Crossover
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Autore: whitemushroom    22/02/2013    2 recensioni
Il Legame Cremisi è la prova che ogni Cavaliere dei Pesci deve affrontare per dimostrarsi degno di vestire la Gold Cloth, l'armatura d'oro che contraddistingue i migliori guerrieri della dea Athena. Ma il Legame Cremisi ha un prezzo. Un prezzo che Crona, giovane apprendista del Gold Saint Lugonis, non è disposto a pagare ...
Una fanfiction crossover tra l'universo di Saint Seiya (The Lost Canvas) e Soul Eater.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: Stein, la ricerca. Conoscenza, veleno, misteriosa follia.

“Crona, tu sei un essere eccezionale, unico!”.
Era impossibile contenere l’esuberanza del dottor Franken Stein; nonostante il vistoso livido blu che si era procurato durante l’incidente nella carrozza fosse ben visibile alla base del collo, l’uomo si era subito alzato in piedi ed aveva tempestato lui e sua moglie di una valanga di domande.
Crona rispose a monosillabi per quasi tutto il tempo, lasciando che fosse la signora Medusa a raccontare nel dettaglio tutti gli avvenimenti di qualche ora prima: l’uomo ucciso era ancora lì, sulla strada, il sangue che ormai si rappreso e mescolato al fango sembrava fissarlo come una macchia rossa di accusa. E girare lo sguardo non migliorava le cose.
Si mise in viaggio con loro senza saperne il motivo logico: una parte di sé gli intimava che ormai aveva ripreso le forze e poteva continuare la sua fuga, ma un’altra gli implorava un altro po’ di riposo e di non lasciare la strana coppia di coniugi al loro destino. Senza carrozza non avevano altra possibilità che attraversare la foresta da soli di notte, ed il pericolo dei banditi poteva ripresentarsi ad ogni passo: il dottor Stein non aveva nemmeno un moschetto con sé, ed a giudicare dalla sua espressione stramba probabilmente non sarebbe stato in grado di usarlo.
Il maestro dice sempre che dobbiamo proteggere i deboli …
La foresta sembrava ancora più cupa con l’avvicinarsi della sera: il sole al tramonto proiettava le lunghe ombre degli alberi sulla strada e queste scivolavano su di loro come delle dita pronte a ghermirli. Faceva attenzione a non sfiorare nessuno dei due nemmeno per errore, limitandosi a camminare dietro di loro mentre sobbalzava ad ogni fruscio alle proprie spalle, sicuro di veder sbucare presto o tardi dei Silver Saint. Nemmeno la presenza dei fiori notturni che apparivano sul ciglio della strada riusciva e tirarlo su di morale. Avrebbe preferito fronteggiare l’intera armata Specter di Ade piuttosto che coloro che lo avrebbero riportato al Santuario.
“Questo incontro ha dell’incredibile!”
Crona si limitava ad annuire e la signora Medusa si era avvolta in uno strano silenzio, eppure il dottor Stein sembrava in grado di riempire una conversazione praticamente da solo, gesticolando come un forsennato e camminando rapidissimo per poi fermarsi per riempirgli la testa di strane domande; il ragazzo aveva l’impressione che fosse mezzo matto.
“E le tue ferite! Ma guardati!” aveva perso il conto delle volte che lo aveva squadrato da dietro i suoi occhiali “Niente, nemmeno una cicatrice! Non lo trovi meraviglioso anche tu, Medusa?”
“Sì, Franken”.
“Non sarebbe stupendo avere un campione del suo sangue, cara? Sarebbe l’ideale per il mio esperimento!”.
“Certo, Franken”.
“Ragazzo, ho as-so-lu-ta-men-te bisogno di studiarti da vicino, me lo consenti?”
“Ehm… io…”
“Lo prendo per un sì!”
La signora Medusa (o signorina, non ne era certo bene. Non sapeva mai come comportarsi con le donne …), dopo aver raccontato al marito del salvataggio era rimasta in silenzio per quasi tutto il viaggio di ritorno, rimboccandosi l’orlo della gonna con una mano ed appoggiandosi con l’altra al braccio dell’uomo. Prima di incamminarsi si era acconciata i capelli in un’unica treccia che le ricadeva su petto, lanciandogli un sorriso speciale. Crona cercava di trotterellarle dietro, un po’ intimidito dalle reazioni esuberanti del dottor Stein.
I colpi che i banditi gli avevano sparato dovevano essere mortali, o almeno così il dottore gli aveva ripetuto almeno trenta volte mentre si incamminavano per il sentiero interrato che conduceva alle porte della città; i suoi vestiti erano lacerati proprio all’altezza del petto e delle gambe, ma la pelle al di sotto era intatta. La sfiorò più volte, dubbioso, ma dello scontro non restavano segni visibili. La signora Medusa era pronta a giurare di aver visto le ferite aprirsi e rimarginarsi subito dopo. Un’altra opera del sangue nero, di sicuro. Nemmeno il sangue dei Pesci guarisce in questo modo.
“Chissà che faccia faranno gli altri” canterellò il dottore “Ragazzo, incontrarti è stata una benedizione! Ho intenzione di organizzare una dimostrazione pubblica, credo che non basteranno tutti i piccioni viaggiatori di Ingolstadt per invitarli”.
“Spero non a casa nostra, Franken …”
“E dove? Abbiamo abbastanza spazio da ospitare tutti gli studiosi illuminati dalla Lusitania agli Urali! E sarai famosa anche tu, vedrai!”
“Sarà …”
Così parlando erano giunti alle porte della città. Il continuo parlare del dottor Stein gli aveva fatto perdere il senso del tempo, dunque Crona si meravigliò molto quando raggiunsero Ingolstadt e notò che il sole era tramontato da diverse ore. La città non era grande e caotica come quelle che descriveva il maestro al ritorno dai suoi viaggi, anzi, il suo profumo dolce lo avvolse sin da quando mise il primo piede dentro le mura. Ricordava il pane ed i dolci tanto che il suo stomaco gli lanciò un paio di segnali di avvertimento. Le uniche persone in giro erano degli uomini che usavano delle lunghe aste per accendere dei lampioni ed illuminare la via, e tutti si voltavano nell’udire il dottor Stein. Indossavano dei lunghi abiti scuri e perfino le loro candele avevano un odore particolare. Certo, non erano come l’incenso che si spargeva nella Casa della Vergine, eppure si abbandonò per qualche secondo a quella sensazione particolare.
Gli uomini al di fuori del Santuario non erano poi tanto male …
Un paio di carrozze eleganti sfilarono accanto a loro con dentro dame e gentiluomini e qualcuno li salutò; un distinto signore a passeggio, l’unico in quell’ora tarda, sollevò il cappello nella loro direzione e lo squadrò, ma Crona ne evitò lo sguardo.
Quel luogo era piacevole, ma troppa gente lo innervosiva.
L’unico posto sicuro sembrava l’ombra della signora Medusa.
La villa dei coniugi Stein si trovava lungo la via principale di Ingolstadt, non troppo lontano da una fontana e vicina ad una grande chiesa che annunciò l’ora con diversi rintocchi; era realizzata con piccoli mattoni arancione con la porta e le persiane in legno chiaro. Era più grande di tutte quelle della strada, con balconi dalle ringhiere in metallo e persino un giardino ben curato.
Le rose su uno dei terrazzi erano nel pieno della fioritura e lo salutarono con il loro profumo. Distolse lo sguardo prima che il senso della nostalgia lo cogliesse per l’ennesima volta.
Strinse gli occhi per la poca luce, e si accorse che l’interno della casa sembrava tratto da un libro. Tutto, anche le penne d’oca sul tavolo, era in perfetto ordine: il salone era sterminato ma pieno di mobili ed oggetti che non aveva mai visto al Santuario. Presso le Dodici Case l’arredamento era sempre stato considerato una frivolezza, molti Gold Saint si vantavano di dormire sul pavimento, eppure l’ordine ed i profumi del luogo gli riscaldarono un po’ il cuore.
Quando si chiuse il portone alle spalle il dottor Stein appoggiò la giacca elegante “Vieni, ragazzo! Direi di iniziare subito, non vedo l’ora di dissez…”
“No, Franken” la signora accese un candelabro “Il ragazzo è stanco e deve dormire. E anche tu, dopo quella botta in testa!”
L’uomo la fissò come un bambino a cui avessero strappato dalle mani il gioco preferito “Ma come faccio a dormire? Sarà l’esperimento del secolo!”.
“Appunto”.
Prese la mano di Crona e lo condusse su per una scala, illuminando la via con quelle piccole luci. Il ragazzo le aveva detto più volte nel corso del viaggio di non toccarlo, ma lei non sembrava preoccuparsene. Le fissò la mano per tutto il percorso temendo di vederla diventare nera e marcia, ma le dita rimasero bianche e dolcissime “Se è l’esperimento del secolo sono sicura che potrà aspettare una decina di ore!”.
“Ma…”
“Niente ma”
Il piano superiore era tutto immerso nelle ombre ed a stento riuscì a contare le stanze; per avere un’abitazione simile dovevano essere molto ricchi, perché i contadini che popolavano le campagne intorno al Grande Tempio avevano case piccole, ad un solo piano e che avevano spesso un terribile odore. Lì invece non solo il profumo delle candele, ma anche quello che veniva dalle stanze era accogliente e si spargeva per la casa; e anche quello della signora Medusa era particolare, senza alcun dubbio. “Non posso dormire proprio ORA!” la voce lo raggiunse anche lassù “Il mondo DEVE sapere! Devo scrivere lettere, mandare dei piccioni viaggiatori, devo …”
Le parole del dottor Stein svanirono solo quando la donna sbatté una porta e mostrò a Crona una stanza con un letto e due sedie.
“Uhm … grazie …”
Non sapeva di nuovo come comportarsi. Per di più non era mai stato molto bravo con le donne; al Santuario portavano sempre una maschera per celare la loro femminilità in onore di Atena. Non era abituato a guardarle negli occhi, eppure forse avrebbe dovuto dire qualcosa alla donna che era con lui ed impiegò diversi minuti per scegliere le parole “Signora Medusa … lei crede che il dottor Stein possa aiutarmi?”
L’idea gli era balenata così, dal profondo del cuore “Io … lo so che è un’idiozia, ma …”
Potrei non avere un’altra possibilità …
“ … cioè, lui potrebbe … uhm … aiutarmi a far tornare rosso il mio sangue? Io … non so cosa mi sia successo … ma … ho solo pensato che lui …” L’immagine del suo maestro morente non lo voleva abbandonare. La bellezza di Ingolstadt, i profumi di quella casa e della donna lo avevano allontanato un po’ da quel dolore, ma non sembravano abbastanza “QUESTO SANGUE E’ LA MIA MALEDIZIONE!”.
Gridò, e quando si fissò i piedi si trovò in lacrime. Era tutto ingiusto: il suo sangue, il suo maestro, il legame, Atena, il fatto di sentirsi sempre e dovunque un perfetto incapace.
Poi la mano di lei gli asciugò le lacrime ed il ragazzo si sentì in frantumi.
“Una maledizione, tu dici?”
Lasciò che lei lo mettesse seduto sul letto, debole come una bambola “Perché dici queste parole? E’ con il tuo sangue che ci hai salvato la vita, questo non ha proprio nessuna importanza?” prima che Crona potesse raccontarle della condizione del suo maestro lei riprese “Io non so cosa ti sia successo, piccolo, ma so che per me e Franken hai fatto la differenza. Quella che tu chiami maledizione ci ha permesso di essere di nuovo qui stasera. Hai dei poteri straordinari” sorrise e scosse la treccia “Se c’è qualcosa del tuo passato o del tuo presente che ti turba prova invece a concentrarti sul futuro. Più ti guardo, più vedo questa tua maledizione, e più penso che tu sia destinato a qualcosa di grande”.
Nel dire così lei si alzò ed aprì la finestra accompagnata dal frusciare della gonna, lasciando entrare l’aria della notte di Ingolstadt “Potresti persino essere l’inizio di una nuova era”.
Non capiva.
E non so come comportarmi.
Si abbandonò al letto e si ricordò che erano troppi giorni che non chiudeva occhio; il materasso era anche più comodo di quello del Santuario “Ma se ti fidi posso occuparmi anche io del tuo problema insieme a Franken”.
“Lei …?”
“Sì” gli sorrise “Alcuni studi interessano anche me, e lui mi lascia libera sia di assisterlo che di fare tutti gli esperimenti che voglio da sola, anche se sono una donna” lui smise di pensare a qualsiasi cosa che non fossero le coperte calde e la voce della signorina Medusa “E’ per questo che lo ho sposato, suppongo”.
Gli augurò la buonanotte e con grazia spense le candele, chiudendo la porta senza fare alcun rumore e lasciando che la stanza sprofondasse nelle tenebre. Lui cercò riparo nel sonno, perché in fondo aveva sempre avuto un po’ di timore del buio. L’unica luce che scorse prima di chiudere gli occhi fu quella di Alpherg, il cuore della costellazione dei Pesci, che brillava tenuemente fuori dalla finestra.

In piedi sull’osservatorio, Sage smise di pregare. Da lontano vide l’ammasso del Presepe, l’ammasso più luminoso del Cancro, perdere parte della sua luce ed offrire vigore ad Alpherg e Alrisha, lontane da lui nel cielo ma vicine nel cuore e nel Cosmo. Tra i tanti poteri di un Grande Sacerdote vi era quello di parlare alle stelle protettrici di tutte le costellazioni sacre ad Atena: in quel modo riusciva ad essere vicino a tutti i Saint, e grazie ai poteri della sua costellazione era in grado di sostenere le altre nei momenti di bisogno al prezzo della propria energia.
E la Dodicesima Costellazione in quei giorni aveva bisogno di lui.
Stanco per l’energia consumata scese le scale e si ritirò nelle sue stanze, domandandosi quante altre volte avrebbe potuto dialogare con le stelle in quel modo, tutto ed uno allo stesso tempo. Ma avrebbe tenuto in vita la dodicesima costellazione e Lugonis fino a quando il Cavaliere d’Oro fosse riuscito ad espellere quello strano sangue maledetto. O fino a quando le sue forze avrebbero retto.
“Sage, non siamo più giovani” gli aveva scritto suo fratello nell’ultima lettera “Dovresti seriamente prendere in considerazione l’idea di trovarti un erede. La Cloth del Cancro reclama un nuovo padrone e forse dovresti ascoltare la sua richiesta”.
Un apprendista, eh?
Si appoggiò al balcone dell’osservatorio e guardò una seconda volta verso l’alto.
Poteva accampare mille scuse e nasconderle sotto altrettante parole dorate, ma la verità era che aveva paura.
Era sempre stata lì, in un angolo del suo cuore, ma dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni era diventata un campana che aveva coperto con il frastuono le parole di suo fratello. Avere un apprendista significava molte cose … anche il rischio di perderlo. La precedente Guerra Santa si era portata con sé tutti coloro che amava, e chiudendo gli occhi era in grado di sentire le loro ultime grida di battaglia, di riconoscere ogni voce dei suoi compagni mentre venivano mietuti dai generali dell’esercito di Ade. Lui e suo fratello avevano ricostruito il Santuario sulle rovine del vecchio mondo portando con loro i ricordi di decine di uomini straordinari.
Ma un apprendista era qualcosa di diverso: era un legame unico e meraviglioso. La Casa dei Pesci lo portava fino alle conseguenze più estreme, ma era la cosa più simile ad una famiglia che un Saint potesse conoscere.
Sage ricordò il giorno in cui Lugonis era tornato da una missione, tenendo in braccio un bambino di cinque anni minuscolo, sparuto, con degli occhi azzurri enormi, i capelli rosa e che cercava di nascondere il viso contro la sua armatura d’oro. Diceva che il piccolo gli era caduto addosso dal balcone di una casa, ma quando aveva fatto per riportalo dalla sua famiglia non aveva trovato nulla, solo polvere e vecchi mobili consumati; il bambino piangeva e balbettava, non ricordava nulla, nemmeno il suo nome. L’istinto dei Pesci aveva prevalso su qualsiasi buonsenso di riportarlo indietro e cercare i suoi genitori. E se Lugonis avvizzisce ad ogni ora non è solo per il sangue nero. La verità è che non riesce a darsi pace per la fuga di Crona.
Non era il primo giovane che abbandonava il Santuario alla vigilia di indossare una Cloth, e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo. Le prove per indossarne una erano dure e rigorose, e se per ottenerne una di bronzo veniva minato solo il fisico dell’aspirante cavaliere, per fregiarsi del titolo di Gold Saint si doveva pagare un prezzo molto più alto. L’ultimo apprendista della Casa dello Scorpione non aveva superato la prova, non aveva sopportato l’immensità dello Scarlet Needle ed era fuggito da lì in preda alla follia. Tanti anni prima il giovane che aveva tentato l’investitura della Cloth dell’Acquario era stato ucciso dallo Zero Assoluto del suo maestro.
Ma si rendeva conto di non riuscire ad accettarlo.
L’idea di perdere una vita legata alla sua lo spaventava.
L’idea di avere un giorno lo sguardo assente come quello di Lugonis.
L’idea di fallire.
Non si era ancora levato l’elmo dalla testa quando una della guardie comparve davanti a lui “Sua Eccellenza, un dispaccio urgente per lei” .
L’uomo anziano lesse le poche righe con attenzione nel silenzio della stanza, poi fece scivolare il foglio tra le pieghe della veste e si affrettò nel grande cortile sulla sommità della rocca; la grande statua di Atena vincitrice, la silenziosa regina di marmo che ricordava ogni giorno a lui ed a tutti i Saint quale fosse l’unica versa via della giustizia, scintillava bianca alla luce della luna.
Eppure in quel momento non riuscì a bearsi della sua vista.
Si inchinò davanti a lei ed accese i fuochi a lei dovuti, poi fece scivolare le dita ai piedi della statua riportando in vita un meccanismo che aveva lasciato addormentato per quasi duecento anni. Il suo cuore ascoltò lo stridere di ogni ingranaggio: fissò il basamento per diversi secondi prima che lo sportello segreto scivolasse lungo i cardini invisibili e portasse alla luce uno dei poteri più grandi che venivano direttamente da Atena.
Aveva pregato a lungo di non dover essere lui a risvegliarlo. La lettera che aveva ricevuto era priva di particolari importanti, ma se le supposizioni erano giuste …
La scatola era come l’aveva lasciata, perché il suo contenuto aveva abbastanza potere da sfuggire alle leggi del tempo e degli uomini. La dea lo aveva consegnato a lui e soltanto a lui prima di svanire nell’ultima Guerra Santa: le aveva promesso che ne avrebbe fatto sempre buon uso.
La strinse tra le dita ossute poi, ignorando i morsi del sonno, corse verso la Dodicesima Casa.
  
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