Fanfic su artisti musicali > Super Junior
Segui la storia  |       
Autore: HPEdogawa    22/02/2013    2 recensioni
Quando si risvegliò, non ricordava niente di se stesso. Né il suo nome, né dove si trovasse, tantomeno chi fosse. Sapeva solo di essere sdraiato sulla schiena, a contatto con il legno umido di una chiatta sul fiume Han. Si mise a sedere, confuso e stordito, nonché con un potente mal di testa. Solo quando portò una mano a sfiorarsi la tempia, in cerca di sollievo da quel dolore assillante, si accorse di stringere tra le mani un cellulare. Non lo riconobbe, non avrebbe saputo dire se fosse suo o di qualcun altro. Mise a fuoco l'immagine dell'apparecchio elettronico e notò i suoi polsi rossastri, le sue dita sporche di qualche vivida goccia cremisi, rafferma. Sangue. Sempre più confuso, ignorò quelle macchie sulla sua pelle e schiacciò un tasto del cellulare. Lo schermò si illuminò e, quando lo sbloccò, si ritrovò a leggere un messaggio formato da poche righe:
"Hai inviato questo messaggio a te stesso. Quando ti sveglierai non ricorderai più niente.
Ti chiami Kim Yesung. Sei una spia. Cancella questo messaggio non appena l'hai letto e getta il cellulare."
WonYe.
Yaoi.
Tutti i Super Junior, più possibili apparizioni di altre celebrità.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Choi Siwon, Kyuhyun, Leeteuk, Un po' tutti, Yesung
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 6.

Yesung.

 

Erano passati due giorni dall'incontro con Tiffany. Il gelo di inizio dicembre continuava a infilarsi in ogni antro della città ma, da quando aveva messo piede in casa Choi, Yesung non aveva più sentito l'aria fredda sulla pelle. Siwon era al lavoro e il più piccolo giaceva sul divano, annoiato e coi pensieri in subbuglio. Stava rileggendo alcuni rapporti dai quali sembrava ricordare qualcosa, ma c'era un esserino che continuava a infastidirlo, con i suoi miagolii e le sue zampette che ogni due per tre andavano a graffiargli le braccia, in cerca di qualche attenzione. Dopo l'ennesimo versetto, Yesung si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, afferrando quella palla di pelo bianca e coricandosi sul divano, portando quest'ultima sopra la sua testa, tendendo le braccia, per osservarla meglio. In altre occasioni, probabilmente, in quei grandi occhi azzurri avrebbe trovato tanta tenerezza, ma, in quel momento, tutto ciò che vi leggeva era fastidio.

-Sei sopportabile quanto il profumo che si mette addosso la tua padrona- disse, continuando ad osservarlo. Il gatto, per tutta risposta, mosse oziosamente la coda.

-Nuvoletta... Che nome triste. Sei davvero la banalità in forma felina, eh? Pelo bianco, occhi azzurri, un nome che richiama tutto ciò a cui il tuo aspetto fa riferimento. Mangi crocchette di qualità e vivi – ci scommetto la mia memoria tremenda – in un attico nel centro di Seoul. Allora, ho indovinato?

Ovviamente, non ricevette alcuna risposta.

-Nuvoletta...- continuò a borbottare, lasciandolo andare: -In fondo non è colpa tua se sei capitato tra le mani di quella ragazza. Ma poi, perché mi importa? Non la conosco e probabilmente non la vedrò per un bel po'. Perché continuo a pensarci e a provare questa strana sensazione di... insofferenza... nei suoi confronti?- si girò a guardare il gatto, che si era acciambellato accanto a lui, leccandosi una zampa: -Sto parlando con un gatto- sospirò, scuotendo il capo: -Sto impazzendo. Sto. Definitivamente. Impazzendo.

Stropicciandosi gli occhi, si sporse verso il tavolino posto tra il divano e il televisore, afferrando una foto che aveva studiato nel minimo dettaglio e che avrebbe potuto vedere dietro le palpebre semplicemente chiudendo gli occhi: era irrimediabilmente impressa nella sua mente.

-Siwon-hyung...- si ritrovò a sussurrare, come per non farsi sentire da nessuno, se non da se stesso: -Avrei tante domande da farti. Tantissime. In primo luogo, il motivo per cui mi stai aiutando. Eravamo amici. Siamo amici... Ho un brutto presentimento, sai?- continuò a mormorare, carezzando, involontariamente, il volto del più grande stampato sulla carta: -Ti sto mettendo in pericolo, me lo sento. Vorrei poter scappare di nuovo, lasciarti al sicuro e risolvere questa faccenda da solo. Ma sono spaventato. Sono spaventato dal domani, dal non sapere cosa potrebbe accadere tra ventiquattro ore, o tra pochi minuti. Ho paura che i ricordi svaniscano del tutto – o che tornino, rivelando verità orribili che, forse, era meglio non ricordare. Ho paura, anche se cerco di non darlo a vedere. Ho paura di essere diventato un assassino, di aver ucciso persone innocenti, di aver tradito qualcuno. Forse ho tradito anche la tua amicizia, in qualche modo. Nel caso io l'abbia fatto, mi dispiace. Sappi che mi dispiace. Lo sto dicendo ad una foto perché sono troppo vigliacco per dirtelo direttamente, ma mi dispiace per tutto il dolore che forse ti ho causato in passato- si interruppe per qualche secondo, e Nuvoletta miagolò. Sembrò ritornare alla realtà, sul divano di Siwon, con dei fogli in grembo e l'orologio che segnava le otto. Ridacchiò, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo: -Sto parlando con una foto... Con una foto... Devo uscire da questa casa.

Senza un attimo di esitazione, abbandonò i fogli sul tavolo, indossò le scarpe che giacevano abbandonate all'ingresso da giorni prima, prese una giacca di Siwon, dei soldi e, dopo aver detto al gatto di non fare i propri bisogni sui fogli abbandonati in sala, aprì la porta e la richiuse subito dopo, con la chiave che Siwon gli aveva consegnato il giorno prima. Non appena mise i piedi sul selciato, respirò a fondo l'aria invernale, stringendo tra le mani la foto che aveva deciso di portare con sé.

E si rese conto di non avere idea di dove andare.

 

Leeteuk.

 

Lee Sungmin non era una di quelle persone che Leeteuk avrebbe messo in cima alla lista della gente su cui contare. Figlio d'arte ed estremamente rigido, non ammetteva il minimo errore. All'apparenza era l'agente perfetto: devoto e concentrato sul lavoro. Leeteuk era, probabilmente, uno dei pochi a vederla sotto un'altra luce: c'era qualcosa di sbagliato in quella figura circondata da un alone di, forse apparente, perfezione. Cercava di evitarlo il più possibile, quando erano in agenzia, poiché la sola vista di quel sorriso sghembo lo rendeva suscettibile. Per questo, quel giorno, mentre scendeva al terzo piano verso il Dipartimento delle Operazioni, si osservava nello specchio dell'ascensore, cercando di indossare un'espressione apparentemente piacevole. Ripassò nella sua mente i convenevoli da rivolgere al più piccolo, cercando di eliminare dalla sua mente le parole “bastardo”, “raccomandato o “assetato di sangue”. Di sicuro quelli erano gli ultimi appellativi che poteva rivolgere al signorino Lee. Con un rumore leggero e coinciso, le porte si aprirono, e subito Leeteuk si diresse verso l'ufficio del direttore del dipartimento in questione, superando corridoi, macchinette, uffici dalle dimensioni microscopiche e servizi, fino ad arrivare ad un'antica porta in legno di mogano, sulla quale splendeva una targa d'ottone, dove, con cura, era inciso il nome del proprietario di quell'ufficio enorme. Scacciando l'idea di usare quella targhetta d'ottone come arma contro il diretto interessato, bussò un paio di volte alla porta e una voce acuta lo raggiunse dall'interno, dicendogli di entrare. Leeteuk abbassò il pomello, aprendo la porta e chiudendola subito alle sue spalle. Lee Sungmin era seduto alla scrivania posta con in fondo alla stanza: dava le spalle ad un'enorme finestra che mostrava una meravigliosa vista di Seoul. Il più grande lo trovò alquanto bizzarro: perché mai una persona si sarebbe dovuta privare di un tale spettacolo? Sospirando, si avvicinò al giovane dai capelli scuri e dal naso a punta, che lo osservava con un sorriso gentile in volto. Inchinandosi davanti a lui, tradusse a parole ciò che si era ripetuto in ascensore:

-Buongiorno, signor Lee. Grazie per avermi ricevuto.

-Si figuri, signor Park. Vuole sedersi?

Leeteuk negò con un cenno del capo: -E' questione di pochi minuti. Ho bisogno di accedere all'archivio delle operazioni degli ultimi due anni.

Lee Sungmin si pietrificò, guardandolo, estremamente incuriosito. Si appoggiò allo schienale in pelle nera della sedia, incrociando le braccia:

-E perché mai?

-Stiamo tenendo d'occhio dei sospetti e crediamo che da due anni abbiano un topo dall'interno.

-Un doppiogiochista dentro l'agenzia?

-Sì. Ho bisogno dei documenti per saperne di più. Crediamo che c'entrino anche dei cinesi, oppure dei giapponesi.

-Beh, noi non abbiamo nulla da nascondere- sospirò il più piccolo, aprendo un cassetto della scrivania e consegnandogli un pass.

-Con questo accede agli archivi. Deve riconsegnarlo, o a me o al mio segretario, prima di finire il suo turno.

-Lo farò- rassicurò Leeteuk, prendendolo e inchinandosi nuovamente: -Grazie mille, signor Lee.

L'altro sminuò la cosa con un'alzata di spalle e il più grande tornò verso la porta. Prima che potesse chiuderla, però, Sungmin lo richiamò, all'improvviso:

-Signor Park!

Leeteuk si voltò: -Sì?- chiese, confuso dall'espressione sul volto dell'altro, che però si riprese subito, sorridendo appena:

-Oh, nulla, mi sono sbagliato. Buon lavoro.

-Buon lavoro anche a lei- ricambiò Leeteuk, stranito. Chiuse la porta delicatamente, non prima di aver visto Lee Sungmin afferrare il telefono.

 

Siwon.

 

Tornando a casa, alle otto e trenta, Siwon trovò le luci spente e un silenzio apprensivo ad attenderlo. Tremando appena, accese la luce del corridoio e, immediatamente, Nuvoletta lo raggiunse miagolando. Salutò la palla di pelo con una carezza dietro l'orecchio, per poi procedere verso il salotto, che trovò altrettanto deserto. Sul tavolo erano sparsi fogli e foglietti, ma non c'era alcuna traccia della persona che si aspettava di trovare.

-Yesung?- domandò al silenzio che lo avvolgeva. Non ricevette alcuna risposta. Controllò la cucina e il piano superiore, ma Yesung era sparito, volatilizzato. Siwon si appoggiò a una parete, in cerca di sostegno, mentre cercava di riprendere il controllo di sé. Stava succedendo di nuovo.

Esattamente come due anni prima.

 

Era sera tardi, ormai. Yesung era arrivato a casa sua pochi minuti prima e, ad attenderlo, aveva trovato Siwon. Lo aveva salutato velocemente e, subito, si era fiondato dentro l'appartamento, parlando così velocemente che il più grande faceva fatica ad afferrare alcune parole. Aveva appena chiuso la porta, e Yesung gli si era parato davanti con una valigia, camminando velocemente verso la sua camera, continuando a parlare di ciò che doveva fare. Siwon era pietrificato, spaventato. La situazione stava, per una volta, prendendo una bella piega, stava volgendo tutto a loro favore. Perché le cose belle dovevano finire sempre, prima o poi?

-Yesung, te lo sto chiedendo in ginocchio... Non andare, per favore...- provò a fermarlo, ma l'altro continuò a piegare maglie e pantaloni e a ficcare armi impensabili in tasche a prova di controllori.

-Non posso restare. È il momento giusto, Siwon! Potremmo finalmente mettere una fine a questa storia, dopo più di dieci anni di duro lavoro in cui parecchia gente ha perso la vita.

-Appunto, “parecchia gente ha perso la vita”- citò il più grande, provando a guardare l'altro in volto: -Questa non è di per sé una valida ragione per non andare?

-Siwon...

-E' pericoloso.

-Anche attraversare un incrocio è pericoloso.

-Non scherzare, Yesung.

-Sto ridendo?

-Per favore, ascoltami--

-Siwon-hyung--

-Non voglio che tu sia in pericolo, ok?!

-Sono in pericolo ogni fottuto giorno!

-Ma questo è diverso! Da domani... Da domani sarai uno di loro! Vivrai alla loro maniera, farai ciò che loro vogliono che tu faccia e... E se dovessero scoprire la tua identità? Se la tua copertura saltasse? Cosa credi che faranno? Che ti lasceranno andare come se nulla fosse successo? O che ti tortureranno o, peggio, ti uccideranno direttamente?!

-Pensi che non conosca i rischi? So a cosa sto andando incontro, Siwon. Lo so benissimo. È vero, potrei anche morire, ma è un rischio che devo correre.

-No, non devi!

-Per favore, Siwon... E' il mio lavoro, non posso dire di no- Yesung si avvicinò al più grande, prendendo il suo volto tra le mani e facendo combaciare le loro fronti. Lo guardò negli occhi a lungo, prima di parlare di nuovo: -Sono spaventato anche io, ok? Sono così spaventato che quasi non riesco a respirare e... E io ho bisogno che tu sia forte. Sii forte per me, per favore... Perché, altrimenti, so già che non riuscirò a salire su quell'aereo. Ho bisogno di qualcuno che sembri sicuro, adesso, perché sto perdendo tutto e so che potrei morire domani. Quindi, ho bisogno che tu sia forte, per me, che mi dica che tutto andrà per il meglio e che tornerò entro qualche settimana. Per favore, Siwon... Per favore.

Si persero a lungo l'uno negli occhi dell'altro, fino a quando il più grande non lo strinse a sé, sussurrando:

-Andrà tutto bene, tornerai in poche settimane.

-Lo credi davvero?

-Lo credo davvero.

-Mi aspetterai?

-Anche se dovessero volerci anni.

Sentì la presa di Yesung intensificarsi, mentre mormorava:

-Non appena torno, organizzo quella cena che stiamo rimandando da un mese, ormai.

-Faccio il nodo al fazzoletto, eh.

Il più piccolo sorrise, allontanandosi: -E' una promessa. Tornerò e ceneremo insieme.

-A che ora parti?

-D-domani mattina...

-Allora faccio un salto al mini-market a prendere un po' di cibo, va bene?

Yesung annuì, semplicemente. Siwon uscì dalla camera, raggiungendo l'ingresso ma, prima che potesse richiudere la porta, il più piccolo lo richiamò:

-Siwon-hyung?

-Sì?- domandò questi, girandosi verso di lui. Yesung era in piedi in mezzo alla sala, con un'espressione indecifrabile in volto, a metà tra il disperato e il terrorizzato:

-Lo sai che ti voglio bene, vero?

Sorrise, Siwon, annuendo: -Lo so, Yesung. Ti voglio bene anche io- e con quelle parole, chiuse la porta.

Tornò all'appartamento mezz'ora più tardi. Le luci erano spente. Ogni stanza era silenziosa. Entrando, Siwon accese la luce della sala. Sul tavolino trovò un biglietto, che lesse con timore.

Yesung era partito. Era svanito dalla sua vita nell'ultima mezz'ora.

Solo in quel momento poté dire di provare davvero dolore.

 

Kangin.

 

Kim Kangin iniziava a sentirsi uno stalker. Non che l'essere una spia non comportasse simili incarichi, ma quando si ritrovava volutamente a seguire qualcuno, allora la faccenda era tutt'altra cosa. Seduto in macchina, osservò Park Leeteuk estrarre le chiavi di casa dalla tasca della giacca, mentre tra le mani reggeva dei fascicoli apparentemente pesanti per la quantità di fogli che contenevano. Era combattuto per via degli ordini che aveva da poco ricevuto da uno dei suoi colleghi. Le direttive erano passate dal direttore del dipartimento delle Operazioni ad un suo dipendente, il quale, per mancanza di tempo, aveva passato l'incarico ad una sua conoscenza nel dipartimento di Controspionaggio. Questa conoscenza, Kim Ryeowook, essendo amico di Kangin, aveva passato a lui l'incarico, in quanto aveva già un compito da svolgere per tutta la serata. Così, la visita di Kangin a Leeteuk si era trasformata da “del tutto causale” a lavorativa. In quel modo aveva sì una scusa per parlare col coetaneo, ma al contempo sperava che non ci fosse qualcosa di troppo losco sotto. Kangin sapeva che, in teoria, non avrebbe mai dovuto fidarsi di quasi nessuno dei suoi colleghi, perché, alla fine, si può far conto solo su se stessi, eppure non riusciva a non creare un qualche legame con la gente con cui lavorava a stretto contatto. Così, scacciando dalla mente le sue paturnie, scese dall'auto un secondo prima che Leeteuk chiudesse la porta del condominio. Incuriosito dal rumore, infatti, l'altro alzò la testa e incontrò il volto di Kangin. Lo osservò, incuriosito, prima di parlare:

-Kangin? Che ci fai qui?

-Sono qui per conto di un mio collega- spiegò, evitando di menzionare nomi troppo importanti: -Devo controllare una cosa di quei file.

-Ah- fece Leeteuk, indecifrabile: -Beh, entra pure.

Facendosi da parte, lasciò lo spazio sufficiente per fare entrare il più alto, che subito si rintanò lontano dal freddo notturno. Salirono silenziosamente le scale, immersi entrambi nel proprio imbarazzo, fino ad arrivare al terzo piano, dove Leeteuk aprì la porta del suo appartamento. Dopo essersi tolti giacche e scarpe, Kangin venne spintonato dalle parole del più basso verso la cucina, dove si sedette al tavolo, mentre Leeteuk gli domandava se volesse qualcosa da bere:

-Un caffè è più che sufficiente- sorrise, gentilmente. L'altro annuì, prendendo una caffettiera e iniziando a preparare la bevanda. Non ci impiegò molto e, mentre il liquido si riscaldava sui fornelli, Leeteuk si sedette a sua volta, con i file tra le mani:

-Tu cosa stai cercando?- domandò a Kangin, iniziando a sfogliare gli ultimi fogli – i più datati.

-Mi serve il resoconto di una missione in Cina risalente a due anni fa.

-Ah, sì?- fece il ventiseienne, distratto, mentre scartava qualche foglio.

-Sì, devo riportare in un ufficio il rapporto di quella missione, a quanto pare. Si tratta di quella di un certo Kim Yesung. Posso aiutarti a cercare?

Se solo Kangin fosse stato un filo più attento e un poco meno stanco, avrebbe notato le mani di Leeteuk diventare granito, i suoi occhi sbarrarsi e il suo respiro fermarsi. Fu questione di qualche secondo, perché subito si riprese, con un colpo di tosse, e si alzò per spegnere la caffettiera. Versò del caffè ad entrambi, dando le spalle a Kangin, che stava già rovistando tra i fogli alla ricerca di quel nome.

-Kangin, con o senza zucchero?- domandò Leeteuk, rovistando in una mensola nascosta al più alto.

-Senza, grazie- rispose lui, tornando alle carte. Dopo pochi secondi, accolse con un sorriso la tazzina tra le mani e ne bevve subito un sorso, con sollievo, ignorando il retrogusto particolare: stava davvero per addormentarsi sul tavolo. Aspettò che la bevanda facesse effetto, continuando a spulciare tra quei rapporti con occhi vigili. La stanchezza, però, si faceva sempre più pesante di secondo in secondo. Chiuse gli occhi un paio di volte, per farli riposare, per poi riaprirli e tornare alle scartoffie. Leeteuk non parlava, facendo passare a sua volta lo sguardo da un foglio all'altro. Erano passati pochi minuti da quando aveva bevuto il caffè, ma Kangin non riusciva a restare sveglio. Rinunciando ad ogni sforzo, e senza quasi accorgersene, poggiò la testa su un braccio e chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno improvviso.

E Leeteuk poté solo sorridere e sfilargli un foglio dalle mani.

 

 

Eunhyuk.

 

La voce dall'altra parte del ricevitore era stanca e frustrata, Eunhyuk poteva tranquillamente dirlo, senza dubbio alcuno. Lui, però, non poteva farci nulla. Doveva finire il lavoro, al più presto possibile – ma, ciò nonostante, sapeva che ci sarebbe voluto più tempo del previsto.

-Kyuhyun, è da un po' che non ci sentiamo- disse, ignorando i lamenti dell'altro.

-Ti ho detto che ti avrei chiamato io.

-Sono passati un bel po' di giorni, lo sai, no?

-Lo so benissimo, Eunhyuk.

-Allora, qual è il prossimo passo?

-Eunhyuk, ti ho detto che ti avrei chiamato in caso di aiuto.

-E adesso non hai bisogno di aiuto?

-No!

-Ma--

-Senti, tu sei troppo inesperto, ok? Al momento ho bisogno di aiuto, certo, ma di sicuro non vengo a chiederlo ad un novellino come te. Ho già trovato una persona su cui fare affidamento, quindi, al momento, puoi rilassarti e cercare di non farti sfuggire nulla dei nostri precedenti incontri. Credi di esserne capace?

-S-sì...- borbottò, stringendo la presa sul cellulare.

-Bene.

Dall'altra parte della linea, dopo quell'ultima parola, sentì solo l'intermittenza causata dalla vicinanza col computer. La voce di Kyuhyun era sparita, sostituita dal rumore della linea, ora libera. Chiudendo a sua volta la chiamata, Eunhyuk sospirò, stiracchiandosi ed osservando lo schermo del PC. Rilesse le ultime parole che suo padre – anzi, l'assistente di suo padre – gli aveva mandato via mail. Non coincidevano con quello che il giovane Cho gli aveva appena sibilato. Rispose velocemente alla lettera, inviandola e alzandosi immediatamente, afferrando giacca e tracolla, uscendo dal bilocale che, da poco, era diventato casa sua. Era deciso, determinato. Ce l'avrebbe fatta, avrebbe sistemato la faccenda, ma alle sue condizioni.

Inesperto? Ok, vedrai, Cho Kyuhyun, quanto sono “inesperto”.

 

 

Yesung.

 

-Secondo te Nuvoletta è un bel nome?

-Eh?

-Secondo te Nuvoletta è un bel nome?

-Per un bambino?

-Per un gatto.

-Beh... Sì, suppongo.

-Bah, sono l'unico a trovarlo pessimo...

-Vuoi un altro bicchiere?

-Sì, grazie.

Il barman diede le spalle a Yesung, che sedeva scomodamente su uno sgabello posto al bancone, stringendo tra le mani l'ennesimo bicchiere vuoto, che un tempo era pieno di un drink non identificato. Teneva il volto appoggiato alle braccia, incrociate sul banco di legno, e osservava il barista, con il quale aveva da poco instaurato una conversazione. Anche lui trovava che Nuvoletta fosse un nome carino, così come la ragazza che fino a poco prima era seduta vicino a lui, e anche il tassista che lo aveva portato fino a quel bar. E, davvero, non riusciva a capacitarsi di come la gente non riuscisse a cogliere la banalità in quel nome.

-Insomma, un po' di originalità, no? Nuvoletta... Tu chiameresti così il tuo gatto? O il tuo cane? Insomma, è come avere un amico di nome Nuvoletta... E' tremendo!- continuò Yesung, esponendo la sua tesi al ragazzo che aveva posto davanti a lui l'ennesimo bicchierino.

-Beh, è soggettivo, non credi?

-Sì, sì, ma non cambia il fatto che sia un nome tristissimo. Come Fido, o Rex, per un cane. È la stessa cosa. Tu chiameresti mai il tuo cane Fido?

-Beh, no...

-Ecco, è troppo banale. Un nome deve avere un significato, no? Uno spessore... Non puoi chiamare un gatto Nuvoletta perché è piccolo, bianco e peloso.

-Wow, la tua vita dev'essere proprio piena di problemi- commentò il barista, sarcastico.

-I-i-io in realtà ho parecchi problemi, sai?- balbettò Yesung, ridacchiando: -Al di fuori del gatto col nome triste, ovvio. Che, tra le altre cose, non è nemmeno il mio gatto. È il gatto di una ragazza. Una ragazza che non sopporto, che si mette addosso quantità industriali di profumo alla pesca. Un tempo mi piaceva la pesca, sai? La adoravo. Adesso non la sopporto più.

-E perché non sopporti la ragazza?

-Onestamente? Non lo so...

-Quindi, odi il nome di un povero gatto perché provi dei sentimenti negativi nei confronti della sua padrona senza alcun apparente motivo?

-Triste, vero?

-Abbastanza.

-Probabilmente perché la mia vita è un gran casino, quindi sto cercando di distrarmi con alcool e problemi futili.

-Scappi, in sostanza.

A sentire quelle parole, Yesung rimase in silenzio, realizzando ciò che stava facendo, ciò che aveva fatto per tutto il giorno. Si stava lamentando per dei moscerini sul parabrezza.

-Già, sembra che io sia bravo, a scappare- mormorò con voce atona. Bevve un sorso del drink, per poi tornare a guardare il barista.

-Hai una faccia curiosa.

-E' la cosa più vicina ad un complimento che mi sia stata detta oggi.

-Come ti chiami?

-Hangeng.

-Io sono Yesung.

-Piacere.

-Sì, sì, certo- sminuì l'altro, con un'alzata di spalle: -Senti, Hangeng... Sei mai stato geloso di qualcosa? O qualcuno?

-Ovvio. Tu no?

-Non lo so... Cosa si prova?

Hangeng si appoggiò al banco, sospirando: -Beh, credo che anche questa sia una cosa alquanto soggettiva. Ognuno reagisce in modo diverso alla gelosia. Qualcuno piange, qualcuno si arrabbia, qualcuno sente di poter spaccare in due il mondo... So per certo che, in qualche modo, si prova dolore.

-Dolore?

Hangeng annuì, toccandosi il petto in corrispondenza del cuore: -Qui.

Yesung lo osservò a lungo, per poi chiudere gli occhi, lasciando fuoriuscire dalle sue labbra un sospiro di frustrazione: -Sono fottuto.

-Perché?

-Perché credo di essere geloso di una persona... Ma non so il motivo.

-Non sai parecchie cose, Yesung.

-Già- fece lui, con una punta di amarezza: -Puoi dire tranquillamente che io non sappia quasi nulla.

-Ti sei mai chiesto quali siano i tuoi sentimenti nei confronti di questa persona?

Yesung scosse il capo, osservando il liquido alcolico contenuto nel bicchiere davanti a lui. Hangeng continuò a parlare, ma Yesung colse appena le sue parole, ritrovandosi in uno stato di trance. Il liquido azzurrino gli fece ricordare un fresco pomeriggio estivo, una spiaggia sassosa e le limpide acque di un lago. Ricordava risate, chiacchiere e sassi fatti rimbalzare sulla superficie piatta del bacino d'acqua. Ricordava di aver vinto contro il suo avversario, che si lamentava per il fatto di non essere capace di far fare ad un sasso più di quattro rimbalzi. Ricordava di averlo canzonato affettuosamente, mentre lo abbracciava, ridacchiando. Ricordava che si erano poi guardati in volto, ancora sorridenti, e, finalmente, riuscì a dare un'identità a quella persona.

Siwon.

-Ehi, Yesung?- la voce del barista lo fece tornare alla realtà. Riscuotendosi dai suoi pensieri, guardò Hangeng, che lo osservava un po' preoccupato:

-Stai bene? Sei pallido. Hai bisogno di chiamare qualcuno per tornare a casa?

-I-io--

-Yesung!

Contemporaneamente, il diretto interessato e Hangeng si voltarono verso la voce profonda che aveva appena interrotto la loro conversazione. Yesung riconobbe subito Siwon, che lo raggiunse, con uno sguardo indecifrabile. Aspettandosi il peggio, il più piccolo si raddrizzò, ma tutto ciò che ricevette fu un abbraccio da parte dell'altro. Sbarrò gli occhi, prima di ricambiare, con fare incerto, la stretta. Siwon si allontanò dopo qualche secondo, afferrandogli le spalle e guardandolo negli occhi:

-Non farlo mai più, ok? Non sparire mai più in questo modo, mi hai sentito?

Yesung lo fissò a lungo, perdendosi in quelle pupille scure piene di terrore, e poi annuì, più volte. Si voltò verso Hangeng, pagando il conto e scendendo poi dallo sgabello. Riusciva, in qualche modo, a reggersi in piedi. Ringraziò il barista per la chiacchierata e i drink, e subito gli diede le spalle, mentre Siwon lo sorreggeva, dirigendolo verso l'uscita del locale. Mentre superavano la porta, andarono a sbattere contro una persona, che si scusò con Siwon, che fece altrettanto. Yesung scorse solo dei capelli estremamente biondi, poiché l'attimo dopo era già sul marciapiede. Siwon lo fece salire in auto. Il viaggio di ritorno verso casa fu silenzioso, mentre il più grande osservava la strada piena di gente e l'altro era preso dall'alcool che aveva in circolo e dalle vetrine che scorgeva da fuori il finestrino. Non lo fece notare a Siwon, ma per tutto il tempo tenne le mani nelle tasche, a carezzare la foto di qualche anno prima.

 

Note dell'autrice.

Non ho molto da dire su questo capitolo, onestamente... E più lungo dei precedenti e sono riuscita a postarlo come mi ero prefissata perché sono a casa ammalata ; w ; Ringrazio come sempre chi ha lasciato una recensione e chi ha messo tra le seguite/preferite. Grazie, davvero. Spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate! Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di battitura!

A presto,

Lara.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Super Junior / Vai alla pagina dell'autore: HPEdogawa