34.
La sigaretta del
Dottor Kaufmann si era consumata quasi tutta, mentre lui ascoltava incredulo il
racconto che gli aveva fatto il paziente. Niall era
rimasto tutto il tempo nella sua posizione, cioè a gambe incrociate nell’angolo
della stanza, a guardare ogni tanto lui, ogni tanto il vuoto.
- …Così… Jackson
starebbe iniziando la sua conquista del mondo, ho capito bene? –
- No Michael –
rispose Niall scuotendo lentamente la testa – Jackson
si sta riprendendo il mondo. Ciò che era sempre stato dei demoni. Sta ripristinando
il mondo del caos, di prima dell’antichità. – il suo sguardo era perso nel
vuoto, ma poi si riebbe e lo riportò su quello di Kaufmann, che con la
sigaretta ancora tra le dita, lo osservava sconcertato.
*****
…Bisogna solo decidere con chi stare. Con Jackson…
O contro di lui. Ma non è una decisione facile, ci vuole una mente molto forte
e una personalità determinata. Bisogna stare attenti agli infettati. Sì, quelli
che io ho fatto fuori alla libreria Pendragon. E ai
demoni. Gli sgherri di Jackson. Sono dappertutto, ma possono essere freddati
con le armi da fuoco, almeno così ho potuto capire. Sta cominciando un’era
nuova, un’era dove il Padrone Jackson riporterà alla realtà ciò che prima era
dominio esclusivo del regno della fantasia. …Puoi vederlo anche tu là fuori,
Michael, che non sto scherzando.
Alle 23.30 di quella
sera, il dottor Kaufmann era ancora nel suo ufficio ad ascoltare e riascoltare
la lunga registrazione dell’intervista al suo nuovo paziente. Questo è suonato come un tamburo,
pensava ogni volta che il nastro finiva con le ultime parole, non sto scherzando. A parte lui e Thomas
Bailey, rinchiusi peraltro in due manicomi differenti – Niall
a Brookhaven e Thomas a Juniper
Hill – gli altri casi di omicidi rientravano tristemente nella normalità della
cronaca statunitense. Certo, i vaneggiamenti mistici erano all’ordine del
giorno, ma per quanto ne sapeva Michael Kaufmann, non aveva mai sentito un
vaneggiamento mistico anche solo paragonabile all’Apocalisse di Horan.
Mentre scriveva la
sua prima relazione sullo stato mentale del ragazzo, sbadigliò vistosamente. Guardò
l’orologio da polso. Le tre e trenta erano passate da un quarto d’ora. Si alzò
dalla scrivania e andò al mobile dei liquori, lo aprì e si versò due dita di
Jack Daniel’s.
Sopra il mobile c’era
uno specchio e il busto di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Sciacquandosi
la bocca con il whisky, Michael si guardò allo specchio, guardando anche il suo
mentore alla lontana.
- Se questi sono i
mostri con cui devo combattere io – mormorò Kaufmann – mi immagino solo con
cosa avrai dovuto combattere tu, caro Maestro. – disse, e ridacchiò
allegramente agitando il bicchiere per rimescolare ciò che rimaneva del whisky.
All’improvviso, vide
qualcosa nello specchio. Un’ombra, come una presenza nel suo ufficio. Ridacchiò
ancora un po’, salvo poi smetterla immediatamente, leggermente spaventato. Uno scricchiolio
attirò la sua attenzione. Era lo scricchiolio del parquet della sala d’attesa,
dove i suoi pazienti (molto abbienti) si riunivano prima delle sedute. Senza
perdere di vista la porta aperta sul corridoio principale, aprì lentamente il
cassetto della sua scrivania, estraendone altrettanto lentamente una rivoltella
calibro 38. Tolse la sicura e puntò la pistola alla porta aperta, sentendo lo
scricchiolio che continuava. Sul tavolo Kaufmann teneva una foto di lui, seduto
su una gradinata insieme a sua moglie e sua figlia. La guardò, e il suo
pensiero andò anche a loro, sole in casa mentre lui era ancora nel suo ufficio
a lavorare… Scacciò dalla testa quel pensiero, avvicinandosi lentamente alla
porta, sempre con la pistola spianata. Lentamente fece capolino sulla soglia,
cercando di scorgere se ci fosse qualcuno.
- Mani in alto! –
urlò, sicuro di sé. Ma il suo urlo fu sprecato. Nella sala d’aspetto non c’era
nessuno.
Eppure avrei giurato che…
Un sibilo alle sue
spalle gli raggelò il sangue nelle vene. Si voltò di scatto, vedendo dietro di
sé una specie di mostro grigio con zanne al posto dei denti, gli occhi
iniettati di sangue e artigli al posto delle mani. L’essere ringhiò,
avvicinandosi verso il dottore. Kaufmann camminò all’indietro, poi si ricordò
di essere armato e fece fuoco.
BANG! BANG!
Sparò due colpi in
rapida successione, ma che non bastarono a fermare la belva. Questa gli si
avventò addosso e cercò di morderlo al collo. Kaufmann urlò, imprecò, cercò di
sottrarsi all’aggressione. Sparò ancora una volta, prendendo di striscio la
testa del demone. Questi urlò in una specie di verso gutturale, quindi saltò
via dal corpo del dottore e si buttò verso la finestra, mandandola in frantumi.
Scosso e spaventato,
Kaufmann rimase lì a sedere sul parquet della sua sala d’attesa. Se ci fossero
stati i suoi pazienti, allora sì che sarebbe stato un momento di comicità, ma
in quel momento lui si era preso un attacco di fifa blu.
- Cazzo… - mormorò,
ansimando. – Niall… Niall
ha ragione. Bisogna fare qualcosa. –
Velocemente raccolse
le sue cose, la sua borsa ed il suo impermeabile (…e non dimenticarti la pistola, vecchio mio!) e corse via dallo
studio. A casa, a proteggere sua moglie e sua figlia.
*****
Alle 03.40, ovvero
dieci minuti dopo che Kaufmann, a qualche centinaio di chilometri di distanza
da Silent Hill era stato aggredito da un demone nel
suo studio, Niall aprì gli occhi, svegliato da urli
nel corridoio. Riconobbe tante voci. C’erano l’infermiera Lisa Garland che
urlava, insieme al capo servizio Henry Slowspeare
detto l’Irlandese per le sue origini
d’oltremanica. Slowspeare stava urlando comandi ai
suoi sottoposti, preoccupato da chissà quale pericolo. Chiamate la polizia! L’esercito! Will! Scendi in armeria a prendere dei
fucili, di corsa!!! E poi, pochi minuti dopo: Ma perché cazzo la polizia non arriva??? Cristo!
Poco dopo sentì la
Garland che parlava ad alta voce:
Henry, al secondo piano le celle si sono tutte
aperte!
E lui le rispondeva,
incazzato:
Maledizione! Sigillate il braccio, chiudete tutte
le uscite. Non fate scappare nessuno! Io chiamo la sicurezza!
Fuori dalla sua
cella, era il caos totale. Si rannicchiò ancora di più in sé stesso, timoroso
di ciò che stava accadendo e ciò che si era aspettato da quando era entrato lì
al Brookhaven Mental
Hospital, ciò per cui stava sempre attento, sempre calmo e pronto all’evenienza.
Buttò un’occhiata alla porta della sua stanzetta imbottita. La sua era ancora
chiusa. Forse quell’imbecille di Slowspeare sarebbe
stato contento che almeno il braccio E era ancora sigillato. A proposito, era
già da un po’ che non sentiva più nessuno. Come mai?
La risposta gli
arrivò pochi minuti dopo. Doveva esserci Lisa Garland ancora nel reparto, lo
evinceva dal suo camminare frettoloso, da ragazza del Sud… Si alzò dal letto e
andò alla porta, guardando dalla finestrella con la grata. Lisa apparve pochi
istanti dopo, sanguinante e trafelata.
- Niall!
– esclamò – Qui fuori sta succedendo il finimondo! –
Lui restò calmo,
guardandola senza risponderle. Per un momento sembrava che si fossero invertiti
i ruoli: lui, il sano di mente, se ne stava nella cella. E lei, la pazza, era
fuori. Proprio lo scenario che Jackson aveva prima teorizzato, poi scritto… e
infine ricreato nella realtà. Le dispiaceva anche per lei, ma al momento non
poteva aiutarla. Almeno, non finché se ne stava rinchiuso in quella cella.
- Stai calmo e vedrai
che tutto si aggiusterà, okay? – lo rassicurò allontanandosi dalla porta.
Subito dopo fu sopraffatta da un altro paziente – un uomo di circa quarant’anni,
con barba e pigiama clinico – che l’acchiappò per i capelli e l’accoltellò in
mezzo ai seni. Prima un colpo, poi un altro, poi un altro ancora… Lisa strillò
sprizzando grandi quantità di sangue e cadendo ginocchioni sul linoleum, e a
quel punto Niall sembrò ritrovare la sua sanità
mentale.
- Lasciala!! Lasciala!!!
– urlò, sbattendo i pugni sulla porta. L’uomo che l’aveva accoltellata si girò
a guardarlo, rivelando con un sorriso due file di denti marroni e scomposti.
- E’ cominciata, Niall Horan. È cominciata l’apocalisse.
Jackson sta arrivando, e finalmente non saremo più noi i pazzi. – dichiarò, poi
si mise a ridere. Infine, prese per i capelli Lisa e le tagliò la gola.
- Noooooooo!!!
– Urlò Niall, continuando a sbattere i pugni sulla
porta. Poi l’uomo che l’aveva accoltellata le prese le chiavi e ne infilò una
nella serratura della porta di Niall.
- Fammi uscire di qui
e ti giuro che t’ammazzo, bastardo! Mi hai sentito?? Ti ammazzo!!! – urlò Niall, nero di rabbia. Tra tutti gli infermieri, Lisa
Garland era sempre stata buona con lui, non gli aveva mai fatto pesare la sua
condizione di internato, e vederla lì, sul linoleum verde a sprizzare le ultime
gocce di sangue del suo corpo, gli strinse il cuore. Convinto di non poter fare
nulla, si rimise sul letto. Per un po’ rimase con gli occhi umidi di lacrime a
guardare la parete imbottita, fino a che non si addormentò.
*****
Paradossalmente, i
sogni di Niall in quella stanza furono del tutto
tranquilli. Sognò una domenica di tanti anni prima, quando con la sua famiglia
era andato a visitare la città di Hollywood. Rivide sé stesso bambino,
percorrere Sunset Boulevard, in quella lunga e
caldissima estate. Erano i tempi in cui lui era ancora un moccioso sognatore, e
in cui Greg non si era ancora deciso ad arruolarsi per il bene della sua
nazione. Vedeva la scritta Hollywood sulla sommità della collina, e i tanti
teatri che popolavano la via. Quella era la fabbrica dei sogni, il mondo del
cinema, dove le fantasie degli uomini prendevano vita. Sognò suo padre Bobby
che scattava fotografie a tutto spiano, e sua madre Maura che teneva per mano i
suoi piccoli affinché non si perdessero in quella miriade di gente. Ad un certo
punto vedeva una locandina, con su scritto The
show must go on, lo spettacolo deve continuare, e mai frase si sarebbe resa
tanto adatta.
Si svegliò a
malincuore, ancora nella sua cella, ancora con la parete imbottita davanti agli
occhi. Quando si svegliò del tutto, si accorse che la notte era passata da un
pezzo, che dalla finestra della sua cella s’intravedeva un po’ di luce. Il sole
non splendeva, ma ugualmente era mattina. Mise i piedi giù dal letto e si
strofinò gli occhi. Il silenzio regnava sovrano, quella mattina.
Poco dopo si accorse
che la porta della sua cella era socchiusa. Fece un balzo e andò al pomello, lo
tirò e la porta si aprì. Guardò fuori, prima a destra e poi a sinistra nel
corridoio. Le celle dove erano rinchiusi i suoi compazienti, erano aperte. Lisa
era ancora lì, riversa a terra in un lago di sangue fuoriuscito dalla sua gola.
I lunghi capelli rossi si erano mescolati al suo liquido corporeo,
appiccicandosi al linoleum e impastandosi con esso. Niall
sospirò, quindi si allontanò dalla sua cella.
A piedi scalzi
percorse il corridoio, arrivando fino alla reception. Qui, gli uffici erano
tutti sottosopra, c’erano carte sparse dappertutto, un neon pendeva dal
soffitto con il suo cavo elettrico che ancora sfrigolava scintille. C’erano
raccoglitori di fatture e registri sparsi in ogni dove, cocci di vetri rotti e
cadaveri.
Cadaveri degli
infermieri, occasionalmente qualche paziente, e sangue. Sangue sulle pareti e
sul pavimento, persino sul soffitto. A parte questo, l’ospedale sembrava
deserto. Abbandonato come dopo un disastro nucleare.
Niall si mise le mani sulle braccia. Faceva freddo. I
suoi piedi erano diventati quasi ghiacciati, dal camminare sul pavimento
gelato. Doveva assolutamente trovare un paio di scarpe e poi vestirsi.
Girando un po’,
riuscì a trovare la lavanderia e il guardaroba. Qui c’erano ancora tante divise
pulite da infermiere, e scarpe bianche. Fortunatamente le divise da infermiere
scaldavano abbastanza. Erano di un tessuto particolare, in grado di adattare il
corpo di chi le indossava alla temperatura esterna: così, in caso di un’eventuale
fuga di un ospite, gli inservienti sarebbero potuti uscire senza doversi
infilare alcun soprabito. Il corridoio attiguo al guardaroba portava ai
sotterranei, dove c’era l’armeria. Immaginò che tutte le armi fossero state
portate via, ma valeva la pena dare un’occhiata.
I sotterranei erano
mezzi al buio. Eccezion fatta per qualche luce che lampeggiava, si poteva
vedere bene comunque. Qui, Niall vide tante porte. Le
targhette lo avrebbero aiutato. Una diceva ARCHIVIO, un’altra diceva MAGAZZINO
BENI, un’altra ancora SALA CALDAIE. Girò a sinistra nel corridoio, trovandosi
di fronte il gabbiotto dell’armeria. Non era certo un’armeria di dimensioni
enormi come quella di un distretto di polizia, ma sicuramente bastava a tenere
in sicurezza un posto come quello. Com’era prevedibile, quasi tutte le armi
erano state già utilizzate: la rastrelliera dei fucili era praticamente vuota,
così come quella delle pistole. Niall sospirò,
girando i tacchi per tornarsene da dov’era venuto, quando dietro la porta vide
qualcosa luccicare. Si fiondò immediatamente, raccogliendo l’ultima pistola
rimasta. Controllò se nel caricatore erano rimaste munizioni. C’erano. Quindi
la richiuse e se la mise in tasca. Per stare sicuro, prese un altro caricatore,
in caso avesse avuto di nuovo a che fare con qualche demone o qualche altro
infettato.
*****
Fuori, l’aria era
fredda, molto fredda. Ma la divisa continuava a tenerlo caldo. Nel parcheggio,
c’erano altri cadaveri. Tra questi, Niall riconobbe
il cadavere di Slowspeare, il quale giaceva con la
gola mezza asportata. Non era un patologo, ma Niall
avrebbe detto sicuramente che era morto per il morso letale di un demone. Il
cancello d’accesso era aperto, ma c’erano auto sparse ogni dove. Segno che chi
le aveva utilizzate aveva tentato di scappare ma era stato fermato prima dai
mostri.
- Jackson… maledetto
figlio di puttana. Ti fermerò. – mormorò Niall,
pensando che urgeva tornare immediatamente a New York. Se lì a Silent Hill, nel Maine, le cose stavano così, figuriamoci a
casa cos’era successo. Scelse un’auto lì vicino, che aveva ancora il motore
acceso. Tirò fuori il cadavere della donna alla guida e lo adagiò sull’asfalto,
quindi chiuse le portiere e partì alla volta di New York.
Provò ad accendere la
radio, ma tutte le stazioni erano diventate mute. Imprecò, pregando di trovarne
una che funzionasse e che desse notizie chiare.
La trovò.
La voce dello speaker
era sovraeccitata, ma carica di una tensione negativa nello spiegare gli
eventi.
- …non ci sono
sviluppi sui recenti fatti avvenuti tra questa notte e questa mattina. Sappiamo
solo che gli omicidi si sono triplicati. In più, delle creature di natura
misteriosa hanno fatto la loro comparsa. Delle specie di cani, o tigri, o che
so io. Con gli occhi iniettati di sangue, che hanno seminato orrore e morte
nelle ultime ore. L’esercito degli Stati Uniti d’America è in allarme, orde di
cittadini hanno creato dei comitati di difesa del territorio. Il Presidente ha
dichiarato lo stato di guerra questa mattina, una guerra non contro un altro
popolo del mondo, ma bensì contro qualcosa di sconosciuto e letale, che si è
insinuato da un giorno all’altro nelle nostre vite. Signore e signori, forse
questa è l’apocalisse. Sarebbe inutile se vi dicessi che va tutto bene, perché non va tutto bene. A tra poco, dopo il
bollettino d’informazione. –
E dopo lo speaker,
anziché la musica, passava un messaggio registrato con le misure precauzionali
per coloro che erano sopravvissuti.
- …Nell’avvicinarsi
ai limiti di una città in auto, si deve segnalare la propria presenza
utilizzando i proiettori abbaglianti per tre volte. Dopodiché bisogna scendere
dai veicoli e alzare le mani, affinché gli ufficiali preposti verifichino lo
stato di umanità o alienità. Rispondere sempre ai comandi delle forze dell’ordine.
Non lasciare una città se non si è assolutamente costretti. I bambini al di
sotto dei dieci anni devono girare con i propri genitori o con un ufficiale
dell’esercito. Si consiglia ai superstiti di raggiungere i centri di raccolta
più prossimi… - e altre indicazioni di sopravvivenza.
- E’ cominciata.
Nessuno potrà fare più nulla, Niall Horan. –
Con le mani sul
volante, Niall si girò. In auto con lui non c’era
nessuno, era la radio che parlava.
- …Messaggio per Niall Horan. Qui è il suo dolce Louis
che gli parla, e che vorrebbe tanto farlo suo in un letto. Per ora è costretto
ad aspettare, ma prima o poi ci riuscirà. Niall,
tesoruccio, torna a casa, ti stiamo aspettando. Mamma e papà sono così ansiooosi di
rivederti! –
- Oh merda! Mamma! Papà!
Che cosa gli avete fatto, bastardi!!! – esclamò Niall
contro la voce alla radio. La voce di Louis non rispose più, in compenso Niall accelerò.
Era cominciata. Era
cominciata. E bisognava fermarla.
FINE
(?)