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Autore: _TheDarkLadyV_    14/02/2013    2 recensioni
Un uomo vede il sesso ovunque.
Una sciarpa? State coprendo il seno.
Una scollatura? State mostrando il seno.
Un reggiseno? Evviva le tette!
E poi, ritornando al discorso sull'amore, lo sappiamo tutti molto bene: quando siamo soggetti a un colpo di fulmine,potremmo essere investiti da una macchina, cosparsi di panna montata, lanciati in orbita da un cannone, vestiti da macachi, e non ce ne accorgeremmo!
Buffo il genere umano, così intelligente da perdersi alle prime frivolezze. Forse era meglio nascere macachi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stranger in a strange land

Sapevi di essere sulla buona strada solo quando la mente partoriva frasi degne di Shakespeare anche stando semplicemente seduti in un bar, ad un tavolo riservato accanto alle grandi vetrate che rispecchiavano l'atmosfera serena di una strada leggermente sporca di neve. Erano tempi difficili per la mia pelle, che faceva ancora fatica ad adattarsi a quell'ambiente ostile. Eppure nonostante tutto amavo quella sensazione, simile allo stato in cui si trovava il mio cuore, freddo come Helsinki.
Di tutte le stagioni che si alternavano ripetutamente sulla Terra, l'inverno era sicuramente la mia stagione preferita, perché le lunghe giornate grigie che portava con sé si addicevano perfettamente al mio essere. Mi piaceva sentire il freddo penetrarmi nelle ossa, anche se difficilmente lo sopportavo e soprattutto adoravo il venticello gelido che con un sol colpo fendeva la pelle come la lama di un coltello. Quella a mio avviso, era la sensazione più sadica che mi piaceva provare. In quel momento continuavo a fissare il mio quaderno adagiato delicatamente sul tavolo, sperando che quel contatto visivo in qualche modo accendesse la scintilla che, salendo fino al cervello, mi avrebbe fatto partorire quelle dannate frasi da far invidia a Shakespeare stesso. Io, seduta, aspettavo ma invano: il mio desiderio purtroppo faticava ad avverarsi. L'unica cosa ad essere cambiata nel frattempo era la dose mattutina di caffé che gradualmente stava svanendo dalla tazza, la prima di una lunga serie. A volte mi facevo paura da sola, sembravo una macchina divoratrice di caffeina, questo soprattutto quando cercavo di attivare le antenne usate per cogliere l'ispirazione. Ormai andavo avanti così da una settimana, ogni mattina. La prima settimana, invece, la usai per conoscere la città.
Imparare a vivere in un posto completamente fuori dalla mia portata fu ciò che dovetti fare in quei  giorni. Era un pò come partecipare ad uno reality televisivo in cui avrei dovuto superare molti ostacoli per vincere e aggiudicarmi il titolo di sopravvissuta, e nonostante la difficoltà dei primi momenti, mi complimentai con me stessa per il risultato raggiunto ed essere stata davvero così brava a mettermi in carreggiata in così poco tempo. Grazie alle visite guidate di Jonathan ed Elisabeth pian piano cominciai a sapermi muovere per la città, non benissimo certo, ma almeno ora sapevo raggiungere anche da sola quei posti in cui avrei passato un sacco di tempo ad evocare in intimità il mio dolce alter ego. E uno di questi era il bar in centro dove passavo la mattina ad ingozzarmi di caffé rendendomi nervosa e suscettibile in pochissimo tempo. Non era molto distante dal parco, altro punto strategico, che ormai avevo preso l'abitudine a misurare a grandi passi durante il pomeriggio. Questi erano i due fulcri centrali della mia esistenza lì, in quella specie di Polo Nord abitato.
La gente era cordiale. Alcune donne mi riconobbero per strada e ricordo perfettamente come il mio ego in quel momento divenne più smisurato del dovuto e la soddisfazione di avere delle fan così accanite anche lì divenne davvero immensa. Oltre ad Elisabeth e Jonathan non fui così estroversa da fare subito amicizia con altra gente. Dopotutto era ancora l'inizio e gradualmente avrei avuto modo di aprirmi anche con le persone che erano al fianco dei miei amici, ma conoscendomi, il carattere burbero che mi ritrovavo avrebbe giocato a mio sfavore. A Londra non avevo una vita sociale molto attiva e gli amici anche lì si potevano contare sulla punta delle dita. A me stava bene così e non vedevo il motivo per cui dovessi cambiare le mie abitudini ad Helsinki. Già era tanto se abituavo il mio corpo a quelle temperature. L'unico estraneo con cui avevo instaurato una sorta di legame amichevole, che si apriva con un buongiorno e si chiudeva con un ciao, era Jack, il barista, londinese anche lui. Fui davvero contenta di trovare un compaesano in quel posto, anche se c'era da dire che la maggior parte della gente che incontrai in quelle due settimane praticava bene l'inglese, ma era comunque sempre piacevole scambiare due parole contate e più veloci con gente della propria zona di origine. Ebbi modo anche di conoscere suo figlio, Liam, il ragazzo che prontamente provvedeva a portarmi le decine di tazze di caffé appena le chiedevo. Era molto cordiale e non sapevo se il fatto che i suoi occhi appena alzavo la testa erano puntati su di me dovesse lusingarmi o irritarmi. Pensandoci bene mi irritavano perché riflettendo, probabilmente dieci anni prima non avrei avuto un trattamento così gentile se solo avesse visto la balena che ero. Era questo forse ad irritarmi di più, il fatto che quelle attenzioni si ricevevano solo se si era lontani dall'essere un mostro. Per questo odiavo gli uomini. Cosa pensavano, che un semplice complimento o un'attenzione in più potesse cambiare qualcosa? A me non cambiava nulla. Non era quello che mi faceva impazzire in un uomo. Erano tutti così uguali! Noiosi soprattutto! Ma per soddisfare il corpo si accettavano anche gente del genere, dopotutto la carne era sempre stata debole a tal proposito. Anche quel giorno trovai Liam a fissarmi dal bancone e dovetti forzatamente rispondere al suo sorriso imbarazzato con uno decisamente falso. Poi spostai lo sguardo sulle altre persone che a quell'ora popolavano il bar e restai a guardarli per un bel pò di tempo.
Osservare la gente era la cosa che più mi divertiva e mi piaceva fare quando ero in procinto di scrivere un nuovo romanzo. Quella gente non sapeva quanto potesse essere di grande aiuto per una scrittrice. Era proprio dalla gente comune che prendevo spunto per formare i caratteri dei personaggi e se trovavo qualcuno di particolarmente interessante potevo anche prendere in prestito i caratteri somatici.
Molti mi credevano pazza, altri semplicemente strana, ma fin'ora nessuno era riuscito a capire chi fossi realmente. Lasciando la freddezza e la cattiveria sviluppata contro il sesso opposto, io ero una di quelle ragazze che amava di gran di lunga starsene per fatti suoi, guardando in silenzio ciò che la circondava.
Non ero particolarmente loquace come magari poteva sembrare e il più delle volte tendevo ad isolarmi dal resto del mondo, preferendo scomparire nel luogo che avevo creato con grande zelo nella mia mente durante quegli anni. Era il mio piccolo universo, dove stranamente valeva ancora la  storia della principessa che veniva salvata in calcio d'angolo dal principe azzurro, quest'ultimo magari in sella al suo famoso cavallo bianco. O dove Cenerentola ancora una volta fotteva quelle streghe delle sue sorellastre e cambiava residenza, e finiva per vivere in un palazzo e portare sul lastrico il bel principe e tutto il seguito, per via dello shopping sfrenato. In quel momento presi ad osservare una coppia seduta ad un tavolo vicino all'ingresso. Erano giovani e sicuramente molto innamorati. Capii che quel sentimento era molto recente dal modo in cui si guardavano e forse passando il tempo quei sorrisi luminosi si sarebbero gradualmente affievoliti, perché quell'amore avrebbe finito per diventare una semplice abitudine. Forse ero io che vedevo questa piccola nota dolente in quella felicità, ma era nella mia natura trovare del marcio e del negativo in tutto quello che sprizzava gioia e amore. In tutte le cose c'era la fregatura. Ma non potei fare a meno di sorridere vedendo quello scambio di dolci carezze ed effusioni, perché nonostante la mia mente malata di acidità ero contenta di vedere una donna felice. La mia paura era invece quella di trovare una donna sola, perché la donna poteva dare molto e insieme ad un'altra sapeva essere davvero una forza della natura. Mi accorsi per un attimo di essermi persa nel guardare quella giovane coppia, rischiando probabilmente di apparire invadente e fastidiosa. Così distolsi lo sguardo appena in tempo per eliminare il dolciume che si era stampato sul mio volto e che non mi apparteneva minimamente. Ma prima di riportare gli occhi sul foglio constatai che Liam non era l'unico quella mattina a fissarmi in maniera curiosa e costante come faceva sempre da quando lo conoscevo.
Quel giorno a due tavoli dal mio, un ragazzo, che stranamente avevo ignorato, con un berretto nero e con un viso magro e pallido, sembrava aver deciso di imitarlo. Indugiai su quello sguardo che, per un tempo infinito, mi fece perdere il respiro per quanto fosse immediato da lasciare senza parole e presa da uno strano senso di imbarazzo subito abbassai la testa per tornare sul mio quaderno. Cercai con tutte le mie forze di fare l'indifferente ma sentivo lo stesso quello sguardo trapassarmi.
Non mi sentivo più a mio agio, era chiaro che il tizio mi desse ai nervi e così mi alzai e prendendo borsa, quaderno e penna mi allontanai dal mio tavolo e, senza guardare in quella direzione nonostante la voglia, mi avvicinai a Jack che con un gran sorriso disse: " già ci lasci?"
Guardai anche Liam dietro suo padre e risposi: " per oggi sì. Ma tranquillo domani sono di nuovo qui. Il tuo caffé è un toccasana per il mio corpo."
Jack sorrise e disse: " ne sono davvero compiaciuto."
Pagai i miei sette caffé e dopo aver salutato Liam, che gentilmente mi aveva accompagnata fin all'ingresso, aprii la porta scivolando in un vortice di freddo assurdo. Mi strinsi meglio la sciarpa al collo e mi diressi da Jonathan. Lui aveva aperto, da circa tre anni una scuola di danza, la sua unica ragione di vita, e molto spesso finiva per restare lì dentro quasi tutta la giornata. Era un coreografo spettacolare molto richiesto in America. Prima di pranzo ero solita passare da lui per poi dirigerci insieme a casa.
Mentre mi sistemai il cappello e imboccai la strada per raggiungere il primo ballerino del mondo, sentii una presenza dietro di me. Fu inevitabile per il mio istinto voltarmi e quasi mi pentii subito di averlo fatto. Dietro di me come una sorta di demone oscuro, c'era il ragazzo che mi aveva fissato per tutto il tempo al bar. Non seppi bene perché ebbi quella reazione, ovvero, battiti del cuore accelerati e un nodo allo stomaco. Forse la colpa era di quel viso davvero particolare. Ma cosa stavo facendo? Da quando un uomo mi faceva questo effetto? Evidentemente Helsinki l'avevo sopravvalutata: non mi stava sicuramente facendo del bene, anzi mi stava rammollendo e la cosa non mi piaceva affatto. Velocizzai il passo e dopo aver imboccato una stradina secondaria che si apriva come uno spiraglio sulla mia sinistra, mi guardai dietro e con grande gioia seppi di aver seminato lo scheletro ambulante. Soddisfatta arrivai poco dopo alla scuola dove trovai Jonathan sudato e con l'affanno mentre salutava le sue due aiutanti. Immaginai che avevano appena finito di provare qualche coreografia pazzesca. Appena mi vide, lo spilungone mi sorrise e si precipitò da me per abbracciarmi.
" Che schifo sei tutto sudato! Non avvicinarti!"- mi lamentai indietreggiando.- " non ti permettere!"
Ma lui, dispettoso, mi cinse i fianchi e finii per essere imprigionata tra le sue braccia nonostante il mio disappunto. Gli tirai un pugno sul braccio e mi liberai da quella presa allontanandolo.
" Sei una iena! Ti odio!"- disse massaggiandosi il punto colpito.
" Questo vale anche per me."- risposi a braccia conserte. Mi fece la linguaccia e poi scomparve diretto agli spogliatoi. Io nel frattempo mi sedetti di fronte ad un muro pieno zeppo di foto che ritraevano Jonathan insieme alle star della musica con cui aveva lavorato in quegli anni. Una foto su tutte faceva da padrona ed era quella che traeva il mio caro ballerino con la bravissima e talentuosa Beyoncé Knowles. Lui era un suo grandissimo fan e ricordavo, come se fosse ieri, esattamente, parola per parola, la sua chiamata dove, con voce da donna isterica per via del ciclo mestruale, mi diceva che la sua regina lo aveva scelto per alcune coreografie impegnative e allo stesso tempo per imbarcarsi in un mostruoso tour mondiale, e lui naturalmente aveva accettato.
" Andiamo?"
Distolsi la sguardo dalla foto e alzandomi gli andai vicino e accennai con la testa. Uscii per prima mentre Jonathan provvedeva alla chiusura quasi ermetica del suo castello prezioso.


" Vai al parco?"
La voce di Elisabeth quasi mi fece trasalire mentre indossavo il cappotto e il cappello. Ero così assorta nei miei pensieri che la presenza della mia amica mi fece fare un salto degno di un atleta olimpico.
" Non pensavo di fare questo effetto."- scherzò. Sorrisi e sistemandomi i capelli con perfetta attenzione davanti allo specchio dell'ingresso risposi: " scusami. È che oggi mi sento strana."
" E' colpa di tutti quei caffé. Devi smetterla! Finirai per esserne del tutto dipendente."
" Già lo sono."- dissi prendendo la borsa.- " io vado. Ci vediamo dopo."
" Okay."
Le diedi un bacio sulla guancia come facevo sempre quando era a Londra e chiudendomi la porta alle spalle, mi incamminai verso il mio destino incerto. Quel giorno ero sicura che non avrei ricavato un ragno dal buco, perché conoscendomi sapevo perfettamente che non ero concentrata. Il bello era che non sapevo nemmeno il motivo e la conseguenza fu un nervosismo pazzesco, più di quello che riuscivo a procurarmi con dieci caffé di seguito. Mentre camminavo tranquillamente scoprii che davanti a me c'era la figura tenebrosa che avevo visto la mattina stessa e la cosa mi diede ulteriormente fastidio. Non volevo sorpassarlo, ma allo stesso tempo non avevo la minima voglia di camminare lenta come una tartaruga per evitare di avvicinarmi. Così armata di coraggio feci il passo decisivo e rapidamente lo superai cercando di non guardarlo. Continuai a camminare sperando di averlo superato e invece non fu così. Era come se mi stesse seguendo e non faceva nulla per nasconderlo. Quando mi voltai giurai di aver visto un sorriso sul suo volto, un sorriso tutto per me poi. Mi voltai immediatamente e continuai a camminare. Quando fui immersa nel parco respirai l'aria pura e mi sedetti sull'altalena stando attenta a non cadere. Guardai i bambini rincorrersi e nel frattempo tirai fuori il quaderno con la speranza che potessi finalmente scriverci almeno una frase come " c'era una volta", piuttosto che continuare a guardarlo. Scrutai quei bambini immersi nei loro giochi quando uno di loro, cadde a poca distanza da me. Mi avvicinai preoccupata per via della caduta decisamente rovinosa che aveva fatto e chiesi: " ehi tutto bene?"
Lo aiutai a mettersi in piedi e a sistemarsi. Lui mi sorrise e rispose: " sì sto bene."
" Ne sei sicuro?"- chiesi ancora preoccupata.
" Davvero!"- esclamò allegramente.- " grazie!"
" Di nulla."- risposi sorridendo a mia volta vedendolo poi tornare correndo dai suoi amici. Uno di loro alzò la mano per salutarmi. Alzai a mia volta la mano continuando a tenere quel sorriso sincero sul volto. Quando tornai a sedermi il sorriso si congelò per quello che vidi girando la testa verso la mia sinistra. Quel ragazzo si era seduto sulla panchina rilassato e mi stava guardando. Quando i nostri sguardi si incrociarono in poco tempo distolse il suo preferendo contemplare i bambini. Evidentemente aveva capito che quella sua malsana curiosità provocava nervosismo. Io feci finta di nulla e sbuffando presi il mio quaderno, decisa a scrivere qualcosa di più di diecimila scarabocchi. Ebbi la stupida di idea di pensare che forse la causa di quegli occhi puntati su di me era dovuto al mio cappotto lungo rosso che non passava di certo inosservato e molto probabilmente Cappuccetto Rosso mi avrebbe denunciata per plagio.
Mi addentrai nel mio mondo fatato ignorando il fatto che nella realtà fossi l'oggetto di osservazione di una specie di uomo nero, ma sembrava proprio che qualcuno ce l'avesse con me. Prima di poter del tutto lasciare la realtà, dedicandomi a quel foglio bianco che avevo in grembo, qualcuno mi si parò di fronte e alzando la testa vidi un biondino niente male che mi sorrideva.
"Ciao."- esordì. Lo guardai mezzo minuto senza parlare e poi tornai a guardare il quaderno e sussurrai un acido: "ciao."
Questi intoppi decisamente non mi piacevano soprattutto se questi prendevano il nome di uomini. Stavano facendo di tutto pur di non farmi riprendere i rapporti con Lady V. E sapevo bene cosa significasse il sorriso stampato su quel volto fintamente angelico: prima regola di abbordaggio.
Innervosita a quel punto infilai il quaderno in borsa e mi alzai, con la voglia di scomparire prima di fare del male fisico a quella zecca.
" Già vai via?"
" Ho da fare."- risposi apatica. Ma quando decisi di fare un passo verso la luce, lui si parò nuovamente davanti e disse: " io sono Allan."
"Piacere."- dissi senza guardarlo.
"Tu hai un nome?"
Lo guardai e sorridendo risposi: " no. I miei genitori si sono dimenticati di darmene uno quando sono nata."
" Sei sempre così scortese?"
Ma che cosa te ne importava seppure lo fossi stata e perennemente per giunta? Chi ti conosceva? I miei nervi erano già alle stelle, ma mantenni la calma e fissandolo dissi: " lo sono sempre con le persone che non conosco."
" Oh ma questo problema è risolvibile."- rispose avvicinandosi di più.- " ho notato che sei sola. Beh anche io sono solo, perciò che ne dici se trascorriamo la giornata qui al parco insieme?"
Lo fissai sconcertata. Possibile che tutti gli uomini cercassero di fare i dongiovanni? Peccato che fossero tutti dei falliti.
" No."- risposi seccata cercando di liberarmi della sua presenza.
"Oh ma andiamo! Lo so che vuoi stare in compagnia e muori dalla voglia di conoscermi."- disse con aria maliziosa. Lo guardai meglio e mi accorsi che quella faccia apparteneva ad un maniaco schifoso. Ma sempre io dovevo trovare gente del genere durante il mio passaggio?
" Che cosa? Dio perché mi fai questo?"- esclamai alzando gli occhi al cielo.- "cosa ne dici se ti togli dalle palle con la stessa facilità con cui sei arrivato per infastidirmi? Forse è meglio se ti fanculizzi, evapori. Penso che tu riusciresti a farlo egregiamente, no?"
Il ragazzo restò di stucco dopo quelle parole.
" Mah.."
"Hai sentito cosa ti ha detto? Vuole essere lasciata in pace."
Quando sentii quella voce, i peli sulla nuca mi si rizzarono tutti. Era una voce calda, profonda e decisamente da infarto. Mi voltai e vidi l'uomo nero avvicinarsi con un'aria piuttosto cattiva. Non sapevo se essere felice che quel qualcuno che aveva parlato mi volesse aiutare o urlare di terrore per via della sua presenza lugubre. Il biondino deglutì e poco dopo senza dir nulla andò via e io all'improvviso lo invidiai per essere riuscito a darsela a gambe. Lo scheletro mi guardò rischiando di uccidermi e poi sorridendo mi porse la mano e disse: " io sono Ville."
Guardai quella mano, indecisa se stringerla o scappare direttamente. Volevo tanto dirgli " e io sono Jade Watson, una fottuta donna con le palle, quindi non mi fai paura!" ma invece tutto quello che la voce mi permise di dire fu: "Jade."
Strinsi la sua mano e sentii una scarica elettrica percorrere il mio corpo mentre il ragazzo incappucciato sussurrava: " mmh Jade..suona bene."
Qualsiasi donna a quelle parole sarebbe arrossita o nei peggiori dei casi sarebbe morta stecchita dinanzi ai suoi piedi. Qualsiasi donna tranne io che invece rovinai tutta l'atmosfera chiedendo: " sbaglio o tu sei quel tizio che mi sono ritrovata dietro per tutto il giorno?"
" Non sbagli ero proprio io. Chiamalo caso."- rispose con noncuranza, ma era evidente che fosse dispiaciuto per non aver ottenuto l'effetto desiderato.
"Io lo chiamerei più che altro indiscrezione."
"Ecco, chiamiamo il caso indiscrezione."- disse fingendosi pensieroso. - " comunque andava bene anche un grazie."
Lo fissai e dissi: " non sono una donna dal grazie facile."
"Questa potrebbe chiamarsi maleducazione."- sorrise urtandomi i nervi più del dovuto. Mi accorsi che le nostre mani erano ancora strette l'una nell'altra e così mantenendo la calma come solo io sapevo fare in questi casi dissi: " e questa invece insolenza. Puoi lasciarmi la mano? Grazie."
Sfuggii alla sua presa mentre lui sorrise e disse: " oh oh! Ti è scappato un grazie. Questo mette in discussione ciò che hai detto prima."
Lo guardai senza dire una parola. Se dovevo essere sincera per la prima volta in vita mia non ne avevo.
" Spero che non mi riservi lo stesso trattamento del tizio di prima dopo quello che ho detto."- il suo tono era divertito, diversamente da come mi sentivo io. Ma ciò che aveva detto mi fece sorridere. Aveva sentito tutto quello che avevo detto e quasi mi imbarazzai soprattutto per il fatto di essere stata abbastanza maleducata.
" Non lo so..ci sto pensando."- dissi.
" E' grave."
" E non sai quanto."
Scappò un sorriso da entrambi i fronti e la cosa mi lasciò decisamente confusa. Chi era quel tizio? Mi sembrava completamente diverso dalla maggior parte dei deficienti con cui avevo avuto a che fare anche solo per due minuti.
" Allora? Che belle parole hai in serbo per me?"- quel volto mi faceva un pò paura, ma quella voce era tutt'altra cosa. Jade non ci siamo! Fai la stronza come sempre! Chi diavolo era questo Ville per farti tentennare?
" Che sei strano.."- tutto qui? Non ci siamo! Decisamente non ci siamo!
Questa volta Ville rise, una risata davvero strana, ma che amai appena la sentii. Anche da quello il ragazzo mi sembrava completamente diverso dagli altri. Ma solitamente quando dicevo una cosa del genere, il tizio preso in analisi era sempre gay. Forse lo era.
" Tutto qui?"- chiese.- " pensavo peggio."
" Se vuoi posso rifarmi in un batter d'occhio."
" No va bene così. E poi in fatto di stranezza penso che siamo sullo stesso piano."
" Mi sta dicendo che anche io sono strana?"
" Molto strana."
Lo guardai e chiesi: " perché hai cercato di fare l'eroe prima?"
Mi fissò di rimando e rispose: " beh perché quando si è concentrati su qualcosa è decisamente snervante essere interrotti da scocciatori di quart'ordine."
Quella risposta mi spiazzò. Era cosa se sapesse bene cosa stessi facendo.
" Beh anche essere osservate, anzi perforate da occhi estranei può essere fastidioso."- dissi alludendo alle sue occhiate insistenti. Lui capì al volo e sorridendo un pò imbarazzato disse: " scusa. È che mi piace osservare le persone che sono concentrate. Tu stavi cercando di scrivere e io ero semplicemente curioso di vedere le tue espressioni."
Quegli occhi mi facevano perdere la logica della ragione e la cosa non mi piaceva affatto. Sorrisi e guardai l'orologio notando che si era fatto tardi. Dovevo tornare a casa purtroppo o per fortuna.
" Devi andare?"- mi chiese, anticipando tutte le mie mosse. Annuii.
" Possiamo fare la strada insieme, così almeno non ti farai film mentali sull'essere seguita."
" Io non mi faccio nessun film, sei tu che mi hai dato l'idea di essere uno stalker."
" Mai passato per il cervello l'idea che potessi aver voglia di andare nello stesso posto in cui eri diretta tu?"
" Da voi uomini ci si può aspettare di tutto."
Lui mi guardò e finì per sorridere senza aggiungere niente. Era probabile che avesse voluto farmi vincere questo round senza replicare. In silenzio, uno accanto all'altro facemmo il percorso opposto e in poco tempo raggiungemmo il quartiere dove avevo la nuova residenza. Mi sorpresi di vederlo ancora lì vicino a me e pensai per un attimo che avesse l'intenzione di accompagnarmi fino a casa. Invece si fermò dinanzi ad una torre che, se dovevo essere sincera, stonava un pò con le abitazioni vicine. La osservai mentre lui disse: " io sono arrivato al capolinea."
" Abiti qui?"- chiesi sconvolta. Quella risata strana, ma adorabile si fece di nuovo strada fra le mie orecchie.
" Non è così terribile, sai?"
" Se lo dici tu.."- dissi un pò dubbiosa. Per me sarebbe stato l'ultimo posto sulla Terra in cui sarei andata a vivere. Proprio se era necessario.- " beh io vado."
" A domani."- disse sorridendo mentre apriva il cancello e spariva dentro quel luogo strano. A domani? Da oggi a domani avrei già dimenticato l'incontro, potevi starne sicuro.


Ero alla finestra e stavo vedendo le tenebre scendere e inghiottire tutto il vicinato salvando solamente i lampioni illuminati.
Il fatto che avessi una memoria molto corta verso gli incontri strani, non valse per quello che avevo fatto durante il pomeriggio. Pensai costantemente a quel tizio che aveva osato tenermi testa con sottile ironia.
Ricapitolando: era molto alto, vestito di scuro con un berretto coordinato. Aveva un viso pallido da far invidia ad un vampiro, era uno scheletro e la sua voce era decisamente la più sexy che avessi mai sentito. E la sua abitazione era una torre che scoprii essere non molto distante dalla casa in cui ero ospite io.
Un momento! Magrezza e una torre!

“ Ville Valo è il frontman di una band finlandese chiamata HIM conosciuta un po' in tutto il mondo. E sai quante ragazzine gli vanno dietro? Ormai io e John abbiamo perso il conto. E comunque noi abbiamo il piacere ti averlo come vicino di casa. Ti basterà guardare dalla finestra un pò più alla tua sinistra e vedrai una torre. Ecco lì abita lui.”


Le parole di Elisabeth immediatamente mi rimbombarono nelle orecchie e di colpo un senso di ansia si impadronì del mio stomaco.
" E' assurdo.."- sussurrai convincendomi che fosse così.
Mi allontanai dalla finestra e con grande rapidità oltrepassai il piccolo muretto che divideva il soggiorno dalla cucina, dove Jonathan stava preparando la sua torta al cioccolato ed Elisabeth la sua ricetta italiana. Immediatamente mi avvicinai ad Elisabeth togliendole dalle mani il coltello e poi a Jonathan a cui tolsi il cucchiaio. Era il mio modo per avere l'attenzione su di me quando avevo qualcosa di urgente da dire.
Elisabeth mi guardò allarmata, mentre Jonathan si lamentò come un bambino di cinque anni.
"Ehi mi dai il cucchiaio? Devo finire!"- esclamò cercando di afferare il cucchiaio stretto nel mio pugno. Lo respinsi con la mano e dissi: " fermati un attimo, devo dirvi una cosa."
"Non posso altrimenti sbaglio la dose!"
Lo fulminai con lo sguardo e lui subito deglutì.
"Tu mi starai a sentire! Al diavolo la dose!"
"Okay..questa cosa mi spaventa."
Mi avvicinai al tavolo da pranzo e come se fossi un ispettore di polizia feci avanti e dietro mentre accennavo ai colpevoli di sedersi. Loro si sedettero e continuarono a guardarmi.
" Potresti smetterla di fare avanti e dietro. Mi stai facendo venire mal di stomaco."- disse Jonathan. Io non lo ascoltai e poco dopo chiesi: " come avete detto che si chiama lo zombie?"
"Quello zombie?"- mi chiese Elisabeth indicando la finestra.
"Sì!"- risposi impaziente mettendo le mani sul tavolo.
"Ville Valo."- rispose deglutendo impaurita.
"E dove avete detto che abita?"- continuai invasa dalla crescente nausea.
"Nella torre gotica qui vicino."- rispose lei.
No, non era possibile! Era impossibile che io avessi trascorso un piccolo momento della mia giornata con Ville Valo, quel Ville Valo tanto adorato dai miei amici. E non sapevo nemmeno perché dentro di me sentivo lo stomaco e il cuore fare bunging jumping appena pensai a quegli occhi e quel viso. Ma che diavolo mi saltava in mente?
"Oddio, no..non può essere.."- sussurrai al tavolo sorridendo innervosita.
"Ti senti bene?"- mi chiese Elisabeth preoccupata.
"Che cosa è successo?"- chiese invece Jonathan. Alzai gli occhi e fissai i miei amici decisamente confusi e preoccupati per quella mia reazione improvvisa. Sospirai e con lo stesso sorriso dissi: " credo di aver trascorso un pò di tempo con lui senza sapere effettivamente che fosse quel lui."


   
 
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