36) I lunghi mesi
senza di te.
L’ultimo
giorno dell’anno
è sempre un’occasione di riflessione.
Ho sentito dire che in
Italia buttano addirittura la roba dalla finestra – quella
vecchia e inutile,
ovvio, non il televisore nuovo – ma è meglio che
io non li imiti. Farlo
significherebbe buttare me stessa – o
meglio la parte musona e chiusa
– dalla
scogliera più alta di Tijuana
e non è il
caso.
Mia sorella, Tom, Mark,
nonna, mamma e compagnia cantante ci rimarrebbero troppo male,
così me ne sto
buona buona a guardare i fuochi d’artificio nel cortile
posteriore.
Accanto a me c’è la
famiglia riunita: nonna, nonno, mamma, DeLonge, Erin, zio Ramon con la
compagna
e i figli.
Manca solo una persona,
eppure cerco di non pensarci per non guastare il buonumore collettivo.
Esatto, buonumore
collettivo.
Tom ha deciso di rendere
partecipe Erin del suo malessere e sembra stare un po’meglio,
in questo momento
la sta baciando.
Io sono felice per loro,
ma non riesco a guardarli. Ho provato a farlo e ho resistito solo
cinque
secondi prima che il cuore iniziasse a farmi male come se dovesse
uscirmi dal
corpo.
Urlava solo un nome: Mark.
Ecco, l’ho pensato e mi
ero detta di non farlo: non perché non lo ami, ma
perché non voglio far
preoccupare gli altri.
Mi manca come non mai,
tutto quello che desidero è vederlo qui accanto a me a
ridere, scherzare, fare
il coglione e familiarizzare con zio Ramon. Sono sicura che lui e mio
zio
andrebbero molto d’accordo, visto che con Tom è
stato amore a prima vista.
Sospiro sconsolata e
abbasso gli occhi, chiedendomi perché diavolo mi trattenga.
Li rialzo dopo nemmeno
cinque secondo e incontro lo sguardo profondo di mia nonna: sembra
scrutarmi e
leggermi nella mente. Mi chiedo cosa ci veda, se
un’adolescente incasinata e
piagnona o una nipote di cui andare fiera.
Il suo sorriso e il suo
breve assenso mi sollevano e danno un senso ai miei sforzi.
Benvenuto anno nuovo e
benvenuta nuova Ruby.
Il suono del telefono di
casa mi distrae dai miei pensieri: sono l’unica ad averlo
sentito, forse perché
sono l’unica che spera che suoni.
In silenzio rientro a casa
e rispondo. È Mark e si sentono dei fuochi in sottofondo.
“Ehi.”
“Ehi.”
“Mi manchi.”
“Anche tu.”
Sospiro.
“Come va lì?”
Lo sento sospirare.
“Una merda. Mia zia è una
tiranna, ci fa lavorare tutto il giorno e continua a rimproverare mamma
per
avere sposato papà anche in nostra presenza. Come se noi non
ci fossimo.
La casa è piccola, la
gente del quartiere non è simpatica e fa freddo.
E mi manchi da morire. Mi
mancate tutti da morire, persino tua madre!”
Io sono a un passo dallo
scoppiare a piangere.
“Anche tu mi manchi. San
Diego, Tijuana, ovunque fa schifo senza di te. Vorrei essere
lì per consolarti
e prendere a calci tua zia.”
Ridacchia.
“Grassa com’è ti
sprofonderebbe il piede in una chiappa.”
“E che schifo! Il piede
incastrato nelle sabbie mobili no!”
Ridiamo come scemi.
Continuiamo a parlare del
più e del meno, a dirci quanto ci manchiamo e che ci amiamo
per un po’ di
tempo, fino a che una voce stridula urla a Mark di mettere
giù, che la
telefonata verso quella merda di paese che è il Messico non
la paga lui.
Ha insultato il mio
ragazzo, interrotto la nostra conversazione e insultato il mio paese:
sono già
tre buoni motivi per fare fuori quella grassona di sua zia la prima
volta che
andrò a Frisco a trovarlo.
“Scusa, piccola. Devo
andare.”
“Vorrei ben vedere!”
Urla l’arpia in
sottofondo.
“Io la ammazzo!” ringhio
stringendo la cornetta.
“Ciao, piccolo. Buon anno,
verrò da te appena posso.
“Ciao e buon anno anche
te. Verrò anche io appena posso, mi manchi.”
La linea cade bruscamente
e rimane a farmi compagnia solo il “tu-tu” triste
della comunicazione
interrotta. Se ha torto un solo capello a Mark, ficcherò un
manico di scopa su
per il sedere della zia di Hoppus e non mi fermerò fino a
che non le uscirà
dalla bocca!
Nessuno lo può trattare
così!
“Ah,
grandissima vacca yankee! Scommetto che
la vorresti una serva messicana per pulire la tua merda di
casa!”
Esclamo ad alta voce,
sbattendo il telefono sulla forcella.
“Beh?”
Erin mi guarda
interrogativa, io sospiro.
“Ho appena parlato con
Mark al telefono e ho avuto il dispiacere di sentire la voce di sua zia
in
sottofondo.
È una tiranna razzista che
odia i messicani. Giuro che la prenderò a calci in culo la
prima volta che
andrò a San Francisco!”
Lei fa una smorfia.
“É stato carino a
chiamarti, a parte la zia da omicidio immediato come sta?”
“Non gli piace San
Francisco e dice che la madre non trova lavoro. Lo sento giù
e vorrei solo
abbracciarlo e consolarlo, ma non posso.
Che palle!”
Lei mi abbraccia.
“Tranquilla, non sono una
strega come te, ma sono certa che lui tornerà più
presto di quello che credi.”
“Lo dici solo per
consolarmi.”
La clone scuote la testa.
“Lo dico perché lo sento.
Ho questa certezza così come sono certa che tu sia la mia
gemella e che tu probabilmente
mi abbia riempito di calci dentro la pancia di nostra madre.”
Io rimango senza parole,
vorrei davvero crederle, ma ho paura.
Paura di illudermi.
Paura di non rivederlo.
Paura e basta.
“Andrà bene, fidati.”
Annuisco, senza sapere
bene cosa pensare.
Buon anno nuovo.
Gennaio
scorre noioso come
un grande fiume in un giorno qualunque dell’anno.
Mia madre non mi lascia
salire a San Francisco accampando varie scuse, quella di Mark fa lo
stesso.
Sentirci al telefono non è la stessa cosa e ormai ODIO la
zia che puntualmente
ci disturba e ci costringe a chiudere.
La prenderei a sprangate
sui denti, la farei stuprare da un maniaco, l’ammazzerei e
piscerei sul suo
cadavere fatto a pezzi giusto per dare una vaga idea di quanto mi stia
simpatica.
Maledetta donnaccia!
Erin cerca di starmi
accanto, ma non è facile. Alterno giorni in cui inveisco
come uno scaricatore
di porto contro Dio, il destino, la madre, la zia e il divorzio e altri
in cui
sono apatica.
Tom è nelle mie stesse
condizioni.
A volte mi chiedo se anche
lui non sia fidanzato con Mark e concludo che se lo fosse li ucciderei
tutti e
due per aver fatto soffrire me e mia sorella.
Chiaramente deliro.
Febbraio è un trionfo di
inutili maschere di carnevale, la popolazione scolastica si diverte a
essere
quello che non è prima della Quaresima e la cosa divertente
è che la maggior
parte di loro denigra i cristiani.
Mia sorella trascina me e
Thomas a una festa di Martedì Grasso al Soma, tenta di
convincermi a
travestirmi, ma dopo tre vaffannculo consecutivi rinuncia.
Rinuncia anche a
divertirsi al Soma, sia io che il suo ragazzo siamo allegri come due
becchini
nel paese della vita eterna.
La cosa la lascia
perplessa, anche lei inizia a chiedersi se Tom non abbia tenuto il
piede in due
scarpe con lei e con Mark. La sorprendo un paio di volte a mormorare
– quando
crede che nessuno la veda – che se DeLonge l’avesse
tradita con Hoppus li
ammazzerebbe anche a rischio di beccarsi l’iniezione fatale
come regalo.
È mia sorella, deliriamo
allo stesso modo.
Non sono riuscita a salire
a San Francisco, Mark non è riuscito a scendere a Poway.
MERDA.
Marzo arriva in compagnia
di un vento allucinante e della prima ondata di caldo
dell’anno. Il primo
weekend del mese mia sorella riesce a convincere Tom ad andare a San
Diego a
fare surf.
Non credo si siano
divertiti, lei al ritorno aveva una faccia scura di proporzioni epiche.
Questo accadeva ieri, oggi
sono seduta a un tavolo della mensa in attesa che arrivino, sono
curiosa di
sapere cosa racconteranno della loro surfata andata male.
Eccoli che arrivano. Erin
si siede da una parte, Tom dall’altra.
“Ehi, ragazzi. Che è
successo?”
“Niente, mi chiedo solo se
Tom non sia fidanzato con Mark senza dirmi nulla.”
Lui sbuffa.
“Non dire cavolate, Erin.
Ti avevo detto che non avevo voglia di surfare, sei tu che hai
insistito.”
“Sì, va beh.”
Lei si alza e se ne va, io
guardo Tom.
“Senti, mi manca, ma non è
il mio ragazzo. Sono etero e amo tua sorella, ma ieri mi ha trascinato
controvoglia a San Diego, non avevo voglia di surfare!
Hai una vaga idea del
perché quel coglione non scenda a Poway?”
Io scuoto la testa.
“No, nemmeno una. Sono
stanca di sentirlo solo al telefono, mi manca come non mai.”
“E tu perché non sali?”
“Mia madre non vuole. Il
colmo è che prima lo malediceva perché
c’era, ora lo maledice perché non
c’è,
ma non mi lascia salire.”
“Donne, chi le capisce.”
Mormora scuotendo la
testa.
“In ogni caso dobbiamo fare
qualcosa.”
“E che vuoi fare?
Rapirlo?”
Lo sguardo inquietante che
mi rivolge mi fa pentire di avergli rivolto questa domanda.
Cosa diavolo avrà in
mente?
Quale idea malsana starà
germogliando nel suo cervello?
Temo lo scoprirò presto,
molto presto.
La
mattina dopo mi alzo in
stile zombie – come al solito – mi vesto senza
particolare cura, indossando un
paio di jeans neri, un maglione nero largo e delle
allstar…nere!
Faccio colazione ed esco
di casa presto, a piedi, almeno mi
calmerò mi dico.
Finisco di percorrere la
via dove abito quando mi accorgo di un furgone che mi segue e poi
rallenta.
Sarà una maniaco?
In tal caso troverà pane
per i suoi denti! Il furgone mi si affianca, con la coda
dell’occhio vedo
abbassarsi lentamente il finestrino così comincio a
preparare la risposta più
acida e offensiva che gli possa dare.
Sto per aprire bocca,
fortunatamente noto che la faccia che spunta dal finestrino
completamente
abbassato non è quella di uno sconosciuto, ma quella di Tom
DeLonge.
“Tom, che ci fai in giro
con un furgone?
Mi hai fatto prendere un
infarto! Pensavo fossi un maniaco!”
Lui ride.
“A bordo, Ferreira. Ti
spiego strada facendo.”
Io annuisco, è pazzo, ma
di lui ci si può fidare.
Salto a bordo, sedendomi
sul sedile passeggeri, accanto a lui che è intento a battere
il tempo di una
canzone tamburellando con le dita.
“Allora?”
“È il
furgone dei miei vicini, l’ho preso con il
loro permesso. Non corriamo nessun rischio, non ti
preoccupare.”
“Ok, almeno una cosa la
so. Ora spiegami il resto del piano.”
Lui annuisce, rilassato.
“Visto che non ci ridanno
Mark, ce lo andiamo a riprendere.”
“Sei matto?
Cosa dirà sua madre e
quell’arpia della zia?”
“Non me ne può fregare di
meno!”
Io inizio a elencare una
serie di buone ragione per cui il piano mi sembra folle e per cui
finirà per
ficcarci in un elenco infinito di casini, ma vengo zittita nel modo
più assurdo
possibile: Tom mi bacia.
Immediatamente reagisco
mollandogli una sberla – anche se devo ammettere che bacia
bene – che lo fa
scoppiare a ridere.
“Perdonami Ruby, ma non
sapevo come zittirti.”
“Sì, ma così è
troppo!”
“Lo so, scusa. Non dire
niente a Mark o a tua sorella.”
“Questo è sottointeso,
comunque per il resto hai ragione. È un buon piano dopotutto
o, per meglio
dire, è l’unico di cui disponiamo e a caval donato
non si guarda in bocca.”
Lui annuisce.
“Tom…”
“Sì?”
“Trovati un altro modo per
zittire le persone.”
Lui ride.
“Forse hai ragione, se una
volta lo adottassi con Mark presente, poi dovrei adattarmi a una vita
di
castità. Non ne vale la pena.”
“Eh già. O Mark o Erin ti
castrerebbero.”
Lui rabbrividisce.
“Che brutta fine, oh!”
Dopo tra di noi c’è solo
il silenzio, io lascio che la sonnolenza abbia il sopravvento su di me
e mi
addormento: la strada è lunga.
Mi risveglio dopo un paio
d’ore, sono circa le nove e mezza
e non
siamo nemmeno a metà strada, Tom è ancora carico.
Deve gasarlo da morire
saltare scuola per fare qualcosa che farà incazzare un sacco
di gente.
“Ben svegliata!”
“Grazie, come mai hai
preso il furgone dei tuoi vicini e non la loro macchina?”
“Perché ho preso un po’ di
cose e la macchina non bastava.”
Lo guardo incuriosita.
“Ho preso lo skate, la
chitarra acustica, quella elettrica e gli amplificatori.”
“Woah! Una riunione di
famiglia vera e propria.”
“Sono secoli che non lo
vedo.”
“Già, anche io.”
Nel furgone cala il
silenzio, ci sono solo i rumori del traffico e della radio a farci
compagnia.
“Non devo davvero
preoccuparmi di un’eventuale avventura tra te e
Mark?”
“Ma tu e tua sorella vi
fumate la stessa roba? Mi avete fatto la stessa domanda!”
Scoppio a ridere di gusto.
“Beh, siamo gemelle, no?”
“Giusto. No, puoi
escludere tranquillamente che io e lui siamo fidanzati. È il
mio migliore
amico, mio fratello, non potrei mai farmelo …. E poi non ha
le tette e non mi
interessa subire rapporti anali.”
“Beh, eri così giù
che…”
“Ti sei preoccupata?
Devi amarlo davvero tanto,
sono contento per lui. Ecco perché mi stai simpatica, sei
perfetta per lui e
lui è perfetto per te.”
Io sospiro.
“Hai ragione, gli devo
talmente tanta cose che ho perso il conto. Grazie a lui ho di nuovo un
rapporto
con Erin, ho un ragazzo e degli amici.
Ho smesso di essere la strega invisibile e temuta del
liceo di Poway.”
“È un tizio capace di fare
miracoli.”
“Già.”
Tra di noi torna di nuovo
il silenzio, ma questa volta è calmo e rilassato, le
questioni sono state tutte
risolte.
“Dio, quanto è lontana San
Francisco.”
Esclamo sottovoce,
sperando che non mi senta.
“Lontanissima.”
Mi fa invece eco.
Già, molto molto molto –
troppo – lontana.
A
mezzogiorno ci fermiamo
a mangiare qualcosa in un autogrill.
Dovrebbe essere una cosa
veloce – un hamburger e via – invece Tom importuna
la cameriera chiedendole se
è vero che lì intorno si sono avuti degli
avvistamenti di UFO.
Quando lei – sorpresa –
gli ha chiesto perché lui ha candidamente replicato che
aveva letto che c’erano
stati parecchi su una fanzine che legge lui. Quando la poveretta ha
detto di
non saperne niente lui ci è rimasto così male che
quasi finiva tutto in rissa.
Siamo stati a un passo dall’essere buttati fuori a calci in
culo e
probabilmente non potremmo più mettere piede nel locale.
Pace.
Stando ai nostri calcoli
dovremmo arrivare a san Francisco alle tre e mezza circa e poi dovremmo
sbatterci a cercare la casa dove abita Mark
e non sarà semplice.
Tom chiede un attimo di
pausa e si siede comodamente sul cofano della macchina, io mi offro di
guidare
al suo posto, ma lui non vuole.
Io mi siedo accanto a lui
e mi accendo una sigaretta. Il traffico sull’autostrada
è regolare, ma non ci
sono code, il casino vero e proprio era a Los Angeles, ma io dormivo.
La città degli angeli la
vedrò – forse – al ritorno, anche se non
ne sono così sicura: probabilmente
sarò troppo impegnata a godermi la vicinanza del mio ragazzo.
“Sei sicuro di non voler
lasciarmi guidare, DeLonge?”
Lui annuisce.
“Come vuoi, ma sei ti
sentirai stanco lo sai che posso sempre guidare io, vero?”
“Lo so, lo so.”
Rimaniamo così ancora un
po’, poi risaliamo in macchina e riprendiamo il viaggio. La
pausa sembra avere
fatto bene a Tom perché ha lo sguardo un po’ meno
scuro e la faccia meno tirata
o forse è il fatto che siamo più vicini alla
nostra meta.
Il resto del viaggio
trascorre senza intoppi, non c’è eccessivo
traffico e non ci fermiamo in altri
autogrill. Quando finalmente intravvediamo la baia e il Golden Gate mi
sento
scoppiare il cuore di gioia, nonostante questa città me lo
abbia tolto la baia
è una vista meravigliosa.
“Wow!”
Esclamo sottovoce, per
fortuna DeLonge non mi sente.
La strada scende
lentamente a curve verso la città e solo allora realizzo che
io non ho idea di
dove abiti Mark e mi chiedo se lo sappia Tom, altrimenti siamo nella
merda.
“Tom?”
“Sì?”
“Ma tu lo sai dove abita
Mark, vero?”
Lui ridacchia.
“Certo, mi sono segnato
dove abita sua zia. Cerca il biglietto nel cassettino che
c’è nel cruscotto.”
Io eseguo e trovo tremila
cose, ma non il biglietto.
Tom impreca e alla prima
piazzola ci fermiamo e lo cerchiamo, il biglietto salta fuori solo dopo
un
quarto d’ora di imprecazioni cattivissime.
Con quello in mano e con
una cartina cerchiamo di orientarci, ma traffico, scarsa conoscenza
della città
e tram assassini rendono la cosa difficile.
Alla fine arriviamo nella
zona del porto e Tom scende dalla macchina, sconfitto. Un gruppo di
punk si fa
avanti incuriositi e ci osservano.
“Non avete paura a
fermarvi qui?”
Ci urla un tizio sui
vent’anni con i capelli neri a porcospino.
“No e adesso mi dirai che
voi punk siete brutti sporchi e cattivi e potreste rubarci la macchina
e
pestarci.”
“E se lo dicessi?”
“Ti riveleresti scontato,
ma puoi ancora salvarti.”
Lui scoppia a ridere,
buttando la testa all’indietro.
“Forte la tua ragazza,
amico.”
“Non è la mia ragazza e mi
chiamo Tom.”
“Lars.”
Risponde lui.
“Quindi posso provarci con
te, fiorellino.”
“Mi chiamo Ruby e sono
fidanzata. Siamo venuti a trovare il mio ragazzo, ma ci siamo
persi.”
Il tizio guarda il furgone
e soprattutto sembra ascoltare attentamente la musica che proviene
dalla radio
che Tom ha lasciato accesa.
“Punk?”
“Punk.”
“Vi porto io al posto,
datemi l’indirizzo.”
“Grazie Lars.”
Lui alza le spalle e salta
a bordo. Grazie a lui riusciamo ad arrivare alla casa della strega e
parcheggiamo il furgone in uno dei parcheggi che ci sono davanti.
Tom e Lars parlano di
punk, io invece non sto più nella pelle.
Tra poco rivedrò Mark e
questa basta a farmi sentire viva come non mi succedeva da mesi.
Ah! I miracoli di Hoppus!
Angolo di Layla.
Non riesco ancora a capacitarmi di come manchino solo due capitoli alla fine di questa storia, btw, spero che questo capitolo vi piaccia e che renda l'idea di quanto anche a Mark manchi Ruby. Forse nel prossimo capitolo si capirà di più.NON SONO GRADITI EVENTUALI ACCENNI AL TOMARK.
Ringrazio eve182, Skizzata98 e LostinStereo3 per le recensioni