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Autore: Ale HP    22/02/2013    1 recensioni
Dal testo:
Giulia tornava a casa sua di rado, davvero troppo di rado: era sempre troppo doloroso.
Aveva sempre amato quel posto, era così piccolo, così familiare, lì tutti si conoscevano, non potevi far niente senza che si venisse a sapere per tutto il paese; e poi c’era la sua famiglia unita.
[...] Fino ad arrivare a quel momento, più di un anno dopo la morte del nonno, quando Giulia era tornata a casa.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom:Originale, Introspettivo.
Raiting: Verde
Avvertimenti: OS, Angst
Parole: 1.000
Note: Storia leggermente autobiografica, diciamo che c’è stato un qualcosa che mi è successo che ha poi ispirato ogni cosa; se la trovate cliché – cosa molto probabile – è che la mia vita è banale, quindi!^^

Home.

  Giulia tornava a casa sua di rado, davvero troppo di rado: era sempre troppo doloroso.
Aveva sempre amato quel posto, era così piccolo, così familiare, lì tutti si conoscevano, non potevi far niente senza che si venisse a sapere per tutto il paese; e poi c’era la sua famiglia unita.
  Suo nonno, la colla della famiglia, aveva vissuto quindici anni senza sua moglie, senza l’amore della sua vita, riuscendo a calmare ogni litigio, qualsiasi capriccio dei tanti nipoti – quattordici, per la precisione. Era anche un maestro delle elementari e un ottimo allenatore di calcio; era un nonno fantastico. Ma allora era facile: lui era appena settantenne e i nipoti erano piccoli e docili – e anche di meno. Giulia ricordava ogni estate passata in quella casa a giocare con i cugini, i suoi migliori amici. Erano i ricordi più belli che avesse. Ma più si andava avanti con gli anni e più la bellezza di quei ricordi diminuiva, più i cugini crescevano e meno venivano lì ogni estate e più la felicità andava a scemare.
  Fino ad arrivare a quel momento, più di un anno dopo la morte del nonno, quando Giulia era tornata a casa.
Lei e suo padre si erano messi in macchina, lui doveva sistemare alcune carte per la successione – ancora, sì – e lei aveva semplicemente bisogno di rivedere quella casa.
  Quando l’edificio giallo le si parò davanti si sentì morire: le finestre chiuse, le tapparelle abbassate, la porta serrata. Il nonno era della mentalità che nessuno possedeva niente, che la casa in cui viveva – e non la sua casa – trovandosi sul suolo pubblico era di chiunque volesse entrarvi, come ai vecchi tempi, come nella vecchia casa.
La vecchia casa Giulia non l’aveva mai vista; era stata dichiarata inagibile dopo il terremoto dell’ottanta, e così tutta la città, che si trasferì a qualche chilometro di distanza, spazzando via campi coltivati e dove una volta scorreva il torrente. Giulia non aveva mai avuto il piacere di farci un bagno: quando c’era ancora, era troppo piccola per andarci, era un posto per “grandi”, quello, diceva suo cugino maggiore.
  In ogni caso, tornando alla casa gialla, quella che il nonno aveva disegnato e costruito con le sue mani – mattone dopo mattone – Giulia non poteva guardarla così senza mettersi a piangere.
Nel cortile lì davanti era caduta chissà quante volte giocando, pattinando sul ghiaccio che si formava ogni tanto in inverno, andando in bicicletta. E poi c’era l’atrio, con quel tavolino che in estate portavano fuori i più grandi e giocavano a carte – burraco, ovviamente, come aveva insegnato la nonna. Giulia chiedeva sempre quando sarebbe diventata abbastanza grande per giocare anche lei. Nel frattempo, si limitava a rincorrersi con i cugini più piccoli.
Oh, e poi c’erano le scale! Quelle scale le avevano fatto sempre paura; si ricordava di una volta in particolare in cui entrò una zingara in casa, con tanto di bastone – sempre per la filosofia del nonno di lasciare la porta aperta – e lei e il suo “miglior” cugino, chiamiamolo così, corsero al portaombrelli, presero un ombrello a testa e intimarono alla zingara di andarsene e poi chiusero la porta sul retro.
  Al primo piano c’era la casa vera e propria del nonno, con il grande salone in cui nessuno poteva entrare – c’erano i mobili buoni, eh! – e la grande sala pranzo, dove ogni domenica si mangiava fino alle quattro le fantastiche pietanze preparate dal nonno – era anche un cuoco eccezionale, lui! – e dove si passava ogni festività. La sua preferita era l’ultimo dell’anno: in quell’occasione c’erano tutti – persino gli zii dell’America – erano più di trenta, e lei poteva giocare a carte, proprio perché erano così tanti da fare un grande torneo. Lei e uno dei suoi cugini – uno dei più grandi – arrivarono alla grande finale un anno, perché quando tutti si eccitavano per i botti e andavano fuori al balcone, loro si scambiavano le carte che gli servivano. A fine serata, andavano tutti a dormire nelle tante camere della casa; ce n’erano due allo stesso piano della cucina, salone e sala da pranzo, ognuna con due letti, lì dormivano le cugine più grandi, perché erano vicino al bagno e si sa cosa si combina all’ultimo dell’anno. Al secondo piano c’era la casa dello zio “povero”, l’unico che non se n’era andato da lì, più che altro per amore; affianco alla sua casa, dove dormivano i suoi due figli, c’era un piccola appartamentino: due camere da letto, una doppia, e un’altra con due letti abbastanza grandi, lì dormivano Giulia, sua sorella e la cugina di Roma, una volta uniti i letti. E, infine, c’era un ultimo piano, per di più inutilizzato, perché chi abitava a meno di mezz’ora di macchina da lì, tornava a casa propria.
  Mentre Giulia si perdeva nei ricordi, osservava ogni piccolo dettaglio in cerca di qualcosa che le facesse capire che tutto sarebbe tornato come un tempo, suo padre già aveva finito di fare ciò che doveva fare: aveva parlato con suo fratello, aveva consegnato delle carte e l’aveva salutato senza nemmeno prendere un caffè.
Giulia non si oppose quando il padre le disse di tornare a casa: ormai non c’era più niente lì.
  Nemmeno sua cugina viveva più in quella casa con i genitori, ora frequentava l’università in città, a Napoli. Sua cugina era un modello di ragazza: bella, simpatica, alta, futuro medico, e fidanzata da più di sei anni. Ogni voltata che la vedevi con il fidanzato non potevi fare a meno di innamorarti anche tu dell’amore, del loro rapporto. Era davvero il ragazzo giusto per lei.
  Chissà se Giulia l’avrebbe mai trovato, un ragazzo, depressa com’era.
Non c’era spazio per l’amore nella sua vita; forse un tempo, forse prima che suo nonno morisse, alla veneranda età di novantacinque anni. Ora la sua vita consisteva solo ed unicamente in ricordi, lontani e sfuggenti, e la voglia di tornare una bambina la cui massima aspirazione era diventare grande abbastanza per giocare a carte.
  E la verità qual era? Alla fine, odiava giocare a carte.
 
                                                                                             

   
 
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