“ Sono la piaga e il coltello!
Sono lo schiaffo e la guancia!
Sono le membra e la ruota,
vittima e carnefice!
Del mio cuore sono il vampiro
- uno dei grandi abbandonati
condannati all’eterno riso,
e che non possono più sorridere.”
( C. Baudelaire)
Erano pronti.
Il Sole invecchiava con la sua buccia acida e impaziente . I nembi verrucosi s’ inturgidivano sotto il volo della Sera.
Erano pronti.
Il Bagmati* tremava con riverberi d’argilla cadaverica.
La città di Katmandu* stava murata, oltre le sponde del fiume, in un silenzio d’arenaria e pietre rossastre.
Erano pronti.
Il corpo del colonnello Rhama Parwatj attendeva d’essere cremato. Sacerdoti, parenti e amici lo attorniavano lamentando litanie funebri.
Lei non era pronta.
Lei non voleva finire sulla pira del despota che l’aveva torturata.
Aditi, la seconda moglie del defunto, piangeva ghiacciata di buio. Aveva la lunga chioma nera, sfumata di grigio, raccolta in una treccia. Vestiva con un sari bianco: il pallore mortifero del lutto. Mentre i figliastri minori la tenevano imprigionata per le braccia, il primogenito preparava una torcia .
Una vedova era come cenere sul pavimento. Bisognava spazzarla via. L’ultima dignità che ella doveva mostrare era un atto di virtù e devozione gettandosi nel rogo del marito.
Due magri ragazzini sudavano mano nella mano: il più piccolo, dai corti capelli corvini, aveva undici anni, la più grande era quindicenne .
Neppure loro erano pronti.
Suikyo e Kaia desideravano riprendersi la madre, rompere il rito del sati , evadere .
- Sorella… come facciamo?
La fanciulla osservò i fratellastri sibilare minacce alla condannata.
Aggrottò le sopracciglia impaurita ma straordinariamente determinata. Non era bellissima: aveva la fronte molto ampia, il naso un po’ tondo e il mento piccolo. I suoi occhi viola erano, però, così fioriti, i suoi ricci capelli, così ventosi, che pareva la più nobile delle principesse.
- Dobbiamo correre – disse con fermezza.
Il fratello mandò giù la poca saliva che gli restava.
- Ci butteremo addosso a loro?
- Sì…porteremo via la mamma!
Il bambino annuì.
Dovevano tentare. Avrebbero liberato Aditi e sarebbero fuggiti per sempre, solo loro tre.
Non potevano accettare quel furto folle , quella turpe condanna.
- Presto, Suikyo!- esclamò Kaia.
Sferzando la folla delle persone, si scagliarono contro i fratellastri.
Dovevano tentare. Non potevano accettare quel furto folle, quella turpe condanna.
- Andatevene , pidocchi! – sbraitò il secondogenito di Rhama.
Suikyo lo strattonò, tentando di slacciare la madre, ma ricevette un violento colpo in testa.
Kaia fece altrettanto con il terzo subendosi una bastonata sulla spalla.
Dovevano tentare. Non potevano accettare quel furto folle , quella turpe condanna.
Neanche fosse una caccia alle tigri del Bengala, alcuni uomini, che partecipavano al funerale, si unirono a malmenare i due fratelli.
Aditi, disperata, cercò di raccogliere i suoi bambini ma il figliastro maggiore l’arpionò selvaggiamente per la chioma e la gettò sulla salma del coniuge.
Completando il capolavoro di bestialità, accese la pira.
Immerso nella sozza giostra di calci e pugni, Suikyo udì le urla della donna : cristalli gramolanti e assassinati.
Il sangue morto di Kaia macchiò la terra scabra. Le membra esili e minute dell'adolescente furono rotte pari ad infimo vasellame di terracotta.
I ragazzini vennero disintegrati.
Avevano tentato. Non avrebbero mai potuto accettare quel furto folle, quella turpe condanna.
Avevano tentato.
Ad attenderli solo la Fine. Una delle tante scellerate e insensate fini.
Suikyo annegò nel nero senza ritorno.
Scorsero minuti. Ore.
Battiti d’acqua.
Delta d’annegamento.
Suoni grevi e ventrali.
“ Mamma…”
Gli abissi lo stavano magnetizzando verso il polo dell'Eternità.
Il bambino scorse , su di lui, il coperchio del Bagmati sgualcito, rammollito, impietoso.
“ Kaia …”
Il sangue gli fuoriusciva dalle ferite. Quelle scie, di languore solferino, sembravano bisce che sbiadivano nella palude del nulla.
“ Mamma…Kaia… ”
Il sommerso continuava a stordirsi tra i palpiti di quei cuori: la madre…la sorella. Non capiva che il gong della Fine aveva scandito percussioni ineluttabili. Le vibrazioni della Morte echeggiavano tra gli spalti svuotati di speranza.
La discesa si snocciolava sempre più melmosa…Rotolava giù come un gomitolo di lana infeltrito…
In fondo…in fondo…in uno spugnoso intestino …
C’erano il Silenzio che gracchiava e il Vuoto che ballava.
Giù…Giù…Giù…
“ Suikyo…”
Cosa fu quel mormorio che arpeggiò nel baratro?
“ Suikyo…”
Una voce maschile : dolce, dorata ma per nulla paterna o rassicurante.
“ Suikyo…”
Un altro sussurrio serpeggiò. Anch’esso sembrava di un uomo.
Era dotato dell'affusolata minacciosità d’una selce.
“ Suikyo…”
Algido, perentorio, metallico.
“ Suikyo…Suikyo…Suikyo…”
Le voci presero a cantilenare all’unisono, simili ad una coppia di avvoltoi che svolazza attorno ad una carcassa.
Il Vuoto parve concludersi all’improvviso.
Il bambino atterrò, con terrifica delicatezza, su una base solida.
Respirò immobile e confuso per alcuni istanti…
Si mise poi a sedere lentamente: era sopra un enorme pavimento di porfido rosso.
Si guardò attorno: regnavano pareti fumose e scure, coltri di cenere assonnata e ringhiante…
Emersero , da quella nebbia , due figuri altissimi che parevano umani.
Il ragazzino si alzò intimorito vedendo che si avvicinarono...
Indossavano delle strane ed elaborate corazze. Rilucevano d’ una bellezza notturna,invernale: manifestavano un connubio tra armonia angelica e demoniaca ieraticità.
Si fermarono.
Erano gemelli.
Il primo portava lunghi capelli aurati, il secondo argentati. Nessuno di essi possedeva iridi punteggiati da pupille: i loro occhi somigliavano a dischi di ceramica vetrosa. Erano talmente luminosi che Suikyo non capì che tonalità avessero.
- V-voi…- balbettò – c-chi siete?
Il biondo gli sorrise morbido e fosco:
- Siamo Hypnos e Thanatos, gli dei del Sonno e della Morte.
- Rappresentiamo le fedeli lame di Ade – soggiunse il fratello- le braccia del Re degli Inferi.
Suikyo distinse il colore dei due sguardi divini: Hypnos aveva un’ espressione aurea coagulata in un gelido calore , Thanatos ostentava due crudeli specchi di lapide grigia.
Quei visi erano d’una perfezione levigata e lugubre.
Il ragazzino rabbrividì con ogni muscolo ed osso del proprio corpo.
Non sapeva se dovesse piangere o gridare.
Non sapeva come pensare.
Non sapeva dove sprofondare.
- Tranquillizzati – gli disse Hypnos tenero e tenebroso – siamo giunti da te per aiutarti. Il nostro sovrano non desidera per niente al mondo vederti in questo stato.
- Ti permetteremo di ricominciare – affermò Thanatos.
Il piccolo avvertì il cuore sollevarsi di irragionevole gioia.
Osò domandare:
- Riporterete mia mamma e mia sorella?
I gemelli inarcarono le sopracciglia.
- Ci…farete…- proseguì il bambino – restare assieme…in un posto sicuro… Per…tutta la vita?
Le due divinità si guardarono.
Lasciarono trascorrere qualche secondo.
Emisero, infine, una risata melodiosa, calpestante e perfida.
Il fanciullo si sentì strangolare. Abbassò gli occhi tagliato dall’imbarazzo e dal terrore.
Le lacrime s’impadronirono di lui.
- Ragazzetto – sogghignò la Morte – in che modo possiamo farti ricominciare se ci chiedi queste assurdità?
- È vero – comprovò il Sonno – tu dovrai diventare potente…glorioso.
- Dovrai rinascere.
Gli dei sollevarono la mano destra.
- Proverai un po’ di dolore – rivelò Hypnos – ma è assolutamente necessario affinché tu possa risplendere.
- Nulla del tuo passato ti dovrà seguire in futuro.
Le braccia delle divinità si protesero in avanti. Emisero dei gorghi risucchianti.
La vittima urlò di dolore.
Fu una rondinella che venne sviscerata.
Le terre del Nepal , il Bagmati immenso, i vili ricordi del padre e dei fratellastri, i giochi che riusciva a pescare in piccole pozze di serenità…
Un tornado di fuochi sanguigni fuoriuscì dal suo animo. Fu una vivisezione eseguita con bisturi e forbici arroventati.
Gli ultimi frammenti che rimasero a galleggiare nell’aria furono due scritte.
Aditi e Kaia.
Sgonfi sciami di lucciole terrorizzate e inebetite.
- Questi nomi non ti serviranno più.
Hypnos e Thanatos distrussero, con raggi viola, i preziosi ideogrammi.
Suikyo crollò a terra eguale ad un fantoccio carbonizzato e inutile.
I suoi occhi viola si offuscarono…
Qualche petalo di pianto gli colava anemico dalle ciglia.
- Smetterai d’essere Suikyo – enunciò il Sonno- il fango mortale non dovrà contaminare la tua nuova essenza celeste. Per il Sommo Ade ti effigiamo del nome di Eaco.
- Per la gloria infinita del Tramonto Eterno - pronunciò grave Thanatos – sarai uno dei tre supremi generali dell'armata infernale.
Il ragazzino, stordito e squarciato , riuscì a focalizzare una gigantesca sagoma che iniziò a materializzarsi.
Dietro i due gemelli, comparve un uccello di fiamme nere, viola, blu…Sembrava un’aquila mostruosa…
- O potente Garuda – esclamarono assieme Hypnos e Thanatos – che i tuoi astri guidino e fortifichino questo Guardiano! Che le tue ali d’oceano gli facciano toccare le sommità della Notte!
Il titanico rapace si lanciò verso il suo custode.
Spalancando il becco abissale, lo divorò in una sfera di fulmini e uragani.
______ § ______
Nessuna zolla di terra, nessun insetto, nessun sasso aveva l’ audacia di soffiare la propria presenza.
Nessun filo di Sole ardiva stormire tra le fronde.
Nessuna corteccia tentava di scricchiolare stanchezza. Abeti, querce, pioppi erano infedeli che attendevano il verdetto di giudici inquisitori.
Ogni elemento della natura era ammutolito, infreddolito, ammattito di terrore.
Su un angusto piazzale della Foresta Nera, una dozzina di specter semplici tremava dall’orrore. Stava per assistere ad una condanna.
Due compagni erano stati imbavagliati ed appesi ad un robusto ramo di pino a testa in giù. Lacrimavano grida di suppliche soppresse.
Solo un guerriero non piangeva: un uomo che aveva superato la ventina d’anni.
Riluceva diabolico e ferreo in tutta la sua altezza. Possedeva un corpo atletico e slanciato avvolto da una cotta metallica e da pantaloni neri. Portava i capelli corvini e folti oltre le spalle. Il suo viso palesava una beltà fresca, sensuale e sinistra: gli occhi viola erano umidi d’ orgoglio e sadismo; le labbra eleganti disegnavano un leggero e fendente sorriso.
Nonostante non indossasse l’armatura da guerra, Eaco di Garuda si mostrava il più sfavillante dei demoni.
- Signori, immagino sappiate il nostro dovere . Fra tre mesi l’anno si concluderà. Ad attenderci ci sarà il mille settecento quarantatre. Conoscete la profezia, giusto ?
Quel tono pacato e mellifluo era più terribile d’un urlo di fiera.
- Ade, il Signore a cui dedichiamo l’esistenza, si risveglierà nel corpo di un giovane, sua reincarnazione. Lady Pandora lo condurrà al Castello Heinshtein per far sì che la Guerra Sacra inizi. Dovremo distruggere le infami schiere dei soldati di Atena.
Gli specter annuirono in silenzio.
- Vi sto addestrando per compiere questa grande missione. Vi sto consentendo di raggiungere le vostre potenzialità estreme. E’ vietato commettere sciocchezze ed errori.
Il giovane avanzò verso il grande albero dei condannati.
Le milizie sentirono gli stomaci spremersi.
- Uomini…vi pare sensato che io, che mi sto dedicando assiduamente a voi, venga ripagato in questo modo?
Eaco si collocò tra i due soldati che penzolavano.
- Ditemi, vi pare onorevole disertare e fuggire?
Silenzio.
Sudore.
Occhi chiusi.
- E’ degno assumere una tale condotta verso Ade che ci ha donato una nuova vita?!
Garuda abbrancò il primo disgraziato per la faccia.
Il palmo e le dita della sua mano emisero fiammelle indaco. All’inizio parvero piccole ma immediatamente s’ingigantirono.
I lineamenti e il cranio del soldato si sformarono come cera gelatinosa. La carne viscosa del cervello si carbonizzò velocemente. Il fuoco mangiò pelle, muscoli ed ossa. Il sangue non ebbe tempo di versarsi poiché sfrigolò in vapore.
Si disperse , nell’aria, un tanfo nauseabondo.
Dell'uomo non restò che una carogna priva di testa.
Il collo consunto fumava come un tizzone di legno.
- Vedete, miei cari? – riprese tranquillamente il Generale – non posso tollerare queste ignominie.
Si affiancò al secondo sciagurato.
Librò il braccio destro in alto.
Con un colpo rapidissimo, gli mozzò in due il corpo.
Il busto cascò a terra. Le gambe restarono appese macabre e grottesche.
Dai lembi sfilettati delle anche piovve linfa vermiglia. Sembravano pezzi di vitello infilzati agli uncini di una macelleria.
- Mi auguro che questi due abbiano capito il loro sbaglio…Non appena torneranno in vita dovrò accertarmene ulteriormente. La prudenza non è mai troppa.
I soldati compresero quelle parole: in quanto spettri possedevano la facoltà di resuscitare ogni volta che morivano.
Uno dei più terrorizzanti martiri era, tuttavia, perire di violenza e risorgere per sottostare ad altre atrocità.
Eaco giustiziava i ribelli in quel modo: li uccideva e , una volta che ricomparivano dagli inferi, testava la loro lealtà schiacciandoli con novelle sevizie.
- Avanti – ordinò – togliete queste schifezze. Mi fanno vomitare i cadaveri degli smidollati.
I subordinati ubbidirono in fretta mentre tra i fusti arborei aleggiava il fonema scorticato dello scempio.
Un sibilo improvviso.
Un dardeggio frantumò la teca di paura che rinchiudeva la vegetazione.
Il suolo sussultò.
Garuda captò una presenza che correva verso di lui: erano le risonanze massicce d’uno spirito che conosceva molto bene.
Sorrise.
Quei balzi, che incedevano sempre più forti, somigliavano alla musica d’una falange oplita o a tamburi dionisiaci.
Non vi erano dubbi. Soltanto uno specter percuoteva in quella maniera il vento e la sabbia.
Una creatura senza eguali.
L’ animale che venne plasmato per primo dalle divinità.
Behemoth. L’indomabile rinoceronte dal corno di metallo.
Violate, l’ incarnazione di quella grande energia, fracassò le frasche degli alberi.
Con un salto mortale piombò davanti al Generale.
S’inchinò con profonda deferenza.
- Eterna potenza a voi, Signore.
- Violate….lietissimo di rivederti. Che informazioni mi porti dal lago Titisee*?
- La costruzione del vostro vascello di guerra prosegue efficientemente. I lavori potrebbero terminare con un mese di anticipo.
- Magnifico! Riusciranno a completare il tutto prima di dicembre?
- Così mi hanno riferito al cantiere.
- Finalmente qualche buona notizia! Ero stufo di deprimermi alla vista dell'inettitudine dei miei soldati. Che mi dici delle tue milizie?
- Non è semplice gestire degli incapaci. Sto eliminando i rifiuti inutili e ingombranti. Nessuna falla vi deve essere nelle prime linee.
- Ho totale fiducia in te, sergente . Sono sicuro che svolgerai alla perfezione il tuo compito.
La giovane gli sorrise con cupa e franca complicità.
Eaco la stimava oltre qualunque confine.
Sarebbe stata il suo asso nella manica. Il suo balista più saettante e massacrante.
Era l’unica donna dell'Armata Infernale ma possedeva una forza in grado di superare quella di un uomo. Sradicava gli alberi più grossi, frantumava le rocce, provocava sismi letali.
I soldati la temevano come il Giorno del Giudizio. Addestrava i sottoposti sull’elevate e gelide montagne meridionali che cingevano la Foresta Nera. Era intransigente e distruttiva. Se un militare falliva lo imprigionava tra le anime dannate del Settimo girone degli Inferi. Tale era la pena.
Molti si chiedevano se davvero fosse una ragazza. Nessuno la vedeva mai senza armatura.
- Violate – domandò Eaco – quando rientrerai a Castello Heinshtein?
- Fra tre giorni.
- Molto bene. Potremo proseguire col tuo addestramento speciale. Sei ancora decisa a diventare tenente?
- Assolutamente.
Il giovane rise malizioso.
Girò attorno all’amazzone.
Era un’autentica meraviglia. Il viso aveva finezza floreale e durezza di gemma. Gli occhi gocciolavano riflessi purpurei. Il naso era sottile e liscio. Le labbra luccicavano d’un rosa aspro e invitante. I capelli lunghissimi si vellutavano di una tonalità bruno violaceo.
- La seconda fase di questo allenamento sarà molto più dura – avvertì Garuda accostandosi di più alla guerriera - potresti guastare il tuo vigore e…la tua bellezza.
Le accarezzò il volto.
La ragazza si disarmò: rabbrividì arrossendo.
Il suo sguardo s’inciampò per poi rialzarsi.
- Andrò avanti, Generale - assicurò riprendendo stabilità – niente mi farà arretrare.
- Sei uno specter eccezionale. Spero continuerai a stupirmi.
- La mia lealtà e il mio sangue vi appartengono.
- Non ho dubbi.
Eaco osservò Behemoth. L’esercito la conosceva come dominatrice selvaggia. La coriacea armatura le rendeva minacciosa l’elevata statura. Dall’esterno non trapelavano leggiadria o morbidezza femminile.
Egli , però, la conosceva da quando aveva undici anni.
L’aveva vista piccola. Vagante. Imprigionata.
- Generale? – chiese lei con timida serietà.
Il giovane vide quell’espressione. Disciolta, dolce, franabile.
- Cosa c’è , Violate?
Restò silenziosa.
Lo fissò tentando di irrigidire la propria mollezza, illudendosi di non venir sorpresa.
- Io…- soffiò – io…
Il Generale era in grado di descrivere tutte le striature di quello sguardo: un universo in cui s’accumulavano materia, vapore, insolite luci.
In lei non alloggiavano solo alture, ma un sacco di vallate, depressioni.
Venne messa in soggezione dall’espressione laminata del suo interlocutore.
- Io – riprese con rigore - volevo chiedervi dove si svolgeranno i miei addestramenti.
- Andremo sia lungo le rive del Danubio, sia sul monte Feldberg* .
A quella risposta secca, la ragazza annuì rapidamente con la testa.
Tentò di nuovo di riprendere equilibrio.
Eaco sapeva che desiderava rivelargli qualcos’altro.
Ella però continuava a serrarsi ed altalenare.
Cadde il drappo di una tentennante quiete.
Le foglie degli alberi si sfregarono contro una ciocca di vento.
Uno stormo di corvi spruzzò via da un vecchio faggio.
- Desideri dirmi qualcos’altro ? – fece Garuda interrompendo il silenzio.
Violate , destandosi da quel breve letargo, accennò un sorriso:
- No. Proprio nulla.
Non era vero. Non era tagliata per fare la commediante.
Vi erano troppe cose di cui parlare e troppe cose da temere.
- Bene. Ci rivedremo, allora, al castello. A presto, sergente.
- Generale.
Con saluto marziale, Behemoth si ricoprì di durezza e sparì tra le zampe della foresta.
Eaco era cosciente che quella era solo una fetta d’anima.
Aveva avuto modo di vedere le onde di Violate.
L’Inferno si era rivelato un nefasto palcoscenico.
Tutti e due l’avevano saggiato.
Per conquistare le loro surplici erano stati costretti a vivere per tre anni nella notte sconfinata dell'Ade . Era quello il debito da pagare per il dono offerto dalle stelle malefiche. Se si voleva divenire oscurità e ripudiare un passato di fragilità, bisognava affrontare le mascelle della morte.
Una volta cancellati il luogo natale, i legami remoti, i mattoni di casa, non restavano che i supplizi ultraterreni.
Eaco e Violate si erano ritrovati fianco a fianco come esili statue senza autore o come manoscritti anonimi. Si erano ritrovati fianco a fianco con due animali da padroneggiare: Garuda e Behemot. Percorrendo lo Stige e contemplando gli orrori dei gironi infernali, avevano appreso l’arte della violenza e il sapore di sentirsi , finalmente, d’acciaio.
Così erano sbocciati e avevano proseguito il loro viaggio.
Sarebbero potuti restare soltanto leali alleati di battaglia ma si era instaurato da tempo qualcosa di più complesso.
Eaco l’aveva captato dagli iridi di Violate: ombre che lo seguivano silenti, devote e furtive.
_____ § _____
Quella notte Garuda si destò di soprassalto.
Le alte pareti della sua stanza gli vorticarono negli occhi e nel cervello.
Le palpitazioni del cuore gli schizzarono nelle tempie e nei timpani scaldati.
Cercò di placarsi, inspirando ed espirando…
Il sangue tornò a fluire regolarmente…Le mura , tappezzate di decorazioni orientaleggianti, cessarono d’ondeggiare…
Tutto approdò ad un solido porto.
Non era la prima volta che il ragazzo faceva quel sogno.
Si ritrovava, nel corpo di un bambino, a giocare in un giardino soleggiato. Vi era una ragazzina, un po’ più grande, che si divertiva assieme a lui. Lo prendeva per mano, lo coccolava, scherzava…Giungeva, infine, una donna che diceva che dovevano preparare le loro cose e partire. Sarebbero andati in una bella città. Sarebbero stati davvero contenti.
Quella magia si concludeva con un viaggio in barca su un fiume luminoso e sui raggi azzurri, verdi e gialli di una strana aurora.
Ogni volta che Eaco si svegliava sentiva disgusto per quelle sensazioni oniriche.
Cos’era quella felicità orribile, corrodente e piangente?
Chi erano quella bambina e quella donna? Perché avevano i visi totalmente sfocati? Perché pareva che un iconoclasta avesse sfregiato i loro lineamenti?
Inquietato si levò dal letto e accese una candela su un mobiletto vicino.
Si guardò le mani. Per fortuna non erano quelle piccole e paffute di un bimbo.
Erano grandi, un po’ lunghe, vigorose. Malgrado splendessero di giovinezza, erano calcificate da un’ invisibile vecchiezza: il logoramento di chi era avvezzo a corrompersi di sangue.
Innervosito, il giovane spense il lume e tornò a sdraiarsi sul letto.
Hypnos e Thanatos l’avevano fatto fuggire da una dimensione che non ricordava più.
Ora era un Generale. Uno dei guerrieri più potenti di Ade.
Non aveva più paura della morte in quanto era divenuto parte della sua tunica nera.
Era il temuto Re Garuda. Un dominatore. Un castigatore.
Comandava. Comandava. Comandava.
L’esercito era suo schiavo. Lui teneva le catene.
Ciononostante qualche piuma di dubbio gli svolazzava nell’animo…
Certo, possedeva le chiavi delle celle dei subordinati ma non si trovava anche lui rinchiuso in un gabbia? Non era il Sovrano dell'Averno a detenere il sigillo della sua libertà?
La libertà esisteva realmente?
Gli uomini lottavano sempre per essa…Finivano per uccidersi in nome d’essa…bisognava che per forza ci fossero delle fondamenta di verità…
Se fosse stata invece una colossale menzogna? Un mito per tenere buoni gli individui e non farli impazzire?
Il mondo non era una sfera nelle mani degli dei?
Gli oceani non erano infiniti…Neanche il Cielo, in fin dei conti…
Eaco fissò i muri della camera.
La sua vita era serrata tra quattro pannelli di buio, guerre e bave di gloria?
Chiuse gli occhi.
Era meglio addormentarsi e non partire per un viaggio senza fari e città.
_____ § ____
Novembre aveva già principiato la sua parata.
Il Sole brillava nell’azzurrità essiccata dell'inverno.
Il Danubio strisciava pingue, regale e muto fendendo i terreni di boscaglia gelata. Il suo velo era d’un blu inumano, levigato…era d’un blu di casta crudezza.
Dalle sponde di zuccherosa e salata neve, gli alberi , ossificati e calcarei, si sporgevano su quella cuticola d’acqua. Sembravano tanti ricci di mare rinnegati da Nettuno e abbandonati su una baia. Le loro immagini, riflesse nei flussi, restavano ingessate e lattiginose.
Behemoth e Garuda si stavano concedendo un attimo di riposo dopo gli addestramenti.
Lei si stava dissetando al fiume. Lui s’era appoggiato ad un tronco e guardava gli sterpi denutriti degli aceri e dei castagni.
Formavano un ricamo claustrofobico che pressava la volta celeste.
Tessevano una prigione. Tessevano una prigione pari a qualunque muro, a qualunque siepe di rovi…
C’era sempre qualcosa che imprigionava.
Sempre.
Eaco detestava riflettere su ciò.
Durante la notte era orribile approdare a quelle elucubrazioni e il sonno non gli recava molto conforto.
Non voleva toccare quella strada eppure…sentì, in quel momento, un folle bisogno di percorrerla in compagnia. Almeno avrebbe ammortizzato quella ripugnante sofferenza.
Vide il suo sergente tornare dalla sponda del Danubio.
- Violate…sapresti dirmi dov’è possibile osservare la libertà?
La guerriera si sorprese. Inarcò le sopracciglia un po’ in soggezione.
Colta alla sprovvista, non seppe che dire. Restò zitta per diversi secondi.
Alla fine rispose:
- Sarei tentata di vedere la libertà negli uccelli che volano, negli animali che vivono nelle foreste o nelle savane… - si fermò. Corrugò la fronte. Riprese - In realtà, riflettendoci…non posso affermare ciò.
- Per quale motivo?
- Lo stato selvaggio non è un’ anarchia meravigliosa e desiderabile. Ogni essere vivente è schiavo della legge della sopravvivenza. I cigni e le rondini migrano per scappare dal gelo e nutrirsi in posti caldi. Le belve ammazzano gli erbivori per campare e far crescere i loro piccoli…Qualunque bestia ha una meta, una sorte…
- La natura è , dunque, un dedalo di catene.
Prima di proseguire la ragazza osservò le acque piatte del fiume e poi il cielo.
- Beh…io credo che almeno il vento che soffia, la pioggia e la neve che cadono siano sollevati da vincoli. Non hanno istinto o pensieri. L’aria viaggia senza porsi perché; le gocce cadono sulla terra senza preoccupazioni. Devono soltanto sparire nei fiumi o nei mari.
- Ah!Ah!Ah! Mi conforta sapere questo tuo punto di vista. Sei davvero convinta che esista un briciolo di libertà?
- Non è facile crederci, però…se ci sono spazi immensi, silenziosi, che danno ossigeno…mi viene voglia di sperare…
Con un sorriso sprezzante ed infelice, Eaco obiettò :
- Non ti rendi conto che tutto l’infinito , che pensi di vedere, è un fondale di carta ? L’oceano, le montagne, il cielo appartengono al disegno divino. I movimenti delle stelle e dei pianeti, così alti e inafferrabili, sono orbite dettate dal potere degli dei. Ciascun ente sottostà a questo. Noi e gli altri esseri viventi ne facciamo parte. Sulla punta della piramide sta l’Empireo poi gli uomini e gli animali. Nei gradini più bassi vi è una fitta rete di gerarchie. È un meccanismo ordinato di dominatori e subordinati. Io eseguo il volere di Ade e l’esercito ubbidisce ai miei ordini. La libertà è una fantasia che permette alle persone di non suicidarsi prima del tempo. Tutto finisce negli Inferi e negli Inferi comanda la legge dell'Aldilà.
Tacquero per un breve istante.
I rami degli alberi lacrimarono qualche cordoncino di ghiaccio sciolto.
Violate, un po’ in ansia, domandò:
- Non si possono creare vie d’uscita? Rompere questi circoli?
- In che modo, mia cara? Nelle creature regna la paura! È la paura che muove la volontà! Persino il coraggio è dettato dal timore di crepare da smidollati…E’ insopportabile ritrovarsi privi d’ obiettivi da realizzare. Siamo tutti schiavi della paura.
Un pettirosso volò via da un ramo bianco: un’ultima goccia di sangue che abbandonava un braccio incancrenito.
Behemoth sospirò mesta:
- Sì…avete ragione…Non siamo liberi perché…abbiamo paura della libertà, abbiamo angoscia di vagare oltre i confini…da soli. Abbiamo paura di non amare e di venire amati. Quando si è nel proprio buio…forse si è per alcuni istanti liberi…dopo si ritorna nell’ansia. Non ci sono parole, sguardi.
La giovane s’ammutolì per qualche secondo. Lanciò un’occhiata inibita ma infervorata al Generale.
Ricominciò, fissando il suolo:
- È bellissimo, invece, possedere un sovrano da adorare anche da lontano, anche se si viene scansati da lui. Le illusioni sono infami ma fanno sentire vivi. È stupendo amare, svestiti, irragionevoli, con solo la compagnia dei sensi…Tra gli amanti non c’è asimmetria. Sono prigionieri l’uno dell'altra e…
Si girò verso Eaco. La stava squadrando con un cipiglio altero e penetrante.
Arrossì violentemente:
- Perdonatemi! N-non volevo…sbilanciarmi…
Silenzio.
Il Danubio farfugliava ciottoloso.
Degli uccelletti infreddoliti decollarono dalle cime di un albero.
Il Giorno fischiava raggi assiderati.
Il giovane si ravvicinò gradualmente alla fanciulla.
Ella rimase pallida e ferma.
Doveva attendere l’arrivo di un tifone?
Lui annullò qualunque distanza continuandola ad esaminare in modo inquisitorio.
Silenzio.
Dondolamenti di fiume. Luccichii di Sole.
Silenzio.
Garuda prese tra le braccia la ragazza e la baciò in bocca.
Ogni scaglia di brina si squagliò al contatto secco e morbido delle labbra.
Ogni ghiaccio svanì al contatto dei respiri che , omeostatici, non smagrirono calore.
Violate chiuse gli occhi incredula e incapace di pensare.
Il ragazzo le asperse la lingua del sapore bagnato di fiamme, le assaggiò il profumo delle sue ombre.
Si staccò poi dal suo viso con afrodisiaca lentezza.
Ella lo guardò accaldata e sorpresa come se avessero appena fatto l’amore. Carezzandole i capelli neri, lui mormorò:
- Ho delle grandi ali. Esse hanno un nome: Behemoth. Non provare ad oscillare. Non infrangere la rotta.
Si allontanò bruscamente da lei, dandole le spalle.
Un vento emaciato si arrampicò timidamente tra le fronde degli alberi.
Violate si strinse nelle braccia col cuore che fremeva dolente e gridante.
Note:
Bagmati*: uno dei fiumi principali che lambisce la città di Katmandu.
Katmandu* : capitale del Nepal.
Titisee * : uno dei laghi principali della Foresta Nera.
Feldberg* : la cima più elevata ( 1.493 m ) della catena montuosa meridionale che cinge la Foresta Nera.
Note personali: ciao a tutti!! ^^ Spero che questa storia possa piacervi!
L’ho scritta in un arco di tempo limitato tra un esame e l’altro XD Vi assicuro che è stata un’impresa massacrante -.- sarà piuttosto difficile dimenticarla!! Mamma mia!! O.O Inizialmente, questa fic doveva essere una one shot. Già…una one shot… >.< Alla fine è diventata una storia di cinque capitoli!! Vi dico di non pensarla come una long fic, bensì come un racconto…” lunghino” . Io non mi posso dedicare ad un’altra avventura ciclopica perché mi basta già L’occhio dell'Ariete che è un bel macigno…Preferisco, quindi, stendere composizioni o narrazioni brevi che non mi portino via molto tempo.
“ Venere dai tuoni di sangue” è stata una bella sfida! Mi auguro di essere riuscita a rendere nel miglior modo possibile la complessità di Eaco e di Violate, due personaggi che ho amato molto in Lost Canvas e che mi hanno spinto a scrivere queste pagine! ( Aggiornerò ogni cinque-sei giorni ^^)
Un saluto e grazie!! ^^
p.s : Non so se riuscirò a postare il cap 13 de L’Occhio dell'Ariete a fine febbraio…a marzo è sicuro e , se tutto va bene, vi sarà più di un aggiornamento!! ^^