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Autore: Vally98    19/02/2013    0 recensioni
Una ragazza ferita non da una ma da ben due perdite è capace di chiudersi in sè stessa e di isolarsi dalla realtà. chissà se le sue passioni l'aiuteranno a ritrovare il coraggio di sognare e di sorridere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Salii una rampa di scale e arrivai al secondo piano. Guardandomi attorno mi resi conto di quanto quell’edificio fosse enorme. Ai miei occhi però quello che vedevo appariva come un labirinto, e sul momento decisi di non avventurarmici dentro. Così continuai a salire altre scale, fino al terzo piano, che non appariva, però diverso da quello precedente. Tirai un sospiro e salii ancora, sempre meno convinta dell’esistenza di un ultimo piano.
Invece al quinto piano le cose sembrarono cambiare: non mi trovai più davanti il labirinto di corridoi e stanze come nei piani inferiori. Questa era una stanza unica, enorme.
Rimasi a bocca aperta e iniziai a guardarmi attorno ammaliata: il tetto spiovente cadeva obliquo da un lato, tanto che quando incontrava la parete lo spazio era troppo piccolo persino per stare in piedi; la parete esattamente opposta era tappezzata di specchi. Ce n’erano all’incirca una dozzina. Furono proprio quelli a incantarmi sopra ogni cosa.
Rimasi a fissare la mia immagine come ipnotizzata, ma guardando oltre la superficie riflettente, oltre la mia immagine riflessa, oltre i miei capelli spettinati. Iniziai a vedere gli ultimi avvenimenti della mia vita, come un film, quegli avvenimenti che mi avevano distrutta, che avevano lasciato un terribile vuoto dentro di me.
Quando in quello specchio tornai a vedere il mio riflesso e ripresi il contatto con la realtà mi resi conto che avevo passato parecchio tempo lì immobile. Quanto non seppi definirlo.
Iniziavo però a sentire le voci dei miei genitori che venivano dai piani inferiori, quelle dei miei fratelli tutti eccitati per la maestosità della casa che correvano per le stanze del terzo e del quarto piano.
La stanza era tutta vuota, per il resto. Aveva un pavimento in parquet pallido che brillava come fosse nuovo di zecca.
Solo allora però notai che lungo tutte le pareti correvano due sbarre di legno, parallele, una sull’altra, divise da mezza decina di centimetri.
Mi accorsi di avere la bocca spalancata, il cuore che batteva forte e capii: quella era una stanza da ballo. Da piccola avevo fatto danza classica, per dieci anni. A tredici avevo smesso perché mi ero resa conto di non essere abbastanza femminile per quello sport, ma avevo iniziato a coltivare la passione per l’hip hop, un ballo decisamente più aggressivo e scatenato. Era perfetto per me.
Iniziai a vedermi, in ogni angolo della sala, in tutù e calzamaglia, con lo chignon, le scarpette di tela, mentre volteggiavo percorrendo la diagonale della sala, esibendomi in eleganti piroette e salti, o eseguendo esercizi alla sbarra, dai pliet ai demi-pliet ai granbatman, o ancora al centro della sala, durante gli esercizi di riscaldamento e stretching, ricordando anche quanto eseguivo dei piquet o dei padeburet, o gli jetè...
Sentii di avere gli occhi lucidi. In fondo la danza mi mancava terribilmente. Ormai però ero cambiata e sapevo che non avrei mai indossato un tutù. Però era così triste ricordare quella passione di bambina, quello sport che aveva occupato molto del mio tempo. Era triste pensare che avevo abbandonato tutto, essermi resa conto dopo dieci anni che quello sport non faceva per me.
Tutto quello che desideravo in quel momento era avere a portata di mano un paio di scarpette, per poterle indossare un’ultima volta, per poter provare ancora quella sensazione di volteggiare sul parquet, con la tua immagine riflessa nello specchio che ti segue in tutto ciò che fai.
Avanzai qualche passo verso gli specchi, fino a quando fui così vicina che vedevo il mio fato condensarsi sulla mia immagine riflessa, in candide nuvolette biancastre opache.
Avevo lo sguardo malinconico, era la prima volta che ripensavo seriamente alla danza da quando mi ero ritirata.
Allungai un braccio sopra la testa, piegando il busto verso destra, lo sguardo che seguiva la direzione della mano, come in una posizione di stretching. Sentii il cuore prendere a battere forte. Mi sollevai sulle punte, tendendo bene le gambe. Sentivo la forza dei miei polpacci, tirai indentro la pancia e il sedere, come mi avevano da sempre insegnato di fare.
Chiusi gli occhi. Sentivo ogni parte del mio corpo allungarsi, una sensazione che non provavo da così tanto tempo... rimasi così, immobile, per minuti interminabili che parevano secoli.
Poi piegai la gamba dietro, a triangolo, puntando il piede per terra;  stesi entrambe le gambe, aprendo di lato quella destra, senza piegare il ginocchio, e chiudendo la gamba sinistra davanti alla destra, eseguendo così un padeburet.
Mi fissai allo specchio, immobile in quella posizione, come pietrificata. Ero perfetta, esattamente come quattro anni prima, come se non avessi mai smesso di danzare, come se la danza classica fosse fatta ancora per me.
- Ti manca, vero? – una voce alle mie spalle mi fece sussultare.
Mi voltai di scatto, il cuore che ancora batteva forte.
- Che cosa? – distinsi la sagoma di mio fratello sulla soglia.
- La danza – disse in tono solenne, avanzando lentamente verso di me.
Non risposi. Mi voltai lentamente verso lo specchio, continuando ad osservare il mio fratellone William tramite il suo riflesso.
Non disse nulla finché non fu dietro di me. Anche lui prese ad osservarmi dallo specchio.
- Riprovaci – sussurrò.
- A ballare? No, non posso –
- Non puoi? –
- Non posso –
Sembrò pensarci su.
- Non vuoi – disse in conclusione.
- Può darsi – mi voltai fissandolo finalmente negli occhi – non è più il mio genere –
- Prova con un altro –
Mi morsi il labbro: - Non so da dove iniziare –
- Senti Marika: non ho mai conosciuto nessuno più adatto al ballo di te – sorrisi – se è la tua passione coltivala –
Annuii, poi ritornai a fissare la mia immagine nello specchio. Sapevo che William stava facendo lo stesso.
- Approfittane ora che stiamo ricominciando da zero continuò.
Incrociai i suoi occhi riflessi.
- Non dire a nessuno di questa stanza per favore – mi resi conto di quanto la richiesta suonasse strana.
- Perché scusa? –
- Ti prego –
Si limitò ad annuire e lo adorai per questo.
   
 
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