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Autore: carelesslove    21/02/2013    1 recensioni
La donna si chinò sulle ginocchia e si fermò a fissare la figlioletta negli occhi chiari e sgranati. – tesoro, la mamma deve andare via
- Harry, per favore. – la implorò John esterrefatto – parliamone almeno. Non puoi piombare qui in questo modo e sconvolgermi la vita!
- Trovati una baby-sitter. – rispose lei candidamente.
John scosse la testa con rassegnazione - Aveva ragione nostra madre. Sei inaffidabile e impulsiva.
- Me l’ha consigliato la mia analista. E io sono d’accordo. Andare in clinica è la cosa giusta.
- La tua analista un caz…- insorse lui, poi si morsicò la lingua – Al diavolo tu e quella psicopatica…altro che psicologa, è più psicopatica lei dei suoi clienti.
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Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Life goes on

 
 
 
Erano le due di notte e stava tornato in ospedale dall’ultimo giro in ambulanza. Doveva aspettare che Matt arrivasse a dargli il cambio e poi poteva tornare a casa.
Aveva da poco iniziato a prestare servizio volontario come paramedico sull’ambulanza, una volta la settimana. Il lavoro all’ambulatorio non gli bastava, in fondo lui era un uomo d’azione.
‘Non ne aveva abbastanza di morti e feriti?’ a volte se lo chiedeva, se lo chiedeva anche la sua analista, nonostante la considerasse una cosa positiva impegnarsi in un attività sociale (come la definiva lei).
In un certo senso pensava che salvare la vita di altri era comunque qualcosa, anche se non era riuscito a salvare Lui. Almeno era così i primi tempi.
Ora sapeva che Lui era vivo...e, nonostante questa consapevolezza, marciapiede, asfalto e sangue continuavano a essere il cocktail dei suoi incubi.
Non se lo sapeva spiegare, eppure era vivo. Non sapeva come fosse possibile.
Quella sera aveva lasciato Sofia con la babysitter e aveva dovuto pagare l’extra per l’orario notturno, in effetti cominciava a costargli cara la cosa.
La signora Hudson si era offerta di tenergli la bambina ma lui non se la sentiva di darle questo peso, in realtà forse, inconsciamente, voleva tenere Sofia lontana da Baker Street. Lui stesso non riusciva più a mettere piede in quella strada.
Entrò nell’ingresso del pronto soccorso e salutò Matt, fece per andare verso le stanze del personale per togliersi la tenuta da lavoro e tornarsene a casa quando si scontrò con qualcuno.
- Scusi – disse senza guardare.
Quando sollevò lo sguardo rimase attonito prima di riscuotersi e proseguire oltre, andando a rifugiarsi nel bagno.
Quegli occhi. Era andato a sbattere contro Sherlock Holmes e prima di fuggire era riuscito solo a notare che aveva un dito fasciato e il polso ingessato.
Per fortuna a quell’ora il bagno era deserto. Si chiuse in uno degli scompartimenti toilette e appoggiò la schiena contro il muro cercando di recuperare la calma.
Uscì dal cubicolo e andò verso la fila di lavandini per sciacquarsi il viso, non fece caso alla manopola che stava girando e finì con lo scottarsi.
- 'Fanculo – proruppe, aprendo l’acqua fredda e tuffandoci la mano sotto.
Sentì la porta del bagno cigolare. Non si voltò, era troppo impegnato a lanciare imprecazioni al mondo intero.
- John.
L'interpellato sussultò e indietreggiando quasi scivolò, inciampando in una busta di plastica abbandonata per terra.
- Cosa vuoi? – chiese roco.
- Mi eviti? – lo interrogò l’altro, lievemente risentito.
Il dottore tornò a voltarsi verso il lavandino.
- Vattene. Non sai quello che sarei capace di fare. – rispose cercando di mantenere la conversazione su un tono civile.
- Senti… - cominciò il moro ma l’altro gli impedì di continuare.
- ‘Fanculo! – urlò, sbattendo un pugno contro il lavandino. – Dovresti vergognarti anche solo a guardarmi. Io non ti ignoro. Semplicemente voglio che tu sparisca dalla mia vita!
Calò un silenzio totale. John stringeva convulsamente il bordo del lavandino e cercava in tutti i modi di evitare lo sguardo di ghiaccio del consulting detective e di farsi sfuggire una lacrima. Non voleva più piangere per lui. Non ricordava quante lacrime avesse dovuto ingoiare.
Cercò di articolare qualche altro suono ma parlare era più difficile che se si fosse trovato sott’acqua o nello spazio siderale. La lingua gli si era come attaccata al palato, la salivazione azzerata.
Finalmente riuscì a riprendersi quel tanto che bastava per dargli la stoccata che si meritava – Come hai potuto riuscire a fingere perfino mentre mi chinavo sul tuo cadavere? - scosse la testa - E' mostruoso.
Non c’era risposta a quella domanda, Sherlock lo sapeva bene. Lo sapeva meglio di chiunque e di John stesso. Continuava ogni giorno a chiedersi come avesse potuto mantenere il distacco necessario. Forse aveva ragione la gente a crederlo una persona senza cuore. Forse era davvero una macchina.
Anzi il relitto di una macchina che funzionava bene solo ai piani alti, all’altezza del cervello per intenderci.
Solo la Sig. Hudson continuava ancora a difenderlo, volendogli bene pur conoscendo i suoi limiti. In fondo Sherlock aveva fatto tutto quello per loro, sapendo di agire a fin di bene.
Holmes rispettò in silenzio il dolore dell'altro e fece di tutto per comprenderlo a fondo e dargli il peso che meritava. Si fissò le scarpe in imbarazzo, provando anche un senso di impotenza e frustrazione.
Non si era mai sentito frustrato per via delle persone. Non dava peso al giudizio degli altri. Tranne per due o tre eccezioni. Una, la principale, ce l’aveva attualmente di fronte.
- Non fingere di nulla, John. - 'La tua indifferenza è il chiaro sintomo di un tentativo di rimozione' avrebbe voluto dire, ma si trattenne.
- Non hai finto anche tu per tutto questo tempo? Come se io non esistessi… mi hai ignorato per tre dannatissimi anni. – gli rinfacciò il biondo in tono bellicoso, guardandolo finalmente negli occhi, sfidandolo a provare a replicare. – Un grande attore. Ma quando lo show è finito si spengono le luci e la gente va a casa. Nessuno rimane tre anni sugli spalti ad aspettare che il trucco venga svelato. Si va avanti.
- John.
- Basta. – urlò il dottore, sbattendogli in faccia tutta la sua angoscia – Lasciami stare.
- Cosa aspetti a picchiarmi? – replicò Sherlock, avvicinandosi e parandosi davanti a lui deciso, afferrandolo per le spalle – Te lo si legge in faccia che vuoi farlo.
John lo guardò come si guarda un povero derelitto, ma il moro rincarò la dose, sperando di non stare facendo la più grande stronzata della sua vita, dopo il finto suicidio ovviamente.
Quella circostanza poteva risolversi solo in due modi, e uno dei due consisteva, molto probabilmente, nella rottura definitiva del loro rapporto.
- Forza – lo incitò, il tono rauco per la tensione emotiva. Tensione emotiva e Sherlock, due universi inavvicinabili.
Il labbro di John cominciò a tremare e i suoi occhi bruciavano di collera – Lasciami andare – gli intimò a denti stretti.
- Spaccami la faccia! Prenditi la tua libbra. Così avrai la tua vendetta, finalmente.
Sheakespeare … John ricordò di quando erano andati a vedere la rappresentazione del Mercante di Venezia. Sherlock aveva protestato. Il teatro non lo appassionava affatto. Quella sera tuttavia era particolarmente di buon umore per aver risolto una delle sue indagini e poi doveva pagare pegno. Aveva perso una scommessa con John, millantando di sapere che mano di carte avesse durante una partita che aveva giocato con Lestrade.
Puntò gli occhi dritto nei suoi e John si sconvolse nel vedere Sherlock Holmes che implorava perdono. A modo suo ovviamente, niente scuse, niente mi dispiace. Un ingiunzione, esattamente nel suo stile.
- Smettila di reprimere la rabbia e riversala su di me. – lo spronò, scuotendolo.
E John lo fece, gli si avventò contro violentemente, spaccandogli un labbro e il sopracciglio sinistro e sferrandogli un pugno allo stomaco.
Il detective picchiò la testa contro la parete e si lasciò scivolare lungo la stessa tenendosi l’addome, rantolando e annaspando cercando di respirare. Ma il dottore non gliene diede la possibilità perché si chinò su di lui e afferrandolo per il colletto della camicia gli assaltò le labbra, rubandogli un bacio che sapeva di sangue e rabbia, e delle proprie lacrime.
Divorò le sue labbra mordendole piano, lambendole prima con delicatezza, poi con decisione, fino ad approfondire il contatto con voracità e una punta di ferocia.
Poi si staccò bruscamente da Holmes, conscio di aver perso il controllo. Che fine aveva fatto il sangue freddo del soldato? Perso in quella famosa guerra nel deserto afgano o forse in una di altro tipo.
- Non posso prendere nessuna libbra dal tuo cuore, Sherlock. Perché non ne hai, come l’ebreo. E io – fece una risata aspra - proprio come Antonio non ho speranze. Sarei stato disposto a tutto se solo… me lo avessi chiesto.
Si portò una mano sugli occhi.
- John. – gemette il consulente investigativo, scosso e stupefatto.
- Ho perso il controllo. Mi dispiace. – si scusò il dottore, vergognandosi per essersi umiliato . Si girò e corse verso la porta.
 
 
Si sedette su un gradino nel cortile sul retro del Bart’s, pensando alla figura pietosa che aveva appena fatto e maledicendosi per quanto era stato avventato.
- Maledizione… Dannato idiota. - si disse mentre estraeva dalla tasca il pacchetto di sigarette e provvedeva ad accendersene una con mano malferma.
Prese una boccata di fumo e sospirò di soddisfazione per la sigaretta e di angoscia per la pessima figura appena fatta.
- Hai iniziato a fumare.
Si girò di scatto tossendo fuori il fumo per la sorpresa e si alzò in piedi – Che ci fai qui?
Il detective tentò di sorridere con il labbro gonfio e ne uscì fuori una smorfia.
– Certo che meni – commentò, massaggiandosi la mascella.
– Posso averne una? - chiese, indicando la sigaretta.
- Finite. – rispose John, burbero. Cercava di guardare ovunque fuorché l’altro.
- Non importa. Tanto pensavo di smettere – ironizzò il detective.
Dopo un attimo di silenzio riprese a parlare guardando il giubbotto rosso con i catarifrangenti di John - Servizio volontario in ambulanza. Da quanto lo fai?
- Cazzi miei. – sbottò John, calciando una lattina vuota e spedendola a qualche metro di distanza, mancando di poco due piccioni e facendo centro in una pozzanghera.
- E Sofia?
- Con la baby-sitter.
Seguirono un paio di minuti di silenzio in cui il moro picchiettò col piede contro il pavimento, nervoso.
- Io non sono gay – ringhiò il dottore, desiderando scavarsi una fossa nel pavimento e sprofondarci fino ad arrivare al famoso regno sotterraneo di Jules Verne.
- Neanch’io – disse Sherlock atono, come se fosse la cosa più naturale del mondo. - Non è propriamente il mio campo.
il moro sospirò, poi si azzardò a sfiorargli il braccio.  – Puoi sederti un attimo, per favore?
- Ho da fare.
- Un attimo del tuo tempo. Poi me ne vado.
Il medico acconsentì e si sedette sullo scalino, giusto perché così tutto si sarebbe concluso il più in fretta possibile.
- Non so bene come dire... – incominciò Sherlock. Era davvero il caso di discutere di quanto appena accaduto? Riteneva di no.
Era ricomparso nella vita di John come uno tsunami e ora senza preavviso avevano approfondito il loro rapporto fino ad un intimità inconsueta e strana. Per di più John non era stato molto coerente a fargli quella confessione dopo averlo picchiato, senza contare che aveva una compagna. I sentimenti sono così poco lineari.
- Lasciamo perdere quello che è successo poco fa. La cosa che mi preme ora è dirti che mi dispiace – disse, evitando di guardarlo. – Per averti mentito. Non era giusto. Merito il tuo odio. Ma posso spiegarti ogni cosa, se me lo permetti.
John chinò lo sguardo – Devo tornare dentro, è ora che vada a casa. E tu dovresti farti medicare.
- Credimi – disse lui, sfiorandogli il dorso della mano abbandonata lungo il fianco.
- Crederti? – mormorò il dottore scettico, gli occhi che bruciavano, si portò una mano alla fronte cercando di calmarsi – Mi serve del tempo per metabolizzare. Che tu sia vivo... è una cosa assurda. Io sono confuso, diosanto. E anche incazzato, per dirla tutta.
Il fatto è che mi hai fatto del male e io non posso più permettertelo. Donovan lo diceva che non c’era da fidarsi di uno come te.
Sherlock incassò quell’ultima frase abbastanza difficilmente, ma riuscì a ingoiare il boccone amaro perché sapeva che il suo amico aveva dovuto mandar giù molto di più - Mi piacerebbe che passassi da Baker Street.
- Non so. – disse il medico – Non ho molto tempo.
L’altro annuì – Immagino.
- Già. -  sorrisero entrambi e un po’ della vecchia complicità tornò a fare capolino, timidamente – Devo andare – si scusò Watson.
Lui annuì guardandolo alzarsi – John. – lo chiamò d’un tratto.
L’altro si fermò e Sherlock lo fissò desiderando dirgli tante cose ma improvvisamente tutte le parole gli morirono in gola.
- Niente. – mormorò – Grazie.
John si chiese di cosa lo stesse ringraziando. Del ‘forse verrò a Baker Street’? Oppure era più una parola gentile per fargli capire, in modo un po’trasversale, che ci teneva a lui. D’altronde il sociopatico genio dell’investigazione non lo avrebbe mai ammesso apertamente.
- Metti del ghiaccio su quel labbro – gli raccomandò, poi sparì dalla sua vista.
 
 
 
n.d.a.: dunque, per chi segue: sappia che non sono molto in vena scrittoria (infatti i risultati sono deludenti). Avrei dovuto continuare la scena del parco ma non ne avevo voglia, mentre questa l’avevo già scritta, forse farò un flash-back su quella più avanti, non so. Se vi piace lasciate un commento, se vi fa schifo(+ probabile) lasciatelo lo stesso, per dirla alla Sherlock .Besos. Metto raiting arancione, penso che basti.
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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