Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: CodaViola    18/02/2013    4 recensioni
Oneshot su un crudele bandito senza scrupoli, e della bambina che gli salvò l'anima.
Armish, un elfo senza più emozioni o sentimenti, si trova ad affrontare il suo peggior nemico: una bambina di soli sette anni.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Armish si svegliò molto presto quella mattina, molto presto anche per i suoi canoni; il sole non era ancora sorto, e lui poté sgranchirsi con tutta calma le ossa doloranti per la lunga camminata del giorno prima.
Si scrollò la coperta di dosso, si tirò su a sedere, sbadigliò e finalmente si alzò in piedi, aveva molto lavoro da fare.  Si guardò intorno con aria circospetta, le braci del piccolo fuocherello che aveva acceso il giorno prima ancora ardevano, emanando ancora un tenue calore. Con movimenti fluidi prese i vestiti che la sera prima aveva steso ad asciugare su una corda penzoloni tra due alberi, e si diresse a passo leggero verso il laghetto vicino. Gli piaceva camminare scalzo nel bosco, lo faceva sentire in qualche modo vivo, una sensazione che non provava spesso, non dopo quel giorno.
Si spogliò dei vestiti che usava per la notte, si immerse fino alla vita nel laghetto e si strofinò con forza, cercando di cancellare il fango incrostato, i vari graffi e la sporcizia; con lo stesso procedimento pulì i suoi capelli verdi, non per vanità, ma per praticità: non gli piaceva essere sporco, i capelli gli si appiccicavano alla fronte, e doveva sempre scostarli, che irritazione!
Finito di lavarsi uscì dall’acqua, si strofinò bene con un asciugamano e si vestì con i vestiti puliti: una tunica verde-marrone, dei pantaloni di pelle aderenti color marrone scuro, la cinta dove teneva legato il fodero della sua spada e del suo coltello da caccia e infine il suo mantello. Se c’era una cosa che poteva permettersi di amare era proprio il suo mantello, aveva un colore indefinito, tra il blù, il nero e il grigio, e tra i raggi del sole che filtravano dalle foglie del bosco prendeva delle sfumature argentate.
Tornò al suo piccolo campo, piegò con cura coperte e vestiti e li ripose nel suo enorme zaino.

La sera prima, dopo lunghe ricerche (e una lunghissima camminata) era riuscito a trovare quella radura, isolata in mezzo al bosco, sulla cima di una collina. Distava più di mezza giornata di cammino dal paese ai suoi piedi, abbastanza lontano da non avere problemi con i “vicini” e abbastanza vicino da poter andarci tranquillamente, in caso di necessità. Non era ancora andato a vedere il piccolo villaggio, perché erano tre giorni che vagava in quella foresta quasi infinita, senza mai fermarsi, se non per riposare quel tanto che bastava a poter proseguire.
Sospirò, finalmente era riuscito a trovare un posticino comodo, e sperava che questa volta quegli zoticoni del nuovo villaggio non lo scoprissero tanto presto: odiava davvero spostarsi, era un bandito, sì, un criminale, anche un assassino, ma non sopportava dover vagare per boscaglie in cerca di un accampamento.

Si sedette vicino alle braci morenti, con un bastoncino cercò di riattizzare la fiamma, ci gettò qualche pagliuzza e nuova legna da ardere e rianimò il fuoco. Faceva un po’freddo, in quei giorni che sarebbero dovuti essere primaverili, ma probabilmente era il vento che soffiava dalle montagne… non era mai stato bravo coi venti. Fino alle brezze da evitare per passare sottovento alle sue prede ci arrivava, ma non era un meteorologo… e sarebbe stato inutile esserlo, di questi tempi in cui il vento e il clima facevano come gli pareva. Con questi pensieri per la testa mise sul fuoco gli avanzi dello stufato della sera precedente, cercando di riscaldarlo; arrivato ad una temperatura accettabile trangugiò il brodo di coniglio (che era riuscito con un colpo di fortuna ad uccidere la sera prima, quando ormai disperava di poter mettere qualcosa sotto i denti), e, soddisfatto, rimase seduto qualche minuto a pensare. Adesso aveva bisogno di una tenda, o di cercare una grotta lì vicino, o magari tutte e due le cose, purché fossero vicine al laghetto. Acqua è vita, avere acqua, significa poter campare ancora per una settimana, persino con solo un misero pezzo di carne a disposizione…  Armish strinse gli occhi, la voce dell’uomo che gli ronzava nella mente ripetendo queste parole non sarebbe riuscita a farlo tornare indietro nelle sue scelte, non dopo quel giorno.
Passò tutta la mattinata a cercare un riparo, e in assenza di un misero buco nella roccia, si dovette rimboccare le maniche per costruire un misero tetto per ripararsi dalle piogge primaverili.

- La vita del fuorilegge è dura, vero, vecchio mio?- si ritrovò a pensare il giovane elfo dai capelli verdi –Ma dopotutto eri preparato a questo, no? Dopotutto hai deciso TU questo, no? Dopotutto, è stata colpa TUA se adesso sei un criminale, no? Certo che no! Non ho chiesto IO che quei bastardi si sottomettessero senza fiatare! Non ho chiesto IO quel massacro insensato! Al diavolo, questo mondo è in malora anche da prima che mi mettessi a rubare, uccidere e vivere di stenti!-
Come a rispondere ai pensieri turbolenti dell’elfo, un grido disperato si alzò dalla foresta, e poi un altro e un altro ancora… grida laceranti, di una giovane donna.

-Tsk! Andiamo a far visita ai nostriveri nuovi vicini!- Ovviamente si riferiva ai vili uomini che stavano facendo urlare così a squarciagola la povera donna.
Si slanciò verso la direzione del grido, non serviva ripetersi che voleva solo osservare gli altri banditi, e che non aveva nessun’intenzione di intervenire, perché sarebbe stato stupido, nonché inutile.
Riuscì a trovarli dopo pochissimo, erano cinque uomini, e da soli facevano così baccano che si meravigliò che gli zoticoni del villaggio non fossero intervenuti. Se poi si contava la donna urlante, non si sarebbe stupito se si fossero  già precipitati lì. Ma oltre i cinque uomini, che tra l’altro puzzavano, c’era solo la donna, e una piccola bambina, probabilmente la figlioletta sfortunata della donna sfortunata. Armish si teneva a distanza, e gli uomini, idioti, non l’avevano neanche sentito arrivare.

Quello che colpì l’elfo non furono i gemiti strazianti della donna, o il fatto che era già stata spogliata di tutto ciò che poteva essere vendibile, compreso il suo mantello, che sembrava più uno straccetto, non fu la vigliaccheria dei cinque uomini, ad attaccare la donna indifesa, e se per questo non fu neanche la loro puzza nauseabonda, ma furono gli enormi occhi viola della bambina: erano spalancati, sì, ma non si leggeva solo paura, anche una strana… fiducia?  Chi diavolo era, quella bambina, dannazione! Le stavano per accoppare la madre! Perché non gridava, perché non piangeva o faceva le solite moine che fanno i bambini? Al diavolo!

Decise di lasciar perdere, e intanto i cinque uomini stavano farfugliando di quanto potesse valere la donna se venduta come schiava; uno si era avvicinato alla bambina, l’aveva afferrata per i capelli, e puntandole un coltellaccio alla gola quasi ruttò: -E che ne facciamo di questa mocciosa? Non possiamo venderla, la uccido?- Strattonò la bambina, e gli altri, dopo avergli gettato un’occhiata fecero segno di procedere, tutti intenti a sballottare la donna dai capelli verde chiaro, in lacrime.
All’improvviso, senza neanche un segno, la donna riuscì a liberarsi dalla presa degli uomini, e si gettò con foga verso l’uomo che minacciava di uccidere sua figlia.
-Ecco qua, un’eroina, una madre pronta a sacrificare se stessa per la propria figlia, anche lei gettata al macello!-  Rivide se stesso in quella donna, un se stesso che credeva di aver ormai dimenticato, un se stesso più giovane, orgoglioso, pieno di voglia di fare e di tutte le virtù che poteva immaginare… un se stesso che venne prontamente infilzato col coltellaccio dell’uomo, che si era visto quella donna turbinargli addosso come una furia e in un moto di paura, paura! Aveva prontamente reagito… dicendo addio ai soldi che avrebbe potuto guadagnare vendendola.

Finalmente la bambina cominciò a piangere, in silenzio, quasi a singhiozzi.
Tutta la scena, lui l’aveva vista come se LUI fosse stato appena pugnalato, come se la SUA bambina adesso stesse piangendo per LUI.

Sapeva che ormai si era sciolto, si era rammollito, era tornato l’idiota di un tempo. Sapeva che l’avrebbe fatto.

Si lanciò contro il primo degli uomini, il più vicino, e lo infilzò con la punta della spada, sguainata velocemente nello slancio. Il secondo non cercò neanche di reagire, si ritrovò uno squarcio sulla gola prima di poter dire un OH!
Il terzo ormai era pronto, con il suo coltellaccio… pronto? Armish infilzò anche lui nella pancia, forse non era stato così pronto.
Il quarto almeno aveva una spada, e il quinto aveva lasciato andare con uno spintone la bambina, che cadde a terra con un tonfo. I due uomini rimanenti, imprecando, gli si gettarono addosso, con grida disumane, ma non gli andò meglio dei primi tre. Quello con la spada venne facilmente disarmato e poi ucciso, e l’ultimo poté solo vedere i riflessi metallici del mantello del Demone dalle Ali d’Argento e un lampo di collera nei suoi occhi di ghiaccio, prima che la sua testa rotolasse a terra e il suo corpo cadesse scomposto al suolo.
L’elfo non guardò la bambina, si limitò a scavare una piccola fossa con la spada, lavoro questo che impegnò mezz’ora buona del suo prezioso tempo. Prese poi delicatamente il corpo della donna tra le sue braccia, lo depose nella fossa, le accarezzò quasi teneramente una guancia, come a dare addio anche a se stesso, le sistemò bene il vestito in modo che non si vedessero i vari strappi e la ricoprì.
Gettò un’occhiata agli altri corpi, un’occhiata di sprezzo, si costrinse a sopportare la puzza e a trascinarli sotto un cespuglio. Poi se ne andò, tutto questo senza dire una parola, o a controllare la bambina dagli occhi viola.


Camminava ormai da quasi un’ora, e sentiva gli incessanti fruscii dei passi di quella dannata ragazzina dietro di lui, possibile che non potesse lasciarlo in pace? Aveva fatto una sciocchezza ad intromettersi in quella faccenda, e ora ne doveva pagare anche il conto? Possibile che davvero a fare gli “eroi” non ci si guadagnasse MAI niente? Possibile che non potesse essere lasciato MAI in pace? Dannazione, non chiedeva poi molto!


Con questi pensieri continuava a camminare a passo sostenuto, girando per quella dannata foresta e cercando di far stancare quella dannata bambina, che dal canto suo non sembrava aver intenzione di lasciarlo in pace, che seccatura! Certo, avrebbe potuto tranquillamente girarsi e ucciderla, ma quell’idea stranamente non gli piaceva, non che si sentisse in dovere verso la donna uccisa così brutalmente, o si sentisse obbligato per qualche stupido motivo di un qualche onore distorto, ma solo non voleva insudiciare di più la sua spada, per quel giorno ne aveva più che abbastanza. Decise di ignorarla, sperando che quella prima o poi si sarebbe arresa, e cercò di localizzare un piccolo sentiero, creato dall’incessante andirivieni di cervi e altra selvaggina, dove, in un punto strategico, aveva piazzato un laccio, una semplice trappola per qualche coniglio meno furbo del normale.

Trovati finalmente percorso e coniglio ottuso, sgozzò la povera creatura, liberò il laccio e, tenendo il coniglio per le orecchie, procedette a passo spedito verso il suo piccolo rifugio lasciato incustodito quella mattina. Cercò di ignorare i piccoli passi della bambina, che se prima si erano ritratti alla vista del coniglio sgozzato, adesso procedevano quasi trotterellando dietro di  lui, così vicino che se l’elfo si fosse girato, gli sarebbe bastata una spinta per farle sbattere la testa a terra, e dirle addio per sempre.
Armish comunque aveva deciso che non avrebbe ucciso quella mocciosa rompiscatole, anche se gli sarebbe piaciuto liberarsene e tornare alla sua “normale” vita di fuorilegge. Si disse per la centesima volta che non lo faceva per la ragazzina, o per la sua “umanità”, a cui aveva rinunciato tempo addietro, ma più la mocciosetta  gli arrancava dietro, meno lui era convinto di ciò che pensava… Insomma, se avesse voluto un figlio (o, perché no, anche una figlia), cosa che non sarebbe MAI successa, avrebbe voluto che avesse gli occhi e il temperamento decisi e cocciuti di quella dannata mocciosa… ma, si ripeteva, non voleva né figli, né famiglia o qualsiasi cosa anche lontanamente simile ad un “rapporto umano” che potesse avere. Che c’era di male, dopotutto, nel restare da soli? Poteva fare ciò che voleva, senza rispondere a nessuno sennonché, forse, a se stesso.
Si ritrovò quindi a pensare di nuovo alla bambina, cosa che lo irritò non poco, e mentre tornava alla sua “base”, ricacciò indietro quegli stupidi pensieri su quella stupida ragazzina.
Si sedette con la schiena appoggiata all’albero più vicino alle braci del fuoco che ormai si era spento già da un po’, tirò fuori il suo coltellaccio da caccia e si mise a scuoiare la sua preda, senza dar cenno di aver notato la ragazzina che si era seduta a qualche metro di distanza da lui.
Lasciò colare il sangue del coniglio su uno straccio, e poi, riacceso il fuoco, bruciò lo straccio e mise a cuocere su uno spiedo improvvisato  la povera bestiola. Notò con piacere che la bambina aveva allungato lo sguardo verso la carne messa a cuocere e immaginò di sentire persino la pancia della bambina che brontolava. In effetti la bambina sembrava affamata, stanca per la lunga camminata, e lui non si sarebbe stupito se fosse svenuta lì. La bambina aveva suppergiù sette anni, e i suoi grandi occhi viola erano ancora fissi sull’elfo. Teneva i suoi lunghi capelli verde chiaro sciolti lungo le spalle, e portava un vestito tutto pieghe e cuciture, composto da vari tessuti sovrapposti. Magari un tempo poteva essere stato un bel vestito, ma in quel momento era logoro e strappato in più punti, facendolo assomigliare più ad un’accozzaglia di stracci informi.
Mentre Armish mangiava, lei lo osservava quasi con invidia, e dal canto suo, lui non dava cenno di aver neanche notato la bambina. Sperava che comportandosi così, la bambina si sarebbe stufata e si sarebbe cercata qualcun altro da torturare, ma a dispetto di tutto ciò che aveva pensato l’elfo, la mocciosa tirò fuori da sotto uno dei suoi straccetti una bella mela rossa, e cominciò a sgranocchiarla, cambiando il suo sguardo affamato con uno da bambina soddisfatta.
Piccola mocciosa, adesso si procura anche il cibo da sola! Se non avesse avuto tutto il suo autocontrollo, dal suo volto sarebbero trasparite tutta la sua rabbia e delusione, ma la sua maschera rimase inespressiva, i suoi occhi rimasero gelidi e non diede segno di averla ancora vista.
E poi si mise a piovere.
La pioggia scendeva fitta e filtrava tra le foglie degli alberi, spegnendo il piccolo focolare e inzuppando in pochissimo tempo tutto il terreno; Armish avrebbe dovuto aspettarselo, ecco spiegato il freddo di quella mattina, ma era ormai risaputo il fatto che lui non fosse un bravo meteorologo. Comunque non era lui a doversi preoccupare della pioggia, era sistemato sotto il piccolo tetto che aveva costruito in precedenza, e la tettoia sembrava reggere; a doversene preoccupare era la “piccola mocciosa” di Armish, che si era rannicchiata sotto il suo piccolo albero, coprendosi come poteva con i suoi ben miseri stracci.
Adesso Armish la fissava, e se non avesse avuto sempre la stessa espressione di ghiaccio, un piccolo sorriso di trionfo sarebbe appena affiorato sul suo viso, ma lui si limitò ad osservare quella piccola bambina tremare sotto il suo piccolo albero. Perché ancora non se ne andava? Non ne aveva avuto abbastanza? Non l’aveva LUI torturata abbastanza? Quanto ancora doveva andare avanti quella farsa?
Dopotutto la bambina non lo guardava più, tutta raggomitolata su se stessa; a lui sarebbe andato bene uno sguardo di preghiera, un’implorazione silenziosa, ma la bambina sapeva il fatto suo: non un gemito, non un singhiozzo uscì da quel fagotto sotto l’albero.

Allora Armish si alzò, e a dispetto di tutto ciò che aveva pensato o fatto quel giorno, afferrò la ragazzina per la collottola del suo vestito, la prese di peso, la lasciò cadere sotto la piccola tettoia improvvisata del SUO rifugio, tra le SUE coperte calde, e si andò a sedere dove pochi momenti prima era raggomitolata la bambina, con il cappuccio del mantello che gli copriva il volto. Nessuno dei due disse una parola, ma la bambina teneva gli occhi sgranati fissi sull’elfo, e Armish si strinse di più nel suo mantello, con le punte dei suoi capelli ricci già zuppe e appiccicate sulla faccia.




-Angoletto tutto per meh-
Abbiate pietà, è la prima robBba che scrivo (e soprattutto posto qui), siate clementi...
Innanzitutto, dedico questa storia alla mia amica Julia Snape, perchè questo genere di cose le piacciono un sacco (almeno spero D:)
Armish, il protagonista, era nato come personaggio da ruolata, insieme alla bambina (di cui nessuno mi ha ancora chiesto il nome, ahah)... ergo ho cercato in tutti i modi di riprendere il suo carattere. Spero di esserci riuscita, ma sono ancora alle prime armi ^^
So che la scena sotto la pioggia è trita e ritrita, perdonatemi anche per questo ^^
Infine, volevo dire che Armish col raffreddore (perchè alla fine gli è venuto) è qualcosa di tenerissimo (?) *^*
Ringrazio tutti quelli che leggeranno (se, ma quando mai) questa storiella, e soprattutto alle mie amiche, che ho annoiato a morte... Soprattutto Vic, poveretta xD
-La vostra Viola, che cercherà di migliorare-



  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: CodaViola