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Autore: Ukeboy    15/02/2013    1 recensioni
Damien è un uomo adulto - per la società - ed estremamente complicato. Deliziosamente, complicato, direbbero alcuni.
Ma quando le stagioni incontrano gli anni, può la primavera portare i suoi carri di fiori?
Un veloce e fugace ritorno su EFP dopo un anno e mezzo, con una oneshot divisa in due capitoli.
Vai a capire 'ste cose strane.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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"Noi non siamo mai esistiti" il gelo s'insinuò tra le ossa, sulle punte delle dita, sotto la carne, dentro il sangue, nel corpo, fino alla testa. Il foglietto di carta tremò nella mano e scivolò, volteggiando un paio di volte in aria prima di toccare terra, lì, immobile, innocente.
I miei occhi persi in quella riga mal inchiostrata schizzarono a destra e sinistra, incrociando solo gli oggetti composti e pittoreschi del salone dai pavimenti di marmo bianco venato, le due panche di palissandro scuro, dalle vene d'un nero simile ai piccoli vasi sui mobili pieni di libri, persi qua e là lungo la stanza dalle pareti ocra. Catturò la mia attenzione solo la porpora dei fiori appoggiati insieme al foglietto dentro il portavaso, sul piccolo mobile per il telefono e cataloghi di oggetti curiosi - pressoché inutili - delle compagnie di telemarketing, appoggiati a dozzine sui due ripiani in larice chiaro. Sentii qualcosa cadere dentro di me, e finire giù, in fondo, trascinandomi verso il basso.
Tesi l'orecchio, ascoltando ogni rumore intorno, come una preda conscia dell'imminente pericolo, dell'odore di sangue e morte che precede l'essere sbranati.

Nell'aria solo l'accompagnamento dell'Inverno, dalla sua camera, dove gli archi rimbombano dentro di lui, sempre più vuoto, sempre più attratto dal pavimento. Sfiora d'istinto il vaso accanto al telefono cadendo a terra in ginocchio, per raccogliere il piccolo demonio impresso sulla carta.


"Noi non siamo mai esistiti"

____

"Me riguardi e sorridi, e te medesmo... pur guardi e arridi. Or che hai tu? lo svela ad un amico! Pensieroso sembri, ma pur giocondo" le risate si perdono nell'eco del teatro vuoto.
"Meco steso io godo, ambo vederne in villereccio ammanto. Noi sembriamo due felici pastorelli e..." il vociare delle risate copre anche la musica. Un'ombra in fondo alla stanza, nascosta dietro tutte le file di sedie, soffoca qualche rumore troppo forte, divertito e impressionato.

"Va bene, comunque Silvia, io penso che qui abbiamo finito... no?" qualche passo rimbomba dal palco illuminato. Damien e Silvia raccolgono costumi e scenografia, scambiandosi qualche parola troppo veloce per essere udita da lui. Ne approfitta per avvicinarsi alla porta senza essere notato, mentre i due più avanti spariscono dietro le quinte.

Che stupidi... qualche pensiero, mentre fruga nelle tasche, cercando spiccioli per la macchinetta. Non trova nulla, come aveva sospettato.
Si appoggia qualche istante al muro, pensando a dove trovarli, sentendo un vociare avvicinarsi lentamente. Fa qualche salto verso l'uscita, girando l'angolo e ignorando il Paolino, abbracciato al suo caffé e incollato pigramente sulla poltrona, annoiato ad osservare una tv dai colori sbiaditi. Gli fa eco con un "ehi!" mentre esce dalla porta ridendo.

"Talìa a chistu!" se ne esce l'ometto, ritrovando da qualche parte la voglia di alzarsi e indignarsi. Quarantenne, brizzolato, capelli talmente radi che ormai ha deciso di rasarli, cerca con gli occhi verde opaco Damien.

"Ariccia! Ariccia veni 'cca!" agita le braccia portandosele ai fianchi come solo un fascista avrebbe saputo fare.
"Stu picciottieddu ci scassò 'a minchia, eh!" passeggia in tondo, i pugni stretti sulla maglietta bluastra da vigilantes tirata sui rotoli di lardo.
Quando Damien gli è a tiro, comincia a ripetergli che se ha gente che deve venirlo a trovare, di avvisarlo, che lui è da vent'anni che fa quel lavoro e non si fida più di nessuno, che i ragazzini sono maleducati, e un sacco di siciliano del volgo basso.
Le solite cose.

I pensieri di Damien si infoltivano di domande a mano a mano che l'omuncolo gli ondeggiava davanti la mano, lamentandosi di questo o quel modo di fare, la presunzione, il suo tornare a casa alle dieci di sera, i suoi problemi d'età, la sua macchina da riparare... nel frattempo Silvia lo stava aiutando a sistemare le varie cose sotto il bancone d'entrata, al solito posto. Un piccolo ripiano a metà mobile, nascosto dietro una parete di legno lavorata, lucente del sole morente fuori il piccolo teatro, era piena di maschere, treppiedi, qualche parrucca, un paio di baffi finti, due o tre cappelli, e altre cose che solitamente era bene avere a portata di mano.
Ad esempio c'erano anche i loro portafogli. O avrebbero dovuto esserci.

"Senti Paul, ma a parte lamentarti perché sei un morto di fame tra i morti di fame, fai qualcos'altro?" la sua voce si alza appena sopra quella dell'uomo, che si interrompe bruscamente. Lo sguardo di stizza che gli rivolge lo convince a spiegare in fretta cosa intende.

"Manca il mio portafoglio qui... ecco, tieni Silvia... manca il mio, solo il mio, hai idea del perché?" le foltissime ciglia del Paolino diventano due piani asimmetrici. Balbetta un paio di volte qualcosa, poi bofonchia qualcos'altro, infine si avvicina al tavolo, tastando e guardando il ripiano.

"Oh, starà qua" glaciale, torna diritto, per poi passeggiare via con indifferenza.
"Qui non ha rubato niente nessuno, qua stavo, mica sono scemo" il tono è vagamente petulante, come quello di una madre che dice al proprio figlio quanto è disordinato. Damien sospira.

"Paolì, si 'na niegghia proprio" sorride. Masticava briciole di siciliano, sebbene ormai fosse ben lontano dal saperlo parlare, e mancava poco avesse difficoltà a capirlo.

Esce dal teatro, salutando Silvia, dispiaciuta al posto suo per il portafogli, dirigendosi lentamente verso il pub dall'altro lato della strada: era senza soldi, senza documenti e per di più senza voglia di vivere. Non era un tipo depresso, o particolarmente triste, eppure capiva che la sua voglia di vivere fosse sotto la media generale di uno o due chili. Se gli altri ne avevano una decina abbondante, lui era sulla cifra singola. Pensava che questo gli permetteva di essere più leggero nel vivere, e nel vedere le cose. Per altri era semplicemente superficiale, o distratto, o sbadato, o semplicemente menefreghista.
Entra silenziosamente nel locale, già dipinto della penombra del tramonto: le sedie sui tavoli, Johnny Walker che passa il mocio a tempo di Peggy Lee, l'Artista al bancone, perso in qualche chiamata. Non andava spessissimo in quel posto, soprattutto perché non andava spessissimo a teatro per poi avere la giornata libera. Se cercava di ricordare quando, come e SE avesse mai parlato a uno dei due abbastanza da essere così in confidenza da chiamarli per i loro soprannomi, si perdeva a ricordare le uscite con la vecchia compagnia teatrale di cui ora erano rimasti lui, Silvia e qualcuno, saltuario, di quelli che un giorno ci sono e quello dopo forse, magari no, probabilmente no.

"Buonasera" l'Artista lo saluta, nonostante il telefono. Il tono era piuttosto amichevole, e Damien si assesta sullo sgabello nero guardandosi distrattamente intorno.
"Quando puoi, un Alexander" mormora. L'altro annuisce, mentre il rumore di un telefono che squilla rimbomba fuori dalla cornetta. La canzone finisce, lasciando il fruscio del giradischi a riempire lo stanzone.

Dieci minuti, zucchero e una girata di vinile dopo, Damien dondola i capelli sopra un bicchiere ripieno di liquido marroncino dall'odore dolce.
"Con questo fanno venti, anche basta direi" l'Artista tornava verso il bancone dopo aver risistemato la noce moscata, mentre Johnny apriva la porta del pub, lasciando riempire La Goccia di luce arancione. La Goccia era tutto ciò che voleva da un locale pomeridiano: nemmeno mezza persona nei paraggi, e il barista che fa credito fino a venti euro ai clienti fissi.
Tocca con le labbra la crema marrone, assottigliando gli occhi e cercando di far passare il tempo nella speranza che il portafogli cadesse da sotto la coppetta di vetro da cui stava bevendo. Se glielo aveva rubato il ragazzino, prima o poi l'avrebbe riavuto, ma se non fosse stato lui? Altri venti minuti, o poco più, lo lasciarono tra Alexander e i suoi pensieri, nel silenzio generale.

"You're sittin' down wonderiiiin' what it's aaaall abooout... you aaain't got no money..." una voce irrompe tra il bicchiere e il suo sguardo, entrambi svuotati e riempiti di luce arancione sul bancone. Damien gira la testa perplesso, incerto sul chi potesse canticchiare con una voce così in falsetto Peggy Lee, e ridacchiare. Il riflesso del sole su un vetro di fronte lo fa tornare con gli occhi sul legno arancio, in un punto vicino a quello dove vede il suo portafogli venire sbattuto da una mano affusolata. Una vena leggermente rialzata divideva in due parti uguali l'arto.
Un ragazzino si siede vicino a lui, ridacchiando e avvicinandogli il portafogli sotto il naso.

"Hai ventotto anni! Sei un vecchio..." finalmente Damien riesce a vedere la faccia del cantante, riconoscendo immediatamente il volto del ragazzino che giornalmente si nascondeva in fondo al teatro per poi scappare via alla fine delle prove e, un paio di volte, a fine spettacolo. Damien si era chiesto più volte cosa ci facesse lì, come entrasse, come uscisse senza farsi vedere dal Paolino, e aveva cominciato a credere vivesse per strada. A volte si era fermato a pensare, ad immaginarlo correre qua o là con pane, frutta o altra roba in mano. Si divertiva a fantasticare delle possibili vite di quella persona con cui non aveva nemmeno interagito se non con la coda dell'occhio, mentre recitava, o sistemava il palco. Quel ragazzino era il figlio di un industriale, era un artista di strada, era scappato di casa da genitori terribili di un'altra città, era un aspirante attore, era uno stalker, era il figlio di una bidella che da giovane recitava, oppure era un aspirante regista, un appassionato di cinema, di teatro, non aveva amici, era pazzo e un'altra ventina, o trentina, di cose.
Damien aggrotta un sopracciglio, accorgendosi solo in quel momento di stare parlando con la stessa persona con cui evitava di parlare per continuare a viaggiare con l'immaginazione. Poteva sentire l'ansia e l'angoscia del finire per conoscerlo davvero e rimanere deluso dipingerglisi in faccia e fargli morire il sorriso spuntato in quei pochi secondi in cui era rimasto a fissare il giovane davanti a lui.

"Scherzavo... figurati se dicevo sul serio" il tono della sua voce colpisce Damien come una foglia secca sulla mano. Lo aveva scosso dai suoi pensieri e, soprattutto, dallo studio puntiglioso del suo volto, delle sue espressioni. I suoi occhi verde lucido sembravano avere l'obbligo morale di farlo stare in silenzio a farsi ammirare, mentre le ciocche lisce, castano scuro, che penzolavano spettinate dalla sua testa, simile a un cespuglio potato ai lati, lo rendevano simile ad almeno quattro o cinque personaggi che Damien si era inventato per lui. Il naso era piatto, fino, e se non fosse che si abbinava con un certo stile alle labbra - la cui parte superiore era leggermente più gonfia di quella inferiore - e alla forma delicata del volto, avrebbe detto che era orribile. Eppure no, non era una bellezza eccessivamente peculiare quella che vedeva in quel ragazzino, quindi forse non era un figlio di industriali, anche se molti ricconi sono brutti... di certo, non era figlio di qualche casata decaduta e, nel remoto caso lo fosse, quello era il figlio sfigato che veniva messo in ombra dai fratelli.

Il vinile si interrompe e Damien si accorge di aver passato tutta la canzone di Peggy a studiare i lineamenti di qualcuno a cui non aveva nemmeno chiesto il nome, e che ora gli stava sventolando davanti una mano.

"Ci sei? Che stai guardando?" gli occhi sottili del ragazzino dondolano davanti a lui, disorientato come se il tempo avesse ripreso a scorrere a sua insaputa dopo una lunga pausa.
Lo squadra, quasi infastidito dall'essersi dovuto interrompere dallo studio maniacale della forma del suo viso.

"Conosci la storia del fantasma giapponese che conta fino a nove?" dice, senza un apparente motivo logico, Damien. L'altro assume un'espressione confusa. "No..." risponde, sospettoso, il ragazzino.

Damien osserva qualche secondo il fondo del suo bicchiere, forse cercando tracce di Alexander, poi si volta, dando il fianco al ragazzo.

"Si dice che c'era questa serva di un samurai, molto fedele, che venne incolpata di aver rubato un piatto della collezione di famiglia, che aveva dieci piatti... la donna, una semplice serva, nonostante la sua fedeltà venne uccisa e buttata in un pozzo... - prende fiato, socchiudendo gli occhi in un punto vuoto - e si dice che lo spirito ancora fedelissimo della donna cominciò ad uscire ogni notte dal pozzo per tormentare il samurai, contando fino a nove per poi urlare straziata" conclude con un profondo sospiro. Sentiva la testa più leggera di quanto avrebbe dovuto essere e sapeva di avere un sorriso insulso sulla faccia, ma non sapeva che fare. Sembrava una paresi facciale più che un sorriso.
Il ragazzino lo osservava in un misto di confusione e divertimento. Lo strusciare del panno di Johnny come rumore di sottofondo a quella situazione surreale.

"E il samurai non fece niente?" un rumore di monete proviene dalla tasca di Damien, mentre l'altro lo continua a guardare ossessivamente.
"Impazzì, e la serva ebbe la sua vendetta" gli posa un mucchietto di centesimi nel palmo della mano - della quale notò l'assenza di vene visibili e le dita affusolate - voltando soltanto la testa. L'espressione del ragazzo diventa definitivamente confusa.

"Perché?" Damien si alza dalla sedia ridacchiando. Si infila le mani in tasca e saluta Johnny con un cenno della mano, cercando con gli occhi l'Artista. Nell'aria parte Landschoot, con La primavera in un tentativo di renderla pop.
"Forse ti servono per tornare a casa, o perché stasera io passo di qua e vuoi prenderti qualcosa da bere per aspettarmi" si incammina verso l'uscita, continuando a cercare nervosamente con lo sguardo l'Artista. Era evidente come quello fosse un modo per mostrare finta indifferenza, e l'essere un attore di teatro era vitale in queste situazioni.

"Ma non ha senso..." risponde l'altro, alzandosi a sua volta. Damien si volta distrattamente verso di lui, notando l'abbozzo di un sorriso in uno degli angoli della bocca.
"Come se avesse senso venire a teatro ogni giorno senza farsi vedere da nessuno" sospira lievemente, alzando un sopracciglio per poi dirigersi nuovamente verso l'uscita osservando la porta, come se dovesse aprirsi da sola al suo passaggio.

"Io sono Alex comunque!" l'eco della voce del ragazzino nel locale fa spuntare l'Artista da dietro il bancone, con in mano diverse bottiglie di superalcolici. Damien ridacchia di nuovo, appoggiando una mano sulla porta a vetri e uscendo.
Alex lo segue senza dire una parola, per poi scappare nella direzione opposta alla sua.

Damien ride. Ride di gusto. Si chiedeva se stessero recitando qualche sceneggiatura banale, o se semplicemente era la situazione ad essere oltremodo assurda.

Ebbe tutti i venti minuti che lo separavano da casa sua per pensare quale delle due possibilità fosse, immaginarsi la serata, immaginarsi vite intere e cose assurde, arrivando al chiedersi se vestirsi bene quella sera oppure fare finta di niente, che non gli interessava.
Chiuse la porta di casa arrivando alla conclusione che, in ogni caso, non avrebbe nascosto per molto la sua insicurezza. Si rassicurò soltanto davanti il pc in accensione, pensando che dopotutto l'interesse era dato dal fatto che voleva vedere se almeno uno dei personaggi che aveva incollato su quel certo Alex esisteva veramente.
Anche perché, in ogni caso, non aveva intenzione di finire ad avere altri motivi per interessarsi.

Sulle prime note della Primavera di Vivaldi capì che dopotutto ci sperava, ce ne fossero.




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Mi piacerebbe molto avere commenti, critiche, opinioni, recensioni... qualunque cosa! su questo primo capitolo... il secondo capitolo è in stesura, non so di preciso quando potrò finirlo, ma vorrei intanto sapere che effetto fa... non vi preoccupate perché accetto critiche, complimenti, "bello", "brutto" e qualunque tipo di commento, vorrei proprio sapere che effetto fa... se avete anche mezzo secondo per scrivermelo, mi farebbe molto piacere! Ciào!

   
 
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