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Autore: _Kiiko Kyah    19/02/2013    4 recensioni
Esami di università, problemi con gli amici, nuovi incontri, una sedicenne muta senza memoria in giro per casa da gestire: come far impazzire un ventiquattrenne in crisi.
{ Het; Crack!pairing;] [AU!;] [Fluff; Malinconico; Romantico }
"Ascoltami attentamente, Shirou: l'età è solo un fottuttisimo numero."
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Axel/Shuuya, Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Shawn/Shirou, Shuu, Tsurugi Kyousuke, Yuuka Gouenji/Julia Blaze
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'OTP— the phantom and the cutie.'
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Il suo sopracciglio si muoveva da solo, in una reazione nervosa, mentre gli occhi turchese-grigiastri erano puntati su quello che sembrava un enorme e colossale scherzo. Atsuya non riusciva davvero a credere ai suoi occhi, davanti al modo in cui il solitamente scettico Kidou Yuuto sorrideva gentilmente alla sedicenne che, come per miracolo, non aveva destato sospetto alcuno nei compagni d’università del rosa.
Come era possibile?
Era una ragazzina muta, vestita con abiti da uomo, in compagnia di un ventiquattrenne che, sinceramente parlando, non aveva di certo la fama di essere una persona veramente gentile e affidabile... e allora perché tutti si comportavano con quell’astrusa naturalezza?
Quando gli avevano chiesto chi Yuuka fosse, aveva inventato sul momento che si trattava di una studentessa in viaggio di studio alla quale aveva affittato la camera di Shirou. Si era anche dovuto mettere a cercarle un cognome credibile, ma non gli era venuto nulla in mente. A sorpresa, era stata lei a tirarlo fuori da quel problema, comunicando agli altri tramite il quaderno che, dato che detestava il suo cognome, voleva essere chiamata sempre e solo per nome.
Chissà come aveva avuto quell’idea quasi geniale, bah. La cosa veramente -veramente!- incredibile era che tutti quanti i suoi amici si erano bevuti quelle colossali balle. Da quando erano diventati così creduloni? Magari semplicemente non volevano fare commenti... però, vedere la mano si Midorikawa scompigliare delicatamente la chioma color cioccolata della ragazza e osservare le labbra canute di Hiroto rivolgerle parole -probabilmente- gentili gli faceva un certo effetto.
Come se lo stessero prendendo in giro. Sì, doveva essere per forza così.
Un forte colpo sulla testa lo fece risvegliare dai suoi pensieri.
< Questo per cos’era? > si lamentò passandosi una mano sulla parte offesa, lanciando un’occhiata fulminea e nervosa nella direzione del suo migliore amico dalla chioma lunga, sinuosa e dorata come il grano.
< Perché non mi hai detto che ospitavi una ragazzina in casa? > fu la risposta-non risposta di Afuro che, con le braccia incrociate al petto, soffiò infastidito sulla ciocca setosa che gli piombava fastidiosa su uno dei grandi rubini sottili e liquidi che aveva al posto degli occhi.
< È stata una cosa improvvisa. > non nascose il rosa, battendo una mano sul giaccone scuro, come a pulirlo da della polvere inesistente, in un gesto nervoso. < E poi non erano affari tuoi. > aggiunse in un grugnito, portando di nuovo i suoi occhi su Yuuka, che stava subendo in quel momento le pessime battute di Tsunami.
Ci mancava solo che Raperonzolo si mettesse a fare la mammina iper protettiva che deve sapere sempre tutto, assolutamente questo non doveva accadere! Era già successo quando Shirou si era fidanzato con la sorella di Kidou, anche se quella volta a fare la figura dell’impiccione era stato il rasta... non voleva affatto ripetere quell’esperienza. Gli vennero i brividi al solo pensiero, anche perché Yuuto non era ancora uscito da quella fase.
< Come sarebbe, “non erano affari tuoi”? > sbottò contrariato il biondo nell’atto di colpire ancora una volta il suo amico < Io penso solo al tuo bene! >
< Ah? > Fubuki inclinò la testa, appiattendo scettico la sua espressione, fattasi abbastanza negativamente stupita da quell’affermazione. < Quando mai? > il rumore del pugno che il ventiquattrenne dagli occhi sanguigni gli rifilò sulla nuca si udì fino al gruppo dei loro amici –e di Yuuka.
< Sei un Salmone. > mormorò fra i denti Aphrodi < Se ti distrai, andrà a danno dei tuoi studi, e sai benissimo che se non superi eccellentemente il prossimo esame finirai con l’essere bocciato! > eccola, la mammina iper protettiva che deve sapere tutto. E ti pareva che non cominciasse subito con quella stupida e solita solfa...
Un foglio bianco, sul quale era disegnate le parole di una frase, apparve davanti al viso chiaro e già stanco del più iroso fra i gemelli Fubuki. Yuuka, liberatasi in meno di un secondo delle attenzioni di quelle sanguisughe di Midorikawa e Kazemaru -come cazzo aveva fatto-, si era avvicinata, scrivendo sul suo quaderno la seguente frase.
Hai qualche problema con lo studio, Fubuki?
Grandioso. Dischiuse la bocca, più per sorpresa che per rispondere qualcosa; a parlare fu infatti una certa persona bionda che gli stava davvero urtando il sistema nervoso nella maniera malvagia della quale solo lui conosceva i metodi di attuazione. Stupido Raperonzolo del cavolo.
< Qualche? Diciamo centinaia. >
< Ora non esagerare! > si difese raddrizzando rapidamente la colonna vertebrale. L’indice rosato e curato -sì, il caro signorino Afuro si faceva la manicure ogni settimana e poi aveva anche la sfacciataggine di dire che non era per vanità, bensì perché “era figlio di una donna di successo nel campo degli istituti di bellezza, meglio approfittare”- iniziò a fare pressione sulla fronte semi coperta dalle ciocche sbarazzine della pettinatura rosa pesca di Atsuya.
< È un miracolo se sei ancora in piedi, lo sai vero? E ora che Shirou non può più passarti gli esami scritti, sei nei guai fino al collo, Salmone. > gli ricordò piccato, e l’altro avrebbe tanto voluto rispondergli per le rime, senonché nella seria considerazione di Terumi aveva potuto cogliere il nome di suo fratello.
Con tutti i pensieri che aveva avuto a causa della trovatella nelle ultime ventiquattrore, si era realmente dimenticato che il suo gemello era tornato in Hokkaido. L’aveva totalmente scordato... ma a cosa servono i migliori amici, alias piattole, come il suo Raperonzolo, se non per ricordare cose alle quali non si vuole assolutamente pensare? Esami, errori da sistemare, cose da studiare... problemi o situazioni faticose.
Abbassò il capo, tanto che i capelli andarono a coprire i suoi occhi, ormai serrati.
< Vediamo, come posso dire... > rifletté ad bassa voce, mentre i suoi amici si avvicinavano per ascoltare. Succedeva sempre, quando quei due discutevano, per qualsiasi ragione. Ed in particolare Midorikawa e Kazemaru, non c’era nemmeno da stupirsi di questo. Le zecche pettegole aguzzarono le orecchie per sentire meglio le parole glacialmente calme di Atsuya.
< Eh? > mormorò il biondo, che effettivamente non aveva sentito quello che il suo migliore amico aveva detto.
Anche l’unica donna -ragazzina- sembrava totalmente spaesata, ma d’altra parte era entrata nella vita del rosa da meno di ventiquattro ore, e aveva conosciuto l’ambiente in cui vivevano lui e i suoi amici da circa un paio d’ore, al massimo due ore e mezza, o giù di lì.
< Il tuo modo di essere...non è antipatico... > continuò il Fubuki, portandosi una mano sotto il mento in maniera riflessiva, mentre con l’altra reggeva il gomito del braccio piegato verso l’alto, come in una fase di trance meditativa.
< Ehi, Atsuya? > provò a richiamarlo alla realtà Tsunami, passandogli rapidamente la mano aperta davanti al viso, una, due volte, ovviamente senza risultato alcuno.
< Tu sei...il termine esatto è... > andò avanti quell’altro, infatti, incominciando a far preoccupare più o meno tutti. Dava sui nervi, quando faceva così il riflessivo, anche se spesso era più una stupida prassi che terminava con qualcosa di idiota o irrilevante.
Fubuki?– scrisse Yuuka rapida, che naturalmente, com’era logico, non stava capendo niente. Anche se, con lo sguardo così puntato sul terreno, il rosa percepì solamente lo strusciare della carta e il rumore del pennarello sul foglio.
L’uomo sussultò, facendo sobbalzare dopo di lui tutti gli altri, che sembravano pendere dalle sue labbra, nonostante le espressioni abbastanza seccate o annoiate. Tutti eccetto Afuro, che pareva veramente interessato.
Atsuya colpì un palmo aperto con il pugno dell’altra mano e alzò con decisione le sue iridi spente sul suo amico, per poi esalare determinato:
< Petulante! >
La comicità delle reazioni dei suoi amici fu unica, unica come tutte le volte che fingevano di aspettarsi chissà che cosa da parte sua e, alla fine, la situazione non otteneva risvolti seri. Chi roteava gli occhi, chi rideva nervosamente, chi appiattiva la sua espressione nel tentativo di calmare una probabile crisi isterica; e, ultimo ma non ultimo, Raperonzolo serrò le palpebre e socchiuse le labbra in una smorfia nervosa.
Il suo pugno si alzò nell’aria una terza volta consecutiva, piombando violentemente sulla nuca “delicata” del suo migliore amico, facendolo mugugnare di dolore.
< Atsuya, sei un’idiota! >
Niente di nuovo, insomma.
 
Nel suo soggiorno a casa Fubuki, la giovane Yuuka ebbe più e più momenti l’occasione di apprendere che, in effetti, quel genere di frangente tra gli amici del suo nuovo coinquilino e quest’ultimo erano veramente molto, forse troppo, frequenti. Oltretutto, il rosa sembrava perfettamente a suo agio così.
Dopo a malapena una settimana, la sedicenne si era integrata perfettamente nel gruppo di amici, seppur a dividerla da loro ci fosse il suo essere così più piccola e innocente di loro. Spesso i loro discorsi incappavano in termini o circostanze che la castana non capiva, o sui quali Atsuya si premuniva di dirle di non fare domande. A volte la scaricava addirittura con le sue “amiche” donne, quali una giovane e promettente studentessa chiamata Kudou Fuyuka, una signorina dall’aria sbarazzina di nome Otonashi Haruna, una gentile ventiquattrenne che di nome faceva Kino Aki e una -per chiamarla come la definiva il rosa- “ribelle”, Endou Natsumi, che si era sposata già poco dopo essere entrata all’università, ed inoltre la frequentava poco. Audace, senza dubbio, tuttavia parecchio fastidiosa a dire il vero, senza contare la pessima abilità culinaria di cui, quasi per errore, Yuuka si era ritrovata ad essere cavia.
Ciò che non poteva certamente sfuggire all’occhio di tutti era che la ragazza stava sempre in compagnia di Atsuya, o comunque di qualcuno la cui età non fosse inferiore ai ventitré-ventiquattro anni. Amici della sua età sembrava non averne, anche perché era così: il piccolo scricciolo passava gran parte delle sue giornate all’università, anche se a volte doveva fingere di star studiando per non incuriosire troppo le persone che frequentava.
In più, a causa della perdita della memoria, il Fubuki doveva sempre “riempire” i buchi nella sua storia, iniziando così ad inventare un passato per la ragazza, totalmente inventato di sana pianta con l’aiuto di quest’ultima. Non che in fondo gli arrecasse troppo fastidio occuparsi di lei, almeno era occupato in qualcosa, oltre allo studio.
Quindi. Quella da tutti ormai chiamata “Fubuki-nee” -colpa di Midorikawa, come sempre, bastardo impiccione che andava ad appioppare soprannomi a tutti!- , secondo le folli menzogne messe in giro dal suo padrone di casa, era nata in Hokkaido e, dopo aver incontrato amici della famiglia Fubuki, aveva saputo che Shirou e Atsuya vivevano a Tokyo, dove lei doveva andare; così, alla notizia della partenza del primo, aveva chiesto di essere ospitata. Occhiate minacciose del secondo avevano impedito a chiunque di porre domande su come una ragazza muta avesse fatto a mettersi in contatto con lui.
E così, Yuuka era lentamente diventato un particolare persistente nella vita del giovane universitario, che si era ritrovato a fare da padre-tutore ad una completa sconosciuta, e tutto perché? Perché mollarla in un orfanotrofio, centro sociale o, peggio ancora, in un ospedale psichiatrico, lo avrebbe fatto sentire uno schifoso verme a vita. Lui, che non se ne era mai fregato niente di nessuno. E, mentalmente, ogni santissima volta, incolpava di questo suo addolcimento la partenza del fratello; e si prometteva, sempre, che prima o poi, quando e se Shirou fosse ritornato a Inazuma-cho, l’avrebbe mandata via. Lo avrebbe fatto, ne era sicuro.
...
Ne sarebbe stato sicuro, ma c’era un “se non fosse stato che”.
 
Se non fosse stato che...
< Scricciolo? > chiamò per l’ennesima volta, facendo capolino in cucina. Niente. < Yuuka, dove sei? > sì, come se avesse potuto rispondere. Che stupido. < Ehi, batti un colpo se mi senti! > niente.
Sembrava scomparsa.
Quella era cominciata come una domenica mattina come tutte le altre. Sveglio e non molto arzillo, verso le dieci e mezza il padrone di casa si era diretto in cucina, rabbrividendo per l’ennesima volta alla visione di quel Buongiorno! sul muro, per consumare la consueta colazione -che, fra l’altro, la ragazza aveva tanto insistito per preparare lei tutti i giorni, esattamente come pranzi e cene, per ringraziare dell’ospitalità, il che in ogni caso per Atsuya fu meglio: in confronto alla sua, la cucina della trovatella era pari a quella di un ristorante a cinque stelle.
Non la trovò ad aspettarlo. Cioè, il caffè era lì, ancora bollente, sul tavolo, come al solito. Yuuka no. Era ormai abituato a vedere quella chioma castana, quasi sempre raccolta in due trecce alte -perché Sono più comoda così, aveva detto- attenderlo. Non aveva più dubbi di trovare quel sorriso gentile e quello sguardo vispo e tagliente delle iridi nere.
Eppure, quella mattina no. Non c’era.
E, senza un motivo in particolare, il salmonato non si preoccupò neppure di bere il liquido scuro, fumante e amaro che riempiva quella tazza bianca a fiori rosa. Aveva preso e si era messo a cercarla per la casa.
< Yuuka, se questo è uno scherzo non è divertente! > sbraitò ad un certo punto, infastidito. Non apprezzava doversi muovere tanto, in particolar modo senza l’energia del caffè in corpo, la domenica mattina, ancora infilato nel suo pigiama rosa -sì, il suo pigiama era rosa, rosa pastello, per la precisione, quello che i bambini usano per fare i disegni all’asilo, sì, quel rosa lì; Shirou aveva detto che s’intonava con i suoi capelli, quindi sì, quando dormiva Fubuki Atsuya sembrava una nuvola di zucchero filato rosa.
Aveva guardato ovunque. Cucina, salone, la camera di Shirou, lo studio, tutto! Persino lo stanzino delle scope. L’unico posto dove non aveva pensato di andare a cercarla era...la sua camera?
No, non era possibile che fosse lì, d’altra parte si era svegliato e non l’aveva vista, pertanto...
...
...
Fubuki-nee era in camera sua. Era matematico che fosse lì. Il grandissimo genio con il quale viveva, appena sveglio era già tanto se distingueva il divano dal tavolo della cucina, figurarsi una ragazzina così minuta da qualsiasi altro oggetto presente in quella stanza, che tra parentesi era anche buia quando si era alzato! Accidenti, che razza di idiota.
Si appostò sulla soglia e passò l’indice sull’interruttore della luce; la luminescenza giallastra irradiò il locale, completamente in disordine. Libri e CD sparsi sulla scrivania, il computer non era nemmeno spento, bensì in stand by, le coperte del letto sfatte, la poltrona-cuscino gigante rosso fragola nascosta sotto la scrivania, chissà come ci era finita, e poi il joystick della console per videogame gettato per terr—aspetta. Il ventiquattrenne spostò lentamente, o per meglio dire a scatti, la sua testa nuovamente nella direzione del cuscino-poltrona. Su di esso, lo scricciolo era lì. Accovacciata -appollaiata probabilmente era un termine più consono- con le palpebre serenamente serrate, un sorriso che sapeva di pace eterna dipinto sulle labbra rosate, il quaderno dal quale ormai non si separava mai posato sulle cosce, le grandi cuffie di Atsuya a coprirle le orecchie e il lettore CD che era stato fondamentale per impedirle di udire i tuoni del temporale che li aveva fatti incontrare stretto fra le dita sottili. Da quanto tempo si era messa lì?
Le si accostò rapidamente e eliminò l’ostacolo delle cuffie, che mandavano musica soft ad altissimo volume. Per forza non l’aveva sentito! La mora sussultò quando il suono della canzone venne a mancare, e rivolse al suo coinquilino un’occhiata sorpresa e al contempo gentile. Afferrò il pennarello nero e tracciò rapida le sue parole.
Da quanto sei sveglio, Fubuki?
< No, Yuuka, la domanda giusta è da quanto sei qui, scricciolo? > le mise l’indice sotto il mento per poterla osservare meglio in viso. Era proprio carina.
Ero venuta a spegnere la sveglia, suonava così forte.– la sveglia? Non l’aveva sentita. – Poi ho visto il lettore musicale e mi è venuta voglia di sentire la musica.
Sorrise come faceva sempre, dedicandogli quel misto di gentilezza, innocenza e misteriosa mestizia che la caratterizzava.
< Che ascoltavi? > domandò ancora, facendo vagare gli occhi sulle cuffie nere.
“I’ll remember you”.
L’uomo chiuse le palpebre per un secondo, poi le dischiuse lentamente. Gli sembrava di conoscere quella canzone, sì, Shirou l’ascoltava spesso, era smielata e nostalgica. L’albino diceva sempre che gli faceva ricordare la propria casa, anche se a dirla tutta l’ascoltava preferibilmente quando Kidou gli impediva di vedere Haruna...
Fubuki.– le labbra serrate sul viso infantile di Yuuka tremarono, gli occhi si socchiusero tristemente.
< Uh? Cosa c’è, scricciolo? > s’incuriosì.
Io non ricordo niente del mio passato. – cominciò a scrivere – Ma sai, credo che qualsiasi cosa accada – si bloccò un attimo, arrossendo dei suoi pensieri – mi ricorderò per sempre di te. – terminò, sorridendo di nuovo, e facendolo arrossire impercettibilmente prima, pesantemente dopo pochi secondi.  
< C-Cosa dici. > balbettò tentando di fingersi indifferente, anche se, dato il purpureo colorito che aveva preso, era totalmente impossibile. Si alzò in piedi, lasciandola sorpresa; probabilmente non si era accorta dell’imbarazzo che chiunque avrebbe sentito leggende quelle parole.
Forse, non l’aveva capito, perché...perché era piccola, troppo piccola per potersi rendere conto. Potersi rendere conto che, sotto sotto...Atsuya si sentiva in qualche modo attratto da lei. Il che lo faceva sentire uno schifo. Era poco più di una bambina, aveva solo sedici anni, mentre lui ne aveva ventiquattro.
Fubuki? – scrisse inclinando la testa, e lui fece finta di ignorare quel messaggio. Le diede le spalle e andò verso la porta, deciso a scordarsi quello che era successo, ma si fermò, irrigidendosi, sulla soglia.
< Atsuya. > esitò un momento, curioso di vedere la reazione della ragazza, ma senza voltarsi < Chiamami Atsuya. > detto questo, se ne andò.
Aveva sentito, forse da quell’otaku di Megane, il termine che più avrebbe utilizzato per descrivere la situazione in cui si era andato a cacciare.
Lolicon.
 
 
 
 
Lolicon (ロリコン rorikon?) (romanizzato in lolikon/rorikon) è una parola macedonia giapponese, abbreviazione di Lolita complex (ロリータ・コンプレックスRorīta konpurekkusu?, letteralmente «complesso di Lolita»).
In Giappone, il termine descrive l'attrazione nei confronti delle ragazze minorenni appena entrate nella pubertà o l'individuo che prova tale attrazione.
[da Wikipedia, l’enciclopedia libera]
  
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