Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: milla_m    15/02/2013    1 recensioni
Mi stavano stretti. I pantaloni, i corridoi. Non potevo tenere le mani in tasca senza che mi si arrossassero ed incominciassero a pulsare dolorosamente.
Non riuscivo a camminare, senza costringere il mio viso a voltarsi verso le pareti, lasciandomi soffocare dal poco ossigeno.
Non riuscivo a vedere la fine, non riuscivo a fermarmi dall'andarci incontro.
Era buio, buio pesto. All'improvviso si aprì una finestra, spalancandosi e investendomi d'aria e luce.
Capii che il buio aveva i suoi buoni motivi per essere lì.
La luce mi accarezzò il viso come dita calde che non mi avevano mai toccata.
Accettai il buio, amai la luce.
Genere: Fantasy, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen, Quileute, Seth Clearwater | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga, Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve!
Vorrei ringraziare chi ha messo la storia fra le seguite e Seforah, che ha recensito entrambi i capitoli, perché davvero questo è un contributo che apprezzo! Quindi...grazie! :)

Vi lascio alla mia Hollie! :)

3.

Va' lontano, alzati da quel muretto e conquista tutto quello che sogni.


Fui svegliata molto presto dal pizzicore che avvertivo alla gola; tossii, sentendomi quasi catapultata via dal sonno profondo dei pochi minuti prima. Mi raggiunse un forte odore di bruciato, così aprii gli occhi, fissando la finestra stranamente aperta. Ero certa che la sera prima fosse chiusa. Mi alzai a sedere in modo pigro e appoggiai i piedi sul legno freddo. Allungai il braccio fino alla finestra e la appannai, appoggiando poi la testa sul cuscino. Erano giorni ormai che dormivo serena, senza incubi: facevo sogni ambigui, irreali, ma li preferivo agli incubi spaventosi che spesso mi rubavano non solo il sonno, ma anche il respiro. Per la puzza che aleggiava ancora nella stanza fui costretta a tossire ancora, finché non mi alzai e cercai di capire da dove provenisse. Spalancando la finestra, fui invasa non solo dalla puzza, ma anche dal freddo: nuvole scure coprivano il cielo e piccole gocce di pioggia incominciavano a bagnare l'asfalto. Quando guardai verso il basso, mi si raggelò anche il respiro nei polmoni: una grande folla di persone in pigiama, vigili del fuoco, fumo, ed una parete nera. Le cose che si ripetevano di più erano confusione e disagio. Mi vestii velocemente, prendendo alcuni vestiti del giorno prima, calzini diversi ed un elastico per capelli. Scendendo le scale, feci una crocchia disordinata sulla nuca e chiusi la felpa; corridoi e scale erano deserti: sentivo solo il rumore dei miei passi veloci rimbombare nell'edificio. La porta di ingresso era aperta nonostante l'entrata fosse deserta; uscii fino in strada, lasciandomi prendere dalla confusione.

Fred.

Fred.

La facciata della casa del vecchio era completamente bruciata e la casa stessa sembrava non essere più sicura. Riconobbi volti di persone del vicinato e cercai di non fissare quelle nuove. Mi incantai, quando questa passò, su una barella; sopra c'era un sacco dimensione uomo e non mi serviva vedere al suo interno per capire chi lo occupava. La folla si disperse un po', lasciandomi notare una donna alta, con i capelli neri e corti, appoggiata alla spalla di un uomo. Piangeva in modo disperato. Il mio cuore riusciva a sentire il dolore nonostante fosse ormai rintanato e nascosto in qualche parte di me.

«Ti spaventa la morte?», fu la saggezza di quella voce dolce, a spaventarmi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella donna, così non lo feci e lasciai che rispuntasse fuori ciò che avevo nascosto a lungo.

«No. È quello che si porta dietro.», nella mia voce sentii una sincerità che non riconoscevo. Avrei potuto mentire, come ormai facevo sempre, ma in tutto quel dolore che mi circondava non sembrava giusto aggiungerne altro a me.

Il peso al petto che avevo ignorato per anni decise che era il momento giusto per tornare, così mi voltai di spalle e tornai in camera.

Non piangevo da così tanto tempo che mi resi conto di non sapere più come farlo: i singhiozzi si bloccavano in gola, impedendomi di respirare ed emettevo suoni disperati, angosciosi che pensavo di non aver mai creato.

 

«Ciao Hollie.»

Ciao Emmett.

Mi sedetti sulla mia sediolina a fissare il muro del palazzo di fronte attraverso la finestra.

Si era ripresentato tutto troppo velocemente ed avevo sbagliato a non tentare di controllarlo.
Di solito la pioggia mi scorreva addosso senza bagnarmi, ma questa volta ero fradicia.
Mi pulsava la nuca ed avevo tanta voglia di chiudere gli occhi arrossati; mi chiesi dove fosse quella donna, se avesse qualcuno o se in quell'istante fosse sola come lo ero stata io. Mi passò per la mente l'immagine dell'uomo che l'abbracciava: non era sola; la mia ferita al cuore non si risanò: non era della donna che mi importava, ma di me. Mi accorsi di non avere né un passato né un futuro ed a malapena stavo vivendo il mio presente. Ero convinta di ignorare quello che mi stava intorno, ma capii che stavo ignorando anche me stessa ed i miei stessi sentimenti, se mai li stavo provando.

Joanne incominciò a piangere tra le braccia di Rosalie Cullen: non era mai successo prima. D'istinto pensai di alzarmi, ma poco dopo la bimba si calmò.

Dalla porta spuntò una figura slanciata all'improvviso; scattai, alzandomi, verso destra, il lato opposto. I miei occhi si incontrarono con quelli dell'uomo e mi ci incantai. Ero stupefatta: avevano una forma allungata ed erano di un tenue azzurro; nonostante fossi distante più di tre metri, riuscii a vedere le ciglia bionde immobili sulle palpebre. Sembrava una statua: era un uomo immensamente bello, e mi venne subito da pensare ai Cullen per quanto questi erano simili: la pelle perfetta e pallida, estremamente pallida; le occhiaie pesanti e violacee sotto agli occhi. Qualcosa del mio inconscio mi stava indicando che aveva qualcosa a che fare con le altre due persone nella stanza. I capelli portati all'indietro fino alla nuca gli davano un'aria quasi saggia, ed il sorriso che mi stava porgendo non solo lo rendeva più bello, ma anche gentile. Rimasi imbambolata per un po', con le sopracciglia aggrottate, finché non sentii la sua voce, che non mi aiutò a ridestarmi.

«Oh, ciao. Tu dovresti essere la Isabelle che la signorina Olivie sta cercando. Io sono Carlisle, il padre di Rose ed Emmett. Piacere.», non dissi nulla e continuai a fissarlo, aggrottando ancora di più le sopracciglia. Mi sembrava così impossibile avere quella voce.

Anzi, l'avevo già sentita, quella mattina. Chinò la testa in fare galante e tentai un sorriso.
«Preferisco Hollie. Piacere mio.», quando mi resi conto di avere una scusa per uscire, lo feci, in imbarazzo. Olivie per qualche motivo mi stava cercando, così mi diressi sovrappensiero da lei. Ero circondata da persone perfette.

Carlisle, il padre di Rose ed Emmett.”, avevo letto di un personaggio di nome Carlisle in un libro, ma era ambientato secoli prima; era un nome in disuso perfino per la sua generazione. Inoltre dimostrava di avere quasi la stessa età dei figli, quindi di essere della stessa generazione; dimostrava 30 anni mentre i figli circa venti. Inoltre, come poteva essere padre di entrambi?!

«Isabelle!», Olivie interruppe i miei pensieri proprio mentre ero arrivata al culmine del ragionamento. «Serve aiuto a Martha.»; un tuono rimbombò nell'ampia entrata mentre mi dirigevo in mensa, lentamente.

«Hollie...mi andresti a fare la spesa? Ecco la lista.», mi ci mandavano spesso, a fare la spesa. Il supermercato distava meno di un kilometro ed ero abbastanza grande per andarci; mi passò un foglio di carta con su scritte le cose da comprare ed una banconota da cinquanta dollari. Annuii e mi avviai alla porta di ingresso. Appena misi entrambi i piedi fuori, mi accorsi di aver dimenticato l'ombrello; la porta alle mie spalle era già chiusa, così incominciai a bussare il campanello senza ricevere nemmeno una risposta. Aspettai qualche minuto, poi me ne andai imprecando. Alzai il cappuccio della felpa ed incominciai a camminare velocemente. Il quartiere era molto silenzioso: mi mancava quella musica che risuonava durante la giornata per la strada. Il peso al petto aumentò.
Presi in pieno un paio di pozzanghere ed il vento arrivò ad abbassarmi il cappuccio. Tirai un respiro di sollievo quando vidi il supermercato. Mi presi tutto il tempo che volevo per comprare quello che mi serviva, poi dopo aver pagato, uscii fuori con le mie tre buste. Erano pesanti, così incominciai quasi a correre pur di arrivare presto. All'improvviso mi accorsi di non avere più la pioggia battente sulla testa e mi fermai di botto; allo stesso tempo, il peso delle due buste dal braccio sinistro sparì. Mi voltai di scatto, ritornando sotto alla pioggia: Carlisle Cullen, mi porse ancora l'ombrello, con un sorriso benevolo sul viso. Aveva preso le due buste e le teneva, continuando a cercare di proteggermi dalla pioggia.
«Grazie.», sussurrai. Mi porse il braccio, avviandosi; evitai di mettermi a braccetto e lo seguì di pochi passi più dietro, mentre cercava ancora di tenermi sotto l'ombrello, per nulla deluso. Non camminammo per molto, che si fermò: trovò una fermata del pullmann con una panchina al coperto ed andò a sedersi all'asciutto, aspettando che facessi altrettanto; mi arresi e posai la busta fra i piedi.

Presi un po' di coraggio e visto che quel silenzio stava diventando insopportabile, forse a causa del rumore unico della pioggia sul tettuccio di plastica feci una domanda che incominciava a tormentare la mia curiosità.

«Come puoi essere padre di entrambi?», lo fissai con le sopracciglia aggrottate. Era così bello che quasi mi incantai e non mi era mai successo prima, con nessuno. Sembrò molto divertito dalla mia domanda, e quando sorrise il suo viso si trasformò, diventando ancora più bello.

«Ho adottato entrambi e si sono innamorati.», fece spallucce e puntò gli occhi azzurri nei miei. Sembrava stesse per dire qualcosa, ma poiché anche io schiusi la bocca, mi fece parlare;

«Joanne sembra felice.», spostai lo sguardo sull'asfalto e mi morsi le labbra. Non sembrava, lo era. E dovetti ammettere che ero contenta di questo.

«Sarà una bella nuova entrata nella nostra famiglia. Ho anche altri figli, sempre adottati: Alice, Jasper, Edward e Bella, che considero come tale.», tutti quei nomi mi confusero per un attimo. Avevo notato la ricchezza di quella famiglia, ma mi accorsi anche della gentilezza e della voglia di far del bene. «Anche Alice e Jasper sono fidanzati, ed hanno intenzione di sposarsi presto.», notai orgoglio nel suo tono. Mi confusi ancora di più, e quando vide le mie sopracciglia pericolosamente aggrottate, si schiarì la voce.
«Quanti anni hai?», mi chiese; avevo voglia di tornare alla casa famiglia, anche portando le tre buste da sola: quella conversazione incominciava a non piacermi molto. Qualcosa mi spinse a rispondere ed a lasciare da parte la maleducazione che invece mi accompagnava ogni volta che aprivo la bocca.

«Diciassette.», a giudicare dalla sua espressione, dimostravo gli anni che avevo. Posò i gomiti sulle ginocchia, e si spostò un po' in avanti.

«Lavori alla casa-famiglia?», sembrò chiedermelo senza interesse, come se conoscesse la risposta e lo facesse solo per avere una breve e cortese conversazione con me.

«Ci abito.», risposi seccamente. La voglia di scappare aumentò.

«Perché?», sapevo cosa voleva. Non avrei dovuto darglielo, avrei dovuto alzarmi, prendere le mie buste ed andare via...per qualche strana ragione invece rimasi. Osservai il suo profilo: solo dopo circa trenta secondi di silenzio si girò lentamente a guardarmi.
Mi chiesi se ne valesse la pena.

Mi sorrise, come a giustificare la sua curiosità, ed a chiedermi scusa. Sembrò volesse dirmi: “Puoi non dirlo, se non ti va'”, ma volevo:

«Sono arrivata qui quando avevo sette anni. Non ricordo nulla. Non voglio ricordare, quindi mi adatto. Ciò che ricordo mi piace ancora meno di quello che ho voluto dimenticare.», mi studiò in silenzio; forse incominciò a riflettere su quanto ero in grado di continuare. Mi sentii sfinita all'improvviso, come se il peso del mondo mi fosse ricaduto addosso.

«Perché non sei mai andata via?», la sua domanda mi sembrò così spontanea e priva di originalità che la risposta mi parve ovvia;

«Libertà.», sperai capisse. Annuì.

«Non sei così chiusa ed asociale come sembri.», si alzò, prese le buste e si avviò con energia. Rimasi perplessa, mentre mi alzavo per andare io stessa: il suo scopo era capire come fossi? Mi arrabbiai e pensai di andare lì e dargli un calcio. Appena la pioggia tornò a bagnarmi la testa, mi coprì un velo di freddezza.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: milla_m