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Autore: HappyCloud    21/02/2013    1 recensioni
Reparto ortofrutta di un supermercato qualunque all'ora di pranzo: pochi clienti, corsie semideserte, nessuna coda alle casse.
Lui è in ritardo, ha ventun minuti per fare la spesa, portarla a casa e tornare in ufficio.
Lei deve correre al suo appartamento per preparare una cena e tentare di salvare un matrimonio altrui già finito.
Entrambi non hanno tempo da perdere, ma tra un triplice ferimento, importanti scelte da fare e prodotti da contendersi, il corso della loro giornata potrebbe cambiare. E pure l'umore!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Di semidei e tinte pastello.

Ronzii – Parte I.

 
Jean-Paul Marat l’aveva avvisata.
E con ben duecentoventi anni di anticipo, perciò Azzurra non poteva proprio dire di non saperlo: mai fidarsi di una donna francese. Nemmeno – e soprattutto! – se ha un nome che sembra quello di una crema per dolci. Chantal. Chantilly. Forse era questo il motivo per cui Achille era entrato in confusione. Pensava di avere a che fare con della soffice panna montata aromatizzata alla vaniglia e si era ritrovato tra le mani un secco fuscello transalpino impregnato di J’adore. Maledetto lui e la sua zuccheropatia.
Chantal era un nome carino per indicare un metro e sessantacinque di snobismo napoleonico, tutto sommato sopportabile, se non fosse stato per il fastidioso prefissuccio – che, tra l’altro, il soggetto in questione tendeva a dimenticare – che precedeva la normalissima connotazione di ragazza: ex.
Azzurra e Achille non erano usciti che quattro o cinque volte, prima che l’indesiderata intrusione della dernière femme de France si compisse. Avevano preso le cose con calma, credendo di avere tutto il tempo, profezie Maya permettendo. In realtà, Achille si era mostrato pronto e disponibile in qualsiasi occasione, ma ciò che rimaneva nelle macerie della sua galanteria e una certa ritrosia – piuttosto latente – di Azzurra avevano prevalso sulla razionale logica dei suoi ormoni. Ma l’arrapato bancario avrebbe potuto smettere di trattenere il fiato e di immaginare la decrepita professoressa Savarese in lingerie per calmare i bollenti spiriti entro un paio di giorni. Quattro, per essere precisi… ma chi li contava? In previsione della presunta fine del mondo, infatti, Azzurra aveva intenzione di organizzare una cena a sorpresa la sera del 20 dicembre, a casa sua, dove per la prima volta avrebbe aperto la porta della camera da letto ad Achille. Avrebbero così finito quanto iniziato settimane prima sul divano del suo appartamento, il giorno in cui si erano conosciuti al supermercato; e che diamine, d’accordo fare la ragazza perbene, ma i capelli ricci e ribelli di lui sarebbero stati così bene tra le sue cosc… ehm cuscini, i suoi cuscini. Stavano entrambi impazzendo e Azzurra aveva cominciato a intravedere – e persino intrasentire – doppi sensi del tutto inappropriati in ogni singola frase pronunciata dall’altro.
- So che lo vuoi… prendilo! Piace più a te che a me il torrone.
- Lecca-lecca? Mia nipote deve avermelo infilato nella tasca del cappotto.
- Poco alla volta, altrimenti ti fa male. Piano con quella granita!
Entrambi erano sul punto di voler evitare contatti troppo ravvicinati – perché Achille aveva visto un qualcosa di estremamente sexy nel modo in cui Azzurra aveva maneggiato il torrone, scartato e mangiato il chupa-chups della piccola Diana o come le goccioline di ghiaccio sciolto della granita le fossero accidentalmente scivolati dalla bocca alla gola e poi giù, fino all’incavo tra i seni – e le uscite in pubblico in compagnia erano parse la soluzione migliore. Ormai era deciso: avrebbero mantenuto la loro verginità contestuale fino all’arrivo dei Maya e non erano ammesse proroghe o deroghe. Per questo motivo, un giro dei mercatini di Natale in compagnia della coppia di neo ex sposi, nonché neo amici, composta da Sergio e Dalila De Carlis era il pretesto perfetto per continuare a torturarsi a distanza, cercare di distrarsi dalle manie ninfomani e ultimare l’acquisto dei regali per le feste.
Naturalmente, se avesse saputo dell’improvvisa perturbazione di gelo ammazzalibido proveniente dal sud della Francia, l’architetto Trentini avrebbe molto più che volentieri rinunciato ai suoi buoni propositi di una pseudo purezza e si sarebbe rotolata voracemente tra le lenzuola di Achille. O le sue. Ma pure senza lenzuola! Direttamente sul corpo di lui. 
Si erano fermati tutti e quattro a prendere un krapfen ripieno ciascuno e inutile dire che il riccio aveva insistito per prenderne tre per se stesso, perché ormai, alle due e trenta di pomeriggio, era ‘tempo di fare merenda’.
Un tiepido sole illuminava la città, nonostante da settimane le previsioni del tempo indicassero piogge e neve imminenti. Purtroppo, il colonnello dell’aeronautica della tv non aveva previsto nauseabonde ondate di costosa colonia francese.
- Achille?
Lui aveva ancora della crema pasticcera sul mento – krapfen numero due –, quando si era voltato d’istinto nella direzione in cui si era sentito chiamare. Azzurra era troppo concentrata a contrattare insieme a Dalila il prezzo dell’ennesima boule à neige da aggiungere alla sua pacchianissima collezione, per accorgersi che il sorriso del suo accompagnatore era passato dallo smagliante all’apprensivo in pochi secondi.
- Chantal? – Si girò a controllare che Azzurra fosse ancora impegnata a chiacchierare con l’ambulante, poi si rivolse di nuovo alla ragazza dal lieve accento francese. – Ch-che ci fai qui?
Si sforzò di essere educato e sperò che lei non avesse notato il leggero tremolio nella sua voce. Era uno shock trovarsela davanti agli occhi, in carne ed ossa, dopo anni di silenzio. Poteva pure essere morta, per quanto ne sapeva lui. Beh, con tutte le maledizioni e le bambole voodoo decapitate da Elettra, sua sorella, nel nome della ex fidanzata, era quasi sorprendente che non lo fosse davvero. Elettra aveva preparato anche l’elogio funebre, ma parlare di elogio era un po’ fuorviante; più che un discorso accorato, sembrava una dichiarazione di Al Qaeda.
Chantal si avvicinò ad Achille, togliendogli con un dito la crema dal mento. Il riccio rimase immobile, mentre lei si portava disinvolta l’indice alla bocca, leccandolo con aria soddisfatta.
- Buona!  – ammiccò. – Sono qua per qualche giorno, a cercare opere di artisti di strada. Sto preparando una mostra a Nîmes.
- Fantastico, complimenti.
Non gliene fregava nulla, ma un’ondata di ricordi lo investì in pieno e lui non riuscì ad evitarla: Chantal e la sua ossessione per la carriera. Chantal e il suo amore per il cinema muto. Chantal e la sua risata cristallina. Chantal e i suoi tre nei vicino all’ombelico. Chantal e la sua terribile codardia. Chantal e il suo cuore spezzato. Di lui, però.
 
- Dov’è Achille?
Sergio distolse lo sguardo dalla scena a cui aveva appena assistito tra Achille e la sua amica e lo posò per una frazione di secondo sulla bancarelle delle palle di plastica con la neve finta per cui Azzurra andava matta. Mah, tutti quegli addobbi natalizi gli stavano facendo venire voglia di cambiare religione. E, in ogni caso, lui preferiva continuare a guardare la ragazza carina con cui Achille si stava intrattenendo. Non molto alta, magrissima, con un cappello nero sulle ventitré da cui fuoriuscivano degli ordinati capelli neri, aveva l’aria scanzonata e un ampio sorriso e…
Azzurra gli passò la mano davanti alla faccia, facendogli intuire che doveva essersi imbambolato a fissare un punto indefinito.
- Che c’è? – chiese, riscuotendosi.
- Achille? – gli ripeté scocciata.
Erano arrivati da poco in piazza e già Azzurra era provata dal lungo negoziato con Hermann, l’ambulante altoatesino della bancarella più kitsch dell’intero mercatino. Però si sentiva soddisfatta e felice: la tradizione della boule à neige nuova ad ogni Natale era rispettata. E con uno sconto di venticinque centesimi sul prezzo pieno! Un vero e proprio affare.
- Sta parlando con quella fanciulla… – le rispose Sergio.
Lei si alzò sulle punte dei piedi e cominciò a guardarsi intorno per individuarlo; in mezzo a tutta quella folla a passeggio non riuscì a capire dove fosse.
- Oh, dev’essere Elettra, sua sorella, – congetturò, molto ottimisticamente, senza perdere il sorriso. – La stava aspettando per cercare un regalo alla loro madre.
- Certo, sarà lei. – le rispose l’amico, seriamente interessato a quella moretta col naso all’insù. Il gene dei Quaresmini non era niente male. – Ho visto solo che erano in confidenza, lei è stata così gentile da ripulirlo dalla crema.
Azzurra scosse la testa e ridacchiò.
- Gli avevo appena dato un fazzoletto apposta!
- Pazienza… non credo le sia dispiaciuto, almeno ha avuto anche lei l’occasione di assaggiare il ripieno del krapfen. – Sergio ghignò, ma Azzurra e Dalila smisero di sorridere, guardandosi con gli occhi spalancati. – Che c’è?
- Lei gli ha tolto la crema dal mento e l’ha assaggiata? – appurò Dalila.
- Sì, con le dita. Che mi sono perso?
Ecco uno dei motivi per cui detestava uscire con quelle due, o con le donne in generale; tutte pappa e ciccia e lui solo come un povero vecchio rincretinito a cercare di capire l’incomprensibile linguaggio femminile.
- Azzurra, calma, – disse la sua ex moglie, – non traiamo subito delle conclusioni affrettate.
Sergio guardò una e l’altra ripetutamente, nell’attesa che si lasciassero scappare qualche altro dettaglio, oltre a quelle occhiate furtive e complici.
- È stata carina, no? – provò, arrendendosi all’evidenza di essere stato tagliato fuori per l’ennesima volta.  – Devono avere un rapporto molto stretto, quei due. Lo si capisce da come si parlavano fitto fitto. Ah, come mi sarebbe piaciuto avere una sorella! Devono essere andati a cercare il regalo, perché non li vedo più…
Tagliato fuori e anche completamente ignorato.
- Tesoro, respira. – Dalila strinse gli avambracci dell’amica. – Inspira ed espira, su, inspira ed espira.
Azzurra tentò di seguire il consiglio, con grande scarsezza di risultati.
- Ora come ora, tornerebbe utile il corso preparto che mi hai regalato qualche anno fa.
- …una complicità non comune, a dire il vero. Sembravano davvero affiatati…
Sergio continuava a sproloquiare in solitudine sul presunto amore fraterno, ignorando gli sguardi di fuoco di Dalila, la quale stava sviluppando una sorta di strabismo fisico ed emotivo, con un occhio iniettato di sangue rivolto all’ex marito e l’altro pieno di comprensione femminile verso l’amica.
 
 Dall’altra parte della via, Elettra si stava facendo strada tra famigliole felici e urla in qualsiasi lingua mediorientale degli ambulanti, trascinando per mano la piccola Diana che dava l’idea di non divertirsi troppo.
La testa riccia della sorella di Achille si bloccò d’un colpo, tanto che la figlia finì con il viso direttamente nel suo fondoschiena, prima di cadere sulla strada col sedere. Lei l’aiutò a rimettersi in piedi, senza schiodare lo sguardo dalla terrificante visione che aveva davanti.
- Diana, tappati le orecchie. – le ordinò e la bimba obbedì subito, abituata a quel tipo di richieste materne. – Mamma deve dire una cosuccia ad alta voce: che ci fa quella stronza qui?
 
Una volta individuati il presunto fedifrago e la lapalissiana sgualdrina, Dalila provò a spronare Azzurra a farsi avanti, adducendo scuse come la preservazione del territorio, l’amore per la propria dignità e, se avesse saputo delle origini della suddetta giovincella, avrebbe aggiunto anche il rispetto per il lavoro svolto da Giulio Cesare alla conquista della Gallia. Ma di fronte alla titubanza dell’amica, un bello spintone le parve la scelta più saggia.
La ragazza urtò una signora, causando una reazione a catena che terminò sulla nobile schiena dell’amica di Achille, che si voltò infastidita, le narici aperte come un drago all’attacco.
Azzurra e il riccio si scambiarono un’occhiata imbarazzata; lui abbozzò un sorriso e sperò di porre rimedio a quel disagio generale facendo le presentazioni ufficiali.      
- Oh, Azzurra, sei qui. Lei è Chantal.
Chantal? Dunque era francese, l’intrusa. Bene, sembrava il nome di un formaggio, di quelli vecchi e ammuffiti. 
Azzurra si limitò ad un sorriso forzato, mentre le porgeva la mano, gelida quanto le occhiate che le stava lanciando. Si ritirò immediatamente dietro al ragazzo, nell’attesa che liquidasse la tizia a breve.
- È un piacere conoscerti, – rispose la francese, dimenticandosi di lei nel momento stesso in cui scorse la solita espressione di sfida sulla faccia della sorella di Achille, che stava arrivando a grandi falcate. – Bonjour Elettra, ti trovo bene. Beh, Achi, – Achi? – se ti va di fare due chiacchiere senza tutto questo reggimento, chiamami. So che hai ancora il mio numero. Buona giornata.
So che hai ancora il mio numero.
Azzurra pensò a quanti metodi di tortura cinese sarebbe incorso il caro Achi, se solo avesse osato chiamare la nipote di Sarkozy. D’accordo, lui non era il suo fidanzato, né poteva dire con assoluta certezza che le cose fossero serie tra loro, ma non avevano più vent’anni, erano persone mature… e lui non poteva tornare con quella, dai! Lei era molto meglio!
Elettra sembrò leggerle nel pensiero ed espresse ad alta voce ciò che lei aveva osato dire solo a se stessa. Sorrise falsamente a Chantal, che stava agitando la mano a mo’ di saluto, prima di dileguarsi tra la folla.
- Passerai sul mio cadavere mummificato, prima di telefonare a quella baguette rinsecchita. – minacciò subito il fratello. – Che sfacciata! Dopo tutto questo tempo, torna e finge che non sia successo nulla!
Achille cercò di contenere la furia omicida della sorella, fisica nei confronti di Chantal e a parole nei confronti di se stesso e degli astanti, perché Elettra sapeva bene come esasperare cose e persone con la sua parlantina.
- Ele, per favore, – provò a placarla, invano.
- …no, dico, l’hai vista? Fa la gattamorta, di nuovo alla carica. Ti ha lasciato due anni fa come uno straccio, non ti ho mai visto in quello stato, stavi per mollare armi e bagagli per rincorrerla in Francia o chissà dove. E Dio solo sa se ti sei mai ripreso! Non dirmi che sei ancora innamorato di lei o giuro che ti ammazzo con le mie mani! Diana, mamma sta scherzando, eh…
- Elettra! – l’urlo di Achille zittì tre coppie di passaggio, ma non colei per cui era stato pronunciato.
- …che c’è? – gridò, infatti, lei in risposta. – Diciamo le cose come stanno, nulla di nuovo!
Santa Elettra Quaresmini, protettrice della verità.
- Nulla di nuovo per te, forse, – le fece notare il fratello, indicando con gli occhi la figura alle sue spalle di Azzurra, visibilmente confusa. Se ne stava mesta, racchiusa nell’immaginario abbraccio di Dalila e Sergio, che li avevano raggiunti giusto in tempo per godersi l’one woman show. Achille si pentì subito di essersi girato verso di lei: si sentiva nudo come un verme, spogliato dalla propria sorella – e già la cosa gli faceva un certo ribrezzo – davanti alla sua pseudo ragazza e ai suoi amici, riguardo il suo assai poco virile e lusinghiero passato di ameba piangente post rottura di una relazione. Chantal lo aveva davvero ridotto in pezzi, gli aveva fatto toccare con mano e sedere e schiena il fondo, aveva rappresentato il periodo più bello e poi più buio della sua vita sentimentale, dopo il pugno rifilato a Fabrizio per… Elena? Elisa? Quella là, insomma.
- Oh. Oh! – Elettra riordinò i pezzi e comprese la propria leggerezza: aveva lasciato la piastra accesa a casa. E Achille la stava guardando in cagnesco: lo sapeva pure lui? – Che c’è?
- Niente, – rispose scocciato.
- Perché fai quella faccia, allora? – Achille scosse la testa, passandosi una mano sulla fronte con vigore. – Per quella? Ti dà fastidio che tua sorella ti metta di fronte alla realtà? È colpa mia se la guardi famelico come se fosse una ciambella superglassata, affogata in una gigantesca cioccolata calda con panna, ricoperta da gelato? Non so se mi sono spiegata bene…
- C-cosa? – tentò di difendersi. D’accordo, Chantal era una bella ragazza, ma lui non la vedeva assolutamente come una ciambella! Le ciambelle erano morbide e soffici e lei era rigida e spigolosa, fisicamente quanto nell’animo. Così in forma da farlo sentire in colpa se non frequentava la palestra almeno tre volte a settimana, così stronza da abbandonarlo con un bigliettino e la scatola piena delle sue cose già sul pianerottolo, dopo mesi a discutere di convivenza e matrimonio. Azzurra, piuttosto, lei sì che era morbida. Avrebbe voluto poter dire che lo erano i suoi fianchi e magari anche più giù, in prossimità del monte di Venere, ma la realtà era che al momento poteva dirlo solo del suo seno e solo perché ci era inciampato casualmente un paio di volte. La prima con il braccio, credendo di darle una gomitata leggera nelle costole dopo una battuta terribile; in base al rimbalzo che il suo braccio aveva ricevuto, era in grado di stimare una terza coppa b molto piacevole al tatto. La seconda era avvenuta con la mano, mentre l’aiutava a rimettersi il cappotto e… d’accordo, poteva non essere stata del tutto casuale. Azzurra aveva sorriso, lui si era scusato, lei era uscita dal suo appartamento, lui avrebbe voluto verificare di non aver creato danni con il gomito la volta precedente. Ma, a giudicare da come Elettra aveva ingarbugliato la situazione, probabilmente il dubbio gli sarebbe rimasto per sempre.
- Una ciambella, Achille. Una ciambella, – ripeté la sorella.
La piccola Diana distrasse la madre per qualche istante, indicandole una bancarella piena di bambole e giocattoli. Le due si spostarono di un paio di metri, lasciando il gruppo in un silenzio innaturale. Dalila si schiarì la gola e quel suono basso fu l’unica cosa che il gruppo pronunciò in due minuti. In sottofondo, una trita e ritrita Jingle Bells accompagnava la strana quiete, attorniata da famiglie e coppiette felici in umore festivo. Achille era mortificato, Azzurra avrebbe solo voluto pestare i piedi e frignare – confermando di essere una quasi trentenne del tutto maturata – e gli ex coniugi De Carlis si domandavano perché non se ne fossero rimasti nelle loro rispettive case, a decorare l’albero o mangiare pan di zenzero davanti al fuoco scoppiettante.
- Fa freddissimo, ho i piedi congelati. – Dalila ruppe quell’inusuale momento di stasi tra di loro. – Sergio, torniamo a casa?
Lui arricciò il naso, sorpreso: aveva accettato quella passeggiata in centro, sfidando freddo e marmocchi urlanti, per cercare un vecchio libro nelle bancarelle dell’usato e ora se ne volevano andare a metà giro?
- Ma non ho ancora visto la bancar… – il tacco dello stivale della consorte d’un tempo si abbatté contro la sua caviglia e distrusse anche il più remoto e timido accenno di protesta, – ahia! Andiamo.
- Tesoro, ti diamo un passaggio noi, – aggiunse la donna, prendendo sottobraccio Azzurra, – così Achille e sua sorella hanno il tempo di comprare il regalo.
Il riccio respirò a fondo e finalmente si voltò di nuovo verso di loro; non voleva che se ne andassero, non voleva che se ne andasse lei, soprattutto senza aver almeno provare a mettere una pezza alle parole di Elettra.
- No, aspettate. – li bloccò. – Mia sorella se la può cavare benissimo anche da sola. Sappiamo entrambi che comunque lo avrebbe scelto lei, il regalo. La accompagno io, se non vi dispiace.
Azzurra si sganciò dal braccio di Dalila e annuì con il capo; non sapeva esattamente come si sentiva – era un misto di rabbia, umiliazione, tristezza, sdegno e istinti omicidi –, ma non voleva rischiare di allontanare ulteriormente Achille. Voleva fare la persona adulta. Sarebbe tornata a casa con lui. Magari dopo averlo pugnalato con la punta dell’albero da Natale.
- Perfetto, – li salutarono i De Carlis. – Ciao ragazzi!
Il riccio si rivolse di nuovo ad Azzurra, indicandole col capo la bambina che era con Elettra. 
- Saluto mia nipote un attimo e arrivo.
- Ciao zio Achi! – Achille la prese in braccio e la riempì di baci sulle guance. Diana rise, finse di non gradire tante attenzioni e poi si rivolse alla strana signorina che accompagnava lo zio. – Ciao.
- Ciao, – la ragazza le sorrise in risposta.
- Ficcanaso, questa è Azzurra. Azzurra, lei è Liana.
Achille sembrava divertirsi parecchio a stuzzicarla e prenderla in giro e sbagliare di proposito il suo nome non fece altro che aumentare lo stato di cucciolosità della situazione agli occhi di Azzurra.
- Mi chiamo Diana! – protestò la nipotina.
- Oh, scusa, sai che mi sbaglio sempre. – La bimba mise il broncio e gli morse la punta del naso. – Ahia, ma una volta non davi solo pizzicotti?
- È nella fase dei morsi, – spiegò Elettra, avvicinandosi con una borsa di plastica in mano. – Immagino che averle preso un cane che non fa che distruggermi tende e ciabatte abbia avuto una certa influenza. – Sbuffò e s’interessò alla graziosa giovincella che sembrava nascondersi dietro le spalle larghe di suo fratello. Oh, tesoro, penserai mica di sfuggirmi? – Ciao, io sono Elettra, sua sorella. Tu sei…?
- Azzurra.
Si tesero la mano e la più vecchia dei fratelli Quaresmini prolungò la stretta, nell’eventualità assai poco probabile che ciò le potesse servire a captare qualche informazione in più.
- Quella Azzurra?
Achille era di nuovo teso come una corda di violino: non era normale che la sola presenza di sua sorella lo inquietasse tanto!
- Beh, immagino non ce ne siano molte altre in giro, – rispose lui per Azzurra.
- È un piacere conoscerti. Sei appena arrivata?
Magari.
- No, purtroppo c’era anche prima, – continuò il riccio.
- Prima quando?
- Prima, – disse laconico.
- Oh. Prima. – Elettra per poco non fece cadere un piccolo presepe ecuadoregno con il braccio. Ops, forse il moto di assoluta verità che l’aveva colpita in presenza di Chantal era stato udito da terzi... – Perdonami, mi lascio sempre prendere un po’ la mano.
- Ce ne siamo accorti. Beh, per evitare che tu mi complichi ulteriormente l’esistenza, noi ce ne andiamo. – Prese il portafoglio e ne trasse due banconote. – Eccoti trenta euro, nel caso non bastassero a coprire la mia quota, fammelo sapere. Ciao Liana.
La bimba gli fece la linguaccia e una pernacchia, al quale lui rispose con un occhiolino. Era adorabile, ma se avesse permesso ad Azzurra di parlare con Elettra, invece che farlo al posto suo…
 
Prima ancora di discutere della ciambella francese – in realtà, prima ancora di raggiugere la macchina parcheggiata –, Azzurra era furiosa. Achille Quaresmini era un bastardo; giocarsi la carta della nipotina piccola e paffuta e mostrare il suo lato più tenero e maledettamente efficace con i bambini non avrebbe funzionato. E con in testa quei ricci, poi! Pensava forse di raggirarla con tutta quella dolcezza? Nossignore, si sbagliava di grosso.
- Mia sorella parla troppo, – si scusò con un sorriso, chiudendo lo sportello dell’auto. – Avrei voluto raccontartelo io, con calma.
Con calma? Cioè una volta sposata, felice e cornuta?
- Già, – gli rispose atona.
- Sei arrabbiata?
Azzurra si conficcò i denti nella lingua. Quella era in assoluto la domanda che più detestava le fosse fatta da parte del proprio partner. Era del parere che se qualcuno sentiva la necessità di porla, evidentemente era perché sapeva di aver fatto qualcosa di sbagliato.
- No.
- Mi odi?
Achille stava seguendo il perfetto schema dell’uomo colpevole con rimorso: tastare il terreno, cercare di capire il tasso di scontrosità e di rabbia della partner – ricordandosi di tradurli nelle percentuali femminili, sempre molto più alte e meno ragionevoli di quelle maschili –, infine provare ad abbassare tale tasso con la faccia da cucciolo denutrito, bastonato e abbandonato sul ciglio dell’autostrada nel giorno più torrido dell’anno.
Peccato che Azzurra non lo stesse guardando. Fissava dritta davanti a sé, la borsa sulle ginocchia e le gambe unite. Il riccio le diede una rapida occhiata rassegnata: era ufficiale, dopo la piazzata di sua sorella, non c’era possibilità di vederle aperte. Non per lui, quantomeno.
- No, – disse secca.
Santo cielo, basta con quei monosillabi! Achille li temeva come una minaccia nucleare, perché sapeva che erano il preludio di una imminente Terza Guerra Mondiale, in cui lui avrebbe combattuto solo, contro il battaglione armato di Azzurra e di tutto il gentil sesso. Esclusa Chantal, forse.
- Sei gelosa?
Lei finalmente si girò verso di lui, soltanto per regalargli un’occhiata indignata.
- Ovvio che no, – le venne quasi da ridere al pensiero che lui avesse anche solo potuto concepire un’idea tanto assurda.
- Perché non ne avresti motivo. Chantal è acqua passata.
Azzurra si morse un labbro dal nervoso. Ora il signorino si concedeva pure la libertà di chiamare quell’essere per nome. E lo aveva pure sbagliato, perché Chantal si scriveva: C h a c q u e t t a.
- Okay.
- È tutto a posto, quindi?
Nei tuoi sogni, idiota.
- Certo, – gli sorrise per una frazione di secondo, controllando la strada. Mancava poco più di un chilometro per giungere al suo condominio in viale della Quercia 27: bastava solo che al semaforo svoltasse a sinistra e poi c’erano due curve a gomito, dopo le quali cominciava la zona residenziale. Dai, premi quell’acceleratore! Mai tragitto le era sembrato tanto lungo.
Ma Achille girò a destra, lasciandola di stucco.
- Andiamo da me? – le propose, mentre ingranava la terza.
Oh, questa domanda proprio non se l’aspettava.
- Preferisco tornare a casa.
- Pensavo avremmo trascorso la serata insieme… – le disse lui, di nuovo con quel faccino da molosso dimenticato all’autogrill.
- Sono stanca, – vacillò lei, subito – Ma tu, se vuoi, esci pure.
Ed eccola, la trappola: dargli la possibilità di essere libero, o almeno l’illusione di essa. La parte pregnante di quel ‘se vuoi’ era quella nascosta, sottintesa. Come dire che sì, poteva, magari anche voleva, ma la verità è che non doveva.
- Farò qualche chiamata, qualcosa troverò.
Arrivarono ad una rotonda, alla quale Achille fece retro-front, diretto finalmente verso casa di lei. Azzurra dovette fare appello a tutto il self-control possibile per non sbranarlo a morsi, sulle orme tracciate dalla nipotina. Non capiva se lui la stesse deliberatamente provocando – e in ogni caso, non le pareva nella posizione di farlo –, o se fosse davvero così… uomo da non comprendere che l’unica cosa che lei – e dunque la legge – gli consentiva di fare era andare a casa, in castigo in un angolo, possibilmente munito di cilicio, a rimuginare sul proprio comportamento e implorare tutti i Santi al gran completo perché lei lo perdonasse. Gli avrebbe permesso anche di stracciarsi le vesti.
- Ne sono sicura, – grugnì a denti stretti.
Stava per esplodere, era stata fin troppo cortese e ora la sua pressione interna stava vertiginosamente aumentando.
- Buonanotte, allora. Mi dai un bacio?
Lei sgranò gli occhi: non poteva credere che lui glielo avesse appena chiesto. Che faccia tosta!
- Ho il raffreddore, – disse lapidaria.
- E da quando?
- Da quando mi hai fatto aspettare fuori al freddo per parlare con la tua amica.
Si diede un pizzicotto sulla gamba per essersi lasciata sfuggire quel tono acido e sarcastico: stava andando così bene!
Achille sorrise debolmente, sbirciando come le unghie della ragazza fossero ormai ficcate a nel povero sedile del lato passeggero. Ora lo sapeva con certezza: quella non era Azzurra, ma Gialla. Come la gelosia.
- Non è una mia amica.
- Come vuoi.
All’ennesimo sbuffo di lei, il riccio si arrese; fino a quel momento ammetteva di essersi divertito a vederle dipinto negli occhi l’intera gamma dei colori dell’arcobaleno, corrispondenti ad altrettanti stati d’animo, ma non voleva correre il rischio che un banale incidente di percorso pregiudicasse qualsiasi cosa stesse nascendo tra di loro.
- Trent, se hai qualche problema a riguardo, discutiamone.
- Problema? Ti sembra che io abbia qualche problema?
Oddio, queste domande a bruciapelo. Achille esitò: se avesse detto di sì, come era evidente che fosse, lei sarebbe andata su tutte le furie. Se avesse detto di no, lei avrebbe comunque trovato il modo di farlo risultare colpevole.
- Mi sembra solo che questa situazione non ti lasci del tutto indifferente.
Azzurra lo guardò sorniona: questa gliel’aveva proprio servita su un piatto d’argento.
- Neanche a te.
Lui accusò il colpo e  abbandonò la diplomazia, in favore di un sano confronto tra persone civili e ragionevoli.
- Dimmelo, se sei arrabbiata. Anche se, francamente, non ne capisco la ragione.
Stupidi, ingenui uomini. Povero, lui non ne capiva la ragione. Lei aveva fatto la figura della stupida davanti a ex, famigliari ed amici, ma se lui non ne capiva la ragione…
- Secondo te sono arrabbiata? Somiglio ad una che è arrabbiata? Eh? No, dimmi!
- Azzurra, calmati. Sinceramente sì.
Azzurra, stai tranquilla. Respira. Ti manca pochissimo perché lui se ne vada e tu possa prendertela col cassonetto, il lampione o con il primo malcapitato.
- Tu non hai la minima idea di come sia una donna arrabbiata! Ed io non sono una cazzo di donna arrabbiata, hai capito? Buonanotte Achille, goditi la tua libera uscita!
Scese dall’auto, non prima di essersi impigliata nella cintura di sicurezza e aver sbattuto la portiera così forte da far tremare l’intera macchina, imprecando. Achille impiegò qualche secondo, prima di comprendere ciò che era appena successo; la situazione era passata dall’essere un piccolo battibecco quasi simpatico ad uno litigio epico in meno di trenta secondi.
Era quasi certo di aver sentito ‘Camembert di merda!’ – e l’idea che l’uragano d’ira chiamato Azzurra lo avesse effettivamente pronunciato non era così remota –, ma decise di lasciar perdere, darle tempo per sbollire il nervosismo e soprattutto consolarsi di quella futile litigata, divorando l’ultimo krapfen avanzato.
Lo zucchero era senza dubbio la più potente delle droghe; e se a ciò si aggiungeva dell’olio di frittura e un’abbondante dose di ripieno alla marmellata di lamponi, beh… poteva anche morire in tutta tranquillità di overdose glicemica. Resistette fino a casa, ma, non appena appoggiato il sedere sul divano, con una mano agguantò il telecomando e con l’altro il sacchetto della pasticceria ambulante. Il secondo tempo della replica di una partita di serie A e il krapfen furono in grado di risollevargli l’umore, dopo un pomeriggio a dir poco disastroso, tra incontri indesiderati con ex, sorelle con logorrea e quasi fidanzate mortalmente gelose e assolutamente indisposte ad ammetterlo. I dolci e la Juve dovevano essere state create proprio per questi momenti.
 
Il bidet. Tutto ciò a cui riusciva a pensare Azzurra era che si stava facendo battere da una che non aveva neanche il bidet. Fino a quel momento, l’arrivo inaspettato della Chacquetta le aveva portato solo disavventure: un pomeriggio di shopping natalizio con barboso sottofondo musicale rovinato, trecento metri di percorso extra a piedi con le scarpe nuove – purtroppo non si era accertata di essere già giunti sotto casa sua, prima d’inscenare la drammatica discesa dall’auto di Achille al semaforo – e una barretta di autentico Toblerone svizzero per lenire il dolore di piedi ed emotivo. In tutto questo, poi, ciò che davvero la infastidiva maggiormente era la consapevolezza di aver dato all’odiosa francesina un vantaggio non indifferente: Achille – anzi, Achi – era libero per tutta la serata, ‘senza tutto quel reggimento’, potenzialmente con il suo numero ancora salvato in rubrica. No, non poteva permetterle di riprendersi la testa ricciuta di Achille. A costo di tirarglielo addosso, quel dannato bidet.
Doveva solo escogitare qualcosa per attirarlo. L’opzione dolci venne scartata quasi subito, nella testa di Azzurra rimbombavano ancora le parole di Elettra circa ciambelle, gelati e creme; di banche non sapeva nulla e tantomeno di economia, perciò eliminò la possibilità di stupirlo con conoscenze e discussioni sulla crisi o in generale su tutto ciò che aveva a che fare con il suo lavoro. Dopo ore di ragionamenti, non vide altra soluzione che accalappiare il Pelide con l’unica chance rimasta da giocare: il sesso. Ma non poteva essere del banale sesso – aveva sentito da qualche parte che le francesi sapevano essere delle zozzone a letto e non credeva che ciò dipendesse solo dalla carenza di igiene intima, causata dalla mancanza di bidet –, perciò, almeno per una sera, si sarebbe trasformata in Dita Von Teese e lo avrebbe sedotto. Se davvero lui era rimasto a bocca aperta davanti a Chantal, lei lo avrebbe fatto sbavare come un cucciolo di San Bernardo.
Rimaneva soltanto da stabilire come riuscire a fare tutto ciò. Lettura del Kamasutra, spettacoli di burlesque su Youtube, era disposta perfino a guardare quei video vietati ai minori che circolano su internet. Chantal Bonaparte, o qualunque fosse il suo cognome, sarebbe finita in esilio come il suo trisavolo.
 
21.45. Fabrizio sarebbe arrivato in meno di mezzora; era il caso di alzarsi dal divano, farsi una doccia e prepararsi. Il punto era che Achille era maledettamente comodo lì, stravaccato sul sofà, una gamba distesa e una poggiata sul tavolino da caffè, insieme alla carcassa di una confezione di biscotti alle mele e una bottiglia di birra ancora mezza piena. Aveva scoperto che la combinazione biscotti e birra non era così fenomenale come si era presentata nella sua testa. Anzi, faceva piuttosto pena. Come lui dopo sei ore filate di televisione del resto. Raccolse sufficienti energie per alzare il fondoschiena e dirigersi in bagno, dove lo specchio non fu per nulla clemente, restituendogli un’immagine costituita da occhi rossi e stanchi, capelli indomabili e dotati di vita propria, vestiti stropicciati e occhiaie profonde.
Signore e signori, ecco a voi Achille Quaresmini in versione senzatetto.
Si lavò i denti per togliere quella sgradevole sensazione di bocca impastata e si fece una doccia bollente, che non sortì altro effetto che intontirlo ulteriormente. Avrebbe dovuto accorciarsi la barba, ma non ne aveva voglia, perciò tornò subito in camera da letto per cercare qualcosa da mettersi. La sua camicia a quadretti, ecco cos’avrebbe messo. La Leone, il suo capo, aveva espresso in tutte le smorfie possibili il suo disgusto per lo stile campagnolo chic, ma a lui piaceva… e vaffanculo alla Leone, era comunque domenica.
Nel momento in cui Fabri suonò il citofono, Achille stava già indossando il cappotto. Si mise la sciarpa, controllò di aver preso portafoglio e chiavi e, per ultimo, afferrò il cellulare. Lo infilò nella tasca e uscì sulla tromba delle scale, ma dopo poco cambiò idea e ritirò fuori il telefono; voleva scrivere qualcosa ad Azzurra. Sapeva che ce l’aveva con lui e che probabilmente non aveva intenzione di parlargli, però ciò non toglieva che lui avesse voglia di sentirla. Un sms non l’avrebbe uccisa, suvvia.
- Non sono sicuro di sapere come siano tutte le donne quando sono arrabbiate, ma so quando lo sei tu…
Mise via il cellulare, prese un respiro profondo e scese velocemente le scale.
Quando Fabrizio gli domandò in che locale intendevano fermarsi per bere qualcosa, Achille era assorto nei suoi pensieri e gli venne  spontaneo rispondere il Tre di cuori. Si trattava di un bar vicino al residence in cui Chantal aveva vissuto per tutto il periodo durante il quale era stata in Italia. Conosceva bene quel posto, con lei si era seduto al bancone grigio metallizzato centinaia di volte, ordinando sempre la stessa cosa, stabilendo una routine che si era illuso sarebbe durata per decenni. Dopo la loro rottura non ci aveva messo piede per un anno, perché tutto gli ricordava lei e, ad essere del tutto sinceri, i cocktail erano annacquati e il cibo non un granché. Finché c’era stata lei, però, non gliene era importato molto; gli piaceva sedersi sugli sgabelli, sgranocchiare patatine e salatini, mentre Chantal gli raccontava la sua giornata, imprecando in francese contro i galleristi che la consideravano una ragazzina ricca e viziata. Lui la guardava infuriarsi per quella che sapeva essere la pura verità: i signori Delacourt – che aveva incontrato solo in rare occasioni – erano due collezionisti d’arte provenienti entrambi da famiglie facoltose, nella vita non avevano fatto altro che prestare opere di loro proprietà a grandi mostre internazionali, o vendere qualche quadro in cambio di altri. Il patrimonio dei loro avi era sufficiente a mantenere almeno quattro o cinque generazioni future. Grazie a Dio, Chantal non era così; aveva studiato storia dell’arte all’università e poi si era trasferita in Italia, per vedere e toccare con mano quello che i manuali di pittura, di scultura e architettura le avevano solo mostrato per immagini e parole. Aveva sempre cercato di fare trovarsi qualche lavoretto, i soldi erano dei suoi genitori, non i suoi. Achille amava quel suo spirito d’indipendenza, quella voglia di farcela con le proprie forze, a dispetto della facilità con cui il suo cognome avrebbe potuto aprirle porte e portoni. Purtroppo, quello stesso spirito d’indipendenza ero lo stesso che le aveva permesso di alzarsi un giorno e decidere che no, la prospettiva di un matrimonio e una famiglia non faceva per lei, così come l’Italia o tantomeno Achille. Era tornata in Francia, dai suoi, dal lavoro che le avevano offerto per convincerla a lasciare un bancario senza troppe prospettive di guadagno e un Paese straniero. L’avevano comprata e, soprattutto, lei si era lasciata comprare. 
Quando Achille era rientrato al Tre di cuori, ormai erano cambiate molte cose; il barman, innanzitutto. E il colore delle pareti. E il fatto che fosse con un uomo, invece che con una donna, ma non perché avesse cambiato orientamento sessuale. Ci tornava una volta ogni tanto, sempre e soltanto con amici; non ci aveva mai portato una ragazza, non dopo Chantal. Scegliendo quel locale proprio quella sera, Achille era cosciente che una parte di sé temeva di rincontrarla lì. O sperava.
- Birra? – gli chiese Fabrizio.
Non c’erano biscotti al bar, perciò la birra poteva andare. Mentre lui si sedeva ad un tavolino, l’amico si allontanò per raggiungere il bancone ed ordinare per entrambi e pagare il primo giro. Prevedeva che ce ne sarebbero stati molti altri: le donne della sua vita erano un casino totale; Chantal era tornata, Elettra non era in grado di farsi i cazzi suoi, Azzurra non voleva parlargli. L’unica che si salvava era Diana, ma le conversazioni con lei si limitavano ai rapporti ambigui tra Ken, Barbie e Skipper e alla complicata doppia vita di Hannah Montana.
Il cellulare suonò dall’interno della tasca: una nuvoletta sullo schermo gli annunciava che Azzurra aveva finalmente risposto al messaggio.
- Ho un po’ esagerato, mi spiace. Diciamo che ero alterata, ma certamente non per quella! È solo che faceva freddo, i neuroni si erano congelati…
Achille si stupì di una tale disponibilità al dialogo; alzò un sopracciglio dallo stupore, rileggendo per la quinta volta l’ammissione di essere stata in errore. Azzurra Trentini, donna, aveva appena detto di aver sbagliato. C’erano persino delle scuse, sottese. Dove stava la fregatura? Decise di mangiare la foglia, cercando di volgere la situazione a suo favore. 
- Spero non gli ormoni, però.
Non appena posò il cellulare, una bottiglia di birra gli scivolò nella mano. Non era della marca che lui e Fabri erano soliti bere. Si soffermò un attimo in più a fissare il vetro freddo tra le sue dita.
- Rimpiango i giorni in cui bastava dire ‘il solito’ e Pippo ci portava una Corona per me e una Heineken ghiacciata per te.
Chantal gli si sedette accanto, poggiando gli avambracci sul tavolino. Achille lanciò un’occhiata al bancone, dove Fabri si stava intrattenendo con una bionda formosa e sconosciuta. Mollò la presa sulla birra e si sfregò le mani sulle cosce.
- Sono passati anni, è cambiata anche la gestione.
- È un peccato.
Achille si strinse nella spalle.
- È la vita.
Chantal mise le sue mani su quelle di lui. Il cellulare suonò nuovamente sul tavolo e  Achille ringraziò colui o colei che stava cercando di contattarlo, togliendolo da un bell’impiccio. Chantal lesse il mittente del messaggio senza pensare minimamente che non fossero affari suoi. Il riccio lo lesse veloce e lo mise in tasca.
- …quelli stanno benissimo. Che ne dici di controllare domani sera a casa mia? Diciamo per le 9…
- Azzurra è la tua fidanzata?
Achille soppesò attentamente le parole; capiva che il destino di quella conversazione dipendeva da quella risposta. Non voleva mentirle, ma non voleva neppure che lei se ne andasse; dopotutto e nonostante tutto, lei era Chantal e andando indietro nel tempo di qualche anno, lui avrebbe pagato oro pur di avere l’occasione di starsene seduti a parlare ancora una volta al Tre di cuori come se niente fosse accaduto.
- No, – disse semplicemente, sperando di non aver appena fatto un torto ad Azzurra.
Chantal afferrò la birra e ne bevve un sorso.
- Non posso dire di esserne dispiaciuta.
Catturò tra l’indice uno dei ricci del ragazzo. Lui rimase per un attimo a corto di parole, incerto su cosa dire; era così inopportuna, così fuori luogo… non poteva davvero credere di tornare dopo anni e pretendere di riprendere da dove avevano interrotto. Da dove aveva interrotto. E se aveva intenzione di giocare ancora, come in fondo, con il senno di poi, Achille aveva realizzato che lei aveva sempre fatto, allora era persino più crudele e meschina di quanto ricordasse.
Chantal notò la sua distrazione e provò ad aiutarlo nell’unico modo in cui era capace di risolvere i problemi: gli impedì di pensare nell’istante stesso in cui lo baciò.
 
   
 
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