Anime Dannate
Parte Seconda
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e
sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella
lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un
punto fu quel che ci vinse.
Quando
leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante
questi, che
mai da me non fia diviso,
la bocca mi
baciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l
libro e chi lo scrisse:
quel giorno
più non vi leggemmo avante.
(Dante Alighieri, Inferno, Canto V)
Gradara, Marzo 1283
Non
appena Francesca aveva saputo che Paolo era tornato da Firenze, aveva ripreso
l’abitudine di scrutare l’orizzonte con trepidazione non appena si trovava
vicino a una finestra, nella speranza di scorgere da lontano il cognato in
sella al proprio cavallo.
Quell’anno
senza di lui era stato una vera agonia, per lei. Senza le sue visite a
rallegrarla, la sua vita era tornata a essere monotona e priva di calore. Solo
dedicandosi anima e corpo alla figlia Concordia aveva potuto lenire il dolore
che l’assenza di Paolo le causava.
Come
sempre, Gianciotto si era assentato da Gradara a lungo per combattere o
svolgere particolari mansioni e Francesca non aveva potuto fare a meno di
rallegrarsene, perché temeva che vedendola sempre con quello sguardo spento e
triste avrebbe potuto capire che quel malessere non era altro che nostalgia per
Paolo.
In
quell’anno senza di lui aveva perfino provato a dimenticarlo, a sopprimere i
propri sentimenti. Pensava che la lontananza l’avrebbe aiutata e magari
l’avrebbe indotta a provare per lo meno affetto per il legittimo marito, ma si
sbagliava, perché ogni qualvolta provasse a scacciare dalla propria mente
l’immagine di Paolo, il ricordo del loro unico contatto fisico prima che lui
partisse si riaffacciava prepotentemente nella memoria fino a farla desistere,
per cui aveva continuato a coltivare in silenzio il proprio amore.
Aveva
provato a concentrarsi sul proprio matrimonio, ad amare il marito, ma invano.
Nemmeno l’assenza di Paolo era riuscita a farla innamorare di Gianciotto, e
nemmeno a farle provare un po’ di affetto nei suoi confronti.
Il
massimo che riusciva a provare per quell’uomo era rispetto, che con gli anni si
era man mano sostituito all’iniziale timore. Sapeva che il marito, a modo suo,
l’amava. Non era uomo da dimostrare apertamente i propri sentimenti a parole;
preferiva di gran lunga i fatti, e dunque ogni volta che tornava dai suoi
viaggi le portava dei regali pregiati e la metteva a parte delle proprie
esperienze, degli incontri, delle battaglie. Con i suoi modi burberi, cercava
di coinvolgerla nella propria vita. Francesca sapeva benissimo che quello
sarebbe stato il massimo che mai avrebbe potuto avere da un uomo del genere, e
si rammaricava di non poter ricambiare in alcun modo quei sentimenti.
Quello
che non sentiva per il marito, lo sentiva per Paolo e ciò la faceva sentire
tremendamente in colpa.
Passò
una settimana prima che Paolo venisse a farle visita, insieme al figlio Uberto. Per Francesca fu una delle giornate più belle della
propria vita.
Lo
accolse nel salone principale del castello, e non appena lo rivide fu invasa da
una piacevole sensazione di gioia, che finalmente lenì tutta la nostalgia che
aveva provato in quegli ultimi mesi. Anche Concordia fu felice di rivedere lo
zio, ma ancora di più di poter riabbracciare Uberto,
il cugino e compagno di giochi prediletto, tanto che lo trascinò immediatamente
via per un braccio, per condurlo in cortile e recuperare il tempo perso.
A
quel punto Paolo e Francesca rimasero soli, in silenzio. Entrambi avevano così
tanto da dirsi, dopo quell’anno di separazione, eppure non sapevano da dove
cominciare. Avevano sentito così tanto la mancanza l’una dell’altro, e ora che
erano finalmente riuniti dovevano riabituarsi alle sensazioni scaturite dalla
reciproca compagnia.
Fu
Paolo il primo a risvegliarsi da quel torpore iniziale in cui erano piombati.
Mosse qualche passo verso Francesca e lei decise di fare altrettanto, finché
non furono uno di fronte all’altra. A quel punto si guardarono negli occhi a
lungo, si sorrisero e infine, simultaneamente, si abbracciarono, seguendo i
propri istinti. Era un gesto innocuo, dopotutto. E legittimo, dopo tutto il
tempo che era trascorso dal loro ultimo incontro.
-
Bentornato – sussurrò Francesca tra le sue braccia, sentendosi al proprio posto
come mai prima di allora.
Bentornato
cognato,
la corresse nella sua mente una vocina maligna. O benigna, a seconda dei punti
di vista. Benigna o maligna che fosse, Francesca decise di metterla a tacere,
determinata ad assaporare ogni istante di quell’abbraccio, senza farselo
guastare da nulla al mondo. Del resto, quanto altro tempo sarebbe passato prima
di godere nuovamente di un simile contatto?
Per
quanto doloroso, però, poco dopo i due ignari innamorati dovettero separarsi.
Andarono a sedersi sulle panche vicino al camino per conversare, come erano
soliti fare prima della partenza di Paolo.
-
Vi ho portato un dono, da Firenze – esordì quest’ultimo, aprendo la bisaccia
che portava a tracolla.
-
Un dono? – ripeté Francesca, incredula e un po’ lusingata. Mai, da parte del
cognato, si sarebbe aspettata un simile gesto nei propri confronti! Di
qualunque oggetto si trattasse, l’avrebbe custodito gelosamente, senza farlo
vedere a nessuno, come il proprio tesoro più caro, dono del suo amore irraggiungibile.
Si sarebbe aggrappata ad esso nei momenti di sconforto, come ad uno scoglio,
perché in ogni istante le avrebbe ricordato Paolo.
-
Sì, un dono – confermò il cognato. – Spero che lo apprezziate – disse poi,
prima di porgerle un pesante involucro di velluto a forma rettangolare.
Francesca lo afferrò con entrambe le mani e se lo poggiò in grembo, dove poi
vinse la curiosità. Nel giro di pochi istanti si trovò a stringere fra le mani
un libro e rimase a bocca aperta. Lo aprì alla prima pagina e vide che si
trattava della raccolta completa dei romanzi cortesi del francese Chrétien de Troyes, trascritti in volgare.
-
Vi ringrazio, io… - boccheggiò, estasiata. - È
bellissimo.
Amava
leggere, era sempre stata una sua passione. Più volte lei e Paolo, condividendo
lo stesso interesse, avevano conversato di poesie, di canzoni, di saghe di
luoghi così magici e lontani… Evidentemente il
cognato doveva essersene ricordato e aveva deciso di farle quel regalo.
-
Sono lieto vi piaccia – disse Paolo. Era felice di aver recato all’amata un
dono gradito. – L’ho acquistato in una bottega consigliatami da un ragazzo
molto colto che ho conosciuto durante il mio mandato. È ricca di volumi di ogni
tipo, vi piacerebbe.
-
Oh, non ne dubito. Ma raccontatemi tutto, voglio sapere ogni cosa di Firenze! –
lo incitò Francesca, e così lui fece.
Trascorsero
molto tempo a parlare, a raccontarsi quel che era successo nel corso della loro
separazione, e così facendo ebbero la sensazione di riuscire a colmare quella
distanza temporale. Ciò di cui non si resero conto fu che così facendo,
colmarono anche un’altra distanza, annullandola sempre più: quella tra i loro
cuori.
Quel
giorno fu felice persino per Gianciotto. Quando rincasò, dopo uno dei suoi
tanti viaggi, comunicò con gioia alla moglie che era stato scelto per la carica
di podestà di Pesaro, che distava da Gradara meno di un’ora a cavallo. Il
mandato avrebbe avuto inizio ad Aprile e da quel momento avrebbe iniziato a
risiedere a Gradara ogni giorno, ma fino ad allora sarebbe stato assente dal
castello perché impegnato in faccende militari, come sempre.
-
Ripartirò domattina, all’alba – annunciò, dopo cena, non appena si fu seduto di
fronte al camino su quella stessa panca su cui quel pomeriggio si trovava
Paolo, cosa che Francesca non poté fare a meno di notare. – Questo mio ritorno
non era previsto – spiegò. Si rivolse a Concordia e le sorrise dolcemente,
facendole cenno di venire a sedersi sulle sue ginocchia. Francesca si
sorprendeva ogni volta nel vedere di quanta dolcezza fosse capace il marito nei
confronti della figlia, che a sua volta provava un grande affetto per lui, per
il suo eroe, per quel padre di cui sentiva sempre parlare come un grande
cavaliere e condottiero, proprio come i protagonisti delle storie che la madre
le raccontava sempre.
–
Sono tornato solo per darvi la bella notizia di persona – proseguì dunque
l’uomo, riferendosi più alla figlia che alla moglie. – Ancora poco tempo, e ci
vedremo più spesso. Sei contenta, Concordia?
La
bambina, per tutta risposta, gettò le braccia al collo del padre e lo abbracciò
forte, esclamando: - Sì, padre, sì!
Francesca
si alzò dalla panca e si diresse alla finestra con le lacrime agli occhi,
invasa da una strana malinconia e da un grande senso di colpa.
In
momenti come quello sentiva che, sforzandosi un po’, avrebbe potuto amare
Gianciotto. Del resto con Concordia era un buon padre, e con lei un buon
marito, seppur con i suoi modi burberi che solo la figlia riusciva a fargli
dimenticare. Forse con un po’ di tempo e buona volontà anche lei sarebbe
riuscita a farlo.
In
momenti come quello provava collera verso se stessa per l’amore che nutriva per
Paolo, il quale la faceva sentire sempre insoddisfatta e le impediva di essere
pienamente felice, di apprezzare ciò che aveva. Era in collera con quell’amore
che da anni la consumava lentamente dall’interno, come un lento fuoco che si
alimentava di ogni parola, di ogni gesto, di ogni incontro con Paolo.
In
momenti come quello era dilaniata dal senso di colpa scaturito da quell’amore
peccaminoso, sbagliato e infelice.
In
momenti come quello, però, si rendeva anche conto che ormai quell’amore era
talmente radicato nel suo essere, che era diventato impossibile da estirpare.
Tre
giorni dopo Paolo tornò a farle visita.
Francesca
si trovava nella propria stanza, alla finestra, per sfruttare al massimo la
luce del sole. Stava leggendo il libro che il cognato le aveva regalato, e la
lettura l’aveva avvinta al punto tale che non si accorse dell’arrivo di Paolo
finché non se lo trovò seduto di fianco, che ridacchiava divertito sotto i
baffi. Sussultò per lo spavento, trovandoselo così vicino, e l’uomo scoppiò a
ridere.
-
Mi rallegra vedere che il mio dono vi piaccia così tanto – esclamò
quest’ultimo, tra una risata e l’altra.
-
Scusate, non sapevo foste arrivato – si dispiacque Francesca. In quel momento
rammentò che una serva, poco prima, era venuta ad annunciarle qualcosa che non
era stata a sentire ma a cui aveva annuito, poi l’aveva liquidata con una
scrollata di mano per poter continuare la lettura indisturbata. Evidentemente
l’annuncio doveva essere inerente l’arrivo di Paolo, e lei era stata così
sciocca da non ascoltare, perdendo minuti preziosi che avrebbe potuto
trascorrere in sua compagnia. – Siete al castello da tanto?
-
Da pochi minuti. Non vedendovi arrivare sono venuto a cercarvi, spero non vi
dispiaccia – rispose Paolo. – Cosa state leggendo? – chiese poi, sinceramente
interessato.
-
Ho da poco iniziato la vicenda di Lancillotto e Ginevra – rispose Francesca.
Fece per chiudere il libro, ma Paolo la bloccò, posando la propria mano sulla
sua.
-
Potete continuare a leggere, se vi va – suggerì. – Possiamo continuare insieme
– si corresse.
Francesca
annuì e pose il libro tra loro, di modo che la lettura fosse agevole per
entrambi. Si immersero così nelle vicende di Lancillotto, nobile e valoroso
cavaliere innamorato segretamente di Ginevra, la moglie del suo re, Artù. Quando
la regina venne rapita dal perfido Meleagant,
Lancillotto si precipitò a salvarla e si sottopose a varie prove che superò
grazie alla forza e alla costanza del proprio amore.
Più
Paolo e Francesca proseguivano nella lettura, più trovavano analogie tra la
loro vicenda e quella di Lancillotto e Ginevra. Quell’amore adultero, segreto,
sbagliato eppure così nobile scaturiva in modo talmente vivido dalle pagine di
quel libro che più volte entrambi, sorpresi da tutte quelle corrispondenze con
le proprie sensazioni, alzarono lo sguardo da esso, pallidi in volto. Quei
versi ebbero infatti il potere di rivelare all’altro i sentimenti che ciascuno
cercava di reprimere, o per lo meno di nascondere.
Nonostante
quei turbamenti, proseguirono la lettura, finché un passo fondamentale della
vicenda non li vinse e li costrinse a confrontarsi con i propri sentimenti.
Lancillotto
baciò Ginevra, e Paolo e Francesca alzarono lo sguardo dal libro per fissarsi
negli occhi. Non vi fu alcun bisogno di parole; sarebbero state superflue, e di
certo non all’altezza di quelle vergate sul volume che giaceva sulle loro
ginocchia.
Paolo
tremava per l’emozione, per la gioia di aver capito che il proprio amore era
ricambiato, che in tutti quegli anni le sue speranze non erano state vane.
Titubante, avvicinò il proprio viso a quello di Francesca e le sfiorò le labbra
con le proprie, in un bacio dolce e delicato.
Francesca
si sentì pervadere da una scossa di felicità e dimenticò tutto l’affanno
provato in quegli anni. Il proprio amore era ricambiato, ed era ciò che più
importava, quindi vinse ogni remora e ricambiò il bacio di Paolo,
allacciandogli le braccia al collo. Il cognato, a quel contatto, le cinse la
vita, bramoso di una maggiore vicinanza. Così facendo, il libro cadde a terra
con un tonfo, ma nessuno dei due ci fece caso.
Il
passo dalla panca al letto fu breve e naturale, ed entrambi per la prima volta
in vita loro fecero l’amore, si fusero, compresero a fondo il vero significato
di quell’atto, che altro non era che l’unione di due anime e due corpi in un fisico
e uno spirito solo.
Come
poteva essere così duramente condannato dalla religione, come poteva condurli
alla dannazione eterna, se era così foriero di gioia, amore e completezza?
-
Finiremo all’inferno per quello che abbiamo fatto, Paolo – sussurrò più tardi
Francesca, stretta a lui sotto le calde coltri delle lenzuola. Si sentì
rabbrividire; quei pensieri la mettevano a disagio. L’avevano turbata per anni,
quando aveva nutrito segretamente il proprio amore per il cognato, e la
inquietavano ancora più in quel momento. Eppure non riuscivano a guastare del
tutto l’appagamento e la gioia che provava dopo aver fatto l’amore con lui. Non
provava rimorso per ciò che aveva fatto; si rammaricava soltanto che non fosse
successo prima.
-
Lo so, amore mio – mormorò Paolo, con amarezza. Si puntellò su un gomito e si
sporse sul viso di Francesca, per poterla guardare dritto negli occhi,
intensamente, poi le accarezzò il volto. Sapeva di aver fatto una cosa
sbagliata, di aver oltrepassato un limite che avrebbe dovuto rimanere
invalicabile, di aver ceduto alle tentazioni della carne e dello spirito, di
aver disonorato la propria famiglia; eppure non era pentito, nemmeno un po’.
Avrebbe commesso di nuovo quell’errore altre mille volte, proprio perché non lo
reputava uno sbaglio.
–
Saremo dannati, ma lo saremo insieme – bisbigliò, solenne, prima di unire le
proprie labbra a quelle di Francesca, in un bacio che sapeva di suggello a quel
patto di eterno castigo che quel giorno avevano contratto, cedendo all’impulso
di quella passione covata segretamente e reciprocamente per anni.
Non
importava a cosa sarebbero andati incontro. Quel che più contava era rimanere
insieme, uniti dalla forza di quel sentimento autentico e puro che li aveva
avvinti fin dal primo incontro e che li legava in modo inscindibile.
Da
quel giorno, le visite di Paolo alla cognata divennero ancora più costanti.
Non
riusciva a starle lontano per più di due giorni di fila, e lo stesso valeva per
lei. Il fuoco della passione che li aveva consumati per anni era finalmente
divampato, e ora aveva un costante bisogno di essere alimentato con assidui
incontri, seppur fugaci e discreti, perché non sempre potevano ritirarsi nelle
stanze della donna. Ai due amanti bastava però vedersi, anche solo per parlare
o stare in silenzio davanti al camino, godendo della compagnia reciproca.
Con
l’avvento della primavera, le giornate iniziarono ad allungarsi e diventarono
più calde, così che i due amanti presero l’abitudine di fare delle lunghe
passeggiate a cavallo che li portavano sempre ad una piccola radura riparata,
nel bosco. Lì, al riparo delle fronde ombrose degli alberi, potevano essere
liberi di esprimere il loro amore, senza
che nessuno li giudicasse e senza il costante timore che qualcuno li
scoprisse, per quanto stessero attenti.
Trascorsero
un’estate memorabile, vivendo finalmente quell’intenso amore che li univa,
ignari di quello che sarebbe successo e dell’ineluttabilità del tragico epilogo
che li attendeva.
Fu
un periodo di gioia, per Paolo e Francesca. Un periodo di gioia e di amore, che
tuttavia li portò ad essere incauti, talvolta.
Malatestino aveva infatti
notato che le visite del fratello alla cognata si erano fatte troppo frequenti,
e le poche volte che aveva auto modo di vederli aveva constatato che qualcosa
nel loro rapporto era cambiato, ed era evidente dai loro comportamenti, per cui
decise di spiarli per capire cosa ci fosse sotto, anche se aveva già un’idea in
mente, fin troppo chiara.
Un
giorno, in Agosto, decise di seguirli in una delle loro consuete passeggiate a
cavallo. Li seguì a piedi e si mantenne distante, in modo da non farsi
scoprire. Fu facile seguire le loro tracce e ripercorrere i loro passi.
Giunse
ad una piccola radura, e lì li sorprese in atteggiamenti inequivocabili: vide
suo fratello Paolo baciare la cognata Francesca, stretta a lui con lascivia,
schiava di una lussuria che poteva derivare solo da Satana.
Alla
vista di quei due peccatori, Malatestino inorridì.
Doveva
denunciare tutto a Gianciotto.
Gradara, Settembre 1283
Francesca
era turbata, e attendeva la visita di Paolo con più trepidazione del solito.
Non appena lo intravide alla finestra, quindi, ne fu sollevata e si recò
immediatamente nel salone principale del castello, per riceverlo.
Non
appena arrivò lo salutò e, dopo essersi guardata intorno per vedere se ci fosse
qualcuno, gli fece cenno di andare nelle proprie stanze. Una volta lì, si
chiuse la porta dietro le spalle, con mani tremanti.
-
Ti devo parlare – esordì dunque, con un sospiro.
-
È successo qualcosa di grave? – chiese Paolo, preoccupato. Aveva infatti notato
subito che l’amata era inquieta e si era chiesto subito il perché, dato che
l’ultimo volta che si erano visti, due giorni prima, gli era parsa serena come
ogni volta che si incontravano.
-
Non proprio – rispose Francesca. Non sapeva da dove partire, e l’agitazione
continuava a crescere. Quello di cui si era resa conto il giorno prima cambiava
tutto, e non riusciva a stare tranquilla. – In un certo senso è grave, ma non
per quello che c’è tra noi. O forse sì – tentò, gesticolando nervosamente. –
Oh, non proprio come dirtelo! – esclamò infine, prima di passarsi una mano tra
i capelli per la frustrazione.
Paolo
avanzò verso di lei e la strinse fra le braccia nel tentativo di calmarla. –
Sta’ tranquilla, amore mio. Non hai nulla da temere, puoi dirmi tutto.
Qualunque cosa sia, la affronteremo insieme.
A
quelle parole, Francesca si sentì confortata; Paolo le sarebbe sempre rimasto
accanto, dopotutto. Si sciolse controvoglia dalla sua stretta e lo guardò negli
occhi, poi si schiarì la gola e disse: - Aspetto un bambino, Paolo.
Lo
disse tutto d’un fiato, prima di abbassare lo sguardo. Come avrebbe reagito
l’amato, a quella notizia? Le avrebbe creduto? Avrebbe pensato che il bambino
fosse di Gianciotto, e non suo? Avrebbe deciso di mettere fine alla loro
relazione?
Aveva
paura, paura di perdere quell’amore che aveva bramato per tanto tempo e che ora
finalmente poteva vivere. La sua vita non sarebbe stata più la stessa, ora che
sapeva cosa si provava nell’amare davvero qualcuno con tutto il proprio essere.
Paolo
si portò una mano alla bocca, sorpreso. Francesca aspettava un figlio? Suo figlio? Avrebbero avuto un bambino, insieme?
-
Ne… Ne sei sicura? – fu tutto quello che riuscì a
dire, la bocca completamente riarsa. Non riusciva a crederci. Un bambino… Sarebbero cambiate molte cose, lo sapeva.
-
Sì, ne sono certa – rispose Francesca, senza la minima esitazione. – Come sono
certa che sia tuo – aggiunse, per fugare ogni dubbio. – Non ho più permesso a
Gianciotto di sfiorarmi, da quando mi sono concessa a te.
-
Avremo un bambino! – esclamò Paolo, superato lo stupore iniziale, prima di
prendere nuovamente Francesca tra le sue braccia e sollevarla, ricoprendo tutto
il suo viso di baci. - È fantastico!
A
quella reazione, Francesca si sentì rincuorata e ogni dubbio, ogni incertezza,
ogni remora svanirono. Con Paolo al proprio fianco, non aveva nulla da temere.
Tuttavia,
bisognava restare con i piedi per terra.
-
Che faremo, Paolo? – gli chiese dunque, seria, guardandolo in volto.
L’uomo
la rimise a terra e le strinse le mani in una presa salda.
-
Fuggiremo, amore mio – le rispose. – Ce ne andremo lontano da qui, dove nessuno
ci conosce e dove potremo iniziare una nuova vita, crescere nostro figlio
insieme e amarci liberamente, senza pensare al giudizio degli altri – proseguì,
fantasticando e immaginando quella prospettiva di vita. Non gli dispiaceva
affatto. Come aveva fatto a non pensarci prima? – Dammi tempo di organizzare la
fuga e ce ne andremo, te lo prometto.
Francesca
non credette alle proprie orecchie. Davvero, dopo
tutti quegli anni, lei e Paolo avrebbero potuto avere una vita normale e vivere
il loro amore senza costrizioni e senza limiti? Davvero poteva lasciarsi alle
spalle la propria vita? Davvero poteva essere finalmente felice accanto alla
persona che più amava al mondo?
Gianciotto
giunse a Gradara in breve tempo, in sella al proprio destriero lanciato al
galoppo. Era furibondo, e la sua ira non era scemata minimamente da quando, due
giorni prima, Malatestino gli aveva rivelato che tra
sua moglie e suo fratello Paolo c’era una tresca. Sapeva che quel giorno Paolo
si sarebbe recato a Gradara, per cui era andato a Pesaro come ogni giorno e poi
era tornato indietro, voleva coglierli sul fatto, vedere con i propri occhi
quei due peccatori fedifraghi, perché una parte di lui ancora si rifiutava di
credere a Malatestino.
Come
avevano potuto?
Era
stato doloroso sentire quella notizia da Malatestino.
Amava Francesca, e sperava di averglielo dimostrato abbastanza in tutti quegli
anni di matrimonio. Fino a due giorni prima si era perfino illuso che a modo
suo anche lei lo amasse, ma poi aveva capito di aver scambiato per altro quello
che in realtà era solo rispetto o forse timore. Era stato uno stupido a credere
che Francesca fosse diversa da tutte quelle altre donne che lo guardavano con
disprezzo e disgusto.
Lo
aveva solo preso in giro, mentre intanto si concedeva a Paolo, a quel fratello
con cui non era mai andato d’accordo, così diverso da lui da essere il suo
opposto. Gianciotto si era scoperto a odiarlo ancora di più; gli aveva portato
via l’unica cosa che fino a quel momento aveva reputato solo sua e che mai
avrebbe pensato fosse oggetto dei suoi interessi. Doveva dargliene atto; era
stato bravo a nascondere la brama che aveva di Francesca.
Appena
giunse nel cortile del castello, smontò immediatamente da cavallo e si diresse
subito al salone principale, trovandolo vuoto.
Doveva
aspettarselo.
Senza
troppe esitazioni si diresse alle stanze della moglie. Trovò la porta chiusa,
quindi la aprì con un calcio e per poco non la sfondò.
Non
fu preparato a ciò che vide, nonostante quello che Malatestino
gli aveva raccontato. Vedere Francesca tra le braccia di Paolo e guardarlo con
un amore che mai aveva rivolto a lui, gli spezzò il cuore.
Fu
doloroso avere la prova tangibile che la moglie non lo aveva mai amato.
Gianciotto,
però, non era tipo da crogiolarsi troppo nel proprio dolore, e quindi esso fece
presto posto alla collera, a un’ondata di ira così grande che sentì montare in
sé come mai gli era successo prima di allora, nemmeno sul campo di battaglia.
-
Maledetti! – esclamò, sfoderando la spada che portava sempre alla cintola.
Paolo
e Francesca sciolsero il loro abbraccio, sorpresi e fissarono Gianciotto,
increduli. Perché era rientrato a Gradara così improvvisamente?
-
Come hai potuto? – domandò Gianciotto, in preda all’ira, rivolto a Paolo.
Avanzò verso di lui puntandogli contro la spada, e a quel gesto Francesca
impallidì.
-
Scappa, Paolo, scappa! – ordinò quindi quest’ultima all’amato. Era in preda al
panico; non aveva mai visto Gianciotto così e non sapeva come comportarsi.
Sperava che se Paolo fosse scappato lei sarebbe riuscita in qualche modo a
calmarlo e a farlo ragionare, a prendere tempo per organizzare la propria fuga
con l’amato per poi sparire per sempre dalla vita del marito.
Si
illudeva.
Paolo,
alle parole dell’amata, si riscosse dalla sorpresa e avanzò verso la porta. Nel
farlo, però, il suo mantello rimase impigliato nel chiodo di una botola che si
trovava nella stanza, che era sempre rimasta chiusa e che Francesca non aveva
mai capito dove conducesse.
Accadde
tutto in un attimo.
Vedendo
Paolo in difficoltà, Gianciotto volle approfittarne e si avventò su di lui con
la spada, pronto a trafiggerlo. Francesca, non appena intuì le intenzioni del
marito, si parò davanti a Paolo per fargli da scudo e fu lei ad essere colpita
dal fendente, proprio in pieno ventre.
-
No! – esclamò Paolo, sconvolto, il volto deformato in una smorfia di dolore. Il
suo primo pensiero andò al figlio che l’amata portava in grembo, a quella vita
che mai avrebbe visto la luce. Afferrò Francesca per le spalle per evitare che
rovinasse a terra, dato che le erano cedute le ginocchia e la guardò negli
occhi per quella che, lo sapeva, sarebbe stata l’ultima volta. Vi lesse lo
stesso dolore e la stessa preoccupazione per quel frutto del loro amore che non
sarebbe mai maturato. Cadde in ginocchio, sorreggendo l’amata e cullandola
mentre esalava l’ultimo respiro.
Gianciotto
ritrasse la spada dalle carni della moglie e, incredulo per ciò che aveva
appena fatto, osservò la lama sporca di sangue. Non voleva colpirla,
dannazione! Non voleva ucciderla! Non era lei il suo bersaglio, era Paolo;
eppure in nome di quell’amore maledetto che li legava non aveva esitato a
sacrificare la propria vita.
La
collera prese di nuovo il sopravvento e Gianciotto questa volta non mancò il
bersaglio. Trafisse Paolo in pieno petto, mentre questi piangeva inginocchiato
sul corpo di Francesca, che giaceva a terra senza vita, in una pozza di sangue
che si allargava sempre più.
Gianciotto
ritrasse la spada e Paolo cadde in avanti, chino sul corpo di Francesca. Fece
appello alle ultime forse che gli rimanevano e si sdraiò accanto all’amata per
stringerla in un ultimo, intenso abbraccio, dopodiché chiuse gli occhi per non
riaprirli mai più.
Gianciotto
fuggì da quella stanza, incapace di guardare a ciò che aveva fatto, a quei due
cadaveri che giacevano sul pavimento di pietra a causa sua.
Li
aveva uccisi. Aveva ucciso quei due amanti peccatori ma così facendo aveva
condannato anche se stesso a un medesimo destino di dannazione.
Amor condusse
noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense.
Spazio Autrice
Eccomi qui, alla fine di questa cosa. Non credevo ce l’avrei fatta, e
ancora adesso non mi reputo all’altezza di narrare la storia dei due sfortunati
amanti danteschi. Spero di aver reso omaggio loro in un modo per lo meno
dignitoso.
Ma passiamo alla storia. Qualche piccolo
appunto. Cercherò di non essere troppo logorroica. xD
Partiamo con il dono di Paolo a
Francesca, quando torna da Firenze. Il giovane colto a cui fa riferimento è
proprio Dante; ho voluto rendergli un piccolo omaggio. Si pensa infatti che
durante la sua permanenza a Firenze Paolo abbia conosciuto Dante, per cui ho
voluto dare adito a questa teoria, a modo mio.
Per quanto riguarda la morte dei due
amanti, ammetto che è stata la parte più difficile da scrivere. Forse apparirà
troppo semplicistica, lo ammetto, ma non volevo soffermarmi troppo su dettagli
truculenti, per cui ho optato per la soluzione che avete letto.
Il finale è volutamente aperto e si
conclude con la citazione del Canto V dell’Inferno, perché ho voluto così. Le mie
parole non sarebbero mai state all’altezza di quelle di Dante, per cui ho
inserito le sue.
Se siete arrivati fin qui, vi
ringrazio per la pazienza. Spero abbiate voglia di lasciarmi un commento.
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi
raccomando.^^
Sara