Fanfic su artisti musicali > Placebo
Ricorda la storia  |       
Autore: nainai    05/09/2007    7 recensioni
Brian Molko non tornava a casa da nove anni. Quante cose non dette erano ancora lì ad aspettarlo?
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avvertimento: Il seguente scritto non è redatto né pubblicato con finalità di lucro. Non s’intende dare una rappresentazione reale dei personaggi citati, né s’intende offendere alcuno. Le vicende rappresentate sono mero frutto di fantasia.
 
 
 
Slackerbitch
 
Diary
 
Ho una papera di gomma.
Una di quelle paperette colorate che si tengono nella vasca da bagno e galleggiano sull’acqua. La mia è gialla, con il becco arancione. Un classico, insomma. L’ho comprata la scorsa settimana in un negozio di articoli per la casa. Siamo entrati perché Stefan, passando davanti alle vetrine, aveva visto qualcosa – non ricordo cosa – che gli era piaciuto.
Lui ha sempre avuto questa fissazione per l’arredamento.
Non ricordo se alla fine ha comprato qualcos’altro, ma io ho visto la papera e l’ho presa.
Ora rotola verso di me. Devo essermi impercettibilmente spostato nella vasca ed il movimento dell’acqua spinge la papera verso il mio viso.
…Se non fossi così ubriaco mi alzerei ed andrei a dormire. Ma la verità è che odio dormire da solo e, siccome è proprio tardi, ormai Stefan si sarà addormentato da un pezzo ed io sarò costretto ad andarmene buono buono nella mia stanza e rimanere lì da solo.
Tiro una ditata alla papera per farla allontanare.
Sarei dovuto restare alla festa. O almeno avrei dovuto trovare lì compagnia e farmi portare a casa.
O in albergo.
Non faccio molto caso alla differenza.
Invece ho solo bevuto troppo, rifiutato un paio di inviti, quasi accettato un terzo e, dopo qualche strusciata veloce, deciso di voler tornare a casa a dormire.
Invidio Stefan. Lui, quando non ha voglia di partecipare a queste ridicole feste, semplicemente non lo fa. Vorrei avere la sua determinazione. Magari, se l’avessi avuta, sarei rimasto anch’io stasera. Ed ora non dovrei dormire da solo, perché sarei di là in camera sua, con lui.
La papera si è arenata sul mio ginocchio. Mi sta guardando da lì. Beccheggia un po’ ma ha un occhio tondo ed il becco arancione fieramente puntati su di me. Se mi sta sorridendo, come sembra fare, è gentile da parte sua. Mi fa sentire meno idiota.
L’acqua si è fatta fredda ed inospitale. È decisamente arrivato il momento di scegliere di uscirne. Lo faccio. Giusto un movimento meccanico, che mi porta a sollevarmi nella vasca allungando una mano verso l’accappatoio accanto. Faccio per scostare i capelli quando esco, gocciolano sul pavimento, assorbono più acqua della spugna che ho addosso e mi chiedo se dovrei tagliarli. Ma me ne dimentico già mentre levo il tappo alla vasca mettendo in salvo la papera sul bordo.
Per uscire dal bagno cammino a piedi nudi, lasciando la luce accesa perché mi guidi nel resto della casa buia. Sul fondo del corridoio intravedo le due camere da letto, la porta di Stefan è accostata come sempre, la mia spalancata e vuota proprio lì di fronte. Imbocco il corridoio nella direzione opposta, entrando nel soggiorno e da lì in cucina. Mentre seleziono l’ultima birra della serata dal frigorifero, getto un’occhiata distratta ai resti della cena. Stefan ha cucinato, a volte lo fa quando abbiamo tempo in abbondanza e lui ha voglia di mettersi dietro i fornelli. Sa che mi piace come cucina.
Sarei proprio dovuto restare stasera, sì.
***
-Stef…
Lui mormora qualcosa. Gli do fastidio ed è abbastanza evidente, non c’è veramente bisogno che espliciti questo concetto tentando di scostarmi come sta facendo.
Anche perché tanto sa che non mi arrendo con facilità.
Mi chino su di lui, sussurrando di nuovo, ma stavolta direttamente al suo orecchio.
-Stef.
Il mio tono è lievemente più deciso. Sono bravo in queste cose, colorare di sfumature un tono di voce pur senza variarlo…apparentemente. Fatto sta che il sapore di malizia che gli imprimo – o forse solo il peso del mio corpo su di lui, a cavalcioni intorno alla sua vita – ottiene l’effetto di fargli aprire gli occhi, sbatte le palpebre. Io mi tiro dritto e lo osservo, dandogli tempo e spazio per mettere davvero a fuoco la mia presenza. Scosto una ciocca di capelli, ancora terribilmente umida, agganciandola dietro un orecchio. È un gesto abbastanza femminile da urtare perfino me e da indurmi a sorridere nervoso.
Non sapessi esattamente quello che voglio in questo momento, probabilmente il viso assonnato di Stefan e questa sensazione di disagio sarebbero sufficienti a farmi desistere. Mi chiedo comunque da cosa dipenda il disagio; se anche so che, come sempre, riuscirò a farlo sparire dietro modi studiati – da manuale, se esistesse un manuale per certe cose – non riesco ad ignorare del tutto il fastidio che si concentra alla bocca dello stomaco quando nel buio intuisco gli occhi di Stefan fissi nei miei.
-…Brian.- realizza, sussurrando anche lui. Come se ci fosse qualcun altro che possa essere disturbato dalle nostre voci. Per un momento sono tentato di ricordargli che siamo soli in casa. Nostra. In casa nostra.- Che ora è?- domanda allo stesso modo.
È quasi ovvio che lo chieda. Quasi ovvio che io, magari, gli risponda anche.
Ma, ovviamente, non lo faccio.
Mi piego di nuovo, lo bacio. Un bacio a fior di labbra, posando le mani sul suo petto. Il calore arriva attraverso la stoffa del pigiama e quella delle coperte e del lenzuolo. Mi irrita da morire, ma non posso esigere tutto e subito come vorrei. Non con Stefan.
Lui mi ricambia, distratto. È un gesto gentile il suo, un saluto educato, subito dopo mi posa le dita sulle spalle esercitando una pressione leggera, per chiedermi di tornare a tirarmi indietro. Anche se non lo faccio, Stefan mi perdonerà come sempre per la mia insistenza. Così non lo faccio.
-Ho sonno.- protesta lui appena.
Più che una vera protesta suona come una spiegazione razionale del suo desiderio di tornare ai sogni da cui l’ho risvegliato.
Dovrei rispettare le sue decisioni.
-Ed io ho voglia di scopare.- ribatto ignorando la sua richiesta.
Sto mentendo. Non ho davvero voglia di scopare, Stef, solo che non mi va di dormire da solo stanotte…
Chissà se lui capirà la sottile sfumatura. La intuirà nel modo in cui le mie labbra percorrono la linea del collo, o nel modo in cui le mani scostano le coperte per potersi infilare sotto gli indumenti e cercare la sua pelle? Sono bravo a mentire con le parole. Oramai credo di essere diventato bravo a mentire con qualunque parte del mio corpo.
Davvero poco consolante.
Molto più consolante baciarlo sul serio. Spingere la mia bocca contro la sua, schiudere le labbra per indurlo ad affondare la lingua a cercarmi. Il mio fiato sa sicuramente di alcool, Stefan intuirà che sono ubriaco e capirà parecchie ragioni del mio comportamento di stasera. Domattina mi rimprovererà, comincio a credere che lo diverta farlo. Di sicuro, diverte me il fatto che lui lo faccia.
-Ho voglia di te.- continuo nello stesso tono insinuante, soffiandolo ancora al suo orecchio. Sulle labbra.- Ho voglia che tu mi prenda.- Dentro la sua bocca schiusa.  
Probabile che lo provochi apposta. Non mi sono mai fermato a riflettere davvero su questo.
Quando avverto sulla pelle il tocco delle sue dita, che risalgono le gambe spostando da parte l’accappatoio bagnato, so di aver vinto io.
Una vittoria di Pirro, in realtà. Davvero. Le motivazioni che mi spingono nel letto di Stefan affondano le proprie radici così addentro a ciò che sono da diventare la mia peggiore sconfitta. O almeno io la vedo così.
Eppure me ne dimentico già mentre lui mi spinge contro il materasso, salendomi addosso. Circondo il suo collo con le braccia, attirandomelo vicino, lui continua ad esplorarmi con le mani, con la bocca, e seguire la scia umida che tracciano le sue labbra e la lingua risalendo lungo le spalle ed il profilo del viso, mi distrae del tutto dal corso nervoso dei miei pensieri.
C’è una cosa che amo di Stefan più di qualunque altra.
Se volessi essere onesto con me stesso e con lui, dovrei ammettere che ce ne sono molte e che la prima – a voler redigere una “classifica” – riguarda il suo modo di reagire alle mie provocazioni, appunto.
Ma l’onestà non è una delle mie qualità.
Pertanto, sebbene il mio corpo ammetta di trovare piacevole il modo in cui Stefan lo maneggia, con una delicatezza ed una gentilezza che conosce ben poche volte dai miei amanti occasionali, la mente se ne disinteressa. A livello emotivo non fa differenza per me suscitare la reazione passionale e violenta di coloro che raccatto in giro, ai party o nei locali, almeno tanto quanto non fa differenza ottenere l’attenzione tenera di Stefan…questo suo assurdo modo di trattarmi come se fossi qualcosa di fragile, che può rompersi da un momento all’altro.
Ormai dovrebbe saperlo che non sono affatto ciò che sembro.
Sono in tanti a dire di me che sono solo una puttana. Non immaginano nemmeno quanto abbiano ragione. La mia disonestà mentale non arriva al punto da indurmi a credere che il successo dei Placebo dipenda interamente ed esclusivamente dalle nostre capacità di musicisti. Prima di andarsene Rob mi disse che non saremmo mai arrivati davvero al successo. Mai. A meno che fossi io a costruirlo per tutti noi. Lui sapeva esattamente cosa mi stava dicendo. Per questo rideva di me mentre lo faceva. Mi stava dicendo che non valevo niente se non come provocatore, che non c’era alcuna sostanza nella musica che realizzavamo e che ogni sostanza che vi avessi voluto imprimere avrebbe avuto un solo odore. Quello del sesso a buon mercato. Quello che Rob non immaginava nemmeno mentre se ne andava ridendo, era che io fossi consapevole tanto quanto lui di questa sua presunta “verità”, e che ne fossi consapevole al punto da aver già preso la mia decisione.
Essere una puttana non è poi così male come si crede. Fondamentalmente è un modo come un altro per guadagnarsi da vivere. Nel mio caso, per guadagnarsi il successo. Spesso si concretizza nel mero far credere al tuo prossimo che tu sia un’improbabile e svampita “ragazzina”, pronto a concedersi, anima e corpo, al primo che passa in cambio del soddisfacimento di un interesse contingente di maggiore o minore rilevanza. Nella realtà dei fatti, la maggior parte delle volte ti limiti a dare a quel prossimo la sua “illusione”, salvo riprenderti i tuoi spazi appena oltre l’angolo.
Prendere in giro un manager. Prendere in giro qualcuno della produzione. Prendere in giro un altro artista. O anche, più banalmente, prendere in giro i fan. Far credere ad ognuno di questi individui che tu sia esattamente tutto quello che loro vogliono. Tutto questo non dà veramente potere agli altri su di te, bensì a te su tutti loro.
E quel potere mi piace abbastanza da indurmi ad essere una puttana a buon mercato. Con soddisfazione concorde per me e per Rob. Anche se per motivi ben diversi. Alla fin fine ho riso molto di più io nel vederlo andare fuori dalle palle ancora prima che il tour dell’album fosse terminato.
Queste considerazioni sono alla base della mia accettazione del discorso “sesso” secondo un’ottica diversa da quella comune. Per cui non riesco proprio a capire la tenerezza di Stefan quando scopiamo, salvo che leggendola nella prospettiva per me assurda di questa sua decisione di “prendersi cura di me”.
Eppure, c’è una cosa che amo di Stefan più di qualunque altra.
Non è una cosa davvero importante. Lo diventa nel momento in cui si ripete con un’ossessività quasi inspiegabile. Ed è il suo modo di continuare a chiamare il mio nome.
La sua voce risuona al mio orecchio come una litania ripetitiva, come una delle nostre canzoni. Rinuncia a baciarmi solo per prendersi tempo e pronunciare quelle poche lettere, e lo fa ogni volta con lo stesso trasporto, con la stessa inflessione.
Io so perché lo fa. Non ne abbiamo mai parlato davvero, ma Stefan ha questa cosa di essere una persona trasparente, per cui ci metti davvero poco a capirlo. Basta solo osservarlo per un po’. Lui ha dei processi mentali lineari ed in questi processi mentali ha ben chiaro un passaggio. Su di me non può rivendicare alcun diritto.
Noi due abbiamo una relazione. È nata in modo abbastanza casuale, ad essere onesti. Steve, una volta che il discorso venne fuori, disse che era la conseguenza inevitabile del nostro ostinarci a condividere un appartamento. Ed aggiunse che non avremmo dovuto comunque prenderla troppo sul serio, perché era chiaramente una cosa senza peso che non modificava di una virgola la natura del nostro rapporto. Tutto ciò che ne sarebbe venuto fuori, quando ci fossimo annoiati, sarebbe stato l’approdare alla decisione di andare a vivere ognuno per i cazzi propri.
Steve è una creatura saggia. Lo pensai allora, abbastanza stupito, mentre lo guardavo riprendere a bere la propria birra. E lo penso ora, a distanza di mesi, mentre Stefan affonda dentro di me ed io lo sento gemere il mio nome direttamente contro la mia bocca.
Per mia natura, io sono portato a non legarmi a nessuno. Neppure quando la persona che mi ritrovo nel letto è la personificazione di tutto ciò che in quel momento rappresenterebbe per me “ciò che è buono e giusto”. Al più accetto di scoparmelo o farmi scopare una seconda volta e lì finisce il mio concetto di “relazione stabile”. È nel gioco del resto, non posso certo permettermi di smettere di essere una puttana solo per il fortuito caso di essermi innamorato di qualcuno. Non certo in questa fase della mia carriera artistica, almeno. La fortuna vuole che, in ogni caso, io sia ben lungi dall’essermi innamorato di alcunché fino ad oggi.
Per sua natura, Stefan è un animale incapace di tradire, per lui esiste esclusivamente la persona con cui sta e, su qualsiasi base si fondi il suo rapporto, lui ne sarà comunque pienamente soddisfatto, al punto da non riuscire a vedere altro. Nemmeno se l’altro gli piomba in braccio già pronto e confezionato.
Nonostante questi presupposti e le giuste considerazioni di Steve al riguardo, la nostra ad oggi è una relazione. Nella quale nessuno dei due, ufficialmente, appartiene all’altro.
Nella quale, ufficiosamente, Stefan mi appartiene ed io non appartengo a lui.
E non sono particolarmente stupito se lui riesce ad intuire questa cosa ad un livello così profondo da averne l’esatta percezione anche mentre facciamo sesso. Per Stefan, a differenza che per chiunque altro, non è sufficiente che io mi conceda, che gema di dolore e di piacere tra le sue braccia, che mi stringa a lui, che cerchi le sue labbra per morderle e sentirne il sapore. Lui sa esattamente che tutto questo non ci avvicina di un passo rispetto alla distanza che ci separa in qualunque altro momento della giornata.
E siccome lo sa e non lo accetta, allora continua a cercare di colmare quella distanza. E chiama il mio nome.
È un modo ridicolo di fare. Io non gli risponderò solo perché lui mi invoca come un assetato l’acqua. Non gli dirò che lo amo solo perché lui è sincero con me. Ripagare con una bugia ancora più grossa la sua disperata sincerità sarebbe crudele perfino da parte mia.
…La cosa tragica, però, è che io amo così tanto sentire il mio nome sulla sua bocca, da sapere che il caso ha avuto una parte ben misera nell’inizio di tutto questo.
Ora devo solo riuscire ad ingannarmi ancora, e dirmi che sono qui perché non volevo dormire da solo.
***
In soggiorno è scattata la segreteria telefonica.
Sono quasi due anni, ormai, che ho smesso di rispondere al telefono. All’inizio mi sembrava strano sentire la voce di qualcuno avvolgere lo spazio intorno a me. Mi fermavo imbambolato davanti al telefono, non alzavo la cornetta ma fissavo ostinatamente l’apparecchio aspettando che la voce oltre il filo si qualificasse e mi dicesse cosa voleva. Adesso non ci bado più, sono arrivato ad apprezzare il meccanismo che mi permette di selezionare i miei interlocutori, decidendo chi, quando e perché. Vantaggi connessi con la popolarità, immagino. Ma credo che se anche domani diventassi qualunque altra cosa, diversa dal cantante e leader di una band rock, continuerei a lasciare rispondere la segreteria.
Il freddo del letto al mio fianco quando allungo il braccio ed il rumore dei piedi nudi sul parquet di legno mi informano che Stefan è già in piedi. Non risponderà nemmeno lui, i passi si allontanano verso la cucina.
Ascolto una voce impersonale di donna chiedere di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico. C’è una pausa, probabilmente la persona che ha chiamato non sa se sia il caso di fare come chiesto. Peggio per lui/lei. Poi, però, ci ripensa.
È ancora una voce femminile. Ma è vecchia. Perfino più vecchia di come la ricordavo. Mentre alzo la testa dal cuscino, mia madre mi chiama. Esitante.
Scendo dal letto e cammino nudo come sono verso la fine del breve corridoio. Lei sta parlando ancora, si è fermata una seconda volta ma poi ha capito di dover arrivare fino in fondo. Ha capito che anche se sono qui non risponderò.
Quindi me lo dice.
-Tuo padre sta male. Credo sia meglio che tu venga qui. Siamo dai nonni.
C’è un click quando cade la comunicazione. Le segreterie non sono capaci di selezionare i messaggi che vale la pena di sentire per intero e quelli che possono essere tagliati dopo il minuto canonico. Un inconveniente fastidioso a volte.
Alzo il viso per incrociare lo sguardo di Stefan. Sembra raggelato da qualcosa, sta sulla porta della cucina e mi fissa con gli occhi sgranati, la tazza del caffè sollevata a mezz’aria. Noto distrattamente che nemmeno lui si è rivestito del tutto, comincio ad odiare questa sua abitudine di girare a torso nudo.
Ed è strano.
In qualunque altro momento della mia vita con lui l’ho trovata una cosa estremamente piacevole.
Quindi c’è qualcosa che non va.
-Che giorno è oggi?- domando senza nessuna relazione con il corso dei miei pensieri.
Quando sento la mia voce, incrinarsi e spezzarsi a metà della frase, capisco anche perché Stefan mi guarda così.
24 Aprile del 1999*.
È sul calendario appeso vicino all’ingresso della cucina. Lo sto guardando solo per non dover ricambiare il suo sguardo e fargli vedere che sto piangendo, vero?
 
*Ovviamente non ho idea di dove fossero i Placebo il 24 Aprile del 1999, né avevo voglia di andare a controllare. Per cui chiedo scusa a tutti, ma mi serviva una data di primavera successiva alla pubblicazione del secondo album ed ho scelto questa. Chiedo perdono ai perfezionisti ed a coloro che, giustamente, preferiscono una maggiore cura dei particolari.
 
Nota di fine capitolo:
 
La storia che segue appartiene a quelle che io definisco “amori contrastati”. È stata realizzata in un momento d’ispirazione, in un unico getto, senza soluzione di continuità. È breve. Concisa. Con una trama labile che è una evidente scusa per delle riflessioni sul personaggio.
So che è un genere che non tutti amano – io sì, lo ammetto – e so che questa roba risulterà “pesante” per tanti che leggeranno. Spero che almeno qualcuno la apprezzi. Io, ovviamente, l’ho odiata ancor prima di averla finita (all’incirca dieci righe prima di averla finita). E poi l’ho riletta e l’ho amata, salvo odiarla dieci minuti dopo.
Ecco la mia definizione di “amori contrastati”.
Per questo mi sento di dover ringraziare davvero tanto Lisachan e Rinnie, per aver betato la storia ma soprattutto per avermi convinta che valeva la pena di pubblicarla.
Inoltre devo ringraziare Lisachan perché questa storia è nata solo in virtù dell’amore che ho provato, dal primo momento, per la sua meravigliosa “Labyrinth”, la cui lettura consiglio vivamente a tutti.
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Placebo / Vai alla pagina dell'autore: nainai