Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: _Graysoul    24/02/2013    1 recensioni
"Ten songs" è la storia di queste due ragazze che si conoscono in un modo un po' insolito. Il loro rapporto non comincia con un "ciao" né con un "hey" e neppure con un "oh, scusami" di passaggio.
Loro non si conoscono affatto e forse mai lo faranno. O forse si.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
All fall down - One Republic

Presi posto sulla solita panchina, deserta come sempre. Un vento gelido, aggressivo, cercò di spazzarmi via, ma per ora ero più forte io. Guardai il quadrante del mio orologio rosso nuovo. Tre e trenta. Guardai dritto davanti a me. Una signora, dall’altra parte della strada, seduta su una panchina, suonava un piano insistente. Le dita scivolavano veloci sui tasti bianchi e neri fatti d’aria fredda, di sogni spazzati via, speranze schiacciate dal gelo dell’inverno. Distolsi lo sguardo. Quel momento non mi apparteneva.
Affondai il viso nella lunga e morbida sciarpa che portavo quel giorno e sospirai, appannandomi gli occhiali, ma il vento spazzò via l’umidità. Il vento spazza via sempre un mucchio di cose.
Guardai a sinistra e in lontananza distinsi una sagoma. Mano a mano che si avvicinava riuscii a capire che si trattava di una ragazza dai ricci castani, medio alta, magra. Era la ragazza di venerdì scorso, quella strana. Quel giorno indossava una gonna di jeans con dei calzettoni fino alle ginocchia, una canottiera dei Nirvana con sopra un giacchino marrone e a tracolla la borsetta rossa della scorsa volta. Guardava fisso davanti a sé.
Arrivò alla mia panchina e prese normalmente posto affianco a me. Anche stavolta non mi degnò di uno sguardo. Ancora non facevo parte del suo mondo. Sfilò dalla borsa l’Ipod, infilò le cuffie e premette play. Una canzone che ben conoscevo invase l’aria ghiacciata, portando via le note dei One Republic.

God love your soul and your aching bones
Take a breath, take a step, maybe down below
Everyone's the same
My fingers to my toes
We just can't get a ride
But we're on the road

If ever your will starts crashing down
Whenever your will starts crashing down
Whenever your will starts crashing down
That's when you find me.




Una volta terminata la canzone si sfilò le cuffie, ripose il tutto in borsa e attaccò a parlare. Nonostante da una parte me l’aspettassi, mi sorprese comunque. Ancora.
“Penso che una delle cose più brutte del mondo sia quando ti crollano tutte le volontà addosso. Cioè. Metti che un giorno ti svegli e non ti senti bene. Ti viene da piangere e non sai perché, tutto ti irrita, sei stanca, vorresti stare a letto per sempre ma dall’altra parte vorresti fuggire via, lontano. Urli al mondo che vuoi stare da sola, ma vorresti solo stare accoccolata al petto di qualcuno. Hai presente uno di quei giorni? Ecco. Un giorno ti svegli così e te ne stai rannicchiata a letto con i tuoi peluche e inizi a pensare a cosa vorresti fare, dove vorresti andare. Inizi a plasmare i tuoi sogni, cerchi di renderli reali. Prendi una città e ti ci disegni sopra. Prendi una persona e ti ci disegni accanto. Prendi una matita e ti disegni un sorriso sulla faccia. Poi però ti fermi di colpo. Bruscamente. E vai a sbattere contro quel vetro di magiche illusioni che ti stavi creando. Il vetro si frantuma. In mille pezzi. Pezzi che ti graffiano in viso, le braccia. Cadi a terra, tagliandoti e graffiandoti con tutti quei vetri. Allora cerchi di rimettere assieme tutti quei pezzi ma.. non puoi. Sono troppi e sono troppo piccoli. Quei piccoli pezzi di vetro non sono altro che le tue volontà, distrutte, a terra.” Prese fiato. Aveva concluso il suo aforisma.
“E’ orribile.” Soffiai, col cuore a mille. Perché anche io la trovavo una cosa orribile, un incubo. Ma la cosa orribile era il semplice fatto che io quell’incubo l’avevo vissuto. Lo stavo vivendo e qualcosa mi diceva che l’avrei vissuto ancora per molto.
“Sì. Sì, è orribile.”
Seguì un assordante silenzio. Un silenzio un cui riuscivi a sentire l’eco delle tue speranze andare in pezzi. Il silenzio in cui cadi in ginocchio, graffiandoti tutta, schizzando sangue ovunque. Dove lacrime silenziose infettano il pavimento, macchiandolo, rovinandolo. Fu tutto ciò che seguì fino a quando uno strillo spazzò via tutto.
Sobbalzai, sentendo il cuore pronto a schizzare via dal petto. La ragazza si voltò lentamente, come se quello strillo le fosse arrivato ovattato. In lontananza c’era una ragazza magra, forse un po’ troppo magra, alta, dai capelli e occhi neri, che correva via da un ragazzo quasi due spanne più alto di lei, anche lui con occhi e capelli neri, che la inseguiva. In mano aveva due palle di neve. Rideva senza imporsi limiti. La ragazza inciampò e si aggrappò ad un palo della luce lì vicino. “Pietà, ti prego!” ansimava per la faticosa corsa nella neve. Il ragazzo scoppiò a ridere ancora più forte e scagliò una palla di neve che colpì in pieno la mora. Un altro strillo acuto da parte sua. “Giò, piantala, ti supplico! Dai!” rideva.
“Vuoi che la smetta? Benissimo. Sai cosa devi fare.” Disse avvicinandosi alla ragazza.
Sia io che la mia compagna di panchina osservavamo la scena come se fossimo al cinema. Come se stessimo osservando qualcosa di chissà quale importanza, e non una stupida guerra a palle di neve tra adolescenti.
La mora, che decisi si sarebbe chiamata Trilli per la sua risata che sembrava.. beh si, un trillo, scosse la testa con vigore, terrore negli occhi accompagnato da un luccichio divertito. “Mai.”
“E allora non dire che non te la sei cercata” le rispose il ragazzo dalla pelle più bianca della neve, scagliandole la seconda palla di neve e colpendola sul petto. Un altro strillo di Trilli. Un’altra palla di neve, un altro affondo, un altro strillo, un’altra risata. “Okay! Okay, mi arrendo. Mi arrendo, stronzo!” ansimò scossa dalle risate. Il ragazzo le si avvicinò con un sorriso sghembo scolpito in faccia, Trilli cercò di allontanarsi ma scivolò su una lastra di ghiaccio e in quel momento mi parve di essere al cinema a vedere uno di quei film americani che speri si riversino nella tua vita, prima o poi, creando un lieto fine. Il ragazzo la afferrò di slancio, portandosela addosso, stringendola forte ma delicatamente come se stesse reggendo tra le mani un fiore raro, scoppiando in un’altra risata, cercando di non scivolare sul ghiaccio a sua volta. Ridevano, abbracciati, felici. Trilli e Peter Pan. Un bacio. Una fitta di invidia. Un’altra risata. Un moto di gelosia. Una carezza. Un ricordo lontano. Un’ altra palla di neve. Rabbia. Un sussurro. Un sussurro che tutti vorremmo sentirci dire da quella persona. Quel sussurro. Dolore. E poi silenzio di nuovo. Io e la mia amica di panchina eravamo di nuovo da sole. Mi voltai a guardarla. Era mille miglia da me.
“Sembravano felici, trovi?”
Rispose con un cenno convinto alla mia domanda retorica. Una folata ghiacciata di vento portò sapore di ciambelle nell’aria e l’eco di una risata lontana mi fece rabbrividire. Piantai i piedi bene a terra mentre le mie briciole venivano spazzate via. Mi stavo sgretolando e il vento aveva sempre portato lontano i miei pezzi. L’impresa di rimetterli insieme era sempre più impossibile.
“Mh?”
Mi voltai. La ragazza mi guardava. Prima che sbattesse le palpebre, come un attesa di qualcosa, notai uno scintillio grigio nei suoi occhi. Gelosia. La stessa gelosia che avevo provato anche io poco fa. Il riflesso di un sorriso altrui. Poi scomparve, lasciando spazio ad una pupilla enorme e un sottile contorno di un verde indefinito.
“Oh. Mi hai chiesto qualcosa? Scusa, non ti ascoltavo..” Rise sommessamente e mi rifece la domanda.
Che cos’è la felicità?

“Un attimo.” Risposi di getto.
“Fai pure.”
“No, hai frainteso. Intendevo che la felicità è un attimo.” Alzò un sopracciglio. Non era confusa. Solo voleva saperne di più. Era affamata di sapere. Voleva chiarire quel miscuglio di idee che aveva in testa. Dubitai che ci sarebbe riuscita. “La felicità è un semplice attimo. Insomma, tutti la dipingono come uno stato d’animo. Una condizione di vita. Hai gli amici, vai bene a scuola, sei ricco, giri il mondo, raggiungi i tuoi obiettivi e ti additano come una persona felice.” Mi venne da ridere a pensarci, ma non lo feci. Una risata amara avrebbe solo sporcato ulteriormente d’inchiostro nero il nostro foglio già abbastanza chiazzato. “Però non è così. Una persona può essere tutte queste cose ma nella sua tela ci sarà sempre una pecca. Un buco. Un ostacolo troppo alto. Una stanza troppo buia. Per questo è sbagliato definire la felicità come uno stato d’animo. Questo perché la felicità è un attimo. Può essere quel momento in cui abbracci un’amica che non vedevi da tanto tempo e senti il suo cuore battere proprio accanto al tuo, quel momento in cui il ragazzo che ti piace ti sorride, o quando prendi dieci in matematica. Quel momento quando nevica e ti metti a correre sotto la neve, infradiciandoti, ma corri comunque senza motivo. Quando scatta la prima mezzanotte di un anno nuovo e respiri profondamente un’aria nuova, o quando finisci di leggere un libro e senti di aver perso qualcuno ma guadagnato qualcosa, quando ascolti i tuoi cantanti preferiti e mentre ascolti le loro voci, chiudi gli occhi, respiri profondamente e ti vengono i brividi. Quando sei con gli amici e scoppi a ridere per una sciocchezza e non riesci più a smettere, ti pieghi in due, continui a ridere, cominci a piangere ma ridi ancora. Idiozie del genere. Cose che ci capitano tutti i giorni, emozioni che ci invadono quotidianamente ma non ce ne rendiamo conto. Le sottovalutiamo e le rinchiudiamo in quel cassetto grigio e buio che è la nostra mente. In fondo siamo capaci di sottovalutare tutto. Ci ritroviamo le cose migliori tra le mani e le buttiamo via disgustati, pensando si tratti solo dell’ennesima stronzata. Pensiamo si tratti dell’ennesima doppia del nostro album di figurine raffiguranti i nostri momenti migliori.” Terminai con un’alzata di spalle e un sospiro. Riaffondai nella mia sciarpa. Sperai che Trilli e Peter Pan avessero archiviato quel breve momento innevato come un attimo felice. Lo sperai davvero.
Vidi con la coda dell’occhio la riccia, che per tutto quel tempo mi aveva fissata, ricadere lentamente nel suo mondo, mille miglia dal mio. Sentivo la sua mente ragionare su ciò che la mia anima aveva vomitato. Un rumore mi distolse dalle mie osservazioni. L’autobus. Mi alzai, mi avvicinai al bordo del marciapiede. L’autobus si fermò davanti a me e con un insopportabile stridio aprì le sue ormai distrutte porte.
“Non sali vero?”
Riemerse un attimo per rivolgermi un debole sorriso di scherno e negò con la testa.
“Beh, allora ci si vede.”
Agitò delicatamente la mano, arrossata dal freddo che sembrava non toccarla.
Salii sull’autobus e mi allontanai da quella ragazza che sapevo non avrei visto per l’ultima volta.







Buonasera picciriddi.
Ebbene sì, ho aggiornato. Scommetto dieci auro che avevate già perso le speranze.
Ragazzi, che poco di buono che siete. Spero almeno di avervi accontentati con questo capitolo. Personalmente, mi piace molto. Ed è strano che io apprezzi qualcosa che scrivo.
Quindi apprezzate questo immenso sforzo di Zia Clara.
Darling, tu che leggi e sai che mi riferisco a te, il capitolo come sempre è tutto tuo. Grazie per avermi spronata a continuare
Detto ciò, nel caso aveste voglia di sganciarmi una recensione *occhi dolci* se non è troppo chiedervelo, vorrei che mi diceste anche in due parole perché continuate a seguire questa storia.
E' importante per me (lo so che è una furibonda boiata, ma per me è una necessità primaria èé).
Credo di essermi dilungata abbastanza, si? Come sempre, VI AMOH, e ci si becca al prossimo capitolo.
See ya.

PS: non siete dei poco di buono. Siete delle meraviglie che risplendono più delle stelle.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: _Graysoul