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Autore: Aquarius no Lilith    15/02/2013    1 recensioni
Questa storia è per certi versi il prequel della mia fanfiction "la maledizione dell'amore eterno" ed è ambientata sei anni prima dell'originale.
Grazie a una situazione insperata Yume riesce a confessare i suoi sentimenti a Milo, ma la reazione del cavaliere d'oro sarà assolutamente non chiara e fonte per lei di tristezza. Una missione in Italia però nel luogo in cui era vissuta Yume, riporterà la pace tra i due, anche se Yume avrà una rivelazione sconvolgente rispetto a sua madre e a quello che succederà ai cavalieri d'oro molto tempo dopo.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La maledizione dell' amore eterno'
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Dopo quest’avvenimento passarono due mesi durante i quali cercai di parlare con Milo, però ogni volta che mi scorgeva, spariva subito dopo, e così capii che mi stava evitando in tutti i modi.
Un giorno poi, mentre stavo spiegando a Dafne come interpretare un suo sogno, un soldato semplice mi venne a chiamare, poiché il gran sacerdote desiderava vedermi.
Dopo aver attraversato le dodici case, giunsi alla tredicesima, bussai ed entrai.
Il mio cuore perse un battito quando vidi Milo, inginocchiato davanti al gran sacerdote, probabilmente anche lui in attesa d’istruzioni.
Mi diressi subito verso il trono del gran sacerdote e, dopo essermi inchinata a terra, dissi:
<< Yume, silver saint di Cassandra ai suoi ordini, gran sacerdote >>.
E il grande sacerdote, disse: << Vi ho fatto chiamare entrambi, poiché ho intenzione di affidarvi una missione. Ci è arrivata notizia di episodi di cannibalismo vicino a Torino in Italia e per questo voi dovrete recarvi in quel luogo e fare in modo che queste persone non possano più nuocere a nessuno. Partirete tra due giorni con una nave che vi porterà ad Ancona e lì una nostra persona di fiducia vi guiderà fino a Torino. Ora che sapete tutto, potete andare >>.
Dopo aver salutato il gran sacerdote con un ultimo inchino, uscimmo.
All’inizio nessuno dei due fiatò, però mentre stavamo per attraversare la casa del Sagittario, dissi: << Milo puoi dirmi perché mi hai evitato per due mesi interi? E anche perché sei scappato dopo avermi baciato ? >>.
Non mi rispose però, almeno fino a quando non giungemmo alla sua casa.
<< Ti ho evitato perché non volevo che tu t’illudessi di essere importante per me, dopo quello stupido bacio >>.
Quelle parole e lo sguardo glaciale che mi lanciò, mi ferirono ancora di più di una lama e se non mi misi a piangere, lo dovetti solo alla mia intima volontà di non volergli sembrare una ragazza senza spina dorsale.
E quindi, con voce incavolata, gli risposi: << Per te dunque, era stupido? E allora mi spieghi il perché sembrava invece, che facessi fatica a staccarti da me? >>.
Lui cercò di ribattere, ma io lo precedetti, dicendo: << Mi ero proprio sbagliata a giudicarti e mi chiedo come ho fatto a innamorarmi di un essere tanto stupido e cafone. Sappi però, che non ti considero più un essere vivente, per la freddezza che hai usato con me poco fa e rispetto alla quale anche quella di Camus impallidisce >>.
Non gli diedi modo di rispondere, perché scappai subito via e, passate velocemente le ultime sette case, tornai al mio alloggio, per potermi calmare.
Trattenni le lacrime a stento mentre preparavo la borsa da viaggio che avrei portato con me, attorniata da Aglae e Dafne che parlavano allegramente tra di loro.
Sia questo che il giorno successivo, mi sembrarono lunghi un’eternità e le mie allieve erano sempre più preoccupate per me, poiché il mio umore era molto cupo.
Il giorno stabilito per la partenza io e Milo ci trovammo al Pireo, per prendere la nave che ci avrebbe portato in quello che era il mio paese d’origine, che non vedevo da quasi otto anni. Eravamo vestiti entrambi con abiti normali: lui indossava dei jeans blu lunghi, una maglia a maniche corte blu e scarpe da ginnastica, mentre io indossavo una gonna nera lunga fino al ginocchio, una maglia a maniche corte di colore viola semplice e un paio di sandali senza tacco neri e naturalmente sul volto portavo la mia maschera.
Ero felice di poter tornare a Torino, la città in cui ero nata, però l’essere accompagnata da Milo mi guastava la felicità che provavo.
Saliti a bordo, ci separammo, infatti, le nostre cabine erano lontane e così, non fui costretta a sopportare la sua presenza, se non quando scendevo alla mensa per farmi un vassoio di cibo e poi andare a mangiare nella mia cabina.
Io di mio poi evitavo di stare troppo in giro, poiché la mia maschera mi rendeva troppo appariscente e il fatto che, Milo cercasse continuamente di parlarmi, mi spingeva a stare lontana da tutto e da tutti.
Dopo quasi due giorni, il traghetto approdò ad Ancona ed io mi sentii di nuovo a casa.
Dopo aver parlato con la persona che ci aspettava, scoprii con mia grande felicità che la direttrice del mio vecchio orfanotrofio aveva dato la disponibilità a ospitarci presso di lei. Prendemmo poi un treno, che ci portò fino a Torino e feci da guida a Milo per le strade del centro, fino ad arrivare alla periferia della città, dove si trovava il mio vecchio orfanotrofio. Mi fermai un attimo a guardare l’aspetto esterno dell’edificio, che era rimasto come me lo ricordavo, anche se però ora sembrava più trasandato.
Attraversato il cortile davanti all’entrata, entrai nell’orfanotrofio e mi sembrò di tornare bambina, infatti, mi rividi mentre correvo per quei corridoi grigi, tapezzati solo dei disegni dei bambini.
Avanzando, entrai in quella che ricordavo essere la nostra sala giochi e lì vidi un gruppetto di almeno dieci bambini giocare insieme.
A quella vista, un po’ di tristezza m’invase, infatti, io e altri avevamo dovuto rinunciare ad un’infanzia allegra e spensierata, per diventare i saint di Atena, che avevano il compito di proteggere la giustizia.
Come i bambini si accorsero di me, cominciarono a stringermisi intorno, per guardarmi.
A un certo punto però una bambina con le trecce bionde e gli occhi verdi, mi chiese:
<< Perché porti una maschera in volto? >>.
<< Perché dove vivo io noi ragazze non possiamo mostrare il nostro volto agli estranei e soprattutto agli uomini >>, le risposi io in italiano.
La bambina rimase perplessa alla mia risposta, ma poi mi chiese: << I tuoi amici però, da cosa ti riconoscono? >>.
Ed io, abbassandomi alla sua altezza, le risposi: << Mi riconoscono dalla voce e dal ciondolo che porto al collo fin da quando ero bambina >>.
Subito dopo però, sentii dire alle mie spalle: << Yume, sei proprio tu? >>.
Voltandomi, vidi la direttrice dell’orfanotrofio dirigersi a passo incerto verso di me e le risposi: << Sì direttrice, sono proprio Yume >>.
Allora mi abbracciò e, guardandomi, disse: << Sono felice di vedere che stai bene, Yume. Puoi dirmi però, perché porti una maschera che ti copre completamente il viso e perché hai un’enorme scatola sulle spalle? >>.
<< E’ una lunga storia, direttrice e se potessi preferirei raccontargliela in privato >>, dissi io con voce seria.
<< D’accordo, Yume. Scusa la domanda, ma quel ragazzo che sta parlando in una lingua incomprensibile ai bambini, chi è? >>.
Oh cavolo, pensai. Mi ero completamente dimenticata di Milo che non capiva una sola parola della mia lingua madre.
<< E’ il mio compagno di viaggio ma Milo, questo è il suo nome, non conosce per niente l’italiano, essendo di origine greca e quindi dovrò fargli da interprete >>.
La direttrice mi guardò con aria perplessa ed io superandola, mi diressi verso Milo che stava cercando di convincere in greco un bambino, a scostarsi dalla sua gamba destra alla quale si era avvinghiato.
Mi venne un po’ da ridere per la situazione in cui Milo si era cacciato, ma la mia allegria fu subito sostituita dalla rabbia per il comportamento da lui tenuto con me, neanche una settimana prima.
Come gli fui davanti, mi abbassai a osservare il bambino responsabile del problema e gli chiesi: << Perché ti sei attaccato alla gamba di questo ragazzo? >>.
<< Perché >>, rispose lui imbarazzato, << mi dà una sensazione di sicurezza, come me la dava mio padre, quando era ancora con me >>.
A quelle parole rimasi allibita, ma continuai, dicendogli: << Capisco, però se gli continui a stare attaccato  non potrà spostarsi e rischia di non muoversi più >>.
Il bambino allora, arrossì per l’imbarazzo e scappò via, confondendosi nel gruppo dei bambini.
Sentii poi dire a Milo: << Grazie per l’aiuto, infatti, non capendo niente di quello che dicono qui, mi sento come un pesce fuor d’acqua >>.
Mi alzai subito e come cercò di continuare a parlare, lo interruppi, dicendo in greco: << Non ringraziarmi, perché quello che sto facendo lo compio solo per dovere e per nient’altro. Ti farò da interprete e compagna in battaglia, ma per me tu sei solo un sasso ignorante e insensibile. Seguimi ora al piano superiore, dove alloggeremo >>.
Finito di dire ciò, mi allontanai da Milo e mi diressi verso la direttrice, con la quale parlai mentre salivamo le scale, per andare a vedere dove avremmo alloggiato.
Giunti davanti alla porta che ricordai, essere un tempo la stanza che condividevo con due altre mie compagne, la direttrice si fermò e disse: << Alloggerete qui, perché non abbiamo purtroppo un’altra stanza libera. Va bene lo stesso? >>.
<< Certo che va bene, direttrice e poi in fondo ci avete fatto già un grande favore a ospitarci, nonostante tutti i problemi che dovete avere >>.
Lei mi sorrise e poi, disse: << Allora vi lascio in pace a disfare i bagagli, ragazzi >>.
Subito dopo se ne andò, scomparendo in uno dei corridoi lì vicini.
Aprii dunque la porta e vidi che la stanza non era cambiata molto in quegli anni: infatti, c’erano sempre contro la parete vicina alla porta e davanti alla portafinestra che dava sul bosco lì dietro, un letto singolo e una cassapanca per gli abiti, mentre contro la parete opposta ora c’era solo più un letto anch’esso singolo ed era ora affiancato da un armadio grande per gli abiti.
Entrata allora, posai il mio contenitore dell’armatura vicino al letto davanti alla portafinestra.
Accorgendomi però che Milo non era ancora entrato, guardando il paesaggio che s’intravedeva attraverso il vetro, dissi in greco: << Dobbiamo condividere la stessa stanza, perché questa è l’unica disponibile >>.
<< D’accordo, ho capito >>, disse lui e poi sentii chiaramente il rumore che faceva il suo contenitore dell’armatura, mentre veniva posato a terra.
Dopo esserci rinfrescati un attimo, uscimmo subito e ci recammo nei luoghi in cui erano avvenuti riti di cannibalismo per opera di quelli che sembravano essere dei seguaci del culto del dio Dionisio.
Tornammo poi in orfanotrofio, quando ormai il sole era tramontato e, nonostante fossi molto stanca, diedi una mano alla direttrice a preparare la cena per i bambini e in questo frangente avemmo modo di parlare e le raccontai tutto ciò che mi era accaduto da quando ero stata portata via da Saga ad allora, omettendo però ciò che era accaduto con Milo. Rimase un po’ spiazzata per tutto ciò che le avevo raccontato, ma mi assicurò di credermi. Quando poi ci mettemmo ad apparecchiare, disse: << Mangiate con noi, vero? >>.
Ed io a malincuore dovetti risponderle: << No, direttrice. Io non posso, perché se mostrassi il mio volto a un uomo, anche se bambino, le regole dei saint mi costringerebbero o a doverlo uccidere o ad amarlo >>.
<< Capisco, Yume. E Milo, invece? >>.
<< Gli dirò di venire a mangiare con voi, anche se però non potrà parlare con nessuno >>. Detto ciò, salii in camera e trovai Milo sparapanzato sul letto, che, come mi vide entrare, disse: << Devo venire giù per la cena? >>.
<< Sì, hai indovinato >>.
<< D’accordo >>, rispose lui, alzandosi.
Lo accompagnai in mensa, dove si era già raggruppata una parte dei bambini e poi andai in cucina, dove la direttrice mi porse gentilmente un vassoio con la mia cena e mi diressi in camera.
Mentre imboccavo però le scale, Milo m’intercettò e mi si parò davanti, dicendo: << Perché devo mangiare insieme a questa marea di bambini urlanti di cui non capisco una parola, mentre tu ceni tranquillamente in camera? >>.
Ed io gli risposi: << Sai che io devo seguire delle regole e per questo non posso mangiare né con i bambini né con te >>.
Alle mie parole rimase interdetto per poi però dire, sorridendo: << Ma io ti ho già vista in volto quindi non è un problema >>.
Quelle parole mi fecero perdere il controllo e alzando una mano gli diedi uno schiaffo che gli lasciò impressa l’impronta della mano sulla sua guancia sinistra e poi, guardandolo con tutto il disprezzo possibile, dissi: << E si è visto come ti sei comportato di conseguenza >>. Vidi Milo diventare rosso dalla rabbia, ma lo lasciai stare e sorpassandolo velocemente, me ne andai in camera a cenare.
Come chiusi la porta, mi tolsi la maschera e mi beai della sensazione del vento sul mio viso, uscendo sul balcone.
Rientrata poi, mangiai la mia cena, cercando di non pensare a ciò che era successo poco prima.
Quando finii, prima di mettermi a letto, decisi di andare ancora in un posto.
Dopo aver rimesso la maschera, saltai giù dal balcone e mi diressi verso quell’albero, dove avevo incontrato Saga per la prima volta. Lo riconobbi grazie ad un nastrino che avevo appeso a un ramo per segnarlo e che era ancora lì, nonostante fossero passati molti anni. Posando la mia mano contro il tronco, pregai mentalmente Atena di poterlo rincontrare un giorno, perché mi mancava moltissimo.
A un certo punto però, sentii una presenza dietro di me e, voltandomi, vidi Milo.




Angolo dell'autrice: ecco qui la seconda parte dell'extra che spero vi piacerà. Ringrazio 2307 e Freyr15 per le recensioni allo scorso capitolo e ace12 per aver messo la storia tra le seguite. Avvertimento: non posterò nulla fino al 26, poichè nei prossimi tempi sarò impegnatissima con lo studio, poichè sono piena di verifiche.
Ciao e al prossimo capitolo, Lilith
  
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