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Autore: Frappa_1D    15/02/2013    1 recensioni
Amanda è un'adolescente di sedici anni. La sua vita è più incasinata di un paio di cuffie per iPod, ma presto tutto avrà un profondo cambiamento. Segreti, mondi paralleli e un amore passionale la renderanno ciò che lei non avrebbe mai pensato di poter essere.
D'altronde 'Questo è solo l'inizio. Il gioco deve ancora iniziare.'
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Indietreggiai lentamente, lo sguardo teso e preoccupato. -Che cosa intendi dire?- Richard si ricompose e fece scivolare entrambe le mani sui fianchi, chiuse le palpebre e poi le riaprì di scatto. Le pupille erano più dilatate e di un colore simile al grigio, un grigio intenso. - I tuoi.. occhi.. sono..- Non riuscivo a parlare e le mie gambe non davano segno di muoversi. Intanto assistevo terrorizzata alla sua “trasformazione”, vedevo Richard chinarsi finchè i muscoli delle sue spalle non diventavano talmente grandi da ridurre la camicia scolastica in brandelli, la colonna vertebrale sembrò uscire fuori dalla carne. Urla di dolore invasero il quartiere.

Mi portai la mano alla bocca come per soffocare le mia urla, di terrore, mentre il respiro irregolare mi invadeva il petto. Cos'era diventato? 

Poco dopo Richard smise di urlare e mettendosi in posizione eretta, lasciò che ciascuna delle sue vertebre producesse uno scricchiolamento. Adesso potevo vedere attentamente il suo volto: estese vene circondavano gli occhi ormai diventati quasi bianchi, la pelle vitrea aveva assorbito il rossore umano delle sue gote e denti affilati simili a canini risplendevano nella sua bocca carnosa. Prima che avessi tempo di reagire mi assalì, facendomi piombare al suolo con un tonfo.
Il cuore iniziò a battere sempre più rapidamente, pareva esplodere, mentre fiotti di lacrime mi rendevano il viso completamente bagnato. - Richard lasciami, lasciami - cercavo di divincolarmi,ma ad ogni mio tentativo sentivo conficcarmi qualcosa nelle braccia. Urlai dal dolore.
Avrei voluto che tutto finisse, avrei desiderato qualsiasi cosa pur di non essere lì in quel preciso istante. L'intero quartiere sembrava disabitato, le luci delle ville erano spente e soltanto un lampione illuminava il viale principale. Cominciai a muvere le gambe, sferzavo calci eppure quella cosa sembrava non staccarsi di dosso.
Sentivo il suo calore sulla mia pelle, il suo respiro affannoso e il dolore sempre più penetrante nelle braccia. Spostai lo sguardo nel punto di massimo bruciore e spalancai gli occhi allibita. Le sue dita erano affondate nei muscoli delle mie spalle, e sentivo continuare a spingere, finchè d'un tratto si fermò. Il sangue iniziò a sgorgare dalle ferite, sempre più rosso e denso.

-E' l'ora della vendetta- e aprì la bocca cacciando una lingua molto più lunga di quella umana, piena di scaglie e di un grigio scuro. Si leccò le labbra e si gettò rapido sul mio collo. La testa iniziò a girarmi, il dolore più intenso, sentivo ogni singola cellula del mio sangue,ogni singolo tessuto dilaniato. Era la fine.

Mi svegliai con il solito suono assordante della mia sveglia. Mi sentivo totalmente inebetita. Poi di colpo aprii gli occhi ricordando quella scena ancora impressa nella mia mente. Mi alzai di scatto e portai la mano al collo: era tutto intatto, non c'erano fori o tessuti dilaniati, poi osservai le mie braccia: niente. “Com'è possibile?” continuavo a ripetermi, sempre più allarmata. Osservai la sveglia: otto e mezza. Mi girai attentamente nella stanza, era la mia camera da letto e mi trovavo a casa.

Mi ricontrollai nuovamente davanti lo specchio prima di dirigermi in corridoio. Scesi di sotto ancora sconvolta. La casa era vuota. In cucina trovai un foglio attacato al frigo, era della mamma.

-Finisci i Cornflakes, e dopo ricordati di comprare l'insalata, stasera cena con papà.- Sorrisi all'idea di rivedere mio padre. E poi scorrendo gli ultimi righi lessi una nota: “P.s. Scusami per ieri, prometto di non rovinarti più la vita.”

Il sorriso sulle labbra era scomparso; ieri la mamma si era completamente resa ridicola davanti a metà dei ragazzi della mia scuola.
“Scuola?” La parola scuola mi fece appogiare i piedi al suolo, erano le otto e mezza dovevo scappare.

Mi voltai pronta ad uscire ma davanti a me comparve Richard. Urlai, prima dallo spavento improvviso, e poi dal ricordo del “sogno” fatto.

Lui rimase immobile, la mano destra appoggiata al bancone con un posa di assoluta rilassatezza e l'altra sul fianco. Appena urlai, vidi in lui comparire un sorriso.

-Buongiorno anche a te Amy-. I suoi occhi erano fissi sul mio “abbigliamento” da notte. Smisi di urlare e mi accorsi che ancora non ero vestita, indossavo soltanto una canottiera e un paio di pantaloncini troppo corti. Mi portai le mani sul corpo, in modo da coprirmi –Cosa? Dov'è il mio pigiama?.. Dov'è il mio pigiama!- sembravo un'isterica, ma subito dopo non aver ricevuto nessuna risposta, mi ricomposi imbarazzata. -E tu cosa ci f-fai qui?- . La mia domanda sembrò apparirgli una questione inspiegabile. -Davvero non ricordi nulla di ieri?- mi guardò incredulo.

Ricordare niente? Ma era uno scherzo vero? Richiard si era soltanto trasformato in un che di inspiegabile, e poi mi aveva solamente aggredita procurandomi ferite che neanche il chirurgo estetico più bravo e conosciuto del mondo avrebbe potuto rinsanare in una sola notte, ecco tutto.

-N-no, cos'è successo ieri?- feci finta di mostrarmi il più sbalordita possibile.

-Bhè d'altronde è normale...- e rimase pensieroso per alcuni istanti. -Amy dovresti andare a scuola, è abbastanza tardi, non credi?- Lo guardai con un'espressione interrogativa e lasciai che lui continuasse – Sono le otto e mezza passate, e tu sei.. bhè.. sei ancora in pigiama- disse lui osservandomi. Provai un certo imbarazzo a posare davanti ad un ragazzo quasi nuda. Corsi di sopra e misi la divisa il più in fretta che potevo e mi precipitai giù; Richard mi aspettava alla fine delle scale con una posa elegante e degna di un aristocratico. Mi fermai ad osservarlo. -Cosa stai aspettando?- il suo sguardo indecifrabile scrutò il mio rapido e sfuggente. Scesi i gradini lentamente uno ad uno, cercando di non mostrarmi troppo impacciata di quanto già non lo fossi. Non avrei voluto incontrare più il suo sguardo, il terribile ricordo della sera precedente, per quanto potesse essere stato soltanto un sogno, mi era parso così vivido da confonderlo con la realtà...

Terminati I gradini gli passai avanti senza neanche voltarmi, con lo sguardo fisso al suolo. Presi lo zaino e uscii. -Amy, hai intenzione di andare a piedi con quello?- Richard mi raggiunse in un attimo e mi indicò il braccio. Un enorme chiazza verdastra che partiva dal collo circondava tutto il braccio. Possibile che non me ne ero accorta?

Lasciai cadere lo zaino troppo concentrata sul quell'estesa macchia. Provai a toccarla e un dolore allucinante mi invase dalla testa ai piedi. Eppure avevo controllato quella mattina. Non c'era nulla, neanche un signolo punto o graffio.. niente!

-C-cosa?- dissi io sempre più allarmata. -Sali in macchina ti spiego tutto strada facendo.- e si diresse verso una macchina sportiva di un bianco lucido parcheggiata più in là, oltre la strada principale. Raccolsi lo zaino, e senza pensarci due volte lo seguii. Non mi importava nulla, di quanto fosse pericoloso, volevo assolutamente sapere qualcosa in più su quello che era accaduto realmente la scorsa notte. Salii a bordo, e chiusi di scatto la portiera. Poi mi girai furiosa verso di lui. Richard mise le chiavi nel quadrante della macchina e si voltò. -Esigo delle risposte!- e scostai i capelli per lasciare intravedere il livido sul collo.

Lui mi scrutava attentamente non soffermandosi soltanto sul collo ma continuando a scendere sino alle scarpe da tennis. -Allora? Mi hai sentito?- lui riportò lo sguardo stanco su di me -Senti Amy, perchè non la pianti e non ti allacci la cintura?- . Piantarla? Con chi credeva di avere a che fare. Non ero la sua bambola o sua sorella che potevo essere sgridata per cose neanche fatte.

-Com..- la macchina partì sgommando e io mi ritrovai ad un pelo di distanza dal vetro del parabrezza. La mano di Richard mi cingeva la vita. Mi girai verso di lui con un misto di spavento e sorpresa. -Te l'avevo detto di allacciare la cintura.- e sorrise non distogliendo lo guardo dalla strada. Mi rimise a sedere e io mi allacciai. Che cosa gli era preso? Era diverso.

Per tutto il tragitto rimasi in silenzio, imbarazzata per tutte le figure pubbliche fatte dall'inizio della mattinata. Lo sguardo fisso sul finestrino. Notai i sedili rivestiti in pelle chiara che affidavano alla macchina un senso di calore e sicurezza. L'auto era troppo costosa per un ragazzo... e poi aveva già la patente?

Mi voltai verso Richard -Hai la patente?-, -Perchè?- lo sguardo attento alla strada.

-Hai la mia età, giusto?-.

Richard si voltò verso di me sorridendo – E chi ti ha mai detto che ho la tua età?- una fitta di paura mi invase. Se non aveva la mia età perchè frequentava la mia stessa classe? Era stato bocciato... o magari non era umano...

-E q-quanti anni hai?- mi accorsi della mia voce tremante. -Ne ho quanti bastano per poter guidare.- e mi sorrise, parcheggiando nel cortile della scuola. Scesi e lo seguii. -E cioè... sedici?- chiesi standogli intorno.

Richard percorse l'intero tragitto fermandosi poco prima della grande scalinata all'entrata dell'edificio. -Muoviti sei in ritardo- mi disse indicandomi l'entrata. -Vorresti dire.. Siamo in ritardo.. non entri?- lo corressi e gli sorrisi nascondendo la mia agitazione. -Non oggi.. tu vai.- Lo guardai sbalordita.

-Ma i tuoi genitori non se ne accorgeranno?-, -Amy, entra e basta, se non vuoi che ti trasporti io.- e mi mostrò un sorriso poco onesto, da cattivo ragazzo. Raccolsi lo zaino ed entrai titubante, voltandomi a guardarlo ogni due passi. Lui era sempre lì, le mani nelle tasche dei suoi jeans Levi's, i capelli spettinati dal vento e lo sguardo sorridente e fiero.

Richard stava diventando sempre più sospetto, e ogni minuto che passava il mio cervello elaborava la teoria che tutto quello che era accaduto la sera precedente non fosse soltanto un sogno.. ma la pura e vera realtà.

Entrai in aula alle dieci passate eppure Miss Tayson non mi mandò in presidenza nè tanto meno fece una delle sue prediche lunghe un'ora, si limitò a dire: 'Entra Amy'. Inizialmente la guardavo con fare sospettoso ma poi subito dopo la ricreazione capii che non aveva nulla da dirmi. Persino Ebby mi parse più silenziosa del solito: oggi non aveva fatto altro che stare in disparte; ogni mio tentativo di iniziare una conversazione veniva stroncata da monosillabi. Che stava succedendo? Avrei voluto urlare al mondo di notarmi, avrei preferito un'ora in detenzione ed essere derisa da metà scuola invece di passare il resto della mia esistenza nell'ombra. La campanella segnò la fine della giornata. Mi alzai e mi diressi fuori. Cos'è che non andava oggi? Ero io o si trattava dei miei compagni?

Fuori vidi Richard aspettarmi vicino la sua auto. Era appoggiato con la schiena alla porta anteriore e mi sorrideva. Che cosa voleva ancora da me? Mi voltai in cerca della persona a cui stesse sorridendo, ma non c'era nessun'altro che ricambiava, stava guardando me. Non avevo la minima intenzione di avvicinarmi a lui e così cercai di evitarlo dirigendomi verso Carter e il suo gruppo. Non mi voltai neanche a vedere se lui si fosse mosso per seguirmi, ma mi limitai a camminare nella direzione opposta. -Amy! - Alzai lo sguardo contenta che finalmente qualcuno volesse parlarmi, ma notai lo sguardo sconvolto di Carter posato sul mio collo.

-Ho preso una bella botta, eh?- cercavo di sdrammatizzare avvicinandomi sempre più, ma la frase sembrò non avere effetto, i suoi amici mi guardavano con espressioni accigliate. -Credo che tu abbia sottovalutato la cosa.- Carter mi parlava così seriamente da incutermi paura. -Perchè? È un semplice livido- e risi nervosamente. -Amy.. - Carter indicava il mio collo indietreggiando sempre più. -Si che succede?- Cercavo di capire se era il caso di scappare o urlare. -Il tuo collo sta.. sta sanguinando!- Carter mi guardava preoccupato mentre notavo la folla di studenti avvicinarsi sempre più in cerchio. Mi portai la mano al collo presa dall'ansia, una sostanza liquida e calda bagnava il collo, la portai tremante dinanzi agli occhi e vidi il sangue macchiarla di un rosso così forte. Un'odore di ferro mi circondò, la camicia un attimo prima bianca era totalmente rossa. Urli si levarono da alcune ragazze vicine. Sentii il dolore crescere sempre più e il sangue pulsare dalla vena del collo. Le gambe mi lasciarono improvvisamente ma delle mani calde corsero a tenermi; Richard era dietro di me, lo sguardo fisso sulla mia ferita. Mi prese in braccio e mi portò sino alla sua auto.
La vista era annebbiata ma la coscienza no. Avrei lottato sino alla morte per restare lucida. Sentii la macchina sgommare via sulla strada. L'ultimo ricordo che ho è l'auto parcheggiata davanti un edificio. Era notte.

  
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