“…
e la mattina successiva, non c’era più. Abbiamo
cercato in tutto il campo.
Abbiamo chiamato sua madre. Abbiamo tentato di raggiungerlo in ogni
maniera
conosciuta. Niente. E’ semplicemente scomparso.”
–Annabeth
Chase, The Lost Hero
{la sparizione}
Nonostante
avesse fatto più
tardi del solito la sera precedente, Annabeth si svegliò
insieme ai suoi
fratelli.
Realizzò
immediatamente che
c’era qualcosa che non andava:
a)
non aveva fatto sogni.
Strano.
b)
c’era una strana sensazione
che non riusciva bene a definire intorno a (o forse dentro?) lei.
Si
sedette a gambe incrociate sul letto e fece quello che da sempre le
riusciva
meglio, ragionare. Svuotò la mente e cercò di
allontanare quello strano sentimento–o
meglio, quella sensazione.
Avendo
avuto poco successo nel
tentativo, disse ai suoi fratelli di prepararsi per la colazione, e
stava per
entrare in bagno quando notò un flebile russare.
Malcom
era ancora disteso sul suo
letto, le coperte tutte scombinate e una faccia priva di emozioni.
“Malcom!”
lo chiamò lei scuotendolo,
“Malcom, sveglia!”
Suo
fratello aprì gli occhi e dopo
un attimo li focalizzò su di lei.
“Annabeth.”
Lei
capì subito, per la seconda
volta quella mattina, che qualcosa non andava. Malcom era sempre stato
ligio
alle regole, non si era mai svegliato per ultimo e non le piaceva
affatto il
modo in cui aveva pronunciato il suo nome.
“Hai
avuto un incubo?”
Malcom
annuì.
“Che
hai sognato? Nostra madre?”
chiese speranzosa.
Circa
un mese fa, gli dei si erano
fatti silenziosi. Avevano smesso di parlare ai loro figli e
l’Olimpo era stato
chiuso. Di punto in bianco. Senza alcun preavviso, spiegazione o
avvertimento. Annabeth
aveva cercato di contattare sua madre, ma niente. Nessun altro semidio
che
conoscesse era riuscito a parlare col proprio genitore divino.
Quindi
Annabeth pensò che magari
Malcom fosse riuscito a parlare con Atena, ma si sbagliava.
“No,”
disse lui.
“E
allora che…?”
“Te.”
“Come
scusa?”
“Ho
sognato te. Piangevi.
Disperata.”
Annabeth
provò di nuovo quella
brutta sensazione che aveva sentito al risveglio, ma non lo dette a
mostrare:
lei doveva sempre apparire forte. Se c’era una cosa che sua
madre le aveva
trasmesso era di non farsi trascinare dalle emozioni. Quindi
scrollò le spalle,
e con aria di seccata nonchalance, disse al fratello:
“Era
solo un sogno, Malcom. Muoviti,
o faremo tardi a colazione.”
Ovviamente
la casa di Atena non fece
tardi a colazione. Ma qualcun altro sì.
“Vado
a svegliare Percy,” Annabeth
informò i suoi fratelli appena si furono seduti,
“altrimenti dorme fino ad ora
di pranzo.”
Detto
questo si diresse verso la
Casa 3. Fece il tentativo di bussare, ma invano, perché ovviamente Percy dormiva. Così
Annabeth entrò silenziosamente e si
mise in testa il suo cappellino degli Yankees, per fare al suo ragazzo
il
solito scherzo.
Lo
scherzo non riuscì, Percy non era
a letto. Probabilmente era in bagno.
Negativo,
non era nemmeno lì.
Annabeth si guardò intorno, ma nella Casa di Poseidone non
c’era traccia del
suo ragazzo.
Forse
avrà fatto tardi a colazione e non l’ho
incontrato venendo qui…
Tornò
a mangiare, ma lui non c’era.
Si ingozzò perché onestamente moriva di fame, ma
non poteva perdere un minuto
di più.
Si
alzò, ma prima che potesse
dirigersi verso la spiaggia–era sicura di trovarlo
lì–Malcom la fermò con uno
sguardo interrogativo.
Senza
bisogno di parole, Annabeth
fece cenno con la testa verso il tavolo vuoto che apparteneva ai figli
del dio
del mare. Lui capì, “Non l’hai ancora
svegliato?”
“Non
c’era. Probabilmente avrà fatto
un brutto sogno e si sarà recato in spiaggia. Va sempre
verso il mare quando è
di cattivo umore.”
Non
era al lago delle canoe, e
nemmeno in spiaggia. Si era sicuramente buttato in acqua per un bel
bagno,
nonostante il freddo gelido di dicembre. Ma quando si è il
figlio di Poseidone
non ci si deve preoccupare della temperatura, no? Di certo Annabeth non
sarebbe
andata a cercarlo oltre, il mare non era il suo territorio. Soprattutto non a dicembre.
Due
ore dopo, Percy non si era
ancora fatto vivo. Annabeth decise di andare a parlare con Chirone,
perché la
cosa cominciava a spaventarla.
Chirone
ammise di aver notato l’assenza
del ragazzo e suggerì ad Annabeth di contattare Sally.
“Ma
a cosa serve? Insomma, ieri
notte era qui, non credo sia potuto andare da qualche parte…
non senza avvisare
almeno. Non voglio allarmare sua madre, conosco Sally, e so che si
fionderebbe
qui per la preoccupazione. Dobbiamo prima assicurarci che non sia nei
paraggi…
insomma, il ragazzo è stupido, chissà magari
stava facendo una passeggiata nei
boschi e si è addormentato.”
“Annabeth,
cara, ma ti sei sentita?
Comunque d’accordo, mandiamo i ragazzi a cercarlo. Ma prima
voglio assicurarmi
di una cosa. Convoca i capi delle case e informali–se non si
sono già accorti–
che non abbiamo notizie di Percy da ieri,” disse mentre si
allontanava.
“Dove
vai?”
“Da
Argo. Se Percy è uscito dal
campo lui lo saprà di sicuro. Lui vede tutto,”
concluse con una risatina.
{le ricerche}
Annabeth
cercò di visualizzare Percy
con un messaggio Iride, ma non appariva nulla. Allora si decise a
chiamare i
capigruppo: Clarisse per Ares, i fratelli Stoll per Hermes, Jake Mason
per
Efesto (da quando Beckendorf era morto il comando era passato a Jake),
Will
Solace per Apollo, Katie Gardner per Demetra, Drew Tanaka per Afrodite,
Butch
per Iride, Clovis per Hypnos e Lou Ellen per Hecate. Si erano riuniti
attorno
al falò, e Annabeth aveva spiegato loro la situazione.
Nell’attesa di Chirone,
potè osservare le reazioni dei compagni alla notizia della
presunta sparizione
di Percy: Clarisse voleva saperne di più. Per quanto i due
facessero finta di
odiarsi era chiaro che fossero (bene o male) affezionati
l’uno all’altro dopo
aver vissuto diverse avventure insieme.
Gli
Stoll avevano scherzosamente
suggerito sottovoce una possibile fuga di Percy dovuta alla costante
ira della
sua ragazza, e per questo si erano beccati uno sguardo atroce da parte
di
Annabeth che non era in vena di scherzare, né tantomeno di
essere presa in giro.
Katie,
Jake e Will sembravano più
che altro colti di sorpresa, ed avevano offerto il loro aiuto per le
ricerche,
un aiuto che Annabeth aveva accettato con gratitudine.
Drew,
la nuova capo-casa di Afrodite
aveva passato tutto il tempo a cercare di flirtare con Will, e aveva
prestato ben
poca attenzione alle comunicazioni che Annabeth aveva offerto loro.
Drew
non le piaceva affatto, e
sembrava non piacesse nemmeno ai suoi fratelli. Era diventata capo solo
per la
sua età, maggiore di quella di chiunque altro nella casa
numero 10. Perdere
Silena era stato un brutto colpo per tutti loro, ma Drew non ne aveva
sofferto
più di tanto. Gelosia? Sicuramente. Silena non aveva dovuto
instaurare un
regime del terrore per essere rispettata dai fratelli.
Chirone
tornò, con la notizia che
Argo non aveva visto Percy. Annabeth non seppe decidere se la cosa
fosse
positiva o meno.
“Ok,
allora siamo d’accordo. Apollo,
Demetra e Efesto cercheranno nei boschi. Katie, se dovessi trovare
qualche
indizio lascia il comando a Miranda e raggiungimi immediatamente. Will
e Jake,
lo stesso vale per voi,” Annabeth era entrata in
modalità stratega.
“Travis
e Connor, per quanto odio
dovervi affidare qualcosa di importante, ecco il vostro compito: vostro
padre è
il dio dei viaggiatori, quindi vi occuperete del perimetro esterno del
Campo.
Partite dalla Collina Mezzosangue e procedete in direzione di Long
Island
Sound.”
I
fratelli risposero con un “Sì
capo!” all’unisono e partirono con i loro compagni
di casa.
“Voi
altri riprendete le vostre
normali attività, vi contatterò in caso di
necessità. Clarisse, tu vieni con
me.”
“Cosa
facciamo?”
“Facciamo
una capatina all’Olimpo.
Un ultimo tentativo non fa mai male,” rispose semplicemente
Annabeth.
Argo
le lasciò all’ingresso
dell’Empire State Building.
Il
tizio dell’ascensore era lo
stesso di quell’estate. Lo stesso che l’aveva fatta
salire centinaia di volte
durante l’autunno quando lavorava sulla ricostruzione
dell’Olimpo. Non poteva
non ricordarsi di lei, pensò Annabeth speranzosa.
“Salve.
Seicentesimo piano, per
favore.”
“Cosa?
Non esiste una nulla del
genere.”
“Senta,
sono Annabeth Chase, figlia
di Atena. So di non avere un appuntamento, ma ho bisogno
di parlare con gli dei.”
“Cosa?”
ripetè incredulo il tizio.
“Ascolti,
non ho tempo di stare qui
a discutere con lei, è inutile che cerca di dissuadermi! So
che si ricorda di
me, sono venuta qui praticamente tutti i giorni da agosto! Per favore, devo salire!”
terminò Annabeth sull’orlo
della disperazione.
Clarisse,
che era rimasta in
silenzio tutto il tempo, fece una faccia minacciosa e serrò
i pugni.
“Ha
sentito la mia amica? Ci faccia
salire immediatamente, o subirà l’ira di
Ares.”
L’uomo
di limitò a guardarle
incredulo. “Ma di cosa parlate? Allontanatevi prima che
chiami la polizia.”
Annabeth
fece un sospiro, “Andiamo
Clarisse. Sembra davvero che non sappia nulla. Devono aver manipolato
la
Foschia in modo che non ricordasse…”
Contattarono
il Campo, ma le squadre
di ricerca non avevano trovato nessun indizio.
“Se
non vuoi venire non fa niente..”
“Non
ti lascio da sola,” replicò la
figlia di Ares.
Annabeth
non potè non sorridere alla
caparbietà della sua amica. Era in momenti come questi in
cui si accorgeva di
quanto davvero volesse bene a Clarisse. Si conoscevano da quando
avevano nove
anni, e ora ne avevano sedici. Erano letteralmente cresciute insieme.
Le
sorrise grata e scese nella
trafficata metropolitana di New York.
“Quante
fermate ancora?”
“Due.
Poi dobbiamo proseguire a
piedi per un isolato, casa di Percy non è molto
lontana.”
Quando
Sally Jackson si trovò
Annabeth e Clarisse (della quale aveva solo sentito parlare) davanti
alla porta
di casa, capì che c’era qualcosa che non andava.
Annabeth
glielo lesse negli occhi.
Le
raccontarono semplicemente di
come non avessero idea di dove fosse suo figlio. Sally offrì
loro dei biscotti.
Blu, ovviamente. Clarisse storse il naso ma ne prese un paio. Annabeth
mangiò
tutti gli altri perché moriva di fame e perché
aveva bisogno di qualcosa che le
ricordasse che chissà dove,
lui c’era
ancora.
Dopo
un paio d’ore decisero che era
il momento di rientrare. Sally si offrì di riaccompagnarle
al Campo e le
ragazze accettarono, pensando che era probabilmente giusto che parlasse
anche
con Chirone.
Prima
di andare, Sally chiamò Paul
–che non era ancora tornato da lavoro– e gli disse
che c’era stata un’emergenza
e che sarebbe tornata il prima possibile. Poi abbracciò
Annabeth e permise a qualche
lacrima di solcarle il volto.
“Pensi
che andrà tutto bene?” le
chiese.
Annabeth
la strinse un po’ più
forte, “Certo, Sally. Stiamo parlando di Percy. E’
tuo figlio, lui torna sempre
alla fine. Anche se ci fa prendere un brutto spavento ogni
volta,” disse
pensando a quella volta in cui Percy era sparito per due settimane,
quando si
trovava sull’isola di Calipso.
Al
Campo Mezzosangue erano tutti
preoccupati, ma quasi tutti i campeggiatori avevano ripreso le consuete
attività. Nonostante ciò, Clarisse si rifiutava
di allontanarsi da Annabeth. Quella
sera al falò le chiese cosa avesse intenzione di fare.
“Beh,
visto che gli dei non
rispondono siamo costretti a contattare l’unica persona che
potrebbe saperne
più di noi.”
“Cioè?”
“L’Oracolo
di Delfi, naturalmente.”
Angolo
autrice:
saaaalve! Ecco qui il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto. Vi
anticipo che
nel prossimo torneranno i miei amati Rachel, Thalia e Nico, e fra un
paio di
capitoli arriveranno anche i personaggi della seconda serie, Piper,
Jason e
Leo.
Ma
parliamo di questo
capitolo. Odio Drew. Se avete letto The Lost Hero la odiate quanto me,
suppongo. Qui Annabeth non è ancora disperata
perché è principalmente confusa.
Odia non sapere. La farò crollare tra poco, non temete
muahahahah *risata
malefica*
Ho
già scritto alcuni
capitoli che si collocano un po’ più avanti nella
storia, e non vedo l’ora di
postarveli.
Mi
lasciate qualche
recensione? *faccia da cucciolo*
Grazie
e alla
prossima,
Ginny_theQueen
♥