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Autore: Mushi    18/02/2013    1 recensioni
E allora che cos'è che poteva succedere?
Facile. Avvenivano le solite scenette di ogni giorno. Quelle in cui Germania diventava paonazzo e lo tirava per i piedi, mentre Giappone restava sullo stipite della porta a ridere.
Iniziavano tutte con Germania che urlava.
“Alzati idiota! Vai a lavorare invece di startene qui a ridacchiare come una iena maledetta!”
“Noooo! Germania-san! Non essere così duro, io sto solo facendo il mio dovere! Noi Italiani se ci alziamo troppo presto non riusciamo a lavorare poi!”
“Taci che sono le dodici e mezza! Hai dormito tutta la mattina, brutto imbroglione...!”
“Aaaah! Aiuto! Aiuto! Giappone, digli qualcosa! È impazzito!”
“No Giappone, dì qualcosa a lui piuttosto, e fallo scendere dal letto! Disgraziato che fai lavorare gli altri al posto tuo!”
“Germania-san invece di lamentarti e basta, potevi anche venire a svegliarlo un po' prima.”
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II

 

Veneziano stropicciò gli occhi e si stiracchiò. Dal divano caddero una manciata di cuscini.

Di nuovo sveglio, balzò subito a sedere, volgendo alla stanza uno sguardo allarmato. Ebbe un attimo di smarrimento, poi, parve subito ricordare dove fosse.

«Germania? Giappone?» No, non sono ancora arrivati. Si alzò dondolando, e raggiunse ad ampie falcate la porta d'ingresso.

Romano aveva detto di... no, non importa.Germania e Giappone sono troppo in ritardo. Voglio andare a cercarli.

«Romano, io esco!» urlò, e nel medesimo istante abbassò la maniglia d'ottone.

Una folata di vento bollente l'investì in pieno non appena aprì la porta. I capelli gli si arruffarono in fronte, per poi finire tutti capovolti all'indietro, solcati da forti soffi.

Fu istintivo chiudere gli occhi e proteggersi il volto dall'abbaglio di luce. Non per questo però, esitò a compiere un passo verso l'esterno.

Dietro a sé, la porta sbatté rimbombando; davanti, spaziava ancora il nulla coperto dalle sue mani.

Riuscì a socchiudere le palpebre, ed un raggio di luce filtrò attraverso le dita.

«... il tramonto!» disse con una lentezza straziante. Il tramonto di Giappone. Il tramonto più grande e luminoso che avesse mai visto.

 

«che bello, Giappone che sorride.»

« Non deve aver visto la tua faccia per molto tempo, allora.»

Alla battuta di Germania, Giappone rispose con una risata cristallina. Veneziano, dal canto suo, non ci diede troppo peso. Si staccò dal fianco di Germania e raggiunse Giappone seduto in cima alla collina.

«IEEEE!» urlò, e si buttò rotolando giù per il pendio.

«l'abbiamo perso»

«Sì, ma è fuori di testa da quando è nato.» rispose Germania facendo un gesto di stizza.

«Beato lui.»

«è sempre solo un bambino.»

«Infatti.» Giappone osservò il cielo tinto d'amaranto. Puntò l'indice contro il sole morente «è come il tramonto. Anzi, come l'alba. No, come l'alba e il tramonto messi assieme. I loro colori vivaci, caldi e rilassanti. Ma anche perché loro non invecchiano mai.

Spariscono per delle ore. A volte, col brutto tempo, anche per giorni. Ma tu sai sempre che ci sono. Che rimarranno e non cambieranno mai.»

Germania ascoltava senza parlare. Sembrava che il silenzio bastasse a riempire l'atmosfera magica del momento.

«Ogni volta che li vedo non riesco ad essere di cattivo umore. Ecco perché mi piacciono. Mi ricordano tanto Italia. Lui ci sarà sempre per noi, qualsiasi cosa accada, non cambierà mai.»

Le parole di Giappone strapparono un sorriso a Germania. Entrambi provarono un senso d'oppressione commovente. Sapevano ciò a cui Giappone si riferiva, e più intensamente ci pensavano, più il desiderio rodente di attaccarsi saldamente a quel luogo, a quei sentimenti, si insinuava nei loro petti. Le dita di Germania s'ancorarono al terreno «A Giugno dovremo...»

«Buh! Parlavate di me, veroo?» Veneziano saltò in aria, atterrando con una seduta teatrale dietro alle loro spalle. Prese sotto i gomiti le teste dei suoi due amici ed iniziò a dondolare. Giappone e Germania iniziarono a ridere e lamentarsi assieme.

«E sta fermo, scimmia degenere! Vai a lavorare piuttosto.» disse Germania col sorriso in volto.

 

La luce del tramonto cominciò a diradarsi. I contorni degli oggetti si fecero più netti, le ombre più sottili. Veneziano iniziò ad identificare ciò che aveva davanti. Il suo cervello ragionò sulle immagini discordanti che gli apparvero. Cominciò a capire che quello che aveva sempre pensato essere solo un tramonto, non era in realtà ciò che sembrava.

Ma per lui questo era già troppo.

Il forte odore di bruciato gli graffiò la gola, lasciandolo senza fiato.

Sgranò gli occhi.

Sgranò gli occhi ancor di più quando realizzò definitivamente la scena che aveva di fronte. Quando capì che i suoi occhi non mentivano, perché ciò che vedeva era inconfutabile.

Tentò di camminare. Desiderò di poter correre e cancellare tutto, con un solo gesto della mano.

Ma la mano che aveva quel magico potere di detergere, si era arrestata a mezz'aria.

Protesa in avanti, cercava invano di raggiungere soltanto con la punta delle dita quel quadro.

E le sue gambe, che non desiderava altro che corressero – a raggiungere quella scena... o anche lontano, oltre i confini del mondo - tremarono convulsamente; e l'abbandonarono, facendolo cadere a terra in ginocchio.

Posò le mani sui capelli. Soltanto per verificare se esistevano ancora. Se in tutto questo, lui fosse ancora vivo... presente.

Passò una seconda raffica a smuovergli i vestiti. Con essa, un foglietto giallo si scontrò sul suo viso.

Italia lo prese tremando. Portandoselo sul grembo, lesse con la vista annebbiata.

14 Giugno XXXX,

Sotto comune accordo, ogni qualsivoglia gesto di pace verso le nazioni nemiche è ritenuto non valido e pressoché inutile. Dunque, azioni non belliche verso costoro saranno ritenute illegali ed inammissibili. Con questo io intendo dichiarare che una nuova WW3 ha oggi inizio. Non sarà escluso uso di armi particolari. Questa, prenderà il nome di guerra d'annientamento. Pertanto, che sopravviva il migliore.

Prussia”

 

Prussia? Che sta dicendo?

 

 

Toronto, Canada

Conferenza Mondiale 4 Giugno dell'anno XXXX,

 

Urla e pugni rimbombavano dalla porta della sala accanto. Si sentì la voce di Francia, poi quella di Grecia.. infine quella di Austria. Tutti che litigavano come mai prima d'allora. Una battaglia di parole acide, e di grida amare, si stava disputando da lunghe ore nella sala per le assemblee. E nessuno che osasse mettere un cucchiaino di zucchero in quella lite.

Anzi, la discordia aumentava drasticamente ogni secondo che passava.

«Ah... non ne posso più» disse Inghilterra esasperato. Pigiò il tasto per il caffè di una macchinetta delle bevande.

«Queste riunioni sono estenuanti. Mi fa malissimo la testa. Non vedo l'ora di tornarmene a casa» aggiunse Islanda. Inghilterra assentì, buttando giù tutto d'un sorso la bevanda bollente che aveva appena comprato.

Pochi istanti dopo, fecero il loro ingresso Giappone e Germania, seguiti a distanza da Cina.

Germania, coi capelli in disordine, chiuse la porta alle sue spalle con un gesto violento, sospirando energicamente. Quando il gruppetto raggiunse la macchinetta dove Inghilterra e Islanda stavano tranquillamente riposando, ci fu uno scambio di saluti forzati e sguardi ostili tra gli Stati orientali e quelli europei.

«Penso che quest'ultima volta, le cose si stiano mettendo male per tutti» disse Germania interponendosi tra Inghilterra e Giappone.

«Già,» disse Inghilterra, esibendo una smorfia intollerante «ma ormai è quasi tutto deciso. Impossibile che non scoppierà una guerra»

«Impossibile che non scoppierà una guerra che non coinvolga troppi paesi» specificò Cina.

Nessuno osò ribattere o aggiungere niente.

Passarono istanti di muto imbarazzo a guardarsi l'uno le cravatte dell'altro, senza che nessuno osasse alzare la testa.

Poco più tardi, anche America fece ingresso nel salotto. Il quale, seppur con profonde borse sotto gli occhi, tentò di mostrare il lato migliore di sé «Ciao a tutti! State bene?»

«Sì» rispose un coretto di voci poco sincere.

Vedendo che non era il momento giusto per i convenevoli, America non si sprecò troppo in frasi vane. Prese il braccio d'Inghilterra, tirandolo a sé «Scusate il disturbo, ora noi ce ne andiamo...».

Germania e Cina chinarono il capo in segno di saluto. Giappone esitò, poi imitò Cina in un'inchino formale. Quando ormai anche Islanda si era voltato di spalle, Giappone ci ripensò. Si diresse correndo verso America, tirandogli la manica della giacca «Che cosa succederà?» chiese preoccupato.

America lo fissò stupito, poi gli rispose dolcemente «Non lo so, ma non ti preoccupare.»

«... Se ci sarà una guerra come faremo a combattere?»

«Avrai degli alleati.»

«... E i paesi neutri? Chi li difenderà?»

«Se ci sarà una guerra, nessuno ne rimarrà fuori, stanne certo.» tagliò corto Inghilterra, voltando bruscamente America verso di sé e costringendolo ad accelerare il passo.

«...E.. aspetta... e Italia?» urlò Giappone «... Italia che fine farà?»

Non solo il cuore di America perse un battito, ma anche tutte le persone che erano presenti nella sala volsero l'attenzione sul caschetto nero di Giappone.

«Dov'è? Non è qui con voi?»

«No.» disse Germania «I gemelli sono rimasti entrambi a casa.»

«Come mai?»

« Loro non c'entrano in tutto questo... Non capirebbero neanche. Questa è una guerra tra persone... adulte. Insomma, capite anche voi che sarebbe meglio se ne stessero fuori.»

Per la prima volta in quel giorno, sei paesi contrastanti si trovarono di comune accordo.

«Vogliamo bene ad Italia. Lo proteggeremo noi.» disse Islanda col sorriso in volto.

« Sì. Tenterò di nascondere la cosa. » disse America con sincera speranza «Farò deviare i discorsi sulle altre nazioni. Vedrete che almeno loro ne resteranno fuori. Anche a me non va di inserirli in tutto questo.» aggiunse con un sorriso complice. Infine, assecondò la mano di Inghilterra che lo tirava fuori dal colloquio. Entrambi, sparirono dietro l'angolo del lungo corridoio.

«Vedrai che si salveranno» disse Cina, sorridendo a Giappone.

 

«WW3?»

Veneziano alzò nuovamente gli occhi sulla quercia che era cresciuta di fronte a casa. Alle sue radici giacevano migliaia e migliaia di corpi esamini, coperti dai brandelli dei vestiti della persona che riposava sopra di loro. Tutti velati a loro volta da una spessa patina rosso scuro.

Italia strinse i denti in una smorfia disperata. Questa volta ce la fece. Riuscì ad alzarsi e correre verso la massa di cadaveri. Tutti... tutti «Sono tutti morti?!»

Cercò di riconoscerne qualcuno. Anche se in fondo, già sapeva che il numero delle vittime corrispondeva alle persone che aveva sempre conosciuto. Si lasciò sfuggire un sussurro di dolore.

Arrivò ai piedi di due corpi voltati supini. Provò a scavalcarli, ma dall'agitazione inciampò su un terzo. Cadde.

Davanti ai suoi occhi, il volto semplice, puro e bellissimo di una ragazza. Io penso che non sei molto carino.. è più bello tuo fratello! Però devo ammettere che... i tuoi occhi sembrano fatti d'ambra. Sono stupendi.

«Ungheria... Ungheria!» prese la sua testa tra le mani, togliendole il sangue rappreso dal volto. Le accarezzò dolcemente i lunghi capelli nocciola, incrostati ed un po' bruciacchiati dalla battaglia.

Non può essere, non può assolutamente essere vero. L'attirò a sé, stringendola fra le braccia. Naturalmente, il corpo della ragazza rotolò di lato. Veneziano tentò ancora di riprendersela in braccio, ma era troppo pesante per riuscire a sollevarla. I suoi vestiti impregnati di sangue l'appesantivano. Allora, girando piano il volto, notò che accostata alle sue cosce, un'altra ragazza dormiva serena.

«Belgio, perché? Perché hai un fucile in mano?»

Veneziano, senza abbandonare Ungheria, spostò con una mano il fucile tra le braccia esili di Belgio. Lo buttò lontano, tra la massa informe di corpi. Delicatamente, scostò anche a lei i capelli dorati dal viso. Era dolce. Lei era sempre stata dolce. Amava i fiori, la campagna, l'aria aperta... la conosceva. Vieni con me.. dai! Andiamo a raccogliere un po' di fiori per la mamma. Io adoro i girasoli, e tu? Allora perché vestiva un uniforme, e tra le mani non era un fiore quello che aveva stretto fino a quel momento? Chiuse gli occhi infastidito.

Riaprendoli nella direzione in cui aveva lanciato il fucile, notò qualcosa che lo lasciò sgomento.

«Francia no!! No, no no no!» abbandonò i corpi che aveva appena trovato, per andare incontro a quello di Francia. Corse fino a raggiungerlo, appoggiato al tronco di un albero. Urlando, emise un singhiozzo. Si sfregò la guancia per non lasciarsi andare. Guardò gli occhi vitrei dell'amico. Era bello. Era sempre stato bello, quasi da paura.

Anche da morto non aveva perso quella caratteristica.

Oggi pranzi da me. Vedrai, ti cucinerò la migliore omelette che tu abbia mai assaggiato.

Veneziano iniziò a tirargli la camicia. Lo strattonò violentemente fino a quando il corpo di Francia non aveva deciso di seguire i suoi movimenti. Poi, disgustato da quello che stava facendo, si rannicchiò sul suo petto, lasciando sfuggire dalle sue labbra ancora qualche singhiozzo.

«Veneziano...»

Veneziano ripeteva convulsamente il nome di Francia Francia...

«Veneziano!»

Veneziano si era tappato le orecchie per non ascoltare altro che la propria voce. Il riflesso automatico che la sua mente aveva, di far riaffiorare i ricordi, gli faceva più male del resto.

«Veneziano, ascoltami» la mano di Romano si avvicinò alla sua spalla, appoggiandocisi dolcemente.

«Perchè, perché non si svegliano?»

«Perchè sono... Stai piangendo?»

«No. Veneziano non piange mai.» disse tra sé, con l'intenzione d'imporsi di non farlo.

Girò la testa verso sinistra. Poi verso destra. Cercò qualcosa con la frenesia di un pazzo.

«Non può essere vero.. fa che non ci sia... fa che non lo veda»

«Veneziano, calmati. È meglio che torniamo dentro casa...»

«Zitto!» disse l'altro, fermando la testa verso un'unica direzione.

Eccolo. L'aveva trovato.

Si alzò barcollando. Romano tentò di sorreggerlo, ma quello lo scansò in malo modo.

Esitò solo un'attimo, con la testa china e le braccia ciondoloni rivolte verso terra.

Poi s'alzò di scatto, ed iniziò a correre. Correre più che poteva,

«Bugiardo! Sei solo un bugiardo!» urlò pieno di rabbia.

Si fermò di colpo vicino ad un altro ammasso di corpi. «Bugiardo! Bugiardo! Bugiardo! Sei cattivo! Sei sempre stato un maledetto bugiardo!» disse gettandosi sul petto di uno dei cadaveri.

Ripetendo che quel corpo non fosse altro che un vile ipocrita, iniziò a picchiarlo.

Romano, distante sotto la quercia, guardava sconvolto il fratello che urlava.

«Bugiardo! Mi avevi promesso che saremmo stati per sempre insieme! Perché l'hai fatto? Perché?

Io te l'avevo detto, non dovevi promettere se poi dopo non riuscivi a mantenere il giuramento... ma tu hai giurato lo stesso! Stupido! Stupido! Stupido! E non guardarmi così! C'era anche Giappone con noi... lo hai giurato anche a lui...»

Veneziano si fermò un attimo a pensare. Poi riprese a piangere «.. ma a lui la promessa l'hai mantenuta. Lui non l'hai lasciato da solo. … perché? Valgo davvero così poco? ...»

Un paio di singhiozzi gli mozzarono le parole in gola.

«Senti, io non sono davvero cattivo. Non farò più i capricci te lo giuro, uscirò a lavorare alle dieci di mattina... e... e lavorerò sempre. Giorno e notte. Per tutti e tre. Sì, lavorerò per noi tre, farò tutto io... rimetterò anche in ordine la stanza, te lo giuro.»

Non riuscì più a parlare. Le lacrime cadevano calde sui vestiti cremisi di Germania.

Veneziano, appoggiato sul suo petto, aspettava solo di vederlo respirare; di sentire il suo cuore battere ancora una volta.

Piangeva a dirotto. Mai aveva pianto così tanto.

Si morse le labbra per cercare di trattenersi. Ma più tentava ti recuperare il controllo, più lo perdeva, piangendo sempre di più. «Torna, ti prego... torna... ghhh.. »

Chiuse gli occhi. Non aveva senso stare a guardare, si sarebbe solo fatto più male.

Ma il dolore, anche ad occhi chiusi, lo sentiva lo stesso. Anzi, avere soltanto il petto di Germania come àncora che lo legasse alla realtà, era ancora più doloroso. Non ve ne andate tutti.

 

Romano decise di raggiungerlo. Trattenendo la nausea, oltrepassò a grandi falcate ogni cadavere.

Anche quando per sbaglio s'imbattè nel corpo della persona che conosceva meglio di tutti Oggi fa caldo. Che ne dici di andare in piscina? Il calcio ce lo giochiamo un altra volta, dai!

Non si fermò. Lo seguì soltanto con la coda dell'occhio, per poi concedersi una lacrima alle sue spalle. Continuò imperterrito fino alla schiena del fratello, che si muoveva scossa da tremiti sopra al cadavere di due ragazzi, morti insieme nello scontro finale.

Veneziano teneva per mano Giappone, mentre non smetteva di sgridare e pregare Germania.

«Veneziano che ne...»

«Sì» gridò l'altro senza mostrargli il volto «Sto piangendo, va bene?! Lo so, lo so... ma non ci riesco...» si abbandonò ad un'altra scarica di singhiozzi.

«No, tranquillo. Ti capisco.»

«Ma perché? Perché l'han fatto?»

«Questo non lo so»

«Perchè ci hanno lasciati da soli? Perché?»

«Vedi... noi non siamo soli. Siamo fratelli. Abbiamo sempre una spalla su cui contar...»

«Ma perché?!» urlò più forte Veneziano.

Romano tentò di rispondere ma Veneziano l'interruppe nuovamente. Più che altro parlò a se stesso... « una festa. Loro dovevano organizzare una festa forse...»

Romano lo guardò tristemente.

«Torniamo a casa, forza. Hanno voluto proteggerci fino alla fine... direi che ci sono riusciti benissimo. Devi sapere che quando un'anima riesce ad esprimere il desiderio più grande che ha nel cuore, alla fine è libera.»

«... Questo l'ha detto il nonno» l'apostrofò il fratello.

«Lo so. E aveva ragione. Il loro più grande desiderio era quello di proteggerti: ora loro sono liberi, magari adesso ci stanno guardando»

«Se ci stanno guardando allora perché non vengono a prenderci? Sono solo egoisti, gli piace vederci soffrire così! Io volevo stare per sempre con loro... non saremmo stati bene così?»

Romano ignorò le parole di Veneziano. Lo sollevò per un braccio, e caricatoselo in spalla, si voltò verso casa.

Veneziano mosse una mano verso i corpi distesi per terra, ma non oppose più di tanta resistenza ad essere trascinato via.

Continuò a piangere in silenzio sulle spalle del fratello.

«... Vivi per loro,» continuò Romano «Ora l'ultima cosa che vorrebbero, è vederti così.»

«Ma... Germania e Giappone avevano detto...»

Quando capì ciò che Romano stava dicendo, cambiò espressione. Si voltò un'ultima volta indietro, verso quei corpi dormienti che si allontanavano. «Loro avevano detto che...» tentò ancora di dire.

Intanto sorrise. Io sono così. Sono come il tramonto di Giappone, devo sorridere. Sorridere per loro. Inutile. Servì solo a sentire altre gocce calde scottargli il mento. Ricominciò a piangere.

Romano non lo stava ascoltando. Si era fermato di fronte al corpo di Spagna per l'ultima volta.

«Loro avevano detto che... » continuò Veneziano, fingendo di non accorgersi che Romano desiderava più di ogni altra cosa poter restare da solo con Spagna.

«Smettila di frignare. Che cos'hai ora? Non piangere sempre quando ti rimprovero! Se tu ti svegliassi prima, questo non accadrebbe! Quante volte te lo dobbiamo ripetere...»

« Germania-san, non essere così duro, lo spaventi così. Italia, ascoltami, noi ti vorremo sempre bene! No?» disse Giappone

«Ma sì, ovvio!» rispose Germania «Chi ha mai detto il contrario?».

 

«..Vi voglio bene anch'io»

  
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