“ Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.
Il ponente schiumò ne’ i suoi capegli.
Immensa apparve, immensa nudità.”
( G. D’Annunzio )
Il vascello di Garuda galleggiava, taciturno e trionfale, sul lago Titisee.
Le spighe cadaveriche del crepuscolo lo facevano sfavillare oleoso e dittatoriale.
La rifrazione della sua mole, sulle acque del bacino, gorgogliava inquietante: quel riflesso era costituito da stracci di onde scure che parevano tisiche anime del Tartaro.
Gli operai osservavano , dalla rive, quel tetro gioiello d’ingegneria navale: era magnifico.
La prua possedeva la forma della testa del Garuda: becco squadrato che mostrava due file di denti aguzzi, occhi abulici ma fulminanti, testa spinosa ed armonica. L’aspetto più sbalorditivo si mostrava l’immensa intelaiatura : erano state fucinate delle piume di ferro, affisse una ad una, per avvolgere il possente collo della scultura.
Una volta infuse al veliero le energie spiritiche degli Inferi, sarebbe stato pronto per librarsi in cielo.
Eaco, sottocoperta, esplorava compiaciuto le viscere lignee di quel rapace: maestose ed enormi, non sembravano gli antri di una nave bensì i corridoi di un maniero.
Violate guardava il superiore tacita e rapita.
Lui indossava la panoplia* del Garuda: una corazza metallica di straordinarie eleganza e mostruosità. Una coppia di cesellate ali emergeva dalla schiena. Erano manufatti di scaglie lucenti.
La ragazza era convinta che non esistesse Generale più maestoso, giovane più splendido…
Lo studiava con passione religiosa e struggente. Le sembrava di vedere una divinità scesa dalle galassie, uno spirito che valutava le interiora del proprio Tempio.
Egli balenava arcano e letale come la sfinge di Tebe. Possedeva il mistero di Visnu e l’effluvio mortifero di Kalì, la dea della morte. I suoi passi musicavano somiglianti a sonagliere di serpenti, a sistri egizi, a tamburi zingareschi.
Era ammantato della tenebra di Lucifero ma ciò non lo rendeva meno nobile dell'arcangelo Michele dalla corazza fiammeggiante.
- E’ tutto perfetto – appurò soddisfatto - non vedo l’ora di annientare con questo capolavoro. Chissà come rimarranno gli insetti di Atena!
Ridacchiò velenoso e seducente.
Portava sul capo un elmo dotato di lunghe corna e di tre occhi dorati: l’avvenenza del viso gli s’incastonava sinfonica in una finezza demoniaca.
Si voltò verso Violate che si perse nel suono del suo sguardo…
Gli suggé , con l’animo, il viola degli iridi primaverile e cimiteriale…
- Che ti prende? – domandò lui con tono dolce e provocante.
Ella, svegliandosi dalla contemplazione, rispose:
- Scusate! Ero…distratta.
Il ragazzo , sorridendo, le si fece vicino. Pareva ancora più alto con l’armatura, pareva ancora più carnale con la bellezza nascosta delle membra.
- A cosa stavi pensando?
- A...nulla di importante…
- Sei sicura?
La prese per la vita, attraendola a sé.
Le loriche rumoreggiarono l’ una contro l’altra.
Violate finì col volto a pochissimi centimetri di distanza da quello del suo Re…Era trascorso un mese dal bacio sul Danubio ma lei bruciava come se tutto le fosse successo quel giorno stesso.
Il Generale le premette le labbra sulle sue.
Lei gli toccò le guance e gli sfiorò i capelli sotto l’elmo.
Purtroppo dovettero interrompersi.
Sentirono i soldati che li chiamarono.
Garuda, stizzito, si staccò malvolentieri dal suo sergente.
Se avesse potuto, avrebbe fatto l’amore con lei lì , sul momento.
Sfortunatamente le circostanze non si erano mostrate favorevoli e le danze dei sensi continuarono ad arenarsi in quel modo anche nell’arco dei due mesi successivi…
Il Tempo e la Sorte si rivelarono un irritante duo di beffeggiatori.
Negli allenamenti, Eaco adorava le lotte corpo a corpo. Violate attaccava e si difendeva selvaticamente per poi lasciarsi prendere e finire a terra.
Finivano sempre allacciati l’uno all’altra.
I combattimenti stavano divenendo simulazioni d’amplessi.
Perché non rompere i cancelli di qualunque protezione e raziocinio?
Lei doveva essere sua.
Era Garuda. Il re.
Apparteneva alla razza dei dominatori. L’avrebbe potuta possedere al pari delle serve del castello che erano state nel suo letto.
Cos’aveva di diverso Violate dalle altre donne?
Ad un’ immediata analisi, troppo cose: i poteri sovrumani, la camminata atletica, gli atteggiamenti . La maggior parte degli specter la considerava una sorta di demone asessuato. Non riuscivano a capire la sua intima identità : la corazza di Behemoth donava una mascolinità anomala.
Un involucro. Soltanto un involucro.
Eaco ne era consapevole.
Nessuno l’aveva vista come lui.
Nessuno sapeva soggiogarla come lui.
Violate restava una donna. Sotto il surplice occultava un bellissimo corpo: un collo splendido, un seno morbido, un ventre liscio, delle gambe calde, un incantevole fondoschiena.
Quelle meraviglie potevano essere conquistate.
Il ragazzo immaginava innumerevoli modi per catturare la sua guerriera, esplorarla, leccarla…
Behemoth doveva finire tra le sue braccia, sotto il suo corpo.
Come quel lontano giorno. Quel giorno che li vide quindicenni.
Qualcosa, tuttavia, s’incrinò sformandosi in fumo.
Se lui non avesse colto in lei quella dannata luce tramortita, svenata, rimpicciolente…
Il cielo era cenerognolo, avvizzito e gonfio.
Le nubi restavano inzuppate in una torpedine slavata e mesta.
Eaco e Violate si stavano allenando da interminabili ore.
Si esercitavano nel combattimento sulle rive verdeggianti del fiume Brigach*.
I ragazzi si scontravano in duelli spericolati di pugni, morse, spinte, proiezioni.
Le loro braccia e le loro mani risuonavano della pesantezza dei massi e del bruciore dei fulmini.
Garuda riuscì a sbilanciare Behemoth e a scaraventarla con la schiena al suolo.
L’erba e le piante tremarono.
La ragazza mosse a rilento le sue membra indolenzite.
Respirò con fatica.
Il vincitore la fissò dall’alto. Le studiò la lunga coda disfatta, la frangia impolverata, il bel viso sporco di terra, il corpo…coperto da una leggera corazza d’addestramento.
Lei vestiva eguale ad un maschio: si fasciava il seno, camuffava i fianchi, fortificava i muscoli.
In quel momento, da una rupe invisibile, il ragazzo desiderò piombarle addosso.
Non era pervaso più dalla volontà della lotta. Una voluttuosa curiosità l’aveva ghermito.
Divorò con la vista la fanciulla che ansimava... Era irresistibile distesa supina sull’erba umettata, distesa frastornata con ogni difesa rovesciata.
Compariva come una ninfa arcadica che tentava di risvegliarsi da un temporale.
Compariva come una rude Venere che non voleva denudarsi.
Violate guardò Eaco: le sorrideva in modo strano.
Si tolse l’armatura che gli proteggeva il petto e le spalle.
Si inginocchiò di fronte a lei divaricandole le cosce.
La ragazza si agitò. Le venne strappata di dosso la corazza che le celava il busto.
Il giovane le si sdraiò sopra, con impeto, iniziando a premerle il proprio bacino contro il basso ventre. Tentò di scucire le bende che le stringevano i seni. Le morse quasi il collo…
Violate non capì se provava eccitazione o paura. Non era mai stata travolta da quel genere di maree. Si riconosceva simile ad una canoa che precipitava lungo i capelli violenti d’una cascata.
Era splendido stare sotto Eaco, toccare il suo torace, vedere il viola letale del suo sguardo così vicino…tuttavia…una riluttanza puerile e scontornata insisteva ad imporre la supremazia.
Garuda tentò di invadere la bocca della fanciulla ma si accorse di uno strano freddo.
Le labbra di lei esitavano quasi impallidite. Non avevano alcun profumo di calore. Le gote del viso si erano innevate e ammutolite.
Il cuore di Behemoth pulsava raffiche di pioggia e bora.
L’adolescente s’immobilizzò.
Scrutò gli occhi purpurei di Violate: acerbi, indifesi, smarriti.
Un’ indescrivibile pesantezza lo permeò.
- Perché te ne stai ferma? – chiese.
Lei lo guardò intimidita e scossa. Non riusciva a formulare una risposta.
- Cosa faresti se volessi continuare?
La guerriera distolse gli occhi da lui.
- Violate!
Venne artigliata duramente per i polsi.
- Posso fregarmene, sai?!
La ragazza iniziò a lacrimare.
- Maledizione! Perché te ne vuoi stare ferma?! Perché proprio tu?!
Violate balbettò:
- N-non….non l-lo so…
Il ragazzo si sollevò bruscamente da lei.
Indossò di nuovo l’ armatura.
- Alzati, stupida. Torniamo al Castello Heinshtein.
Il cielo affumicato cominciò a stillare gocce d’acqua. Il fiume venne bucherellato da aghi d’effimera e illusoria freschezza.
Fu un incidente. Un incidente da dimenticare.
Quell’episodio finì sepolto in una piramide proibita. Nessun archeologo d’emozioni represse si sarebbe più avventurato lì .
Fu un incidente. Un incidente da dimenticare.
La stolta deviazione di una biga.
Il fallimento del tiro di una freccia.
Eaco si ricordava d’essersi sentito come un maldestro auriga e un pessimo arciere.
Per quale ragione s’era fermato?
Com’era possibile che si fosse lasciato inghiottire dall’orribile cetaceo della colpa?
Aveva avuto paura degli occhi di Violate? Aveva avuto paura della sua paura?
Avrebbe potuto devastare quella ragazza, infiammarla come Cartagine e dopo cospargerla di sale.
Era il suo Generale. Lei doveva chinare il capo.
Lo faceva già a dire il vero. Era pure una spaventosa specter ma quando veniva ripresa duramente taceva mortificata e devota. Tutte le volte che riceveva minacce le labbra le sbiancavano di vergogna.
Diventava proprio una bambina…Si rimpiccoliva come una ginestra intrappolata in un suolo vulcanico.
Cos’aspettava , lui, allora?!
Ella attendeva di sentirsi preda per davvero.
Non avrebbe più tremato come quella volta. Avrebbe accettato supinamente il suo signore.
Sicuramente.
Occorreva trovare l’occasione giusta.
Egli doveva farlo perché sarebbe stato il gioco più eccitante della sua esistenza.
Sì…un gioco che avrebbe padroneggiato la sua mente.
Giocare e fuggire. In quale altro modo si poteva sopravvivere in un regno in cui dominavano le tenebre di Ade?
Gli specter non potevano flagellarsi o sgozzarsi. Sarebbe stato stupido e inutile visto che avevano la facoltà di risorgere.
Per non sentire le sanguisughe della depressione v’ era una via: l’oblio. Esso offriva, a sua volta, due alternative: l’alcol e il sesso.
Il vino riempiva, gonfiava e rallegrava. Alla fine delle gozzoviglie, purtroppo, lo si vomitava e si ripiombava nella notte.
Le femmine facevano godere, vedere il paradiso e stordire. Eaco sapeva che gli altri due colleghi generali si recavano fuori dal castello per andare a sollazzarsi nei paesi limitrofi. Radamantis sfogava i propri appetiti su contadine o meretrici, Minos adorava sedurre e deflorare ragazzette adolescenti.
Giocare, fuggire, giocare, fuggire.
Era un meccanismo schifoso ma , d’altronde, che altro si poteva fare?
Eaco, in fondo, provava repellenza verso sé stesso. Meglio fingersi demente e bestiale.
Tutto era prigione. Per preservarsi , almeno, uno straccio di sanità bisognava sopprimere la ragione.
Il cervello conduceva alla follia.
Sarebbe stato un gioco. Solo un gioco.
Garuda si sarebbe estasiato.
Le sue mani si erano unte da anni.
Nulla da perdere o rimpiangere.
Avrebbe soltanto necessitato di prudenza.
Gli occhi di Violate erano privi di filtri.
Erano violentemente sinceri, ingenui, passionali.
La prudenza…la prudenza…
La prudenza per non affogare nelle profondità.
La prudenza per sotterrare il terrore di vedere.
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Quella giornata di marzo si stava consumando , lentamente, simile ad un legno divorato da termiti.
Il sole , plorante di rassegnazione, declinava il capo sotto la dolce ghigliottina della sera.
Le catene montuose orlavano, corni di rinoceronte, il fosco sudario del giorno che scemava.
I pini della Foresta Nera specchiavano le corazze aculeate su un piccolo lago dal dorso piatto…
Le acque erano incantevoli alle luci accidiose di quell’ora: parevano mutare le loro particelle in essenza d’ amaro liquore o tè pescato.
Violate, instancabile, nuotava da un’estremità all’altra del bacino. Sebbene l’addestramento fosse concluso, seguitava a temprare la sua resistenza.
Le membra nude, atletiche e slanciate, laceravano con prepotente grazia le stoffe scivolose dello stagno…La lunghissima chioma nera, dai riflessi rosso-violacei, danzava temibile al pari d’una piovra dai tentacoli venefici.
Dotata dello splendore notturno e acuminato di una sirena, la ragazza prese a navigare sul dorso. Il seno magnifico e il ventre sodo, toccarono, leggeri, l’aria asciutta.
Il tessuto acquatico tentava inutilmente di vestire quel corpo indomabile che spruzzava, sensuale, spuma bianca.
Eaco era giunto sulla sponda destra del lago celando il proprio cosmo.
Non aveva potuto non notare Violate che si stava esercitando ininterrottamente.
Sorrise.
Possedeva un’arma da guerra eccelsa: le stelle di Behemoth rifulgevano nello sguardo purpureo della ragazza …Coriacea, abile, selvaggia era capace d’annientare qualunque muraglia di terra e marmo.
Il generale continuò a contemplarla : nessuna armatura o vestimento bellico ne celava l’ombrosa femminilità. Era lì…priva di barriere.
Egli avvertì il cuore sanguinargli d’ eccitazione…La mente, i polmoni, le viscere, le parti più recondite cominciarono a consumarsi voluttuosamente.
Espirando lieve ed incendiato, si liberò dai pezzi dell’armatura…Denudò le braccia possenti, le spalle ampie, il petto e gli addominali... Scoprì le gambe agili e ben tornite…Restò madido della luce tramontante, senza più un lembo di ferro che gli serrasse la bellezza.
Raggiunse la riva del lago immergendosi con movenze feline.
Violate, nel frattempo, si avvicinò alla sponda opposta.
I flussi le cingevano i fianchi, la chioma le aderiva al petto ansimante e alla schiena sinuosa…Le cosce avanzavano spostando le pesanti coperte delle acque.
Improvvisamente due mani l’afferrarono per le anche.
La ragazza, sussultando, si ritrovò il dorso contro un torace e un addome atletici.
- E’ imprudente abbassare la guardia – le mormorò Eaco ad un orecchio.
- Generale…
- Dovresti sempre guardare dietro.
Il giovane le lambì le spalle.
Ella, a quella carezza piovigginata, respirò torrida e tenera.
- Io – si giustificò accesa – come potevo accorgermi di qualcosa ? Hai nascosto la tua aurea…
Aveva abolito il “ voi” delle distanze, delle convenzioni…
Eaco la strinse con maggior veemenza, godendo delle sue scapole un po’ scivolose, delle sue natiche che lo solleticavano sotto il ventre. Palpitò di lava come il nucleo terrestre, gli sembrò di sfregarsi contro dune di cotone bagnato, morbido.
- Ti ho attaccata di sorpresa – rise soffuso – per vedere come ti difendi…
Le afferrò i seni, palpandoglieli con sete e fame, suonando quella carne soffice e florida. Giocherellò coi capezzoli rosei come stesse stringendo tre le dita steli di fiori appena nati.
Violate gemette annegata e deliziata.
- Non voglio difendermi…- rispose.
La mano di lui le serpeggiò giù, sotto l’ombelico, per approdare ai lembi del sesso. Glieli toccò cocente, lasciandosi stordire dalla loro allettante delicatezza.
La ragazza rabbrividì, si mosse estasiata a quella presa che la stava assaggiando…Le dita dell'amante le mescolavano la sua intimità scura, celata…
Volle sentire il ragazzo ancora più a fondo, con ogni anelo della pelle.
Ella, afferrandogli le braccia, girò il corpo verso di lui e si avvinghiò alle sue membra.
Si attaccò al suo petto, al suo ventre, al suo pube. Mettendogli le mani tra i capelli grondanti, lo attrasse al proprio viso. Gli morse un labbro come stesse assaporando uno spicchio di ciliegia, di fragola. Gli leccò, golosamente, tutta la bocca, asciugandone la patina d’acqua che la impregnava.
Lui l’ avvolse con foga, insinuandole la lingua nel fiato, assalendola tra le mandibole.
La sollevò ghermendola per le natiche, facendole avvertire il membro eccitato che la stava per invadere.
Ella gli circondò le ampie spalle, avviluppandogli le proprie cosce al bacino. Con respiro arrovellato si lasciò esplorare dall’erezione famelica.
Come nell’incatenamento d’una lotta, Eaco si gettò, assieme alla fanciulla, sulla battigia del lago.
Disteso, sopra il corpo dell'amante, prese a mareggiare con selvaggia dolcezza, ansimando acqua e fuoco.
La sabbia acinosa della sponda massaggiò , aspramente, il tergo di lei. Quel giaciglio cullava squassando, srotolava un attrito fradicio e villoso: era una steppa carezzevole e grezza.
La guerriera non sapeva se stesse gemendo di piacere o di dolore. La penetrazione l’alcolizzava in un deliquio appetitoso e spellante. La verga di Garuda le affondava tra le dune delle pelvi simile ad un dardo di legno vellutato.
Il cielo , elevatissimo baldacchino, assisteva quel rito: rimestava il viola delle ametiste col carminio dei muscoli dolenti.
La ragazza arò la schiena del Generale con le unghie, gli addentò una spalla, gli stritolò con maggior violenza i fianchi.
Lui le morse il collo succhiandole la pelle, le graffiò il fondoschiena e le gambe.
Nessuno di loro voleva perdere.
Entrambi volevano essere padroni dell'anelo, delle membra, del sesso dell'altro.
Behemoth rovesciò il suo dominatore supino, cavalcandolo come fosse una belva, affrontando l’esaltante sofferenza dei sensi.
Abbrancandola per le braccia, lui l’attrasse contro il proprio volto: s’impossessò del seno della fanciulla gustandone le punte rosee con le labbra , mangiando gocce d’acqua.
Arrestandola per fianchi, la costrinse a stare sotto di lui.
Le annegò dentro ancora di più, scavò con maggiori fiammate, diventò più forsennato.
Ella si fece trafiggere e accecare dai quei lampi.
Quel maremoto era la caduta più sublime e livida che le fosse mai capitata. Nel dolore roteò un illogico godimento : una valanga gelata si tramutò in vino fervente.
Eaco le lacerò la membrana della carne, dell'anima, delle once del sangue.
L’estasi esplose in ventata di grandine, lapilli di vulcano.
Violate fu colmata del caldo fluido del desiderio: quel siero eiaculò nei canali più intimi del suo regno.
Il Sole era ormai collassato a Ponente.
Il cielo olezzava di frescura blu, tumida. Un’ultima coda di giorno, anguilla lassa e violetta, restava, penitente, all’orizzonte.
La Foresta si marchiava di penombra e canti di uccelli e insetti notturni.
I due amanti, ancora vacillanti d’orgasmo, emettevano soffi affannati.
Garuda, con le braccia ai lati del viso della ragazza, tentava di tornare in superficie.
Lei, aveva chiuso un attimo gli occhi come una menade sfiancata da un’orgia bacchica.
Sotto il ventre le danzava ancora l’orma dolente della libidine .
Il generale si staccò un po’ da lei : scorse, tra le sue gambe, un sottile rigagnolo di sangue.
Tenue e malizioso, glielo asportò via con un dito della mano.
Si passò la lingua sull’estremità dell’indice impolverata di rosso.
Violate era diventata sua.
Il gioco era iniziato in maniera eccelsa.
La giovane, puntellandosi languidamente su un gomito, lo invitò di nuovo a sdraiarsi su di lei.
Eaco si ritrovò la testa adagiata sui suoi seni.
Avvertì le dita di lei accarezzargli i capelli, le spalle…Udì le pulsazioni accelerate del suo cuore che sfrecciavano, simili a falchi, nelle vene…
Com’erano forti, effervescenti, autentiche.
Profondamente autentiche. Tremendamente autentiche.
Assomigliavano ai battiti gioiosi che lasciavano trasparire le due figure femminili dei suoi sogni…Quelle sagome senza volto che lo chiamavano, che gli cantavano note dolcissime e sfocate…Quelle sagome che si perdevano e comparivano nella mente.
Il ragazzo si sollevò dal corpo della guerriera.
- Dobbiamo tornare alla base – disse laconico rizzandosi in piedi.
Lei, un po’ abbattuta, gli obbedì alzandosi lentamente.
- A- avete ragione…
Cercò l’ armatura con un’aria sperduta e colpevole.
Pareva una sacerdotessa che tentava di fuggire per aver compiuto un rito proibito.
Nessun uomo l’aveva mai vista nuda.
Nessun uomo l’aveva mai toccata in quel modo.
Nessun uomo l’aveva mai navigata come donna.
Eaco s’ ipnotizzò, la rimirò .
Era incredibile di come, anche nella penombra del vespero, ella riverberasse… La sua capigliatura, nera e bagnata, era il dorso di una pantera…
Sorridendo, le si avvicinò stringendola tra le braccia.
Lei ricambiò intensamente quella stretta baciandogli il collo.
I due si concessero gli ultimi istanti per intorpidirsi ancora di nudità.
La sera aprì pigramente il suo ventaglio di chicchi di stelle.
La luna d’avorio si preparò ad ascendere sull’atmosfera di sonno e stuoie d’oscurità.
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Furono epistole d’odori, di incendi.
Furono corrispondenze d’istinto.
In quei cinque mesi che si succedettero , non esistettero che armamenti di concupiscenza.
Legioni di piacere sfilarono sui campi di Garuda e Behemoth.
Una sinergia tuonante si radicò tra i ventri e i cuori dei due amanti.
Cacciatore e preda si congiunsero , confusamente , senza decreti e dogmi.
Nelle notti, ove gli acquitrini delle paranoie e dei dolori si tagliuzzavano temporaneamente, la lussuria attese solo d’essere dipinta.
Violate anelò il cielo che anneriva.
Aspettò, con trepidazione, di essere chiamata da lui, di rifugiarsi nella sua camera da letto, di lasciare all’oblio qualunque stento.
Eaco fu folle di passione.
Amava il corpo della guerriera, amava esplorarlo, toccarlo, farlo gemere. Finché fu lui a pizzicare le corde di quella cetra tutto rimase canzone perfetta.
Bastò relegare in una segreta la dura e abissale legge dell'anima. Se il cuore irrompeva, come un celtico furibondo, diventava più uccisore della Morte.
Garuda ne aveva terrore e per questo, in quelle lunghe settimane, spense qualunque scrupolo.
Per lui fu più che sufficiente giocare con lei.
Lei, la devota subordinata. Lei che gli si offrì risorgendo, casta, ogni sera.
Fu come impadronirsi della verginità di una valchiria o della cacciatrice Artemide.
Fu come vivere in una dimensione surreale, in cui la prima notte di nozze moriva e nasceva continuamente.
Si rivelò pericoloso quel ballo ciclico.
Il ragazzo cercò di non lasciarsi invadere dagli occhi dell'amante. Cercò di non farsi intrappolare, baciando e penetrando violentemente.
Ella, per fortuna, non dichiarò nulla.
Nulla di strano. Nulla di demolente.
Le notti arsero in quel modo. Eaco si appagò aggressivo e felice.
Si mostrò sicuro e inebriante. Quando l’irrazionale sessualità correva , pari ad un centauro, non c’era niente da temere.
Le uniche cose che lo fecero tremare furono i momenti in cui si svegliò guardando lei ancora addormentata.
In quegli attimi venne stregato dal silenzio e dall’inedita tenerezza della fanciulla.
Lui non soleva osservare attentamente le sue caduche amanti.
Per quale ragione lo fece con lei? Incalcolabili volte restò ammaliato dalle sua membra distese, che respiravano rassicuranti, intristite e misteriose. Parvero confessargli qualcosa di più elevato, ricolmo. Si sentì come un bambino che pazienta coccole dalla madre.
Vi furono delle volte in cui, simile ad un ladro, osò accarezzare la ragazza. Osò sfiorarla con una purezza che negli amplessi non concepiva.
Lo fece sempre di nascosto quale atto di congiura.
Non lasciò trasudare alcunché di tremolante.
Ella continuò a non dichiarare nulla.
Quell’equilibrio, tuttavia, stramazzò
Quegli argini, falsamente solidi, si ruppero.
Ciascuna cosa si rovesciò in una notte.
Una notte in cui lui sognò di nuovo di vedersi bambino.
Sognò di nuovo qualcosa di vecchio, alieno, luminoso.
Quella volta una strana canzone riesumò dai timpani del cuore.
Corri! Corri veloce!
Salta! Salta veloce!
Io sarò dappertutto.
Nelle foglie che toccherai.
Nei fiori che prenderai.
Nel cielo che navigherai.
Chi è cantava? Chi erano quelle due anime? Per quale motivo diventavano più brumose? Per quale motivo parevano mutare in figure di carta?
Gira! Gira veloce!
Vola! Vola veloce!
Io sarò dove tu vorrai.
Nei tuoi capelli.
Nei tuoi occhi.
Nel tuo respiro.
Seguitavano a comparirgli…senza volto, senza codice…
Desideravano cullarlo? Desideravano arroventarlo? Ucciderlo?
Sarò sempre nella luce.
Sono le tue mani.
Il tuo sorriso.
La tua estate.
Mi vedrai sempre.
Nell’alba di una stella.
Nell’alba di un sogno.
Eaco spalancò gli occhi.
Scattò a sedere sul letto.
Si toccò il viso: bagnato.
Stava lacrimando.
Lacrimando.
Lui. Lui!
Schifato, si asciugò quel pianto.
Assurdo. Assurdo.
Continuava a sprigionare lacrime!
Asciugava, asciugava, asciugava. Tutto inutile.
Le gote continuarono a rigarsi di torrenti…
Il ragazzo, sollevandosi dal letto, si precipitò davanti la finestra della camera.
Spalancò, febbrilmente, le vetrate.
Si affacciò respirando con rabbia incredula.
L’aria rigida della notte gli sferzò lo sguardo e la pelle nuda.
Non poteva essere…Non poteva essere…
Quella ninnananna gli era orridamente famigliare ed estranea.
Quelle due sagome femminili, che si erano alternate nel cantargliela, si erano sfocate ancora di più…erano più spettrali, più sbiadite…
Eppure…avevano pronunciato quelle strofe.
- Eaco.
Il giovane si accorse di Violate: gli aveva cinto teneramente il busto.
Si era levata anche lei. Aveva udito il suo tormento.
- Che cos’hai? – gli chiese.
Lui l’ allontanò burberamente.
- Non ho nulla.
La fanciulla gli andò vicino, cercando di prendergli il viso.
- Sei spaventato?
Egli si liberò dalle sue mani, distogliendo lo sguardo.
- Ti ho detto che non ho nulla.
Lei lo guardò costernata, in silenzio.
Si voltò verso la luna.
Quella luce, infarinata ed ossea, gelava la Foresta Nera.
- Non ti devi preoccupare – mormorò la ragazza – succede…anche a me.
Lui la squadrò muto e sospettoso.
- Senti qualcosa che emerge dal vuoto – continuò ella – vedi una luce che ti dona felicità, pienezza e poi ti abbandona. Capisci che quella luce era stata tua…da un’altra parte…in un luogo che il Sonno e la Morte ti hanno tolto.
Tacque.
- Quella luce che sogni – concluse – l’hai vissuta e l’hai amata…
Eaco rabbrividì sconvolto.
Violate aveva indovinato.
Non poteva darle ragione. Non poteva declinarsi al cospetto della verità.
- Non dire sciocchezze. Ciò che siamo stati è morto. Morto.
Ella gli si affiancò.
- Questo è ciò che credi – affermò – in realtà…è l’ anima che ti fa battere il cuore. Essa è tua e basta e può fuggire agli dei.
Lui , interdetto, la fissò di sbieco.
Rimase ad ascoltarla con le labbra serrate e l’agitazione fermentante.
- La cosa fa spaventare – gli sorrise lei dolcemente – ma non è per nulla brutta…bisogna affrontarla…
Lo abbracciò con un affetto e una complicità dilanianti.
Il ragazzo si percepì come intrappolato in una morsa.
- Continuerò ad accompagnarti ovunque – disse infervorata – l’ho sempre fatto e lo farò all’infinito.
Egli sperò che il discorso finisse lì.
Non tollerava più l’ansia.
- Eaco… ti amo.
Lui si svincolò sgarbatamente dall’abbraccio.
Stritolò la ragazza con sguardo sgranato.
Fece una smorfia sprezzante.
Alla fine scoppiò a ridere schernitore e malefico.
Violate divenne di ghiaccio.
Il cuore prese a sgretolarsi.
L’umiliazione l’afferrò per le caviglie trascinandola in una voragine.
- Non hai capito, sciocca? – ghignò lui – non hai capito proprio nulla?!
Lei non voleva più parlare.
Gli occhi le si erano incrostati di confusione disperata.
- Poveretta! Cosa pretendevi da me? Il sole?! La luna?! Le stelle?! Ma per favore!
Rise più rauco e acido.
La giovane, tremolando, si allontanò per riprendersi i vestiti.
- Volevi un giuramento di eternità? Su, dimmi…ti ascolto. Sono curioso. Che ti immaginavi?
Non poteva soffrire quel truce sarcasmo.
Behemoth si ricoprì in fretta piangendo irosa e silenziosa.
Uscì dalla stanza.
Eaco, congestionato, si massaggiò la fronte.
Si sarebbe volentieri bruciato come un eretico.
Rimase solo con le tenebre, con la luce cancerosa della luna.
Rimase solo davanti al letto che veniva disfatto e vetrato dal Vuoto.
_______ § ______
L’alba di quell’estate non fu mai così brumosa per Eaco e Violate.
Tra le loro linee di confine s’instaurò una glaciazione, un lastrone di ghiaccio che tratteneva crateri sottomarini.
Generale e sergente si attennero al protocollo delle formalità militari.
Il ragazzo si mostrò abilissimo nel seppellire la passione come se nulla fosse accaduto.
La guerriera, invece, cercava di palesarsi il più fredda possibile ma , ogni volta che guardava il suo comandante , il cuore le batteva all’impazzata.
Non poteva non provare amore, angoscia, sdegno.
Non poteva non sentirsi martoriata.
Si era donata a quell’uomo. L’aveva amato con ogni millimetro di carne, di sudore, di spirito. Lo amava, purtroppo, peggio di prima.
Eaco detestava il modo in cui veniva guardato da lei.
Si trovava perennemente sotto la lama di un machete.
Tentò di sfinirla inasprendo ulteriormente le prove di addestramento ma gli resistette con membra di obelisco. Quella maledetta non diceva nulla ma lo affogava lentamente.
Lo stava disarcionando dal suo piedistallo.
In una sera , elettrica di tensione, rientrarono al castello…Silenziosi, contratti, cinerei.
Garuda, dentro di sé, marciva di superbia sfregiata, di rabbia, di paura.
Non poteva più sopportarla.
Era troppo trasparente.
Troppo tellurica.
Si fermò davanti alle porte degli alloggi privati.
Lei gli stava dietro con il respiro martellante.
- Vedo che è difficile stremarti – le disse aridamente.
La fanciulla perpetuò il proprio silenzio.
Egli si voltò per fissarla negli occhi.
Era gelida, arsa , torva.
- Io non scherzo mai, Generale – ribatté dopo un po’ – io non prendo in giro l’anima e il sangue!
Garuda la fulminò furente.
Voleva trapassarlo, lei! Voleva contrastarlo, buttarlo nella melma!
Era stata percossa nel più profondo.
Lui non desiderava capire nulla di sé stesso.
- Avanti, Violate! – esclamò avanzando arrogantemente – avanti! Cosa vuoi dirmi? Cosa vuoi farmi?!
Lei rimase immobile a vibrare di collera.
- Allora?! – schiumò lui – vuoi colpirmi? Coraggio. Provaci.
Nello sguardo della guerriera esplose un’espressione omicida.
Un lampo d’amore assassino.
Sollevò un pugno.
Cercò di muoverlo ma…si bloccò.
Fu crivellata da un tremito. Abbassò il braccio.
- Beh? Che ti prende?
Strinse i denti. Guardò agitata il pavimento. Tornò a fissare l’avversario.
Cominciò a lacrimare snervata, vendicativa, debole.
Tentò di trattenersi ma il pianto le si sdrucì spudorato.
Con un singulto, strappato e adirato, fuggì via.
- Brava, idiota ! Sparisci! Vattene!
Eaco la contemplò col cuore infilzato.
Era un emofiliaco che non riusciva a coagulare le proprie emorragie.
Perché diamine provava quel dolore?! Era stato lui ad averla sfruttata , ad averla infiammata, ad averla gettata nel crepaccio dell'abbandono.
Perché voleva strangolarsi?
Perché nella sua testa rimbombavano quelle parole come una condanna a morte?
“ Ti amo…ti amo…”
Due sole parole…
Due sole chiavi per farlo precipitare nel terrore, nella voglia soppressa di essere abbracciato dalla salvezza.
Note:
panoplia* : termine di matrice greca che indica le parti che costituiscono un’armatura ( da panoplìa, composto da “ pàn” tutto + “ hòplon” arma )
Brigach* : è un fiume tedesco che nasce presso St. Georgen, nella Foresta Nera. Si unisce all’affluente Breg , presso la città di Donaueschingen, formando il Danubio.
Note personali: ciao a tutti! ^^ Eccomi, come promesso!
Mi auguro, come al solito, che stiate continuando ad apprezzare questa storia…Mi è piaciuto molto narrare questo capitolo! Forse è stato quello un po’ più difficile da realizzare anche se tutta la storia si è rivelata assai ardimentosa… Descrivere una personalità contraddittoria come quella di Eago è stata un’impresa affascinante e difficile. Ho amato mettere in rilievo tale aspetto della sua psiche raccontando la sua relazione ardente con Violate. La doppia faccia del sesso, che può essere sia espressione dell'amore più autentico e profondo sia puro e arido istinto, è il tema centrale di questo episodio. La passione mette in luce le fragilità e la forza dei due protagonisti , specialmente il cuore di Behemoth, guerriera e donna, fortezza di marmo e calice di cristallo. Lei è un personaggio di cui ho adorato parlare scavando nel suo animo. Spero di essere stata fedele nel descrivere i due specter… >.<
Grazie a tutti i lettori che mi seguono e che mi vorranno seguire!! XD
Alla prossima settimana!!