di Clarence, qualcuno di cui posso fidarmi!” Guardò i suoi amici e, sorridendo, esclamò “Si, se ve lo state domandando, mi sta tenendo d'occhi anche adesso. Diciamo che sa essere molto... discreto!” “Potrebbe tornarmi utile!” disse Veronica, per smorzare la tensione. Sapere di essere osservati e spiati non era affatto rassicurante per una abituata a spiare e osservare...
“È solo grazie a lui che non ho ucciso mia figlia.” L'aveva detto. Finalmente. Ma l'aveva detto con una pacatezza, una freddezza che spaventarono Veronica. Sapeva che Duncan non avrebbe mai fatto del male a sua figlia, per questo era per lei sconvolgente sentire quelle parole. “Un giorno ho avuto un crisi...vera. Una crisi seria, di quelle che non mi capitavano dalla morte di Lilly, come quelle che avevo quasi tutti i giorni in quel periodo, e nel periodo in cui ci eravamo lasciati” proseguì, indicando Veronica “So che lo sai, Veronica, quindi non fare la faccia stupita: sappiamo benissimo entrambi di cosa sto parlando, quindi non facciamo finta che non sia così. Dicevo... ah si. Era una domenica di qualche mese fa ed eravamo tutti a casa. La domenica mattina io leggo il giornale mentre preparo la colazione a Lilly, perché quello è il giorno dedicato a me e lei, al bene che ci vogliamo, ai nostri capricci reciproci. Magari prendiamo e andiamo sulle Montagne Rocciose a sciare, o alle Hawaii a fare un bagno... insomma. La domenica è il nostro giorno. Ma è anche il giorno in cui io leggo i giornali californiani per tenermi aggiornato. Sei giorni alla settimana il mio passato non esiste, ma la domenica è per il ricordo e la memoria dela mia vita passata e delle persone che ho amato. Beh stavo leggendo il Neptune Tribune quando ho avuto una crisi violenta. Don mi ha raccontato che ho praticamente distrutto la cucina, e che si è dovuto lanciare addosso a me per evitare che raggiungessi Lilly...” Era freddo, gelido, come se quello che stava raccontando non lo riguardasse... “Per fortuna che c'era Don... mi sono svegliato 8 ore dopo come se nulla fosse. Non sapevo cosa fosse successo, ma ero terrorizzato. Non capivo, non ricordavo. Ero disteso su un letto, avevo paura per la vita mia e per quella di Lilly. Ho pensato che ci avessero trovati e aggrediti, che ci avessero rapiti, che ci stessero ingannando... Poi ho visto la mia bambina e ho capito che dovevo cacciare via quella maledetta paura e finalmente reagire. Una settimana dopo sono andato da uno specialista a Seattle. Mi ha visitato e le notizie non sono buone. Devono operarmi, quanto prima. Devono recidere il corpo calloso, separare i due emisferi per rompere le sinapsi difettate. E sperare che basti questo a far cessare gli attacchi.”
Veronica stava per aprire bocca, ma lui la interruppe “No, Veronica. So che se mi fermo non riuscirò più a ricominciare. Fammi finire e poi risponderò a tutte le tue domande.” La giovane donna annuì, e poi appoggiò la schiena ai cuscini del divano, cercando di rilassarsi. “L'intervento è di routine, ma ha anche una serie di punti critici connessi al mio caso specifico, ma anche al fatto che ti devono dividere in due il cervello. Come potete immaginare, nel peggiore dei casi ci rimetto la pelle, ma potrei anche perdere l'uso della parola, la memoria, la capacità di distinguere realtà e immaginazione. Per questo motivo devo mettere le mani avanti e assicurare a mia figlia un futuro, una vita, con o senza di me. Ho riflettuto a lungo e sono giunto a questa conclusione. Se dovessi morire o non essere più in grado di badare a mia figlia, non posso permettere che finisca in affidamento, quindi devo designare dei tutori che s'impegneranno a darle tutto l'affetto di cui ha bisogno, ma che siano anche in grado di prendere le decisioni giuste per lei e che sappiano amministrare il piccolo capitale che è di mia figlia per diritto. Non voglio che i Manning mettano le mani su di lei, ma per questo Veronica ha già fatto molto. Dovremmo avere notizie a breve, giusto?” lei annuì.
“I miei genitori non sono stati in grado di crescere decentemente né me né mia sorella. Nulla mi fa pensare che potrebbero riuscirci con mia figlia. Per di più si sono separati, e la bambina rischierebbe di diventare merce di ricatto. No grazie, voglio per lei un mondo d'amore e affetto, non di odio e mistificazioni. Insomma... mi rendo conto che forse parlare di amore e affetto è eccessivo, ma sono sicuro che... beh... voi sareste i tutori migliori del mondo per mia figlia. Siete le persone a me più care, siete le due persone più forti che conosca, ma anche le più fragili. So che assieme siete una coppia potenzialmente esplosiva, ma essere tutori non implica necessariamente lo stare assieme, anzi.” Era quasi entusiasta mentre pronunciava quelle parole. “Vorrei che ci rifletteste, ma sarei veramente felice se, in qualche modo, voleste far parte della nostra famiglia.” Veronica e Logan rimasero a bocca aperta. Nessuno dei due si aspettava una richiesta del genere.


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Erano ore che Veronica, Logan e Duncan alternavano spiegazioni a silenzi, dubbi a domande. Veronica stava crollando, erano state delle giornate molto pesanti e lei non ce la faceva più fisicamente. Sbadigliando pronunciò la frase con la quale l'argomento si sarebbe chiuso per un po'. “Devo parlare con mio padre prima di prendere una decisione” Logan la squadrò dall'altro capo del divano “Veronica, temo che prima dovremo trovarlo!” “Mhh... scommettiamo che posso rintracciarlo ora?” “Scommettere con te Mars è sempre un rischio... che sono disposto a correre! Cosa ci giochiamo?” Logan sapeva che avrebbe perso, ma gli era sempre piaciuto veder sorgere negli occhi di Veronica quella scintilla particolare di quando sapeva di aver vinto. “Chi perde domani esaudirà ogni desiderio dell'altro per quanto riguarda il ballo?!” Logan annuì, ben disposto a pagare pegno se si trattava di vedere Veronica in abito lungo, tacchi alti, e magari ringalluzzita da qualche bottiglia di champagne! “Fatta! Vediamo, le 6 del mattino... non dovrei disturbarlo. Non troppo per lo meno...” si alzò ed estrasse un telefono cellulare usa e getta dalla scrivania. Compose il numero e mise in viva voce. “Tesoro... sono le sei del mattino... a meno che tu non sia in pericolo di vita, sappi che potrei essere molto arrabbiato...” la voce era proprio quella dell'ex sceriffo. “Scusa papà, saluta Logan e Duncan. Volevano essere sicuri che tu stessi bene.” “Ciao ragazzi. Stavo meglio cinque minuti fa, tesoro, e starò meglio tra cinque minuti quando riprenderò il mio bellissimo sogno. A presto!” La linea suonò a vuoto. Veronica posò il telefono e si voltò verso i suoi interlocutori. Il sorriso carico di soddisfazione le morì sulle labbra. “Ops!” esclamò viste le facce truci dei due uomini “Mi sa che tocca a me darvi qualche spiegazione... beh mio padre non è stato rapito. È in un motel al sicuro: nessuno a parte me e Cliff sa dove si trova. Per rispondere alla vostra domanda... beh è stata una mia idea. Tua madre Duncan l'aveva ingaggiato per ritrovarti, e ci sarebbe riuscito, ne sono sicura. Non potevo permettere che ciò accadesse. Dato che non sarebbe stato credibile che lui abbandonasse il caso ho pensato che inscenare un rapimento sarebbe stata la soluzione ideale. Inoltre è stato un ottimo diversivo per focalizzare l'attenzione delle autorità! Così Leo ha potuto lavorare con Angela senza correre il rischio di essere beccato. Tra poche ore il signor Manning verrà arrestato, e sua moglie ritirerà la denuncia contro Duncan. È il padre di Lilly e ha il diritto di portarla ovunque voglia, se non c'è nessuna denuncia di rapimento. Quindi... sì, la sparizione di mio padre, seppur improvvisata, rientrava perfettamente nei piani.” Sbadigliò vistosamente.
“Che ne dite se andiamo a dormire? Qualche ora di sonno ci aiuterà a rinfrescarci le idee. E poi domani Logan è impegnato!” “A fare cosa?” “Come? Devo comprare abito e scarpe per il ballo!” E detto questo si avviò verso camera sua. “Buona notte signori! A tra poco!”
Si era infilata a letto, e aveva sentito la porta della camera di suo padre chiudersi; evidentemente anche Duncan era crollato. Probabilmente Logan si era sistemato sul divano. Stava giusto per addormentarsi quando la porta cigolò e Logan varcò la soglia. Con la sua solita aria da cane bastonato, chinandosi le sussurrò all'orecchio “Posso dormire qui con te? Il divano è troppo piccolo!”
Come se il letto di Veronica fosse stato molto grande.


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Era quasi ora di pranzo quando il telefono di Logan cominciò a suonare. Ci misero qualche secondo prima di svegliarsi e rendersi conto che quel suono fastidioso proveniva dal pavimento. Logan allungò la mano e cercò a tastoni il cellulare. Lo portò all'orecchio e biascicò un poco convinto “Pronto?” all'altro capo del telefono Wallace gli regalò una favolosa e cristallina risata “Amico, sei riuscito a trovare una tua fan anche qui a Neptune? Nottata di bagordi, eh?!?” Logan arrossì: Wallace non sapeva che tra le braccia del giovane attore non c'era una fan qualunque, ma la sua migliore amica. Chissà cosa avrebbe pensato, o meglio, come avrebbe reagito se avesse sentito la voce di Veronica. Si portò l'indice alle labbra, intimandola di stare zitta. “Wallace, è mattina. Non per fare l'antipatico ma... che cosa diamine vuoi? Io sarei tipo ancora in fase rem...” “Volevo solo chiederti conferma dell'orario per la tua accompagnatrice del ballo di questa sera... il suo volo arriva alle due di pomeriggio, vero?” Logan balzò quasi in piedi, lasciando Veronica allibita e svegliandola all'improvviso. Pessima mossa! Se prima non voleva che lei sentisse la telefonata, ora aveva tutta la sua attenzione.
“Hem... si arriva alle due... Si amico, grazie... no non dirle che ero in compagnia di un'altra... davvero ti devo un favore!” Veronica era imbestialita. Gettò il braccio oltre il bordo del letto e recuperò i suoi pantaloni. Il resto lo indossava ancora, lo aveva sempre indossato. Qualche ora prima, quando si erano finalmente ritrovati in posizione orizzontale, si erano semplicemente addormentati. Abbracciati.
In quel momento ringraziò la stanchezza. Se Logan aveva un'altra, come sembrava dalla telefonata che si erano appena scambiati lui e Wallace, sarebbe stato troppo umiliante per lei essere stata a letto con Logan poche ore prima dell'arrivo di questa famigerata accompagnatrice...

Non fece in tempo ad immaginarsi tutti gli scenari possibili che lui le prese il volto tra le mani e, con aria sicura e tranquilla le disse “Nessuna accompagnatrice, Veronica. Ferma il tuo cervellino e ascoltami. Senza saperlo Wallace sta per andare a prendere Jackie”.


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L'aereo era in perfetto orario. Wallace aspettava all'uscita dei voli domestici, appoggiato alla sbarra. Durante il viaggio verso l'aeroporto si era domandato che aspetto avesse il “più uno” di Logan Echolls per la festa del decennale dal diploma. Si immaginava che il ragazzo non si sarebbe smentito: sarebbe stata una ragazza copertina, tutta gambe e curve, dal sorriso smagliante, i capelli perfetti, un abito da sogno. Tutte le loro ex compagne di scuola sarebbero morte d'invidia, e qualcuno di sua conoscenza sarebbe stato roso dalla gelosia. Anche perché Veronica sarebbe stata senza accompagnatore. Situazione che vedeva coinvolto anche Wallace. Probabilmente sarebbero andati assieme, avrebbero potuto fingere di essere una coppia per apparire un po' meno falliti.
Falliti, insomma, tutto è relativo. Entrambi avevano una carriera di successo, erano ancora giovani e si divertivano. Di cosa avrebbero dovuto vergognarsi? Di non essersi ancora omologati? Di non aver fatto il grande passo? Ma ne valeva la pena? Non senza la persona giusta, e Wallace era sicuro di non averla ancora trovata. O meglio di averla persa.

Era così immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse che la gente cominciava ad uscire dalle porte a vetri, e neppure delle tre figure che si stavano avvicinando a lui. Si rese conto che qualcuno lo stava fissando quando ormai gli occhi di lei erano a pochi metri di distanza. Cosa ci faceva Jackie Coock all'aeroporto? Non aveva ancora realizzato che fosse in compagnia. La osservò avvicinarsi in silenzio. Poi lei sorrise e aprì bocca. Miele ne uscì. Il suo tono era titubante, e a stento mascherava l'emozione. “Non pensavo che saresti venuto a prendermi tu” Gli occhi le luccicavano. “Wallace, vorrei presentarti i miei bambini: lei è Tessa” Una splendida ragazzina di circa dodici anni si fece avanti e porse la mano a Wallace. Era stupenda, tutta sua madre. Wallace le strinse delicatamente la mano. “Ciao Tessa. É un piacere conoscerti, ho sentito tanto parlare di te!” la ragazzina gli restituì un sorriso carico di felicità. “E lui è Michael, come Michael Jordan”. Mani in tasca, capelli ribelli, la faccia di uno che voleva solo proteggere le sue donne. Fece un passo avanti, ma non si mosse. Wallace era sconvolto. Jackie aveva avuto un secondo figlio. Con chi? “Ha dieci anni, ed è un'appassionato di basket. Tutto suo padre!” lo disse come se la cosa non avesse importanza, ma invece ne aveva un sacco, e Wallace lo capì al volo. Jackie lo abbracciò e gli sussurrò all'orecchio “Mi sei mancato Wallace... ci sei mancato!”
Si separarono dall'abbraccio e Wallace prese le valige. Logan Echolls, pensò Wallace mentre intontito li accompagnava alla macchina, non sai in che guaio ti sei cacciato.




Spazio autrice: e qualche nodo è venuto al pettine! A presto!


  
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