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Autore: Samarskite    23/02/2013    1 recensioni
Ad un certo punto Zayn, sorseggiando la sua Coca Cola, mi piantò addosso i suoi occhi scuri. "Jordan... Se noi ti pagassimo per farci fare un tour di New York, accetteresti?"
"Per quanto, un pomeriggio?", chiesi.
"Cinque giorni.", intervenne Niall togliendosi le briciole dalla maglietta grigia.
Massì, dai. Cinque giorni fuori dalla mia solita vita.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5 giorni fuori, 17 Chapter

 

 
 


I’m pretty sure we almost broke up last night
I threw my phone across the room at you
I was expecting some dramatic turn away but you stayed
This morning I said we should talk about it
Cause I read you should never leave a file unresolved
That’s when you came in wearing a football helmet
And said okay let’s talk
And I said: Stay stay stay,
i’ve been loving you for quite some time time time
You think that it’s funny when i’m mad mad mad
But I think that it’s best if we both stay





 

4º giorno, notte
"Ehi. Sei sveglia?", bisbigliò una voce dal balcone di sinistra. Io ero ancora in camera, ma avevo la porta-finestra splancata, e mi stavo limando le unghie delle mani.
Ridacchiai. "Come tutte le notti, Lou."
Seguì una pausa di silenzio, così chiesi: "Gli altri stanno dormendo?"
Louis confermò con un verso di compatimento. "Come ghiri dopo un anno di lavori forzati." Poi, dopo una seconda pausa, diede un colpetto alla grata che divideva i balconi. "Vieni qui...? Vorrei vederti..."
Sorrisi e lasciai la lametta sul letto, mi alzai e lo raggiunsi sul balcone. Posai una mano sulla grata, in corrispondenza di dove lui teneva la sua, aperta.
"Grata del diavolo. Vorrei abbracciarti.", considerò Louis con rammarico. Sorrisi di nuovo, illuminata dalle luci della città.
"C'è un motivo particolare, o è solo sfizio?", chiesi ammiccando.
"Non lo so, è come se stanotte mi sentissi solo. Capisci cosa intendo?"
Fin troppo bene. Avevo trascorso gli anni delle scuole medie a guardarmi intorno e chiedermi cosa diavolo ci facessi in quella classe, circondata da gente a cui non importava della mia vita e dei miei problemi. Andavo in giro con il sorriso stampato sulle labbra, come un fotocopia fatta con una stampante scadente, ripetendo che la mia era una classe bellissima e che mi sarebbe dispiaciuto troppo andarmene per andare alle superiori, ed infine al college. Nemmeno io mi rendevo conto di ciò che dicevo: in cuor mio, ero davvero convinta di essere circondata da persone meravigliose... Ma non lo erano. Affatto. Erano per la maggior parte esseri orribili il cui unico scopo nella vita era criticare quella altrui; come si vestiva Tizio, con chi si era baciato Caio, ma era forse vero che Sempronio aveva fatto un contentino a Gracco?, ma va, Sempronio non sapeva manco cosa fosse un contentino, o forse si?, d'altronde Tizio l'aveva visto con un vibratore in borsa... Non avevo mai partecipato più di tanto ad alimentare le dicerie, ed ero contenta così, ma c'era qualcosa che mi sfuggiva, che era intrinsecamente impigliato in quella classe, ed era la serenità di essere la ragazza che ero davvero. Con loro non ero davvero me stessa, ero il fantasma di come avrebbero voluto che fossi. Ed io, ovviamente, cercavo ogni modo per accontentarli, perchè forse in fondo sarebbe stato l'unica maniera per avere degli amici.
Non erano amici. Se lo fossero stati, prima di tutto saremmo in contatto ancora oggi. E poi non sarei stata depressa, o lo sarei stata meno di quanto lo ero effettivamente.
Mi ricordo che la mia depressione era iniziata alle medie, e mi aveva confusa e disorientata. Erano gli anni migliori della mia vita, andavo bene a scuola e mi stavo divertendo, che bisogno c'era di essere depressa? Non lo sapevo, e lo avrei scoperto solo anni dopo, riguardando indietro col senno di poi, rendendomi conto che non sarei tornata in quelle quattro mura scrostate per nulla al mondo.
In quel periodo, me lo ricordo, mi sentivo come Louis. Sola, circondata da persone immateriali e trasparenti. Non è strettamente vero che le persone possono sentirsi sole in una stanza affollata: forse materialmente lo è, ma nella loro testa quella stanza è vuota, vuota di gente che possa aiutarle a stare meglio.
Credo, in effetti, che la compagnia non sia una questione di quante persone ti circondino realmente e matematicamente, ma da quante persone affollino la tua testa in modo positivo. Se ti senti solo, puoi anche trovarti in mezzo ad un marasma, e per te sarebbe lo stesso che stare in un letto da solo.
"Si... Certo che ti capisco. Credo... Secondo me dovresti parlarne coi ragazzi.", dissi pensierosa.
"Riderebbero."
"Non lo farebbero mai. Come non l'ho fatto io."
"Certo... e adesso? Hai intenzione di dirmi che nessuno è mai solo?", chiese Louis amaramente.
Mi stupii di quanto fosse disposto a difendere con commenti spinosi ciò che lo faceva intimamente vergognare.
Mi venne voglia di lanciargli un'occhiataccia, o rimarcare che era lui ad avermi reso partecipe di come si sentiva, o dirgli che forse potevo anche tornare dentro e lasciarlo più solo di come era ora.
"Vieni qui. Avvicinati.", dissi invece.
Lui eseguì e ci ritrovammo naso contro naso , attraverso una maglia della grata. "Ti dirò un segreto.", proseguii abbassando sempre più la voce. "Se ti senti solo, basta dirlo alla persona giusta e non ti sentirai più solo."
"Come faccio a sapere qual è la persona giusta a cui dirlo?"
"Devi imparare a riconoscere i segni, e solo tu puoi sapere di preciso quali siano."
"Tu hai imparato?"
"Non molto bene, ma ci sto provando. Tipo, anche io mi sentivo sola... poi, quando ho deciso di fare questo," ed annullai le distanze tra di noi in un bacio leggero attraverso uno dei buchi della grata, "mi sono sentita molto meglio."
Louis mi guardò sorpreso e poi sorrise. "Perchè ad un tratto mi sento meno solo?"
"Azzardo un'ipotesi narcisistica se ti dico che potresti esserti confidato con la persona giusta?"
"Ne dubito.", rispose ridendo, per poi aggiungere: "Mi riporti a Times Square? Non l'ho mai vista di notte..."
Sorrisi e lo guardai tacendo, per creare un po' di suspance. "Dài, vestiti, che andiamo."


23 gennaio, notte
"Jordan. Io...". Louis si interruppe ed io mi voltai ad osservarlo in volto. Aprì e richiuse la bocca più e più volte, forse cercando di prendere una decisione o forse cercando le parole per comunicarmela.
"Tu...?", lo incalzai con ansia.
Lo vidi sorridere. "Perchè da quando ti conosco tutto è così fottutamente complicato da esprimere? Ho una matassa nel cervello che non so riavvolegere, quando tu sei davanti a me. Mi sento come se ti dovessi dire un numero infinito di cose, ma appena apro bocca non so dove iniziare.".
Scavalcò la panchina e si sedette accanto a me, poi si girò tirando su le gambe e stendendole ai miei due lati. Sentii che stava esercitando una leggera pressione con le gambe sui miei fianchi, come a dire "ti circondo e ti proteggo, sei mia."
"Dicevo... Che non so da che parte prendere, sembra tutto così infinito, ma... Cercherò di essere sintetico.". Prese fiato ed iniziò:
"Amo come pronunci il mio nome. Amo come organizzi le tue giornate, ovvero senza organizzarle davvero. Amo come ridi, e amo come brillano i tuoi occhi quando lo fai. Amo anche come brillano quando sei triste. Amo l'espressione che fai quando la gente si rivolge a te e non te l'aspetti, come se fossi sorpresa che stiano parlando proprio a te. Amo il modo in cui tiri la testa indietro dicendo: "ma dai?", perchè sei buffa. Si, esatto, proprio come stai facendo ora. Amo come aggrotti le sopracciglia. Amo come contieni lo scazzo quando il tuo capo ti parla. Amo i tuoi maglioni a righe e le tue camicie scozzesi. Amo le tue calze a pois. Amo la tua insonnia. Amo il tuo corpo e amo la tua voce, avresti dovuto recitare, solo per la voce che hai. Amo le canzoni sul tuo Ipod, amo il tuo rivolgerti ad Allan, come se fosse un cane o una persona. Amo come muovi le mani quando parli della tua materia. Amo la tua ironia, persino la tua depressione e il tuo sarcasmo per mascherarla. Amo la faccia che fai quando scopri una rete wi-fi non a pagamento. Amo la pila di poster che hai nascosto sotto il divano, aspettando di avere muri di una casa su cui appenderli. Sí, lo so. Amo quando parli di New York come una vecchia amica, amo quando imiti l'accento irlandese, amo quando salti per le strade senza motivo. Amo come addenti le ciambelle e come bevi il caffè. Amo la tua suoneria del cellulare e la ruga che ti si forma sulla fronte quando devi rispondere e non sai dove cazzo tu abbia il cellulare nei meandri del tuo zaino. Amo come strizzi l'occhio sinistro se devi fare una foto. Amo come suoni il piano. Amo come mi chiami per cognome. Amo la faccia assorta che fai quando qualcosa non va come previsto. Amo come sei bella quando sei tutta bagnata. Amo quando ridi e sei tutta bagnata. Amo come urli, felice, sul porta merce di un pick up. Amo come canti David Bowie. Amo come leggi. Amo la piega che prende la tua bocca quando lo fai. Amo come muovi le labbra ascoltando le tue canzoni preferite, come se ti fosse proprio impossibile contenerti. Amo come cammini per le strade. Amo le tue cuffie. Amo i tuoi occhiali da sole nei giorni di pioggia. Amo come parli della tua vita. Tutto ciò che sono riuscito a conoscere di te, lo amo, e questo in soli cinque giorni. Immagina solo per un attimo cosa potrei elencarti se stessimo insieme...per mesi ed anni.", disse prendendomi il volto tra le mani, poi tacque.
Ora, figuratevi la scena come uno di quei film in cui la sequenza si ferma e la protagonista parla agli spettatori per spiegare qualcosa di più in proposito alla sua vita, al suo cane, alla situazione stessa, eccetera. Ecco. Immaginatevi la scena di me e Louis seduti su una panchina alle cinque del mattino, uno di fronte all'altro. Louis ha appena finito di parlare e la telecamera sposta l'inquadratura su di me, che ho gli occhi lucidi, il naso rosso, la cuffia grigia e il giaccone della Napapjri.

Lì tutto si ferma ed io inizio a parlare tra me e me, e agli spettatori. Se fosse davvero un film, direi più o meno questo:

«Immagino che ora dovrei dire qualcosa di romantico, coprirmi la bocca con la mano e dire: Oh mio Dio Louis, questo significa che resterai per un Tempo Ragionevolmente Lungo? Oppure potrei mettergli le braccia al collo, oppure ridere, piangere, gettare indietro la testa e dire: davvero?, sorridergli, baciarlo, rispondere che anche io amo tutto di lui, il suo sorriso e i suoi occhi, il suo carattere e la sua voce, la sue manie e le sue abitudini.
Ma non lo faccio. E sapete, guardoni, perchè non lo faccio? Perchè mi sento completamente paralizzata. Perchè nessuno parlerà mai più così di me. Nessuno mi amerà mai per quello che sono come fa lui, nessuno riderà quando faccio la matta, al massimo mi compatiranno. E questa storia dell'amo tutto di te mi spaventa, perchè tutto questo discorso potrebbe essere seguito da un "quindi", ma anche da un "ma", un "eppure", un "nonostante". »

Quindi, regista, tesoro, fai riprendere la scena, perchè sono curiosa di sapere come va avanti la storia.

Annaspai in cerca di qualcosa da dire, ma come ho già ampiamente detto ero bloccata. Avevo di nuovo quel peso al diaframma, che non voleva saperne di sloggiare. Louis non aveva l'espressione di chi si aspetta una risposta ragionevole, semplicemente scrutò il mio viso per qualche istante, frugando nella mia espressione per capire cosa mi passasse in testa. Arrivato evidentemente ad una conclusione, accennò quel suo tipico sorrisino soddisfatto e si sporse verso di me per baciarmi.
Non sapevo se era giorno o era notte. Potevo essere come su una panchina, anche a casa mia al caldo sul divano. Non sentivo freddo e non sentivo caldo. La pressione al diaframma aveva fatto puff, le mie mani non erano più gelate perchè stavano frugando sotto una giacca rivestita di pelo, le mie guance avevano ripreso sensibilità al tocco delicato di altre mani, più calde perchè protette da guanti fino a pochi istanti prima. Poi sentii che il viso non era più delicatamente sfiorato da Louis, ma al contrario i miei fianchi erano cinti da mani decise e possenti, che mi stavano attirando verso di lui, quasi possessive e piene di impazienza, mosse dalla consapevolezza che, se io in quel momento manco sapevo il mio nome, Louis sapeva benissimo che non eravamo in casa in privato ma all'aperto su una panchina.
Le labbra però erano ciò che dominava i miei sensi. Louis sembrava quasi volere recuperare quelle ventiquattro, preziose ore in cui io ero stata lontana da lui. Lo sentivo, era... Non mi piace usare il termine desideroso, perchè lo farebbe sembrare eccitato e desideroso di sesso. Però non me ne viene nessun altro. Voleva semplicemente sentirmi, come io stavo sentendo lui in quel momento. Voleva dirmi con le labbra, con la lingua, col suo respiro caldo, la colpa che a voce non sarebbe mai riuscito ad ammettere, e cioè di aver avuto paura di rischiare, di provarci, se non altro per non avere rimpianti.
Le mie mani riscaldate salirono lungo il suo petto, poi per il collo, poi strinsero i suoi capelli. Inclinammo leggermente la testa all'ingiù e cappello e cappuccio caddero ad entrambi, ma suppongo che in quel momento ce ne fregasse poco.
Quando ci staccammo per riprendere fiato, appoggiammo le nostre fronti l'una contro l'altra, respirando ognuno le nuvolette ghiacciate che uscivano dalla bocca dell'altro.
"Forse... Forse è meglio se restiamo entrambi, che ne dici Tomlinson?", azzardai con un mezzo sorriso.
"Probabile, Odair."


  
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