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Autore: Emrys    18/02/2013    1 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ilaria si muoveva per prima, godendosi il calore del sole che riusciva ad attraversare le fronde e sorridendo ai piccoli animali che studiavano le loro movenze attraverso le ombre e gli anfratti del posto. Immersa in quella natura incontaminata era felice e si sentiva in pace con se stessa: il suo animo era riuscito ad accettarla propria duplice natura e finalmente aveva smesso di sentirsi un’aliena trascinata a forza in un mondo avverso. Eric le passò accanto, sfiorandole il fianco, e mentre muovevano i primi passi nella piccola radura tra la foresta e il fiumiciattolo Ilaria si sorprese a studiare l’atteggiamento del compagno: durante gli allenamenti era come se la confidenza e la spontaneità emerse durante la quotidianità evaporassero e durante quelle ore Ilaria aveva la netta sensazione di non essere davvero con Eric, ma con una sua maschera elaborata attraverso secoli di silenzi e sospetti. “Ilaria, scusami se ti ho strappato dalla tua vita tranquilla e dai tuoi amici: era l’ultimo tra i miei desideri.” Aveva un tono apparentemente distaccato, però dal suo atteggiamento traspariva una chiara tristezza: evitava il suo sguardo e accarezzava con mosse convulse una pietra levigata che aveva raccolto da terra. Ilaria lo fissò con un’espressione sorpresa e quando fece per rispondergli i suoi occhi furono attraversati da un guizzo di malizia. “Eric, non mi hai portato via, non sono un fiore delicato che non può opporsi quando è colto dal suo prato, ho scelto io di seguirti.” Sorrise, immaginandosi un girasole che mordeva la mano pronta a coglierlo per poi cominciare a inveire e poi proseguì: “Avevo bisogno di staccare  e poi comprare una villetta di campagna è sempre stato uno dei miei sogni più segreti.” Almeno quest’ultima affermazione sembrò riuscire a scuotere il giovane, che si voltò verso di lei e la studiò con uno sguardo perplesso per almeno un intero minuto. “Ragazza mia, sei meravigliosa.” Ilaria arrossì e distolse lo sguardo: perché non riusciva a impedirsi di sperare che dietro quelle parole ci fosse qualcosa di più? Era una sciocca. “Come ti ho già accennato la scorsa volta, è nella nostra natura intrinseca la possibilità di  controllare un determinato numero di elementi.” Perfetto, aveva cominciato la lezione e questo l’aiutava a non perdere altro tempo dietro ai deliri dei propri ormoni. “Spesso con l’aumento del potenziale del soggetto aumentano anche il numero degli elementi che può manipolare, ma esistono anche casi di specializzazione ed entrambe le scelte sono tutt’altro che da sottovalutare.” Ilaria aveva l’impressione che stesse narrando una storia tipica dei falò da campeggio e per un istante riuscì a immaginarsi Eric con la divisa tipica dei Capi scout. “Tua nonna Mari era Maestra nel richiamare il vento e contro Suriel tu stessa sei riuscita a farlo.” Lei annuì, sottolineando il suo controllo dell’elemento sollevando il palmo destro verso il cielo: una goccia di sudore le attraversò la tempia e nella sua mano apparve un minuscolo mulinello d’aria. “Lo rammento, mi hai già insegnato a evocarlo secondo la mia volontà.” Eric le rivolse un sorriso sghembo e si sedette a sua volta. “Rossa, non direi che ti ho proprio insegnato, anche se devo ammettere che impari in fretta.” Le strizzò l’occhio e Ilaria si disse che il suo angelo quel giorno sembrava molto più coinvolto del solito. “Adesso vedremo se sai mantenere il controllo anche in situazioni più dinamiche.”

§§§

Iris era a corto di fiato e così si appoggiò al lampione più vicino, ansimava ma era soddisfatta, così alzò la testa e alla vista del cono gigante di fianco all’insegna le tornò subito il buon umore. Il loro cono si dimostrò ancora una volta gustoso e fin dalla prima settimana quel negozio era diventato per lei una specie di virtuale traguardo: il punto da cui fare dietrofront e tornare verso casa. Si asciugò la fronte e il volto grassoccio del gelataio le rivolse un sorriso bonario: Iris non ci aveva fatto neanche caso, ma doveva essere diventata una sorta di cliente affezionato. In una delle prossime occasioni quel tipo l’avrebbe potuta accogliere con il quesito tipico dei pub dei film: Il solito?

La ragazza scosse il capo e dirigendosi verso l’uscita si accorse di essere osservata da una sua coetanea che sedeva in un angolo: jeans, maglietta a fiori, degli occhi grandi a malapena nascosti dagli occhiali e dei capelli color nocciola raccolti in una treccia. “Ciao, io sono Janet.” Le sorrideva e con un gesto della mano la stava invitando a sedersi con lei. Iris immerse le labbra e assaporò il cono al limone, mentre il suo cervello si sforzava di decifrare la tipa e le sue gambe la spingevano da lei. Cosa voleva quella ragazza? Era sicura di non averla mai vista, tuttavia quella non smetteva di sorriderle. “Ciao.” L’aveva salutata con un sussurro incerto, ma lei sembrava non accorgersi delle sue esitazioni e la invitò nuovamente a sedersi. “Sei nuova, vero?” Iris s’irrigidì ma prima che potesse risponderle Janet andò avanti: “Non voglio metterti a disagio, tranquilla.” Aveva alzato entrambe le mani davanti a se, in una muta dimostrazione di buone intenzioni. “È solo che non ricordo di averti incontrata prima e penso che dovremmo essere più o meno nella stessa classe.” “Giusto, sono arrivata in città da poco, mi chiamo Iris e sono dagli Anderson.” Nel momento stesso in cui si presentava Iris se ne pentì: Janet avrebbe messo in giro pettegolezzi su di lei? Ottenere informazioni e non concederle era da sempre la sua prima regola di sopravvivenza. Ho capito, hai un nome davvero carino.” Suo malgrado Iris arrossì timidamente: non era per niente abituata ai complimenti. “Spero che diventeremo buone amiche, che ne dici?” Sembrava sincera e quando Iris l’osservò lasciare la gelateria si sentì stranamente serena: Janet poteva piacerle, avrebbe avuto un’amica.

§§§

La stanza era avvolta in una grigia coltre sovrannaturale e al suo centro svettavano cinque bracieri di bronzo finemente lavorati. Era no allineati l’uno di fronte all’altro e i loro fregi erano riconducibili a scene della mitologia medio orientale. Quando cominciarono i rintocchi s’illuminarono uno per uno, tramite fiamme dalle sfumature differenti e tuttavia l’ultimo di essi rimase inerte: una spaccatura lo passava verticalmente da parte a parte e dopo pochi istanti si ridusse in polvere. Trascorsero attimi interminabili e all’interno delle fiamme danzanti apparvero le ombre dei quattro Anziani sopravvissuti a Sihel. “Non possiamo lasciare che il disordine si propaghi fino a contaminare anche i nostri ranghi.” La fiamma di Anyel sfarfallò fino a farsi sempre più scura. “Ne abbiamo parlato più volte, eppure per quanto ci abbiamo pensato la soluzione resta sempre e soltanto una.” Nei suoi sardonici interventi Caiel aveva sempre un che d’irritante. “Scegliamo un nuovo quinto Anziano, sarà soltanto un fantoccio che eseguirà i nostri ordini però calmerà i facinorosi e noi avremo il tempo di cancellare le cause principali dei nostri problemi.” L’irruenza tipica di Meiel traspariva addirittura nella sua fiamma di comunicazione, che fin dal primo istante non aveva mai smesso di agitarsi con frenesia. “Perdonatemi l’ovvietà, tuttavia già il fatto che le nostre riunioni avvengano con questi mezzi tanto arcaici rappresenta un segnale indicativo della situazione in cui ci troviamo: non abbiamo più la certezza del controllo sulla popolazione e il tarlo del tradimento potrebbe arrivare ad intaccare persino noi Anziani.” Nessuno degli altri accennò a protestare o ribattere, così Riel andò avanti. “Restando uniti potremo ancora schiacciare l’opposizione, tuttavia  i nostri animi non sempre sono concilianti e questo può rappresentare un ostacolo non da poco. Perché non lasciamo che ognuno di noi sia libero di fare quello che gli riesce meglio?” La sua voce era calma e trasmetteva sicurezza, Riel possedeva da sempre  l’abilità innata di far sembrare ragionevole anche il piano più folle. “Cos’avresti in mente?” Meiel mugugnava sospettoso, come se per natura dubitasse di chi possedeva una lingua troppo sciolta. “Niente di troppo complicato mio possente collega: ad esempio penso che voi dovreste occuparvi della nostra piccola spina nel fianco.” Meiel approvò con un grugnito. “Mentre Anyel, con il tuo carisma potresti sedare i dubbi tra i nostri fratelli di rango inferiore. Il popolo deve mantenere sempre una sufficiente fiducia in chi lì governa.” Questi parve divertito dalla sfacciata proposta e così Riel continuò. “Caiel, non credere che mi sia dimenticato del tuo interessante seguito o dei tuoi talenti. In un certo senso penso di averti lasciato la ciliegina sulla torta: Eric e la sua scimmia da compagnia. Che te ne pare?” Come risposta ricevette una sonora risata: “Non vedo l’ora di mostrargli i miei giocattoli.” “E per te quale importante compito di saresti riservato?” Anyel era sarcastico, però Riel non se ne curò. “Mio caro, direi che ì ovvio: come esperto marionettista cercherò il burattino adatto a sostituire il vecchio Sihel.” Con una risata sguaiata la sua fiamma si spense, la riunione era finita.

   
 
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