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Autore: _TheDarkLadyV_    12/02/2013    3 recensioni
Un uomo vede il sesso ovunque.
Una sciarpa? State coprendo il seno.
Una scollatura? State mostrando il seno.
Un reggiseno? Evviva le tette!
E poi, ritornando al discorso sull'amore, lo sappiamo tutti molto bene: quando siamo soggetti a un colpo di fulmine,potremmo essere investiti da una macchina, cosparsi di panna montata, lanciati in orbita da un cannone, vestiti da macachi, e non ce ne accorgeremmo!
Buffo il genere umano, così intelligente da perdersi alle prime frivolezze. Forse era meglio nascere macachi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mmmh dunque salve xD!
Questa storia l'avevo pubblicata parecchio tempo fa su questi schermi, ma poi per vari motivi l'avevo cancellata. Ora ho deciso di riprendere in mano la situazione grazie soprattutto alle parole di incoraggiamento della mia “Crabs” Heaven_Tonight, con la quale si sclera allegramente sulle bellezze del finnico qui presente <3
Beeene sono abbastanza agitata, ma va bé lo sono sempre di mio. Spero che qualche anima buona la legga e che si interessi a questa follia :)
Buona lettura <3
Vals



Independent woman



Era inutile piangersi addosso. Perchè farlo e sentirsi da schifo più di quanto ci si potesse già sentire dall'inizio?
La mia filosofia era: nei momenti in cui sei stata già fottuta devi pensare al futuro, a qualcosa per cui senti la necessità di andare avanti, non fermarti agli interrogativi che può lasciarti una situazione non propriamente gentile del presente e quando vedi che la ruota sta per girare per quelli che vogliono vederti soffrire, le dai una spinta con la mano e con un sorriso fotti tutti quanti. Filosofia da quattro soldi, infantile e decisamente stupida forse, ma era ciò che mi aveva portata ad essere quella che ero, una ragazza che provava ogni volta a farsi scivolare addosso ciò che la feriva o che cercava di trarla con l'inganno nella tana della tristezza e ci riusciva sempre. La vita era già difficile di suo, perchè mai doverla rendere impossibile con situazioni che si potevano decisamente evitare? Facile la risposta.
Tutti noi eravamo destinati a voler rincorrere qualcosa di effimero, una maledetta illusione che solitamente si appostava dietro l'angolo del marciapiede e t'investiva in pieno quanto meno te l'aspettavi. In altre parole gli uomini sapevano bene come farsi del male, inseguendo tutto quello che non faceva al caso loro e che li avrebbe man mano resi burattini e automi dei loro stessi inganni. Il bello era che quasi mai nessuno riusciva ad ottenere ciò che voleva con tutte le proprie forze senza aver venduto almeno una minima parte della propria anima ad un demone remoto, di ignota provenienza ma che puntualmente bussava alla porta come i venditori di enciclopedie. E così quando si tornava nuovamente in possesso del proprio cervello come d'incanto si capiva la gravità della missione fallita e immediatamente si era pronti a chiudersi in una scatola per iniziare riti a base di pianti e maledizioni alla propria inefficienza. Ma cosa sarebbe servito piangere e piangere ancora se tutto quello che il pianto produceva era un cambiamento drastico del viso passando da perfetta First Lady a Ursula, Regina degli Abissi? Probabilmente questo non era proprio il paragone possibile da fare, ma era uno dei tanti modi che trovai per far capire il cambiamento improvviso che si poteva ottenere. Forse era meglio la trasformazione da Jocker. In ogni caso piangere troppo rendeva brutte, molto brutte e non si concludeva niente. Era un semplice sfogo che si poteva ottenere anche affondando colpi sicuri su ciò che aveva provocato tale affronto. Secondo me, quella era la soluzione ideale. C'era anche chi riusciva a superare gli ostacoli con una calma infinita che faceva paura. Per me non era un giusto mezzo: la calma a differenza di quanto si diceva, non era la virtù dei forti. La calma, a mio avviso, era la virtù dei morti perchè solitamente i forti si incazzavano e picchiavano duramente, impossessati del tutto dall'istinto animalesco. Io non potevo definirmi forte, nè morta, ero piuttosto una via di mezzo. A detta di Elisabeth, io avevo la sensibilità di un topo, il sarcasmo di un'iguana, la leggerezza di un elefante e le palle di un toro, mentre per Jonathan io ero semplicemente una donna con le palle. E io mi ritrovavo a dover condividere con entrambi i casi esaminati, anche se il più delle volte concordavo con quello di Jonathan.

Perchè tutta questa acidità e rabbia? Da dove poteva scaturire tale mostruosità?
L'origine di tutto stava nella mia infanzia e adolescenza che di certo non avevo vissuto come tutte le bambine e ragazze di quell'età. Io dovetti affrontare diversi problemi, primo fra tutti l'obesità e le conseguenze che esso portò sulle mie relazioni con il mondo esterno. Conobbi il male assoluto e capii quanto potesse essere meschino e squallido l'uomo, a prescindere se fosse maschio o femmina. Avrei tanto voluto ammazzare quei buonisti del cavolo i quali affermavano che la bellezza non sempre contava. Perchè dire una simile scemenza quando era tutto il contrario? A questo mondo Venere contava più di quanto si potesse pensare. D'altronde quale sano di mente avrebbe agganciato una preda di ben 139, 5 kg, sciatta, brutta e abbandonata a se stessa? Nessuno. Dovevo capirlo già a sette anni che la mia vita sentimentale non sarebbe stata grandiosa. A quell'età mi innamorai di Adam. Era una cosa assurda affermare di essere innamorate a sette anni, però la mia non fu cotta, bensì un fulmine a ciel sereno. In questo caso credevo proprio che la parola innamorata era quella più opportuna. Ogni cosa sembrava perfetta così un giorno decisi di aprirgli il mio cuore; il risultato? Beh anche lui disse di amarmi. La nostra storia però durò solo due giorni perchè un grissino biondo si portò via il grande amore della mia vita, lo stesso che fu il primo a dirmi quanto io fossi brutta, grassa e con i brufoli. Chi l'avrebbe mai detto che le cose sarebbero cambiate così radicalmente in soli due giorni? Ci restai male sentendo quelle parole, che poi sarebbero diventate di routine. A quel tempo ero una bambina e i bambini finché erano piccoli avevano la capacità di dimenticare quasi immediatamente ciò che li faceva stare male, e così dopo qualche giorno per me era tutto passato. Ma i miei problemi di obesità continuavano e seppi presto che avrebbero provveduto a chiudere per sempre i cancelli sul mondo maschile. A quattordici anni presi una cotta assurda per Jamie, un ragazzo alto, un fisichetto niente male e due occhi verdi da far paura. Il mio peso nel frattempo era aumentato provocandomi un bel po' di problemi nelle relazioni con il mondo esterno. Dovevo capire fin da subito che un ragazzo del genere era un bastardo senza cuore, che se la tirava peggio di una vera diva del cinema e che non gli sarebbe passato nemmeno per l'anticamera del cervello di perdere del tempo con me. Ero debole e sfiduciata e questo non fece altro che uccidermi, sentimentalmente parlando. Mi ingannò come faceva la maggior parte della gente, ritrovandomi sempre sola e con un piede nella fossa. Non credevo nemmeno nell'amicizia, perchè anche lì ebbi diverse batoste ad eccezione di Elisabeth. A diciotto anni trovai qualcuno che diceva di amarmi, nonostante fossi una balena e brutta come la Morte. Si chiamava Julian e ben presto fui completamente soggiogata dai suoi modi di fare, perchè lui ci sapeva fare con me. Conosceva ogni mio punto debole e amava stuzzicarmi. Non ero più me stessa, ero diventata un burattino nelle mani di un Illuminato. Finii per non avere più un'identità e peggio ancora avevo gli occhi foderati di prosciutto tutte le volte che lo vedevo provarci con altre ragazze, quelle vipere che rendevano un inferno la mia vita. Quando finalmente Elisabeth riuscì a farmi aprire gli occhi e con grande forza d'animo tornai in me, decisi di restare sola e prendermi cura di me stessa. Dopo quelle ferite fu velocissimo il passaggio da giovane bohémien a cinica materialista e finii per non credere più all'amore. Quando diventai bella e splendente con nessuna traccia di grasso sui fianchi cominciai lentamente a prendermi la mia rivincita e tutti i ragazzi che conobbi furono presi in giro allo stesso modo di come era successo a me. La bastardaggine che era assopita in me fu svegliata dopo varie invocazioni demoniache e un piccolo mostro si insidiò dentro le vene del mio cuore. Era quella piccola creatura a dettare le regole, e io le seguivo con molto piacere. Era davvero gratificante vedere gli uomini feriti, anche se sapevo che quel sentimento sarebbe durato giusto il tempo di un caffé. Capii che probabilmente nel mondo non ero la sola a pensarla in quel modo e continuai su quella scia acquistando sempre di più fiducia in me stessa, una cosa che certamente un uomo non mi avrebbe mai tolto o fatto vacillare. Credevo all'amore, ma ad una tipologia tutta mia. Ero una scrittrice laureata e finii per esorcizzare il mio demone scrivendo a tal proposito. Così nacque Lady V, autrice di romanzi d'amore, ma non di quelli struggenti con tanto di alto contenuto diabetico. Le mie erano piuttosto delle commedie e oltre a questo ero nota soprattutto per i miei manuali ironici sull'amore dove non evitavo di mettere in chiaro il potere che avevano le donne e che io cercavo di dare.
Sì, probabilmente erano solo parole, ma pensavo che fosse sempre importante per una donna trovare un'altra che rendesse pubblici i suoi pensieri tenuti nascosti in fondo al cuore, per paura forse di gridarli al mondo. Sapevo perfettamente come ci si sentisse quando gli uomini sottovalutavano e rendevano inutile quell'essere dalla grande forza d'animo qual era la donna. Io in primis ero stanca di vedere donne crogiolarsi in una fitta delusione piuttosto che alzare il sedere e agire, stanche ormai di tutto. Io avevo deciso di gridarlo al mondo, di farmi avanti e trasformarmi in una paladina della giustizia che desse la forza di agire a tutte le donne magre, grasse, belle o brutte che fossero. Quella paladina era Lady V. Ma una volta che l'alter ego andava via, il suo posto veniva occupato da una donna che racchiudeva in sé tutti i problemi dell'universo, anche se li sapeva nascondere abilmente agli occhi della gente. In altre parole tutti i problemi a cui Lady V cercava di dare soluzioni facili attraverso la scrittura.
A volte però mi chiedevo perchè continuavo a farlo, se quella piccola minoranza di donne senza dignità continuava a prorompere e a calcare il passo più del dovuto. Beh pensandoci lo facevo per rendere le mie ragazze più forti e più belle di un sedere platificato in fase di deterioramento precoce. Io ero dalla parte di tutte quelle donne che soffrivano o avevano sofferto e sapevano bene come ci si potesse sentire. Ero dalla parte di quelle donne che avevano una dignità, che erano forti nella loro debolezza e che nonostante gli infiniti sforzi di essere apatiche riuscivano ancora a provare emozioni e a mettersi in carreggiata. E il fatto che io potessi far sorridere e portare fiducia nei loro cuori mi faceva sentire bene, mi emozionava rendendomi più umana. In fondo non ero poi così malvagia e cattiva come la gente poteva pensare. Semplicemente avevo ancora dei residui di quel rancore che pian piano stava andando via. E poi non necessariamente dovevo mostrarmi alla società con tanto di sorrisi e con la sfera emotiva di Biancaneve, no? Ognuno era originale proprio perchè non seguiva i tempi scanditi dai battiti delle lancette dell'orologio del Big Ben e doveva essere fiero di ciò che era e non omologarsi alla massa. Io ero dalla parte delle sopravvissute. Le sopravvissute al sessismo, alla violenza, ad ogni misogino presente sulla Terra e a quelle brutte bestie quali erano l'obesità e l'anoressia. Io stessa ero una sopravvissuta e alzavo al cielo il mio braccio in segno di vittoria, la stessa che volevo vedere sul volto delle mie amiche donne.

Era soprattutto da questo che nasceva la versione inglese e mora di Sailor Moon. Lottavo per vincere sul male e far trionfare il bene. Che poi ci fosse anche l'amore di mezzo, beh quello lo lasciavo alle altre, a me non interessava. Paura? Malattia rara contro ogni forma sdolcinata? Decisamente. Fatto stava che non c'era stato nessuno in grado di far cadere le mie difese e farmi sentire davvero bene e innamorata. E non c'era tutt'ora. Ma fino a che punto mi sarebbe piaciuto continuare così? Gradualmente e inevitabilmente mi stavo stancando ma non volevo ammetterlo e non l'avrei mai fatto, nemmeno se fosse stato evidente. Forse tutto questo era il prezzo che dovevo pagare per la mia acidità e mancanza di sentimentalismo.
Chi si celava dietro la maschera della famosissima Lady V? Jade Watson, una trentaduenne che aveva vissuto una vita a metà fra momenti stupendi e momenti cupi, talmente cupi da far brillare gli occhi persino a Dario Argento. Inutile ripetere che questi ultimi furono i protagonisti in assoluto della mia vita. L'amore aveva mille volti, piccole sfumature ed era una bella fregatura a cui nessuno poteva scappare nemmeno se si incaricava un cecchino di sparargli contro. Era un fantasma, i proiettili colpivano solo vapore indissolubile. Ma io stavo provvedendo anche a questo, a trovare un'arma micidiale per combattere questo mostro invisibile. Forse era troppo anche per me, in effetti.
Ultimamente stavo perdendo l'ispirazione. Per me era come perdere l'aria, soprattutto quando si trattava di quel soffio che dava vita ai personaggi delle mie storie, quelle insulse sceneggiate che mi assicurarono un tetto sulla testa e abbastanza verdoni da permettermi di comprare tutto ciò che desideravo. Chiunque a Londra mi conosceva, la mia fama si era addirittura estesa fino a toccare maestose terre come Francia, Spagna e Italia con discreto successo anche in America e Finlandia e tutti sapevano bene chi fosse la diabolica mente di quelle storie e, strano ma vero, mi amavano. E io amavo a mia volta quelle seguaci affettuose. A causa della momentanea voglia dell'ispirazione di scherzare con il fuoco, per evitare una depressione traumatica a tal proposito, decisi di seguire il consiglio di Elisabeth e di recarmi ad Helsinki e andare da lei e Jonathan per trascorrere qualche settimana, o forse un mese.

Sono sicura che se vieni qui Lady V tornerà di nuovo in vita e in tutto il suo splendore. Helsinki è stupenda, non te ne pentiresti, davvero! E poi ci manchi quindi vedi di trovare del tempo per me.”

La sua sicurezza e tenerezza mi avevano convinta e così ora mi ritrovavo sul primo volo che avevo trovato, ansiosa di tornare con i piedi per terra e soprattutto di riconquistare la mia cara amica di scrittura senza della quale non sarei riuscita a vivere così a lungo. Per me Lady V era tutto, quella fonte inesauribile di sicurezza in cui avevo messo tutta me stessa. Sarei morta senza la sua presenza. Il viaggio, però, non era ideale fra un bambino che continuava a piagnucolare per qualcosa che non aveva ottenuto e un uomo abbastanza affascinante che cercava continuamente di attaccare bottone. E il fatto che io odiassi viaggiare in aereo non andava di certo a suo favore. Io ero una iena e se avesse continuato come stava facendo sicuramente nel giro di due minuti gli avrei assestato un bel calcio lì dove non batteva il sole, semmai ci fosse stato qualcosa da colpire. Generalmente non amavo viaggiare, soprattutto quando si trattava di prendere mezzi come gli aerei, ma Londra cominciava a starmi stretta e la lista dei posti in cui solitamente andavo per essere colta in pieno dall'ispirazione e scrivere fino a quando non ero esausta e i miei occhi iniziavano a chiudersi in preda ad un attacco di schizofrenia mi avevano stancata. Era evidente che avessi bisogno di un posto nuovo, di aria nuova, ma soprattutto di rivedere la mia migliore amica Elisabeth. Lei era quel tipo di donna che avevo sempre apprezzato: gentile, onesta, coraggiosa, fedele e una di quelle a cui si poteva dare il cuore, sicuro del fatto che lo avrebbe custodito gelosamente. Era lei a mancarmi più di ogni altra cosa e nonostante la durezza del viaggio, ero felicissima di essere ad un passo dalla sua voce, dal suo sorriso e dalle sue chiacchiere. Mi rendevo conto ogni giorno che passava, che il telefono non bastava più, era evidente che avessi bisogno di vederla. Elisabeth era stata la mia curatrice, colei che mi aveva fatta uscire dal baratro in cui ero finita e che aveva seguito i suoi sogni. Un' autentica donna indipendente, che si era trasferita nella sua amatissima capitale finlandese per lavoro e che ora divideva il suo appartamento con un altro tassello della mia vita, Jonathan, la cui durata della nostra amicizia si perdeva nei tempi remoti dell'infanzia. Ecco, per queste due persone mi sarei buttata anche nel fuoco, girato il mondo a piedi pur di vederle felici. Erano le uniche due persone di cui mi importava al di là della mia sfera famigliare. Quando avevo detto a Elisabeth che sarei andata da loro si mise a gridare come un'ossessa al telefono, in preda ad un attacco di felicità improvvisa, e rischiando di farmi saltare il timpano. Dopo qualche minuto sentii una seconda voce che l'accompagnava, quella di Jonathan. Sorrisi pensando a loro due sicuramente in preda all'ansia in aeroporto. L'uomo al mio fianco nel frattempo sembrava aver finalmente capito che non avevo nessuna voglia di chiacchierare con lui, né di sapere cose interessanti sul suo conto e ora se ne stava in silenzio gettandomi ogni tanto delle occhiate speranzose. Inutile, quel fascino che riservava solo per me non faceva alcun effetto. E poi ero appena uscita da una situazione sentimentale decisamente orripilante. Quando il volo atterrò con mia enorme felicità, non ci misi molto a riprendere il colorito roseo e il senso di ansia nel rivedere i miei amici. E non ci misi nemmeno tanto tempo a scorgerli fra i numerosi personaggi che popolavano l'aeroporto.

Elisabeth e Jonathan allo stesso modo non ci misero molto a posare i loro occhi su di me e come tre piccoli bambini corremmo fino a quando i nostri corpi non si schiantarono e strinsero calorosi. Dopo molto tempo riprendemmo un po' di quel contegno mandato a farsi benedire e prendemmo la parola, o almeno cercammo di farlo.
“ Miranda, mia unica padrona. Sei tornata!”- esclamò gioioso Jonathan stringendomi e perforandomi l'orecchio. Mi lasciai abbracciare mentre sorridevo sentendomi chiamare in quel modo. Ad un tratto fu energicamente messo da parte da una Elisabeth fintamente arrabbiata che disse: “ ehi non tenerla tutta per te. Lei è mia!”
Fui trattenuta anche tra le sue braccia mentre il suo volto cambiò l'espressione severa in una dolce e stupenda che quasi mi mise sull'orlo delle lacrime, che prontamente tenni chiuse nel serbatoio. Non ero la tizia dalla lacrima facile, il tempo mi aveva cambiata e poi ne avevo spese talmente tante che quelle poche che mi restavano le custodivo gelosamente. Ma ammettevo che fu difficile contenerle. Quando finalmente lo scambio di effusioni pubbliche finì guardai entrambi e liberando la voce da un sottile velo di commozione dissi: “ Sono così felice di vedervi! Non avete idea di quanto mi siete mancati.”
Jonathan sorrise e chiese: “ Jade, sei tu vero? Perchè questa tua momentanea affettuosità mi lascia sorpreso.”
Gli diedi un piccolo colpo sulla spalla e risposi: “ sei sempre il solito. Lo sai che la mia affettuosità è presente solo nei vostri confronti, quindi vedete bene di non spifferarla ai quattro venti. Ne andrebbe della mia immagine da perfetta bastarda senza cuore.”
Ci guardammo tutti e tre e scoppiammo a ridere. Quelle voci mi erano mancate da morire così come i proprietari. Fra una risata e una chiacchiera uscimmo dall'aeroporto e alla luce del pallido sole invernale, un'aria gelida mi investì di colpo, quasi fossi finita nel corpo di un fantasma. Nonostante il cappotto pesante e il berretto ben sistemato sui miei capelli lunghi, lisci e neri, fu quasi come sentirsi completamente nuda sotto ad acqua gelata. Sapevo che lì facesse freddo, ma non ero preparata psicologicamente a questo tipo di freddo, che a quanto pareva riuscivo a malapena a sopportare.
“ Accidenti che freddo!”- esclamai.- “ come diavolo fate voi a sopravvivere?”
“ Ci abbiamo fatto la pelle, un po' come i serpenti.”- disse Elisabeth.- “ abbiamo cambiato la nostra per abituarci a tutto questo freddo. Decisamente diverso da Londra, vero?”
Risposi al suo sorriso e dissi: “ assolutamente. A questo punto dovrò far presto ad abituarmi e cambiare pelle anche io.”
“ Ci riuscirai, tu sei la donna dalle cose impossibili. Un cambiamento di pelle non sarà nulla per te, padrona Miranda.”- proseguì Jonathan mentre caricava le mie pesanti valige in auto. Non volle aiuti e mi spinse sul sedile anteriore senza ammettere repliche, mentre Elisabeth sedeva dietro e lui sistemava con cura il tutto nel bagagliaio. Quando finì partimmo spediti verso la loro casa, che da ora in avanti sarebbe stata anche mia per un tempo imprecisato. Nel frattempo continuai a torturarmi le mani cercando di creare un po' di calore anche se sapevo perfettamente che quel tormento era dovuto più che altro all'ansia di raccontare loro i dettagli della mia recente relazione andata in frantumi. Ero stata tradita, non c'erano altri mezzi termini per dire la questione.
“ Tesoro apriti con noi solo se te la senti di raccontarci tutto..”- iniziò Elisabeth, ma io prima che potesse dire altro la bloccai e dissi: “ io sono un libro aperto per voi quindi non c'è nessun motivo per la quale dovrei chiudermi in me stessa e non dirvi nulla..”
Così dissi ciò che avevo trovato in ufficio dal mio fidanzato, se così potevo definirlo, visto che lo frequentavo da poco e il nostro rapporto non si era spintocosì in là da definirla una vera e propria relazione. Anche la sfera fisica in effetti era stata alquanto scarsa perché ero decisamente più preoccupata della mia ispirazione e della mancanza di Lady V per stargli vicino come voleva. Ma qualcuna aveva provveduto a consolare il mio piccolo “cucciolo” e lo spettacolo che trovai sulla scrivania fu davvero disgustoso. Ecco, quella era il tipo di donna che faceva parte di quella minoranza che odiavo, quella minoranza che non mi capiva, che non capiva Lady V. Forse era quella parte, dopo i maschi ad odiarmi davvero. Un odio reciproco ci univa, ecco. Quando finii il racconto il silenzio si sostituì alle mie parole, fino a quando Jonathan disse: “ è anche probabile che lei abbia lasciato un segno durante il suo passaggio che tu non sei riuscita a lasciare. Insomma lei c'era quando tu invece cercavi la tua Lady V.”
“Certo! Ha lasciato il segno della zoccola. E io infatti non lo sono, per questo è andata così. Hai ragione.”- dissi schietta e senza una nota di rabbia nella voce. Era come se avessi avuto l'anestesia e quella affermazione, per quanto potessi crederla cattiva, non scalfì nemmeno una delle mie unghie laccate. Mi sistemai meglio i capelli e guardai quella strada a me completamente sconosciuta, ma non per Jonathan che durante la guida continuava a lanciarmi sguardi furtivi, soddisfatto in cuor suo di aver sentito una risposta del genere. Del resto conoscevo bene il mio pollo e lui adorava il mio stile alla Miranda Priestly de “ il Diavolo veste Prada”.
Adesso non ci pensare! L'aria di Helsinki ti farà bene. Chissà magari incontri qualcuno di inaspettato e finalmente ti innamori anche tu. Che ne sai..”- disse Elisabeth per consolarmi. Sbuffai sorridendo e dissi: “ la speranza seppellirà tutti. Quindi se questo ipotetico ragazzo vuole farsi avanti ben venga. Io vivo lo stesso e senza speranze.”
“ Sei sempre tragica!”- esclamò la mia amica scuotendo la testa. Era evidente che fossi un caso difficile.
“ Comunque se ti interessa saperlo qui c'è della buona roba.”- disse Johnathan. Lo guardai sopresa e chiesi: “ da quando ti interessi di fauna maschile? Non è che nel frattempo mi sei diventato gay?”
Lui scoppiò a ridere mentre svoltava una traversa e rispose: “ no, ma conosco i tuoi gusti.”
Sorrisi fissando a mia volta la strada. Era l'unico esemplare di uomo che amavo follemente e che riusciva a capirmi alla velocità della luce.
“ Per una volta dò ragione a John Travolta.”- confermò Elisabeth con l'aria di una che la sapeva lunga, sedendosi meglio e riflettendo i suoi occhi sullo specchietto retrovisore.
“ Vedremo cosa si potrà fare.”- risposi ironica. Jonathan distolse per un attimo lo sguardo dalla guida per fissare me. Sorrise e sussurrò: “ Miranda all'attacco. Così ci piace!”
Sorrisi e gli scompigliai i capelli castani e leggermente cresciuti.
“ Hai deciso di farli allungare e diventare un eremita?”
“ Colpa delle donne! La clientela femminile mi adora così.”- rispose dandosi delle arie.
“ Stupido.”- sbottò Elisabeth dandogli un colpo sulla spalla.
“ Ehi ma sei impazzita? Sto guidando! Potevo morire!”- esclamò tragicamente.
“ Come siamo delicati!”
“ Strega.”
“ Grazie.”
In quell'attimo di silenzio che si venne a formare, guardai entrambi e mi sciolsi in un altro sorriso. L'unico pensiero che mi gironzolava nella testa in quel momento era il fatto di essere finalmente a casa nonostante fossi in un posto per me completamente sconosciuto.


Appena entrai in casa una piacevole sensazione di caldo mi investì dandomi il benvenuto in quella che sarebbe stata la mia nuova dimora. Forse avrei trascorso anche il Natale. Avevo bisogno di staccare del tutto con la mia vita da perfetta londinese qual'ero e starmene un po' per fatti miei. L'offerta era davvero invitante, anche se non volevo recare disturbi ai miei due amici, i quali mi fulminarono con lo sguardo appena dissi una cosa del genere. Loro volevano che restassi lì per tutta la vita, in quella casa a dividere le gioie e i dolori sempre insieme. L'avevo già detto che li amavo?
“ Vieni a vedere come abbiamo arredato la tua stanza!”- esclamò Elisabeth prendendomi per un braccio e trascinandomi di sopra. Era una casa enorme e facevo fatica a credere che io ci fossi dentro. Anche se avevo un bel gruzzoletto da parte, abitavo nel mio appartamento piccolino e confortante che non avrei venduto per nessuna ragione al mondo. Quello era il mio mondo e non si toccava. Quanto a questa casa, mi sembrò di trovarmi in un universo parallelo, forse fin troppo luminoso per i miei gusti, ma decisamente ben arredato, merito di Elisabeth che aveva buon gusto. Quando entrai in quella che sarebbe stata la mia camera da letto, quasi non riuscii a credere ai miei occhi. Era stupenda e larga quanto bastava per farci entrare un esercito. Il letto era ricoperto da un piumone del mio colore preferito, blu e le pareti erano tinteggiate di azzurro chiaro, come piaceva a me. I mobili erano di legno chiaro abbinati ai colori e alle cianfrusaglie messe come abbellimento sugli scaffali e la cosa più bella di tutte, non era tanto l'armadio gigante che avrebbe contenuto tutto il mio guardaroba stiloso, quanto quella spaziosa scrivania piazzata sotto la grande finestra che dava sul giardino del retro. Avrei avuto un bel panorama e questo non poteva che rendermi felice.
“ Allora ti piace?”- chiese Jonathan entrando trascinando i miei bagagli. Mi voltai verso loro che aspettavano ansiosi e quasi impauriti il mio verdetto, ma quando videro un sorriso enorme sul mio volto, capirono quanto non mi dispiacesse affatto tutto quello.
“ La trovo magnifica. Grazie!”- esclamai.
“ Questa camera non era niente prima. Quando abbiamo ricevuto la tua chiamata abbiamo fatto tutto il possibile per renderla degna di ospitare la nostra scrittrice del cuore.”- disse Elisabeth soddisfatta. Mi avvicinai a loro e li abbracciai per l'ennesima volta. Stavo notando che le mie emozioni positive si erano mostrate troppo e cercai in qualche modo di tirarle indietro e lasciare l'alone di durezza che mi accompagnava ovunque andassi. Non volevo che i miei amici avessero sospetti strani sul mio sprizzare amore da tutti i pori, anche se non c'era nulla di cui allarmarsi. Ero consapevole di essere un tipo strano. E a volte facevo paura persino a me stessa!
“ Grazie ancora! Siete dei pazzi.”- dissi cercando di tornare con i piedi per terra districandomi dall'abbraccio.
“ Lo sappiamo!”- dissero in coro. Scoppiammo a ridere e mi lasciarono sola giusto il tempo di sistemarmi e mettere un pigiama per stare più comoda. Così una volta disfatto i bagagli, essermi fatta una doccia e cambiata e aver preso confidenza con la casa, l'unica cosa che mi restava da fare era sedermi e rilassarmi sul comodo divano aspettando che anche i miei amici fedeli mi dicessero qualcosa sulla loro vita.
“ Allora? Come vanno le vostre vite?”- dissi una volta che mi fui seduta e legata i capelli.
“ Lizzie si frequenta con Edward Cullen.”- annunciò Jonathan.
“ Si chiama Victor e non è un vampiro.”- corresse Elisabeth rivolgendosi a me. Era lievemente arrossita, ma io feci finta di non notare nulla.
“ Ma è magro, pallido e ha due occhi che mi fanno paura. Sai, per certi versi mi ricorda lo zombie che vive a due passi da noi.”-commentò il ragazzo.
“ E hai detto niente!”- esclamò Elisabeth.
“ Sì, ma io ho detto per certi versi. Il tuo Edward non è nulla a confronto.”
Dopo una pausa di cinque minuti, Jonathan si sentì un po' in imbarazzo sentendosi gli occhi di Elisabeth e i miei addosso e tossicchiando disse: “ che cosa c'è?”
“ Sicuro che tu non sia attratto dagli uomini? Non ci sarebbe nulla di male, noi ti accetteremmo lo stesso.”- lo rassicurò Elisabeth, mentre io dopo le parole Edward, Victor e vampiro non riuscii a seguire più il discorso.
“ Stupida!”- esclamò il ragazzo colpendola con il cuscino in pieno volto. Prima però che potesse scoppiare la rissa mi schiarii la voce e tuonai: “ ragazzi cercate di comportarvi come persone mature e non come una bambocciosa banda di babbuini!”
Il risultato fu che entrambi si misero sull'attenti e mi guardarono quasi impauriti. Io sorrisi soddisfatta e sedendomi di nuovo dissi: “ adesso si ragiona.”
Jonathan, con in mano ancora il cuscino, mi guardò e disse: “ sai ti ci vedrei bene con lo zombie.”
Elisabeth fece la stessa cosa, mi squadrò come se fossi una concorrente di una concorso di bellezza.
“ Beh in effetti sareste una bella coppia.”
“ Ehi! Mi volete spiegare di cosa diavolo stiamo parlando? Perchè io non vi sto capendo! Chi diavolo è questo zombie?”
“ Ville Valo!”- esclamò Elisabeth assomigliando terribilmente ad una ragazzina alle prese con i suoi disturbi ormonali. Quando tornai a ragionare il mio pensiero si focalizzò sul nome appena pronunciato così la guardai terrorizzata e poi chiesi: “ chi?”
“ Non dirmi che non lo conosci..”- disse Jonathan allarmato.
“ Perchè dovrei conoscere Ville Valo?”- chiesi confusa.
“ Oh mio Dio! Perchè..?”- implorò al cielo lo stesso deficiente.
“ Beh non tutti possono conoscerlo se non ascoltano musica rock.”- convenne Elisabeth.- “ Ville Valo è il frontman di una band finlandese chiamata HIM conosciuta un po' in tutto il mondo. E sai quante ragazzine gli vanno dietro? Ormai io e John abbiamo perso il conto. E comunque noi abbiamo il piacere di averlo come vicino di casa. Ti basterà guardare dalla finestra un po' più alla tua sinistra e vedrai una torre. Ecco lì abita lui.”
Guardai scandalizzata entrambi che invece mi sorridevano felici e prima che potessi dire qualcosa e fare anche una sola mossa, Jonathan si avvicinò alla finestra e poi esclamò: “ ehi lo zombie sta uscendo! Presto vieni qui!”
Mi avvicinai, ma tutto quello che potei distinguere fu un'alta figura nera con un berretto in testa che si muoveva a grandi passi verso il viale per una meta sconosciuta. Non riuscii a vedere nient'altro e non capii nemmeno perchè questo tizio accendesse gli animi in quel modo, perfino di Jonathan che continuava a farmi paura.
“ Quindi vivete vicino ad uno zombie?”- chiesi poco dopo.
“ Il più bel zombie che tu possa mai vedere.”- mi corresse Elisabeth.
“ Beh non è che abbia visto moltissimo. Tutto quello che posso dire è che è molto magro.”- conclusi sedendomi nuovamente.
“ Aspetta ancora prima di parlare. Il tempo di trovartelo davanti e parlarci e la magrezza diventerà il tuo ultimo pensiero.”
Le parole di Elisabeth suonarono più come una profezia che come uno scambio di battute. Non volli dire altro, così mi limitai a sorridere. Non volevo rovinare quell'atmosfera da tipico salotto di gossip, perchè nonostante l'euforia del momento, io pensavo alla mia ispirazione e alla mia Lady V che non vedevo l'ora di vederla tornare fra le mie braccia. Quel Ville Valo o come diavolo si chiamava era il mio ultimissimo pensiero insieme alla sua magrezza.




   
 
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