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Autore: LilithJow    16/02/2013    5 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 6
"Fire and ice"


Il ballo della Hills High non era nulla a confronto dei balli dei normali licei. Era pur vero che non avevo esattamente partecipato nemmeno ad uno di quelli, ma avevo assistito alla preparazione, all'organizzazione delle cose, ed erano due mondi totalmente differenti.
Innanzitutto, tutti gli studenti partecipavano. Nessuno prendeva anche solo in considerazione l'idea di stare a casa, che fosse accompagnato o meno. Del resto, l'unica minaccia della scuola era Jason e la sua vittima del momento ero io. Poi, la festa era a tema, un po' come avevo visto in vari film e telefilm, ma mai nella realtà.
In quell'occasione, il tema era il ghiaccio. Sull'invito all'evento – già, c'era l'invito e non un biglietto di carta sottile mal strappato – c'era scritto in grassetto di presentarsi in abiti di color bianco o azzurro chiaro e che le tonalità troppo scure di blu non erano ammesse.
Mi venne quasi da ridere, leggendolo, per svariati motivi. Il primo, ovviamente, per il modo in cui era stata fatta la richiesta. Il secondo era il pensiero di me in abito elegante e chiaro.

Sarei risultato un cucciolo di pinguino: ridicolo e goffo.

«Non è vero, sarai tenero» mi aveva detto Johanna, quando glielo confessai. Ma lei era sempre in vena di complimenti nei miei confronti e ancora dovevo capirne il motivo.

Insomma, di fatto, eravamo molto diversi. Lei era molto più socievole di me, più estroversa; io ero solo un ragazzo goffo che studiava troppo.

I presupposti per una buona relazione non c'erano, ma forse non era giusto basarsi solo su quelli.

«Si può?».

Ero in piedi, davanti allo specchio, tentando in tutti i modi di annodare la cravatta tinta panna in maniera semi-decente, ma senza ottimi risultati, quando mia madre si intrufolò in camera mia.

«Sei praticamente già entrata, mamma» replicai, abbozzando una risata.

«Beh, l'ho chiesto solo per cortesia, in fondo». Rise anche lei e mi raggiunse, fermandosi al mio fianco. Mi guardò subito storto. Evidentemente avevo già fatto danno, cercando solo di vestirmi.

Così mi fece voltare e iniziò ad aggiustarmi la camicia bianca, la giacca azzurro chiaro e la cravatta.

«Allora» disse «come si chiama?».

«Chi?».

«La ragazza che porterai al ballo».

Scossi appena la testa ed esitai più di qualche secondo a rispondere. «Oh, andiamo» continuò lei «Ti conosco. Non hai mai partecipato ad un ballo scolastico, a parte quello dell'ultimo anno delle medie e avevi una ragazza, no?».

«No. L'avevo chiesto ad una ragazza, ma mi ha rifiutato».

«Non ha idea di quello che si è persa». Fece una breve pausa ed annodò in maniera perfetta la cravatta. «E stasera, invece?».

Mi guardai distrattamente allo specchio. Avevo ancora l'aspetto di un pinguino, ma, perlomeno, ero un pinguino elegante e ben vestito.

«Johanna» sussurrai «si chiama Johanna».

«E' un bel nome. Ed è carina?».

«Non ho intenzione di avere una conversazione del genere con te».

«Perché no? Sono tua madre!».

«Appunto per questo».

«Preferisci passare direttamente al discorso sul sesso?».

Strabuzzai gli occhi. «Mamma!». Dalla bocca mi uscì fuori un tono stridulo, raccapricciante.

Lei scoppiò a ridere e passò una mano tra i miei capelli. «Sto scherzando» esclamò. «Divertiti stasera, chiunque sia la ragazza che, tra parentesi, spero mi presenterai. Ah, e mi raccomando, a casa entro mezzanotte».

«Mezzanotte? Sul serio?».

«Massimo mezzanotte e mezza».

«Mamma!».

«Hai pur sempre sedici anni».

Si congedò in quel modo, facendo una smorfia e fui nuovamente solo; ma ero in pratica pronto e non ci misi troppo ad uscire di casa. Presi l'ascensore quella volta. Non volevo rischiare di sudare eccessivamente o, goffo com'ero, di strapparmi il completo che indossavo; completo che, di sicuro, avrei usato solo in quell'occasione per poi vederlo rimanere chiuso perennemente nell'armadio.
Avevo appuntamento con Johanna nell'atrio del nostro palazzo. Io avrei voluto andare a prenderla al suo appartamento, ma alla fine risultò molto più comodo un punto d'incontro comune.Arrivai puntuale e lei era già lì. Sembrava esserlo da parecchio.
Aveva scelto un vestito bianco, opaco, con i risvolti di pizzo, che le lasciava le spalle scoperte. Le scarpe erano della stessa tinta, col tacco, piuttosto alto. Aveva lasciato i capelli sciolti, che le ricadevano lievi e mossi sulla schiena. Johanna si trovava davanti alla portineria, rigirandosi tra le mani la propria giacca nera. Sorrisi appena, mentre mi avvicinavo a lei.
«Stai benissimo» esclamai e la vidi voltarsi. Abbozzò una risata, forse d'imbarazzo e aspettò che la distanza tra noi si riducesse a qualche centimetro. «In realtà, in questo momento sento la mancanza della divisa scolastica» disse, portandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

«Oh, ti sta bene anche quella».

«Credevo di esser sempre io a fare i complimenti».

«Mhm, no. Ne sono capace anche io». Johanna scosse appena la testa. Ero pressapoco sicuro che avrebbe voluto avvicinarsi ulteriormente e baciarmi – la cosa era reciproca – ma non lo fece per via del rossetto rosso che le colorava le labbra.

«Andiamo?» proposi. Lei annuì e basta.

Uscimmo dal palazzo e ad aspettarci c'era Tom, appoggiato alla Mercedes blu scuro. Ci fece un cenno col capo, in segno di saluto e – come sempre – nulla più. Fu lui a invitarci a salire in auto: un vero e proprio trattamento di lusso che non mi dispiaceva, proprio per niente.
Johanna mi sorrise e mi tenne la mano per tutto il tempo. Mentre ci inoltravamo per le strade trafficate di Chicago, lei poggiò la testa sulla mia spalla e socchiuse gli occhi. Mi pareva incredibile che fosse la stessa ragazza in grado di tener testa ad un bullo o di fare pazzie a scuola. In quel momento sembrava tutt'altro che temeraria, manifestava un atteggiamento esile, docile ed indifeso.
 

***


Arrivammo all'Istituto dopo mezz'ora circa.

Il ballo era addirittura più bello di come era stato descritto. Gli addobbi e i festoni azzurri e bianchi erano presenti già dal viale che conduceva al grosso portone d'entrata, lasciato aperto per l'occasione. Il percorso era segnato da tante candele, l'unica illuminazione presente, che rendeva l'ambiente soffuso e, a tratti, magico.
Dentro, nel grande salone – perché lì non si usava la palestra per il ballo – le cose erano ancora meglio. Sulla pista liscia di legno, si ergeva un gigantesco lampadario di cristallo, che sprigionava una luce intensa, la quale faceva brillare i festoni argentati e bianchi che decoravano le pareti e si rincorrevano da una parete all'altra della stanza.
Il banchetto, non composto da punch corretto e salatini bruciati, ma da antipasti, primi e secondi, caldi e freddi, era allestito su un lungo tavolo ricoperto da una tovaglia bianca, dove era appoggiata la statua di un cigno, intagliato nel ghiaccio.
Più che un ballo scolastico, sembrava essere un evento di beneficenza per ricche famiglie.

«Ti piace?» chiese Johanna, mentre io ero ancora assorto nell'osservare ogni minimo dettaglio di quel posto, fermo sulla soglia della porta d'ingresso. «E'... Stupendo» dissi, distrattamente.

«E quest'anno si sono trattenuti. L'anno scorso il tema era il cinema. C'erano maxi schermi ovunque».

«Avrei voluto esserci».

«Già. Anch'io avrei voluto che tu ci fossi».

«Ma sono qui ora».

«Lo so». Fece una breve pausa e si tolse la giacca, affidandola a uno dei ragazzi dello staff – almeno così riportava la scritta sulla loro maglietta nera.

«Balliamo?» propose, tirandomi appena per un braccio.

«Uhm» tentennai. «In realtà sono piuttosto un pezzo di legno».

«Non ti credo».

«Oh, dovresti».

«Questa è una canzone lenta. Devi solo...». Mi condusse al centro della pista. Prese le mie mani e le poggiò sui propri fianchi, mentre le sue braccia circondarono il mio collo. «Devi solo stringermi e dondolare da una parte all'altra» sussurrò.
Sorrisi appena, più che altro preoccupato di ciò che gli altri avrebbero potuto pensare vedendomi intraprendere quei movimenti così impacciati. Ben presto, tuttavia, la preoccupazione svanì, come se entrambi fossimo stati circondati da una spessa barriera di vetro.

Solo noi e la musica.

Riuscii ad escludere tutte le coppie che si formarono sulla pista da ballo, lì attorno.

Johanna appoggiò la testa sul mio petto e io la strinsi a me, affondando il viso tra i suoi capelli.

Niente di complicato, proprio come lei aveva detto. Bastò spostare il peso del corpo da un piede all'altro, oscillare appena e chiudere gli occhi.

Il suo profumo alla vaniglia mi inebriò.

Stavo dannatamente bene, ma non era quella felicità euforica derivante dalla casa nuova e dalle cose materiali. No, era qualcosa di diverso, qualcosa che, in realtà, non avevo mai avuto, nemmeno con Tiffany.
Niente brutti pensieri, niente eccessive analisi sulle persone che mi stavano attorno, niente problemi inesistenti e soluzioni alquanto vaghe. Niente, nulla di nulla. Quel benessere raggiunse il picco quando Johanna sollevò il capo e poggiò le labbra sulle mie. Ormai ero abituato ai suoi baci spontanei e dolci, o meglio, avrei dovuto esserlo; solo che, quella volta, proprio come era accaduto in piscina, quando mi staccai, mi mancò il fiato. La cosa strana era che non c'era stata foga in quel momento, ma non diedi molto peso a quel particolare. Del resto, il mio cuore stava battendo all'impazzata: la mancanza di respiro avrebbe potuto essere dovuta a ciò.

La canzone finì in quell'istante. Le punte dei nostri nasi si sfioravano ancora e i nostri occhi sorridevano, incastonati gli uni negli altri.
Johanna mi prese per mano e ci avvicinammo al buffet, recuperando due bicchieri di quella che molto probabilmente era aranciata – aveva quell'aspetto.

«Visto?» esclamò lei. «Hai ballato e non sei affatto un pezzo di legno».

«Oh, questo perché c'eri tu a guidarmi».

«Andiamo, non...».

La sua frase venne interrotta, stroncata a metà.
Le ero finito letteralmente addosso ed entrambi rischiammo di cadere. Mi appoggiai a lei, per non capitombolare sul pavimento e barcollai per tornare ad avere un equilibrio stabile. Non appena lo feci, mi ritrovai davanti la faccia strafottente di Jason, con un mezzo sorriso ironico e divertito in volto. Dietro di lui, con le mani nelle tasche, stavano Carl e Jerry.

«Clarke! Non mi aspettavo di trovarti qui stasera» esclamò Jason.

Sbuffai. Quella sua spinta aveva fatto finire l'aranciata sopra al mio completo, sulla camicia e sui pantaloni.

«Dio, Jason!» disse Johanna, prima che potessi proferire parola. «Devi essere così idiota anche quando non si tratta di voti?».

Lui rise, sarcastico. «Che succede, Clarke? Non sai nemmeno rispondere da solo? Hai bisogno di una ragazzina che prenda le tue parti?».

«Smettila» fu sempre Johanna a ribattere e io, sinceramente, non seppi cosa fare. Non volevo causare problemi, non in una serata come quella.

«Oh, e perché?» continuò Mr. Boyd, incrociando le braccia sul petto. «Volevo solo fare due chiacchiere con Simon».

«Bel modo di iniziare una conversazione».

Strizzai gli occhi. Avevo imparato una lezione da quando ero stato chiuso nello sgabuzzino e preso a botte: era meglio lasciar perdere ogni cosa riguardante Jason Boyd, subito, all'istante. Per quanto Johanna fosse forte caratterialmente, tanto da tenergli testa, avevo paura che qualche sua parola lo facesse scattare ed ero pressapoco sicuro che Jason non si sarebbe fatto fermare dal suo bel faccino.
Pensai alla sua incolumità, ovviamente, prima della mia. «Lascia stare» sussurrai, in maniera a malapena percettibile.
Jason rise di nuovo e i suoi scagnozzi – mai nome fu più appropriato – fecero lo stesso. Johanna sbuffò e strinse la mia mano, che nel frattempo era scivolata ad afferrare la sua.

Ci allontanammo dalla sala da ballo con passo svelto, lasciando quei tre alle loro risate prive di senso. Mi lasciai trascinare da Johanna per i corridoi della scuola. Avevo imparato a riconoscerli, più o meno, tanto che seppi quasi subito dove mi stava conducendo.
Ci ritrovammo nel bagno dei ragazzi, poco dopo. Solo allora, lei mi lasciò la mano, esclusivamente per recuperare della carta, di solito usata per asciugarsi le mani. Aprì uno dei rubinetti e lasciò scorrere l'acqua. Mi avvicinai lento a lei, che si affannò fin da subito per cercare di ripulire il disastro apparso sulla mia camicia.

«Jason è un'idiota» esclamò, non accennando a porre fine a quella nuova occupazione. Io la lasciai fare.

«Già, ne so qualcosa» sussurrai, in risposta.

«Dico sul serio. Cosa... Cosa gli costa lasciare in pace la gente almeno per una sera? Siamo ad un ballo, non c'è nessuna competizione qui».

«Mhm, forse il mio vestito era meglio del suo».

Lei scoppiò a ridere a quella mia affermazione e lo feci anche io. Non seppi nemmeno perché quelle parole mi fossero uscite di bocca. Probabilmente, per alleggerire la situazione, per la voglia di non rovinare per forza quella serata che era iniziata così bene.

«Su questo non c'è dubbio» commentò. Scosse appena la testa e sollevò lo sguardo, su di me, che non avevo smesso di osservare i tratti del suo viso. «E' finita la carta» disse. «Vado a prenderne un po' nell'altro bagno. Dobbiamo lavare subito la macchia, per non lasciare il segno».

«D'accordo».

«Aspettami qui, torno subito».

Si congedò in quel modo e io mi ritrovai solo in quella stanza che pareva tremendamente piccola, considerando quella del ballo. Sospirai e recuperai gli ultimi brandelli di carta asciutta, per cercare di rimuovere l'aranciata dalla camicia, ottenendo ben pochi risultati.
Molto probabilmente, ciò che indossavo sarebbe finito dritto nella spazzatura in tempi brevi, il che mi dispiaceva parecchio, dato che avevo comprato ogni cosa con miei soldi, messi da parte da mesi, solo per non disturbare troppo mia madre.

Stavo ancora tentando di porre rimedio a quel disastro, quando il silenzio in cui l'ambiente era avvolto venne bruscamente interrotto. Udii un urlo, di una ragazza: forte, chiaro, nitido.

“Johanna” pensai, d'istinto.

Mi precipitai subito, allora, fuori dal bagno.

Il corridoio non era più vuoto.

No: tutti gli studenti della Hills High si erano ammassati lì, correvano verso l'uscita dell'Istituto, e urlavano, mentre qualcuno piangeva.
Era il caos totale. Alle grida, si aggiunse anche l'allarme antincendio, attivato forse distrattamente dalla folla o forse di proposito da qualche insegnante supervisore.
In situazioni normali, sarei corso via anche io. Avrei seguito la massa, verso un luogo più tranquillo, più sicuro, ma, recentemente, avevo smesso di pensare solo a me.

Andai controcorrente. Tutti cercavano di allontanarsi il più possibile dalla sala del ballo, io cercavo di avvicinarmi. Non che fossi sicuro che Johanna si trovasse lì, dato che mi aveva esplicitamente detto che sarebbe andata nell'altro bagno, adiacente a quello in cui ero io; ma qualcosa, dentro di me, mi spinse a credere che lei fosse rimasta indietro, forse proprio a causa di quell'ammasso informe di gente.

«Jo!» chiamai. «JO!».

Non ottenni risposta. Come potevo?

Continuai a sbracciarmi, per farmi largo tra tutte quelle persone e, alla fine, ci riuscii.

Raggiunsi la sala del ballo, ma Johanna non era lì.

Non c'era più nessuno lì, a parte Jason, steso a terra, in un angolo remoto di quel gigantesco posto, immerso in una pozza rossa.

  
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