Grazie, Giuly. Il nuovo nickname mi sembra migliore del precedente.
Spero che anche questo capitolo ti faccia ridere, almeno verso la fine.
Grazie, Amantha. Sono molto contento che ti piaccia la caratterizzazione di questi personaggi. Devo trattenermi dall' anticipare troppo, se no mi brucerei la storia sulle gocce che sto preparando . Grazie, Melisanna, per i consigli e la recensione. Complimenti anche per il nuovo capitolo di Terra Magica. Per quanto riguarda Elyon... lei farebbe di tutto per liberarsi delle stimmate di "piccola" del gruppo, ma... Grazie, Eleuthera, per la tua bella recensione. Per quanto riguarda Re Artù ed i cavalieri della tavola rotonda, l'ispirazione è nata dal tavolone circolare nel soggiorno in cui si riuniscono le congiurate. Spero di leggere presto qualcosa di tuo. Grazie anche a kb_master per i suggerimenti. Come al solito, c' è la possibilità di discutere più in dettaglio al http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=8397&p=3. Prima o poi cercherò di rivitalizzare quel topic. Tutte le recensioni, le critiche costruttive ed i commenti sono benvenuti. Questo capitolo è stato scritto più di un anno fa, e da allora ha subito numerosi rimaneggiamenti, in particolare l'aggiunta della parte finale. Una Vera infallibile cominciava a pesarmi, ed il capitolo aveva bisogno di essere mosso un po'. |
PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Di nascosto dalle WITCH, Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima . Elyon e Vera si presentano alle ragazze, rintracciate a Midgale. Assomigliano ancora alle originali, ma appaiono più belle e cresciute, sui vent'anni. Nel povero appartamento, raccontano di essere state mantenute dalla Fondazione Astro Nascente fino a pochi mesi prima, quando sono state improvvisamente scaricate. Da allora hanno vissuto alla giornata. La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda. Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian. Vera dimostra subito di essere in grado di materializzare documenti e denaro falsi, ma perfetti. Le gocce sono entusiaste di lei, tranne Carol, che ne è gelosa e vorrebbe riprendere i contatti direttamente con Elyon. Le gocce si trasferiscono, con Vera, in due eleganti appartamenti contigui. Come copertura, fingeranno di essere delle studentesse universitarie; ognuna riceve una lista di argomenti e l'incarico di individuare degli esperti su ciascuno. Per fare fronte a futuri incarichi e imprevisti, Elyon e Vera decidono di addestrare le gocce ai poteri mentali. Non appena in grado di leggersi il pensiero a vicenda, le gocce scoprono che Wanda lo sapeva già fare, e vi è un inaspettato scoppio di tensioni tra di loro. |
Cap. 21
Spettri del passato
Midgale, appartamento delle gocce
Dalle finestre filtra una cupa luce grigia. Nel cielo, grosse nuvole
sembrano inseguirsi e sorpassarsi in una gara senza regole. Le cime dei
pioppi nel giardino cominciano ad agitarsi nella tipica danza del vento.
Un lampo lontano preannuncia un temporale imminente. La gente che si intravede
sulla strada ha un passo affrettato.
Vera osserva le prime goccioline di pioggia infrangersi sui vetri.
“Non sembra di essere in luglio, vero?”.
Terry la raggiunge in cucina. “Ho staccato tutti i computer. Speriamo
che Wanda, Carol e Pao riescano a rientrare senza una doccia fuori orario”.
Irene si volta dai fornelli, ed accoglie anche lei con un grande sorriso.
“Sei puntualissima per il tè, stavo per chiamarti. Oggi ho comprato
dei nuovi frollini”.
Tutte le ragazze si siedono attorno al tavolo della cucina.
Terry guarda le immagini deformate dalla pioggia sempre più
insistente sulla finestra “Non vorrei essere nei loro panni”. Scuote la
testa, poi, tra sé e sé: “Soprattutto quando saranno
tutti zuppi”.
Irene è allegra. “Cosa possono fare quattro gocce di pioggia?
In fondo, sono gocce anche loro”.
Due occhiate storte le fanno capire che non è obbligata a dire
per forza tutte le battute che le passano in testa.
Versa il tè a tutte, spargendo qualche goccia nel piattino.
“Carol sarà al sicuro nel negozio. I pomeriggi è sempre lì”.
Vera prende la palla al balzo. Ha pensato spesso alla scenata di Carol,
Wanda e Pao Chai tre settimane prima, dopo l’iniziazione alla lettura del
pensiero. Per un momento, ha temuto che il gruppo fosse sul punto di disgregarsi,
ma dopo quello scoppio le acque si sono calmate quasi immediatamente. Sembra
quasi che sia stato liberatorio. Dopo questo, sui loro precedenti è
calata una cappa di omertà.
Da allora, ha spesso fatto attenzione ai loro pensieri sperando di
capirne di più, ma non è servito a molto. Non ha mai affrontato
apertamente l’argomento, temendo di riaprire delle vecchie ferite che forse
stanno rimarginandosi.
Ora le tre sono fuori, lei e le altre stanno ciondolando annoiate davanti
ad una tazza di tè… sembra l’occasione buona per saperne qualcosa
di più.
Cerca di fare un tono casuale. “Carol… cosa mi raccontate di lei?”.
“Di sua altezza?”, risponde Irene mentre aggiunge lo zucchero. Si capisce
che le vengono in mente molte cose da dire, e non tutte carine.
Troppe cose: mentre esita, Therese le soffia la parola. “Se speri che
ti sappiamo spiegare certe sue reazioni, capiti male. Carol è un
mistero anche per noi”.
Speri di cavartela così? “Ma un’idea ce l’avrete!”.
Irene assente col capo. “Tante idee! Si possono riassumere così:
non è tutto oro ciò che luccica”.
Un lampo ed un tuono conferiscono un alone satanico alla sua
uscita, ma non nascondono l’occhiata di rimprovero di Therese.
“E Pao Chai? Cosa c’è tra loro?” .
Terry allontana la tazza dalla bocca. “Nei primi tempi, la migliore
amica di Carol è stata proprio lei. La sua ombra”.
“Però non è durato a lungo”, puntualizza Irene. “Dopo
qualche mesetto ha preso le distanze, quando ha…”. Si interrompe. Tra le
due gocce passano una serie di sguardi, e forse anche qualche calcetto.
Vera ricorda il finale di quella scenata. “Però Carol è
ancora molto protettiva verso Pao Chai”.
Un vago sorriso di tenerezza si disegna sul viso di Terry. “Pao è
così ragazzina! Non vivrebbe senza tutte noi”. Si volta verso Irene:
“Non vedi come soffre ogni volta che tu e Carol vi beccate?”.
“Ma lo facciamo solo per scherzo, lo sai”, si difende l’altra. “Sono
certa che anche Pao lo capisce”.
Un altro lampo crea un effimero mondo di ombre e luci nette, ed il
tuono impone un attimo di silenzio.
Le amiche scrutano nelle profondità della loro tazza, forse
rivedendo il passato.
Vera riprende: “Ho sentito dire che Wanda portava i capelli lunghi”.
Speriamo che non sia un segreto anche questo!
“Sì”, risponde Irene. “Erano splendidi. Non sai quante gliene
abbiamo dette, quando li ha tagliati”.
Vera percepisce il pensiero carico di rimpianto dell’altra : Ha
voluto che lo facessi io stessa.
“Ha risposto che le andavano male per l’attività sportiva”,
aggiunge Terry.
Irene sbotta: “A me è sembrata una specie di penitenza…”.
Si interrompe.
“Dopo che Matt l’ha rifiutata?”, completa Vera.
Irene abbozza una smorfia triste. “Conosci già la storia”.
C’è un momento di silenzio mentre sorseggiano il tè,
che ha ormai esalato da tempo il suo ultimo filo di vapore.
“Ha sempre praticato il Kung Fu?”, chiede Vera.
“No, ha cominciato solo quando ci siamo trasferite qui, tre settimane
fa”. Irene le porge dei nuovi dolcetti. “Le avrebbe fatto bene anche
prima, ma non c’erano soldi”.
Vera alza gli occhi. “Prima? Ma non ha avuto problemi di salute?”.
Irene e Terry si guardano un attimo, incerte su cosa raccontare. E’
quest’ultima a rispondere: “A parte i postumi di un… incidente sportivo,
Wanda ha sofferto di … depressione. E’ stata anche in cura, anche se il
servizio pubblico qui non offre molto”. Un altro lampo illumina la stanza,
e Terry riprende solo dopo che il tuono ha finito il suo rimbombo. “Per
questo, le ha fatto bene iniziare un’attività in un ambiente più
sano di quello di prima”.
Vera tenta di affrettarsi a deglutire un frollino per continuare a
chiedere, ma Irene è più abituata di lei a parlare con la
bocca piena. “Era finifa in un bruffo jiro”. Segue un tentativo di deglutizione.
“In un scierto scienscio, la avviamo firata fuori gnoi”.
Terry interpreta: “Nel suo linguaggio masticatorio, vuol dire...”.
“Ho capito, grazie. Ma che brutto giro?”.
“Una palestraccia. Doping, incontri clandestini di boxe e altro…”.
“Botte da orbi, insomma. Per un bel po’, è diventata la sua
seconda vita, se non la prima”, riprende Irene, finite le onoranze funebri
del suo frollino. “Intendiamoci, alla fine lo ha fatto anche per noi, per
tirare vicino qualche soldo. E’ sempre stata pronta a sacrificarsi per
il gruppo”.
“Un momento”, interrompe Vera. “Non bastano pochi mesi di doping e
di allenamento per costruire un fisico così e per essere in grado
di affrontare incontri per cui si è pagate”.
Ora lo scroscio costringe Irene ad alzare la voce. “Già, ma
guardaci. Ci siamo abituate a bruciare le tappe”.
Terry storce il viso. “Io, più che altro, mi sono abituata a
vederle bruciare”.
Lo scroscio dura alcuni minuti.
Appena il rumore è calato, Vera riprende: “Wanda ha portato
vicino molto denaro con gli incontri sportivi?”.
“Un po’”. Irene comincia a raccogliere le tazze. “Ci ha aiutati molto
di più con il suo stipendio da guardia del corpo”.
“Guardia del corpo? Di chi?”.
“Di un tipo…”, risponde Irene evasiva. “Credo che abbia ancora la pistola
che le ha dato”.
“La pistola?”. Vera trasale. “E’ depressa da mesi, e voi le avete lasciato
una pistola?”.
Irene si stringe nelle spalle. “…Sssi… Ma come avremmo potuto sottrargliela?
Lei è più forte di tutte noi messe assieme”.
“E la porta in giro con sé?”.
“Non sempre… certo non in palestra”.
Vera si alza inquieta. “Ragazze, seguitemi. Andiamo a dare un’occhiata
al suo alloggio”.
Le due gocce si guardano. Lo sguardo di Terry esprime un rimprovero
che Irene liquida con una impercettibile alzata di spalle.
Vera si accorge della loro riluttanza. “Ragazze, ricordate che l’imprudenza
di una può metterci tutte nei guai”.
Attraversato il pianerottolo tra i due appartamenti, le tre entrano
assieme nella camera disordinata. Alcuni vestiti giacciono in pose casuali
sul letto ancora disfatto, e vari calzini spaiati popolano il pavimento.
Vera inizia ad aprire i cassetti, avendo cura di non lasciare tracce
visibili della perquisizione. Non nota che, appoggiato su un lato dell’ultimo
cassetto, c’è un frammento minuscolo di carta, che cade quando viene
aperto.
Sposta alcune magliette sommariamente ripiegate. “Ragazze, ho trovato
una scatoletta di proiettili!”.
Fanno solo in tempo a guardarsi in faccia, quando sentono la porta
d’ingresso aprirsi. Non tentano neppure di richiudere il cassetto.
Dopo pochi secondi Wanda è sulla porta della camera. E’ bagnata
fradicia, lascia dietro di sé una pozzanghera che si espande ad
ogni momento che passa, ed i corti capelli neri le stanno incollati sul
viso.
Le guarda a lungo.
“Vedo che le vostre mansioni spionistiche sono più ampie di quanto
pensassi”.
Perché Vera si sente presa in castagna? E’ l’altra a doversi
giustificare. “Wanda, perché giri armata?”.
“Per difendermi”. Lo sguardo è di sfida. “C’è tanta brutta
gente in giro”.
“Nessuna di noi ha mai sentito il bisogno del tuo arsenale”. Vera nota
l’imbarazzo delle altre. E’ così?
Vede ancora quello sguardo tetro sul viso di Wanda. Che ricordi ha
risvegliato?
“Voi siete voi. Siete state fortunate, finora…”.
Vera si chiede se dovrebbe usare lo sguardo del comando o qualche altra
forma di ipnosi. No, l’altra potrebbe risentirsi per sempre. Meglio tentare
di convincerla. “Ascolta, il trasporto della pistola è illegale.
Se ti arrestassero e indagassero, scoprirebbero che i documenti che porti
addosso non hanno riscontri in nessun archivio. Perquisirebbero questo
alloggio, ci farebbero domande per le quali non abbiamo una risposta. Tu
non vuoi questo, vero?”.
Uno sguardo incerto. “Devo potermi difendere…”.
Ci vuole un contentino. “Wanda, ti insegnerò a difenderti
bene. Ora dammi le mani. Sì, così, tutte e due”. La afferra
per i polsi. “Ora chiudi gli occhi, ed immagina che l’indice ed il pollice
della tua mano destra siano collegati con dei fili ai muscoli della tua
spalla destra. Due fili viola. Immagina di tendere questi muscoli. Immagina
che si carichino di elettricità. Immagina che un filo diventi sempre
più rosso, e l’altro sempre più blu. Non rilasciarla ancora.
Bene, ora ti mollo le mani. Allarga indice e pollice. Apri gli occhi. Ora
avvicina lentamente tra loro i polpastrelli”.
Wanda obbedisce, e sente che le dita si attraggono tra loro, Quando
sono a meno di un centimetro di distanza, tra esse scocca una scintilla.
PANG. Un rumore secco di sparo la fa sobbalzare.
“Bene”, riprende Vera, “se vieni minacciata, anziché unire le
dita come hai fatto ora, tocca con entrambe il tuo aggressore. Questo metodo
può stendere o mettere in fuga chiunque”.
Wanda guarda la sua mano, e fa scoccare di nuovo la scintilla. PANG!
Perché non è soddisfatta?
“Vera, so già fare di meglio con calci e pugni. Sono sicura che
tu non affideresti la tua difesa solo a questa specie di pizzicotto. Voglio
lo Sguardo del comando!”.
Lo Sguardo del comando! “Cosa ne sai di questo? E come
lo sai?”.
“Quello che stavi quasi pensando di usare!”.
E’ così, eh? “Non costringermi a farlo, Wanda”.
La studia. “Ma di cosa hai paura?”.
“Sono cose mie”, risponde l‘altra incrociando le braccia.
Vera cerca di percepire le reazioni delle altre. Nessuno stupore, nessuna
disapprovazione. Ma è possibile che fossero così timorose
da affidarsi alla protezione di questa Rambo depressa?
“Ragazze, non capisco cosa vi spaventa. Ma, se volete, vi insegnerò
altri trucchi per difendervi. Domani mattina vi insegnerò a bloccare
un’arma a distanza”. Allunga la mano. “Però ora consegnami la pistola”.
Wanda la guarda a lungo negli occhi. Odia sentirsi dare ordini. Per
un attimo pensa di sfidarla. Poi scuote il capo. Mi sono già
fatta abbastanza male da sola in passato. Non posso giocarmi le sole amiche
che ho.
Va verso il letto e sposta il cuscino. “Eccola”. La piccola pistola
nera fa capolino da sotto un pigiama spiegazzato. La prende in mano, ma
ancora esita a consegnarla.
Vera riflette, abbassando la mano. Bisogna convincerla con le buone.
Ora farò vedere a tutte una cosa interessante. “Sapete perché
a Meridian non si usano armi da fuoco?”.
Tre sguardi interrogativi.
“Perché non le hanno”, propone Irene.
A Therese questo sembra troppo ovvio. “Spiegaci un po’”.
“Subito. Guardate, prendo uno dei proiettili”. Vera estrae con attenzione
un cilindretto di ottone dalla scatola, e lo pone sul pavimento tra due
cuscini. “Nel metamondo quasi tutti posseggono almeno qualche minimo potere
telecinetico. Cosa potrebbe succedere a chi andasse in giro con un’arma
carica?”.
Tende la mano verso i cuscini.
Risuona un botto soffocato.
Qualche piuma comincia a volteggiare nell’aria.
Irene conclude: “Due cuscini in meno!”.
“E questo si fa con la telecinesi ?”, chiede Wanda, impressionata.
“Quella con cui, proprio ieri, muovevamo i cucchiai sul tavolo”, ricorda
Irene.
Guardano rapite il lentissimo elegante galleggiare delle piume, finché
Vera apre la mano. Queste si muovono verso di lei, finché, obbedienti,
si posano dolcemente sul suo palmo. “La telecinesi”, riprende, “e la conoscenza
dell’oggetto alla quale si applica”.
Wanda ci pensa un attimo. “Conoscenza? Se l’oggetto è davanti
ai tuoi occhi, a cosa serve conoscerlo?”.
“Nonostante ciò che vedi nei cartoni animati, la telecinesi
non crea grosse forze. Insomma, non da fermare un proiettile già
sparato”. Sorrisino furbo. “Però puoi bloccare la sicura dell’arma
del tuo nemico”.
Wanda scuote la testa. “Però non puoi conoscere tutti i tipi
di pistola e la posizione delle loro sicure. Cambia da modello a modello”.
“Già. Però basta farsi un’idea per riconoscerla. Il trucco
è semplice: puoi cercare di immaginarti come è fatta l’arma.
Se hai potere, questa immagine sarà fedele. Devi essere in grado
di interpretare quello che immagini, per sapere dove agire”.
Wanda tace un attimo, soppesando le implicazioni di queste parole.
“Questo non si applica solo ad una pistola, vero? Si applica a tutto”.
“Esatto. Con le conoscenze giuste, puoi fermare un carro armato staccando
pochi fili, o puoi distruggerlo facendo detonare le munizioni”. Apre la
mano, e soffia facendo volare via di nuovo le piumette.
Mentre osservano rapite i fiocchi bianchi che galleggiano nell’aria,
Vera continua: “In ogni macchina, in ogni essere, in ogni avvenimento ci
sono dei punti nodali. Se si riesce a capirli, basterà poco per
modificare il corso di qualunque evento”.
Bene, le ho impressionate. “Wanda, per piacere, ora dammi la pistola”.
Con uno sguardo di rimpianto, Wanda gliela consegna in mano. “Conosci
le armi?”.
“Sì, tranquilla. Elyon mi ha trasferito le memorie di Alborn,
il suo padre adottivo. A Meridian era un ufficiale, e ha continuato ad
interessarsi ad argomenti militari anche in esilio”. Sorride studiandosi
la pistola. Ne inizia a percepire la struttura interna, come se toccasse
i pezzi uno per uno. “Sì, sarà più sicura nelle mia
mani”.
BANG. Uno sparo sottolinea le sue ultime parole.
Un ciuffo di capelli di Vera si agita come spaventato. Qualche calcinaccio
cade dal soffitto, mentre il tintinnio metallico del bossolo sul pavimento
è coperto da un improvviso ronzio alle orecchie.
Passa mezzo minuto prima che le parole osino nuovamente uscire da qualcuna
delle bocche aperte.
“Più sicura?”, chiede Therese.
“Ma… ma…”, balbetta Vera incredula. Pian piano volge gli occhi verso
Wanda.
“Impossibile!”, espira quest’altra. “Non doveva neanche avere il colpo
in canna”. Si volta verso le altre. “Qualcuna ci ha messo le mani?”.
Una Irene già bianca sembra farsi sempre più piccola.
“Sei stata tu, Irene? Sempre curiosa come una scimmia!”.
La scimmia incassa senza replicare.
Vera cerca di riprendere l’iniziativa. “Beh… ragazze, non è
successo niente. Adesso la scarichiamo”. Con le mani tremanti, cerca la
levetta per estrarre il caricatore.
“Prima reinserisci la sicura”, suggerisce Wanda.
Vera si rigira la pistola tra le mani. Ma perché le sue percezioni
vanno in tilt proprio quando ci sarebbe più bisogno di loro? Ha
bisogno di respirare a fondo. Prende aria più e più volte.
Terry e Wanda si scambiano uno sguardo preoccupato. “Hai bisogno di
aiuto?”.
“No, grazie. Adesso sono a posto”, risponde Vera con una voce che lascia
intuire tutt’altro.
Lo sguardo di Irene è attratto da riflessi di luci lampeggianti
rosse e blu sul telaio di una finestra. “Ragazze, mi sa che abbiamo fatto
colpo in più di un senso”.
“La polizia? Per noi?”, chiede Terry.
“Nooo…”. A Vera sembra che la pistola scotti. “Calma, calma, niente
panico!”, implora strizzando gli occhi.
Irene va a sbirciare dal terrazzo. Con i denti serrati e gli occhi
spalancati come lampioni, cerca di trasmettere un messaggio usando un codice
arcano. L’indice verso l’alto fa tre giri, poi indice e medio sembrano
camminare e salire delle scale, poi indica il pavimento…
Terry non ne può più. “Irene, insomma, parla! Non è
mica vietato!”.
“Due agenti stanno entrando nel palazzo”.
“Oh, no!”. Vera vorrebbe tenersi la testa fra le mani, ma non è
proprio consigliabile finché impugna l’arma. “Un’idea, un’idea qualsiasi…
Ho trovato! Se vengono qui, ci parlo io. Wanda… tieni tu la pistola”.
“Qual è l’idea?”, chiede Irene. “Strillare ‘aiuto, aiuto, è
stata lei’?”.
“Macchè. State a vedere”.
Vera respira a fondo.
Quando qualcuno sta cercando di recuperare la sua calma, due minuti
possono sembrare brevi, ma a chi attende impotente sembrano interminabili.
Sentono bussare energicamente alla porta d’ingresso ancora socchiusa.
“Polizia. Che succede qua dentro?”.
La porta si spalanca. Al dilà , seminascosti dietro ciascuno
stipite, ci sono due poliziotti con giubbetti antiproiettile e con le pistole
puntata ad altezza d’uomo.
“Oh, agenti!”. Vera si fa avanti con un largo sorriso che sembra la
fotocopia di quello di Elyon. Cerca gli occhi dell’uomo più anziano.“Qui
va tutto bene”.
L’agente abbassa leggermente la pistola. “I vicini hanno sentito uno
sparo”.
“Sì. Stavamo provando una pistola giocattolo. È un regalo
per il mio nipotino che, da grande, vuole fare il poliziotto”.
“Ah. Fatemi vedere”.
“Certo, agente. Cara, porta la pistoletta”. Mentre sorride, le pupille
cominciano a brillarle di una luce innaturale.
Wanda, ancora fradicia, gira l’angolo incerta, puntando la pistola
in aria.
“Guardi, agente”. Vera si avvicina, alternando il suo sguardo intenso
tra l’agente più anziano ed il novellino rimasto indietro fuori
dalla porta. “Vedete che è un giocattolo? Ha anche il tappo rosso
sulla bocca, come prescrive la legge. Può fare solo rumore”.
L’agente anziano, rabbonito, ripone la sua arma nella fondina.
“Un giocattolo”. Sorride, prendendo la pistola dalle mani di Wanda. Guarda
compiaciuto un tappo rosso che possono vedere solo lui e il suo collega.
“Bella, non è vero?”, chiede Vera.
“Bella davvero”.
“Non facevano pistole giocattolo così belle quando lei era bambino”.
“Non facevano pistole giocattolo così belle quando ero bambino”,
si compiace. “Guarda che bella, Tom”. La passa all’altro agente.
Questo se la rigira tra le mani. “Stupenda! Sembra vera!”. La impugna
e la punta per aria.
BANG. BANG.
“Anche il rumore sembra vero”. La restituisce con un largo sorriso
nelle mani tremanti di Wanda.
“Beh, scusate, signorine. Era nostro dovere controllare, quando la
gente ci chiama”.
Gli agenti salutano giovialmente mentre spariscono nell’ascensore.
Irene si avvicina e guarda fuori dalla porta. “Sono andati. Potete anche
smettere di trattenere il fiato”.
Guarda Vera ancora congelata. “Ehi… ma ti sono diventati bianchi i
capelli per la paura?”. Osserva meglio. E’ polvere di calcinacci. Due fori
di proiettili adornano il soffitto proprio sopra di lei.
Dalle labbra del capo esce un gemito incomprensibile. “……………………….”.
Irene accosta l’orecchio. “Come dici?”.
“ODIO LE PISTOLE!”, le grida.
Irene sobbalza. “Ehi! Serve urlare?”. Si massaggia l’orecchio. “Scusa
se te lo dico, ma forse ti sei sbagliata, e le memorie di Alborn riguardavano
spade o pugnali. Peccato…”.
“STA ZITTA!”.
Wanda inserisce la sicura, toglie il caricatore e lo appoggia sul tavolone
del soggiono. Poi fa arretrare il carrello della pistola. Un proiettile
viene espulso e tintinna sul pavimento.
“Ora è scarica per davvero”.
“Non potevi farlo prima?”, chiede Vera tra i denti.
Sguardo colpevole. “Non me lo avevi chiesto… ”.
Vera respira a fondo, cercando di mascherare il tremore.
“Chi la sente poi Carol, quando torna?”, si chiede Irene. “Le abbiamo
dato argomenti per una settimana di sferzate nel suo peggior stile”.
“Meglio che non le diciamo niente”, risponde Wanda, “E speriamo che
non lo capisca da sola”.
Terry guarda i fori sul soffitto. “Sì, quelli potrebbero essere
opera dei tarli”.
Vera alza lo sguardo. Un po’ di polverina bianca le cade dai capelli.
“Datemi cinque minuti per riprendere fiato, poi li faccio sparire io, quei
segni”.
Degli aloni luminosi cominciano a percorrerle il corpo, a partire dalla
testa. Dopo un attimo, le tracce di intonaco e sudore gelido sono sparite.
Terry la si avvicina. “Ehm, Vera, per domani… sei sempre decisa a spiegarci
come bloccare le sicure delle armi?”.
Vera ci pensa. Riguarda i fori sul soffitto.
“Cambiamento di programma. Che ne dite dello Sguardo del Comando?”.