Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: ___MoonLight    24/02/2013    8 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



24

 

 

Your bridges are burning down







"You used to say I couldn't save you enough,
So I've been saving it up, I started saving it up.
And when you said I couldn't give you enough,
I started giving you up, I started giving you up."


[Arlandria – Foo Fighters]



3 Aprile, 18:30, Villa Stark

Non ricordava l'ultima volta che era salito sulle montagne russe, ma il suo stomaco pareva ricordarlo invece piuttosto bene e aveva deciso di rinfrescargli la memoria in quel preciso momento. Momento in cui il giornalista davanti a lui stava cautamente domandando quali fossero gli effetti collaterali delle protesi. Giornalista dalla giacca orribile, tra le altre cose, dal verde smorto.
"Sembra color palude, color vom–..."
Tony si tappò la bocca e sussultò in un conato, riuscendo a malapena a trattenerlo. Il giornalista si ritrasse di scatto, togliendosi dalla sua traiettoria e rinunciando ad avere risposta. Un'altra giornalista, più temeraria, si fece avanti, scrutando preoccupata una bottiglia vuota di birra che ondeggiava ai suoi piedi prima di porre l'ennesima, infida domanda. Tony sollevò appena lo sguardo dal piano del tavolo, che aveva continuato a fissare come in trance, sfiorandone la superficie lucida con un dito.
Quello che vide non risollevò il suo umore.
Biondo. Capelli biondi.
Christine.
Preferiva il verde vomito.
«Tony,»
esordì, con voce dolce quanto una vipera pronta a morderlo, «confermeresti una voce che gira da molto tempo nel... nostro ambiente?»
L'uomo la trapassò con l'unico occhio annebbiato dall'alcol, ma ancora abbastanza lucido da riconoscere una domanda a trabocchetto e da aver presente di chi era la colpa, o almeno parte di essa, se lui aveva dato fondo alla riserva d'alcol.
«Dipende,»
rispose secco, improvvisamente più saldo sulle gambe e nei pensieri al ricordo del loro ultimo "incontro".
Si costrinse a rimanere guardingo. Avrebbe potuto rovinarla con poche, semplici parole, ma era un'arma a doppio taglio. Non aveva alcuna voglia di sputtanare in diretta la sua vita sessuale complicata da moncherini e protesi. Si chiese remotamente se non lo stesse mettendo alla prova, nella speranza che si facesse scappare qualcosa in preda all'ebbrezza, così da poter spiattellare la sua performance scadente sulla copertina di
Vanity Fair. Si chiese anche, con orrore, se per caso non avesse scattato altre foto a sua insaputa, potenzialmente più compromettenti di una cucina distrutta. Si costrinse a concentrarsi sull'attuale domanda della donna, già abbastanza difficile da comprendere senza aggiungerci le sue elucubrazioni.
«È vero che il suo avvocato, Kyle Andrews, nonostante le sue
condizioni,» puntualizzò perfida, «intrattiene rapporti intimi con la sua amministratrice delegata, Virginia Potts?»
Tony fissò il vuoto. Scosse appena la testa, poi comprese quello che aveva appena sentito e si sollevò di scatto.
«Cosa? K?! Allora mi ha mentito!»
Christine fece un balzo indietro, ma era segretamente compiaciuta e insistette:
«Allora è vero? Andrews e Potts?»
Nella mente di Tony veleggiò un pensiero coerente:
"Io indagherei piuttosto su Knight..."
«Non è vero. Ma se è vero lo ammazzo,» biascicò, bevendo un sorso di liquore e scombinando le poche sinapsi che ancora non erano affogate nell'alcol.
Il debole freno inibitore che gli aveva impedito di proferire troppe idiozie cedette:
«E visto che siamo in tema, spero che Knight l'abbia pagata bene per il suo servizio, "Miss Brown",» le sibilò, badando bene a tenersi fuori dalla portata degli altri microfoni.
L'occhiata sprezzante e allo stesso tempo compiaciuta di Christine fu una risposta sufficiente e Tony si ritrovò a contrarre il pugno, prima che lei si defilasse prudentemente.
«Signor Stark, potrebbe rispondere a qualche...» una scarica di flash lo accecò.
Ne aveva abbastanza. Si alzò incerto, facendo leva sul tavolo per non poggiarsi sulla protesi inferiore già dolorante e gesticolò imperioso con la mano, come a volerli spazzar via. Il tutto risultò in un ondeggiare piuttosto debole e instabile. Troppo instabile. Si sbilanciò in avanti e sbatté sul tavolo con le gambe; ritrovò l'equilibrio scattando indietro, ma atterrò poco decorosamente...
"... culo a terra. Grandioso. Sono rovinato. Lo ero anche prima. Pepper mi ucciderà lo stesso. Ma prima spero risolverà questo casino..." pensò sconclusionato.
E Pepper apparve davvero, non seppe se per grazia o per punizione divina.
Ora poteva svenire in pace.


***


Fu svegliato dalle penetranti esplosioni che rimbombavano nel pavimento.
Socchiuse gli occhi e si rese conto che il mondo aveva un'angolazione innaturale. Da quando i tavoli crescevano sulle pareti?
Scacciò la nebbiolina che aleggiava nella sua visuale con un battito di palpebre; fu allora che percepì la sua guancia contro la superficie gelata del pavimento e sospirò sollevato. Almeno il campo gravitazionale funzionava ancora. Lo stesso non si poteva dire delle sue gambe, ridotte a una massa gelatinosa abbandonata dietro di lui. Tentò di rialzarsi, o anche solo di muoversi... di strisciare, ma il peso della protesi posteriore sembrava inamovibile.
Rialzò la testa, facendo sì che il salotto turbinasse attorno a lui come un ciclone attorno al suo occhio: pessima mossa.
Almeno ora era in grado di associare le "esplosioni" di poco prima ai tacchi di Pepper che viaggiavano avanti e indietro per la stanza a pochi metri dal suo naso. Quando provò a chiamarla l'unico suono che riuscì a produrre la sua lingua intorpidita fu un mugugno inarticolato, che però ebbe il potere di spostare gli occhi gelidi della donna su di lui. Non lo degnò di una parola e passò oltre.
Tony intravide qualcosa stretto tra le sue braccia, che identificò vagamente come dei vestiti. Si sollevò sui gomiti, acquistando qualche metro di visuale. Una valigia e una borsa da viaggio erano poggiate sul divano, la prima chiusa e apparentemente piena, l'altra ancora semivuota e aperta. Ci mise un po' a mettere in linea i pensieri e a connetterli alla bocca:
«Chi si trasferisce da noi?» articolò a fatica, mettendosi carponi con la protesi distesa, concludendo che quello era il massimo grado evolutivo che poteva raggiungere in quel momento senza mettersi a urlare per la piaga che gli infiammava la gamba destra.
Non ricevette alcuna risposta.
In uno sprazzo di energia improvvisa tentò di rialzarsi in piedi, troppo velocemente per la sua testa annacquata. Ma dov'erano le sue maledette stampelle? Non riuscendo a individuarle nel raggio di dieci metri, fu costretto ad appoggiarsi al muro, facendovi leva per riportarsi in posizione più o meno eretta, con la testa che vorticava inarrestabile. La luce era abbastanza tenue, ma bastava ad accecare la sua retina ancora funzionante ma resa fotosensibile dall'alcol, e ad inviargli le fitte di una nascente emicrania. Si portò la mano alla fronte, come se così potesse impedire alla sua testa di continuare a cadere. Non ottenendo risultati concreti la prese tra entrambe le mani, cercando almeno di farla smettere di girare e accasciandosi completamente contro il muro. Cercò di non pesare sulla protesi, ma quella continuava a dolergli al minimo movimento.
Pepper gli passò di nuovo davanti, stipò nella borsa una bracciata di vestiti con un gesto stizzito, senza perdere un briciolo della sua solita compostezza, e chiuse di scatto la zip.
«Pepper? Dove vai?» la richiamò, un po' troppo bruscamente.
La donna si girò appena verso di lui.
«Ho bisogno di un po' d'aria
pulita dichiarò rigidamente, scandendo bene le parole, e lui non comprese se per farsi capire da qualcuno nelle sue "condizioni" o semplicemente per non gridargli in faccia.
Un'inspiegabile ondata di rabbia lo scaldò dalla testa ai piedi, scacciando momentaneamente il senso di stordimento.
«Prego?»
Pepper si mise in spalla la borsa senza fornire ulteriori spiegazioni e trasferì i bagagli accanto alla porta. Tony fece lo stesso, rasentando i muri col palmo sano per non cadere.
«Non mi ignorare,» aggiunse in tono irritato e più alto del necessario.
«Lei lo ha fatto per fin troppo tempo,» replicò freddamente lei.
«Non ignorarmi, ho detto
,» ripeté Tony a voce più alta, dando un lieve colpo al muro senza neanche rendersene conto.
Pepper sussultò nel sentire lo schianto di un quadro che cadeva a terra e andava in mille pezzi. La protesi di Tony aveva sbriciolato l'intonaco, che si sgretolava lentamente ai suoi piedi in un picchiettio sommesso. L'uomo sembrò rendersi conto di quel che aveva fatto e si allontanò appena dal muro, scrollandosi la polvere dalla mano metallica e fissando allibito le schegge di vetro che costellavano il pavimento tra loro.
La donna prese definitivamente i bagagli e aprì la porta, dopo aver lanciato uno disgustato a lui e a tutto ciò che lo circondava. Tony si sentì improvvisamente accaldato, non sapeva se per la vergogna o per la rabbia.
«Me ne vado. Non mi aspetti per un po',» dichiarò lei risoluta, facendo per mettersi la giacca.
Anche Tony fu risoluto, forse troppo: ancora un po' ondeggiante, cercò di trattenerla per il braccio, usando istintivamente la destra; riuscì ad afferrarla, ma lasciò subito la presa sentendola sussultare e trattenere bruscamente il fiato. Dove si era posata la sua mano, poco sopra il gomito, il calco esatto della sua mano era impresso sulla sua pelle lattea in un rosso acceso. Lui la fissò attonito, ritraendosi come se si fosse scottato, in cerca di parole che non esistevano. Fissò il proprio palmo metallico, poi di nuovo la pelle arrossata di Pepper senza riuscire a connettere le due cose, boccheggiando ancora a vuoto nel tentativo di cpaire cosa fosse appena successo.
L'ultimo sguardo che gli rivolse Pepper lo gelò fino alle ossa e si sentì rimpicciolire. Per un attimo, fu di nuovo di fronte a suo padre che lo guardava con occhi colmi di delusione. L'attimo dopo la porta di casa sbatté con forza di fronte a lui, inghiottendo la sagoma della donna, mentre la sua mano si tendeva di nuovo verso di lei in un gesto inutile.
Strinse il pugno meccanico e lo lasciò ricadere lentamente, sentendosi stordito.
Individuò finalmente le sue stampelle, a pochi metri da lui. Le ignorò e raggiunse barcollante il salone, aggrappandosi a ciò che trovava in giro senza curarsi di romperlo o rovesciarlo; si poggiò infine sul tavolo come se stesse studiando uno dei suoi progetti sul vetro lucido, mentre il suo sguardo era in realtà catturato dai riflessi sulla bottiglia di whiskey. La sollevò e ne bevve distrattamente un sorso, sentendo il liquido che bruciava la sua gola contratta.
Non riusciva ancora a dare un senso alle immagini che si accapigliavano nell sua mente, e sentiva un bruciore crescente nel petto che nulla aveva a che fare con l'alcol.
Intravide il proprio riflesso nel vetro e serrò l'occhio.
Poi rovesciò il tavolo a terra e urlò.


***


Non gli capitava spesso di essere mandato in missione. Non che fosse un tipo particolarmente attivo, dopotutto: preferiva di gran lunga la tranquillità del suo laboratorio sull'Helicarrier al lavoro sul campo.
Cercò di convincersi che un po' di moto gli avrebbe fatto bene: era un periodo che allo SHIELD si respirava un'aria fin troppo rilassata, e gli unici che potevano vantarsi di fare qualcosa di utile – e pericoloso, come ci tenevano a sottolineare – erano gli Agenti Barton e Romanov. Thor era momentaneamente irreperibile, probabilmente disperso in qualche piega spazio-temporale dell'universo e impegnato a battibeccare col fratello; Steve cercava ancora di abituarsi al XXI secolo e di capire il funzionamento di uno smartphone; lui era impegnato nei suoi progetti e Coulson per una volta dormiva sonni tranquilli con la sua violoncellista delegando ad altri il lavoro sporco.
In quel clima così pacifico Tony... beh, Tony dava il meglio di sé, come al solito.
E l'unico a farsi saltare i nervi invece di chiudere anche l'occhio buono era stato ovviamente Fury, che a quanto pareva si rodeva il fegato per l'assenza di Iron Man, ma allo stesso tempo si sarebbe mangiato la benda piuttosto che ammetterlo. Quella mattina aveva sopportato l'ultima goccia, dando infine in escandescenze e mandando qualcuno a ripulire i cocci. Qualcuno che, in quel momento, avrebbe volentieri barattato metà delle sue ricerche e della sua materia grigia – e verde, soprattutto – piuttosto che trovarsi lì.
Bruce sospirò nel guardare la villa arroccata sulla scogliera, enorme, sontuosa e desolata. Si era sempre chiesto cosa se ne facesse Tony di tutto quello spazio, escludendo le sue feste megagalattiche. Si fece forza e scese dall'auto, non del tutto sicuro che il detto "ambasciator non porta pena" avrebbe funzionato, quella volta.
Era a meno di venti metri dal portone della villa e stava per entrare nel patio quando fu quasi travolto da Pepper, che sbucò da dietro un'aiuola piombandogli addosso mentre si fiondava fuori dal cortile, diretta alla sua auto e ingombrata da una borsa da viaggio. La trattenne d'istinto, impedendo che ruzzolassero entrambi a terra sul patio, e percepì con fastidio il cuore che accelerava appena i battiti per la sorpresa... ma non sarebbe sicuramente esploso per un incidente simile. Piuttosto, era preoccupato per la faccia paonazza di Pepper e per i suoi occhi lucidi. Fece per parlare, ma lei lo precedette, riprendendosi in modo straordinariamente rapido dalla sorpresa di trovarlo lì, e dal modo in cui parlò capì che sarebbe stato un miracolo se avesse trovato Tony vivo:
«Non chiedere. Non chiedere nulla. Lasciami andare,»
disse forzata e con un evidente tremito nella voce, non sapeva dire se di rabbia o pianto.
«Virginia, sei sconvolta, non posso lasciarti andare via in queste condizioni e...» le aveva posto delicatamente le mani sulle braccia nel tentativo di calmarla, ma lei sussultò all'improvviso al solo contatto e Bruce s'interruppe.
Notò solo allora la chiazza rossastra sul braccio della donna, sul quale era ben intuibile il contorno di una mano.
Non chiese. Non chiese nulla. Ma si accigliò così tanto che i suoi occhi parvero scomparire e lasciare già spazio a quelli verdastri e torbidi di Hulk. Sentiva la sua delusione che si mischiava inesorabile alla rabbia, e seppe distintamente quanto ancora ci sarebbe voluto per farlo arrabbiare sul serio. La scostò con gentile fermezza e riprese ad avviarsi verso l'ingresso.
«Trovi la mia macchina all'ingresso. Aspettami lì, non ci metterò molto,»
aggiunse, girandosi appena.
Era quasi certo che, data la situazione, Pepper avrebbe potuto stabilirsi allo SHIELD, e qualcosa gli diceva che era meglio tenere sotto controllo anche lei, oltre a Tony. Pepper lo fissò incerta per un attimo, poi annuì. Poi la sua espressione s'indurì e assunse una piega cupa che stonava completamente con il suo modo di fare sempre cortese e pacato.
«Gridagli contro, picchialo, fagli male: non m'interessa come, ma fallo tornare in sé,»
disse con voce appena udibile, prima di voltargli le spalle e allontanarsi a passo svelto.


***


Fu accolto dal rumore del vetro che si infrangeva, seguito da uno schianto fragoroso che gli ferì le orecchie. Resistette all'impulso di correre: il suo autocontrollo era già sufficientemente messo alla prova così e gli sarebbe dispiaciuto ridurre Tony in poltiglia prima di averci perlomeno parlato. Superò l'atrio ed entrò nel salone, aspettandosi di trovarlo devastato. In realtà era in condizioni migliori di quanto si aspettasse – personalmente, aveva combinato di peggio. Certo, i frammenti del tavolino di vetro erano sparsi per tutta la stanza e i suoi miseri resti giacevano a gambe all'aria addossati al muro come una balena arenata, c'erano ben pochi soprammobili rimasti integri e il divano candido era macchiato da quello che doveva essere alcol, ma... sì, si aspettava di peggio. Almeno i muri erano ancora in piedi, per ora.
Si rese conto solo ora che mancava qualcosa, o meglio qualcuno: l'autore di quel disastro.
Dov'era finito Tony?
Bruce avanzò cautamente fino al centro del salone, chiedendosi dove potesse essere sparito in così poco tempo, considerando le sue scarse capacità motorie al momento. Fortunatamente gli risparmiò la fatica di farsi cercare, perché la sua voce risuonò proprio dietro di lui. Non riuscì ad afferare subito le parole, per quanto erano roche e impastate dall'alcol e dalla rabbia. Si girò sforzandosi di rimanere calmo, per il proprio bene e, soprattutto, per quello dlel'amico.
Tony era addossato al muro, il viso spalmato sulla superficie liscia che sembrava dargli un qualche tipo di sollievo, a giudicare dalla sua espressione sofferente. Indossava ancora la sua appariscente camicia bordeaux, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e
la cravatta dorata che pendeva mezza sciolta dal colletto. Le protesi erano ben visibili, e fu allora che comprese che quella sofferenza era provocata da quella alla gamba, visto come si arpionava il moncherino con la sinistra: riusciva a malapena a stare in piedi e non riuscì a immaginare quanto male dovesse fargli e quanto dovesse essere fuori di sé per non essersene accorto mentre metteva a soqquadro la casa. Il suo occhio era appannato, non sapeva dire se per la sbronza o il dolore, ma la sua iride appariva più scura del solito, quasi minacciosa. La benda sullo sfregio si era quasi scollata, lasciando intravedere la ferita sottostante ancora fresca.
Tony dovette capire di aver parlato in modo incomprensibile, perché si schiarì la gola, deglutì con evidente sforzo e ripeté cercando di articolare meglio le parole:
«Ti manda Pepper?»
La rabbia di Bruce si attenuò un poco. Non capiva se la domanda di Tony fosse piena di speranza o di angoscia, ma provò comunque una sorta di compassione nel sentirlo parlare a quel modo. Non riusciva più a scorgere, sotto quegli strati di rabbia e rassegnazione, l'amico, forse l'unico, che aveva. Era rimasto in silenzio per più di quanto volesse e il miliardario sembrava non rendersene del tutto conto, ma continuava a guardarlo con espressione un po' vitrea, in attesa di una risposta.
Bruce si avvicinò di un passo.
«Mi manda lo SHIELD,» disse cautamente, osservando il suo volto con preoccupazione.
La sua unica reazione degna di nota fu alzare le sopracciglia con fare derisiorio.
«Hanno deciso di togliermi di mezzo, finalmente? Era ora...»
accennò una risata stentata che si spense subito nel silenzio dell'atrio.
Prima che Bruce potesse controbattere, riprese a parlare con più foga, trovando la forza di staccarsi dal muro e tenersi in equilibrio precario sulle sue gambe malconce, con una mano ancora piantata contro la parete a fargli da sostegno.
«Mi stupisce che abbiano mandato te. Devono proprio volermi morto, lassù.»
Aveva parlato in tono leggero, ma la sua voce era rotta e tremante, come se avesse il petto pieno di qualcosa che gli impedisse di respirare. Era impotenza, e frustrazione, e dolore, e rimpianto, e rancore, il tutto pressato e trasformatosi in collera, racchiusa nel suo corpo che sembrava diventato troppo piccolo e fragile per contenerla. A Bruce bastò un'occhiata ai brividi che lo scuotevano per capire che era sul punto di esplodere. E lo capiva fin troppo bene.
Si sentì terribilmente meschino quando pronunciò le parole che sapeva avrebbero acceso la sua miccia:
«Sei arrabbiato?»
La domanda sembrò rimanere sospesa nell'aria, quasi come una minaccia.
Tony si ripiegò su se stesso e ondeggiò, improvvisamente instabile. Chinò la testa e le sue spalle si alzarono e si abbassarono in un sospiro profondo, per poi precipitare in un rantolo affannato. Rialzò di scatto la testa, l'occhio lucido e il volto deformato dal dolore. Tutto quello che vide Bruce fu un uomo sul punto di cadere in pezzi.
«Sono
disperatamente arrabbiato!» gridò Tony con voce roca, indietreggiando per poggiarsi con la schiena al muro, come sbalzato via dalla sua stessa ira.
Si prese la testa tra le mani e si accasciò per terra, svuotato di ogni energia. Bruce incrociò le braccia con fare noncurante e un cipiglio torvo riapparve sul suo volto nel ripensare a Pepper.
«Bene. Perché io lo sono di più,» annunciò, dirigendosi ad ampie falcate verso di lui, con una sfumatura verdognola che iniziava a delinearsi sulla sua pelle.
Si costrinse a tenere a bada la bestia: doveva prima far recuperare a Tony un briciolo di lucidità con le buone. Fargli raggiungere il bagno gli sembrava un buon inizio, alla ramanzina avrebbe pensato in seguito.
Tony vanificò i suoi propositi pacifici: spinto da chissà quale impeto, forse sentendosi minacciato dal suo incedere minaccioso, si risollevò di scatto e si scagliò contro di lui, cogliendolo del tutto alla sprovvista. Gli assestò un pugno con la protesi che lui parò d'istinto, sbarrando gli occhi nel percepire la forza imprevista del colpo. Qualcosa scattò in lui, troppo rapidamente perché riuscisse a controllarla, non in uno stato già così alterato.
I suoi vestiti si tesero all'istante sopra la sua pelle che andava via via inspessendosi, sempre più verde, per poi strapparsi con un rumore secco di stoffa lacerata. Le sue scarpe cedettero sotto alla pressione dei piedi diventati enormi e il pavimento cominciò a sgretolarsi con secchi scricchiolii, formando dei bassi crateri. Il soffitto, per quanto fosse particolarmente alto, si trovò fin troppo vicino alla sua testa e sarebbe bastato un salto o anche solo alzare un braccio per toccarlo e mandarlo in pezzi. Un ruggito profondo scosse le mura della villa, riverberando nell'aria ferma.
Dietro gli occhi neri di Hulk si poteva appena scorgere la coscienza rimasta lucida e razionale del dottor Banner, per ora sopraffatta e messa da parte dalla rabbia incontrollabile che Tony aveva appena fatto esplodere.
Intanto l'"artificiere", aveva ritratto il braccio ma era rimasto immobile, spalle al muro, probabilmente in attesa che l'amico verdastro lo scagliasse fuori dalla finestra frantumando ciò che era rimasto di lui.


***


Tony si scoprì indifferente alla minaccia verde e potenzialmente mortale che gli si era appena scatenata davanti. Non provava paura: si sentiva naufrago in un mare di apatia e non scorgeva nulla di salvifico all'orizzonte; anzi sperava che non accadesse più nulla. Aveva un disperato bisogno di mettere un punto fermo a quella giornata, e far infuriare Hulk gli era sembrato un ottimo modo per ottenere ciò che voleva.
Soltanto quando Hulk lo afferrò nella sua mano gigantesca spremendogli l'aria dai polmoni e la morsa ferrea intorno a lui iniziò a stringere quasi oltre il limite di sopportazione delle sue costole cominciò ad avvertire il terrore. Il dolore non lo aveva mai torturato a tal punto, non quanto stava facendo Hulk in quel momento, probabilmente in modo involontario e anche trattenuto; avvertì la protesi del braccio che si deformava sotto la stretta impossibile da allentare.
Quando i polmoni furono sul punto di collassare, il verde scuro della mano decisa a sbriciolarlo sembrò schiarirsi, come obbedendo a un comando imperioso. Hulk lo lasciò andare e Tony cadde a terra schiacciato dal suo stesso peso, insostenibile per la giuntura della protesi che gli inviava continue e strazianti stilettate lungo l'arto inferiore. L'aria ritornò nei suoi polmoni troppo bruscamente, presentandosi come una maledizione nonostante il desiderio di respirare.
Hulk indietreggiò, sempre meno verde e sempre più Bruce. La statura diminuiva, i muscoli tesi si rilassavano... ma l'apatia di Tony cedette il posto a una furia cieca nel vedere la protesi di nuovo danneggiata.
Si rialzò carponi, nonostante tutto il suo corpo dolorante lo implorasse di rimanere a terra, e tentò di assestargli uno spintone con il braccio artificiale, ma tutto ciò che ottenne fu di farlo imbestialire del tutto. E stavolta era Hulk ad essere arrabbiato, non Bruce.
In un lampo e non sapendo come, Tony si ritrovò a impattare contro il muro. Il dolore al volto arrivò dopo, attraverso il velo di stordimento e il fischio acuto che gli esplose in testa e gli fece passare qualsiasi voglia di rialzarsi.
Colse un lampo azzurrino nella sua visuale.
"No, no, no, non di nuovo..." si premette il palmo sano contro l'occhio, cercando di scacciare quei flash terrorizzanti.
Focalizzò con fatica Bruce che cercava di riprendere il controllo di se stesso, dimenandosi per la stanza e distruggendo tutto ciò che capitava a tiro. L'intera spalla gli doleva tremendamente per aver sferrato quel pugno, ma era troppo impegnato ad arretrare di fronte alla furia di  Hulk per realizzarlo, venendo finalmente investito da una sana, razionale paura. Strisciò dietro... cosa? Il muro del salone era appena crollato. Tony venne investito dai calcinacci e per una volta fu contento di avere un braccio di ferro a fargli da riparo. Tossì nella nuvola di detriti sottili che si era sollevata e rimase immobile, in posizione fetale, chiedendosi come facesse ad essere ancora vivo e se ciò fosse davvero un bene. 
Dopo un tempo che non seppe definire, intervallato dai ruggiti di Hulk, un piede si abbatté a tre centimetri dal suo naso. Aspettò di sentirsi spalmare sul pavimento, terminando così la sua inutile esistenza, ma quando ciò non accadde si arrischiò a sollevare appena il capo. Si ritrovò ad essere scrutato da un paio d'occhi scuri e preoccupati.
«Bruce?» articolò, realizzando con sollievo che la pelle dell'amico era di nuovo del suo colore naturale.
«Ehi, sei vivo?» la voce dell'altro era ancora sforzata, ma decisamente più calma di prima.
Tony realizzò con sollievo di essere fuori pericolo, per poi provare una punta di disturbante rammarico al pensiero.
«Più o meno. Non grazie a te,» commentò, sputando sangue per una ferita all'interno dlela guancia.
«Non grazie a
te, vorrai dire,» ribatté Bruce. «Che diavolo ti è venuto in mente? È un miracolo che non abbia perso il controllo...» aggiunse, incredulo.
«Ah, quello non era "perdere il controllo"?» biascicò Tony.
«Hai attaccato Hulk! Cosa ti aspettavi che succedesse?»
«Ho agito d'istinto. E l'alcol...» Tony tentò di nuovo di rimettersi in piedi.
«Stai fermo,» lo tenne a bada l'altro, trattenendolo a terra con una mano sulla schiena. «Senti, dove trovo dei vestiti?» aggiunse, con lieve imbarazzo.
«Uh...» mugugnò lui, notando in quel momento che Bruce era rimasto con solo i resti dei suoi pantaloni stracciati addosso. «Prova in camera mia. Là,» rantolò, additando una porta che si affacciava sul salone, e Bruce si defilò.
Tony rimase ad ondeggiare da fermo con la fronte contro il pavimento, a tempo con le valanghe di nausea che lo scuotevano. Si passò una mano sul volto nel tentativo di ripulirsi dallo strato di calce, polvere e... era altro sangue, quello? Si tastò lo zigomo, ricevendo un'altra scossa di dolore e ritraendo le dita macchiate di rosso. Si tamponò lo spacco col colletto della camicia, rassegnato.
Bruce si ripresentò poco dopo in un paio di pantaloni grigi di una tuta e con una vecchia maglietta dei Rolling Stones che gli andava decisamente stretta.
«Trattala bene,» tossicchiò Tony, in un disperato tentativo di mostrarsi spigliato.
Si sentiva a un passo dallo svenire, e Bruce si passò il suo braccio buono sulle spalle e lo sollevò di peso.
«Ti ho mai detto quanto mi faccia incazzare vedere gente incazzata?»
«Penso di essermene reso conto da solo, grazie per la simpatica dimostrazione,» disse Tony, con la bocca impastata dall'alcol, che per i suoi gusti si stava muovendo un po' troppo nel suo stomaco... già, un po'
troppo.
Bruce dovette rendersi conto che per gli altri non era normale assumere una sfumatura verdognola, così lo lasciò andare di colpo poco prima che il pavimento venisse inondato, trattenendolo per il colletto per evitargli l'impatto.
«Credo di dover vomitare anche l'anima...» riuscì ad articolare Tony, scansandosi di lato con un barlume di lucidità.
«Vedo. Non ha un bel colore.»
Bruce riuscì a trascinarlo in bagno alla bell'e meglio per farlo svuotare del tutto e gli rimase accanto a sostenerlo. Ecco, adesso poteva dire di aver provato l'ebbrezza di reggere la testa a qualcuno che vomitava.
«Uccidimi,» bofonchiò confusamente Tony, tra un conato e l'altro.
«Chiedi all'altro,» rispose assente Bruce, impegnato piuttosto a sorreggerlo, non guardare e cercare al contempo di toccarlo il meno possibile.
Sarebbe stato più incline a farlo se avesse avuto la peste...
«Uccidimi! Non è per questo che ti ha mandato qui Fury?» quasi urlò, non risultando per niente convincente col water che gli faceva da megafono.
«No, in realtà, io...»
«No, non me ne frega un caz–...» lo stomaco non contenne la sua furia. «Oddio, basta!» implorò, tossendo.
Bruce fu tentato di lasciargli andare la testa e farlo soffocare, ma poi gli avrebbe fatto un favore. Pensò di chiedergli se aveva finito, ma l'ennesima ondata di alcol gli rispose di no.
«Che hai intenzione di fare? Quando avrai finito, intendo.»
«Non mi sembra di chiedere così tanto,» balbettò invece lui.
Bruce ci mise un po' a ricollegare quelle parole alla sua richiesta di poco prima, rimanendone agghiacciato.
«Dai così poco valore alla tua vita?»
«
Quale vita?» disse lui, tirando fuori la faccia dal water e rivolgendogli un'occhiata stralunata.
«Sei sempre
tu a ridurti così. Da solo. Ci hai mai fatto caso?»
Bruce alzò un sopracciglio quando l'unica risposta fu Tony che rituffava la testa nella tazza, stavolta in un conato di bile. Alzò anche l'altro sopracciglio: riteneva un po' assurdo parlare di vita, morte e miracoli con il suo interlocutore appassionatamente abbracciato alla tazza del cesso. Tutto ciò era paradossale.
«È meglio dell'alternativa,» riuscì ad articolare Tony, affannato.
«Allora, se sei così incline a morire,» replicò Bruce, stringendo la presa sulla sua fronte e sulla sua spalla sana, «perché hai quel reattore arc in mezzo al petto? Perché ti sei costruito quelle protesi? Se davvero avessi voluto morire, avresti potuto farlo tempo fa.»
«"Tempo fa", tutto questo non sembrava così difficile,» sibilò lui tra i denti.
«La vita non è facile, Tony. Pensavamo l'avessi capito, ormai.»
«Ed io pensavo che la parte "difficile" della mia vita fosse già passata.
Due volte. Un tris non era contemplato.»
Bruce avrebbe potuto replicare in mille modi, ma avrebbe avuto altre occasioni per rigirare il coltello nella piaga e non aveva alcuna voglia di parlare di rapimenti e incidenti d'auto. Sarebbe stato troppo crudele anche in quella situazione. Tony trovò finalmente la forza di sfuggire alla sua presa e staccarsi dal water, apparentemente svuotato. Cercò a tentoni lo sciacquone e si trasse in piedi aggrappandosi al lavandino per darsi una ripulita, sperando che non cedesse sotto il suo peso, visto che le sue gambe si rifiutavano di camminare e le sua protesi non erano esattamente leggere, né utili. Sosteneva tutto il corpo con la gamba buona; l'altra, inerte, gli serviva solo da contrappeso.
«Fatto?» chiese cautamente Bruce.
«A meno che non voglia sputare anche gli organi interni, sì,» rispose Tony con voce ovattata mentre cacciava la testa sotto al rubinetto e si sciacquava a fondo la bocca.
Sollevò il viso grondante d'acqua, tamponandolo con un asciugamano e ravviandosi i capelli bagnati e scomposti, sentendosi già più lucido. La sua esperienza decennale di sbronze e doposbornie serviva a qualcosa, almeno.
Si tolse la benda di garza fradicia sperando che Bruce non fosse troppo impressionabile, e ne cercò a tentoni una pulita nell'armadietto. Lo sfregio – quanto odiava quella parola – era di un rosso più acceso e più gonfio del normale; il pugno di Bruce gli aveva spaccato solo superficialmente lo zigomo opposto, evitando fortunatamente la piaga.
Si asciugò meglio la pelle attorno ad essa, trattenendo piccole smorfie di fastidio, poi applicò la garza adesiva sopra alla palpebra chiusa, facendola aderire con cura. Si tamponò il sangue sulla scalfittura con l'asciugamano, mordendosi contrariato il labbro nell'osservarsi allo specchio. Era un po' che non lo faceva, e oltre a scoprire di essere dimagrito più di quel che avesse pensato, incontrò nel suo sguardo una luce spenta che non ricordava di aver mai visto, neanche al ritorno dall'Afghanistan. Serrò la mascella e diede un colpetto allo specchio con le nocche metalliche, abbastanza forte da romperlo senza causare troppi danni, se non un paio di piccole schegge che caddero nello scarico del lavandino. Il suo riflesso si sfaccettò, attraversato dalla ragnatela di crepe. Provò un senso di sollievo irrazionale nel non doversi più guardare in faccia e finì di asciugarsi il viso come se nulla fosse, percependo su di sé gli occhi attenti di Bruce. 
Nel vedere Tony che infrangeva lo specchio, questi ebbe una spiacevole sensazione di deja-vù: poteva immaginare fin troppo bene che cosa stesse pensando. Con fare rassegnato, lo sostenne aiutandolo a barcollare fino al water chiuso, dove lo lasciò cadere seduto, senza più un briciolo di forza in corpo. Non aveva l'aria di voler parlare, ma allo stesso tempo sembrava non poterne fare a meno.
«Tu come fai?» chiese infine, tormentandosi la mano meccanica.
«A fare cosa?» chiese Bruce, accigliandosi appena.
Si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia, preparandosi a un lungo e interminabile discorso che avrebbe messo duramente alla prova i suoi nervi già abbastanza logorati.
«La rabbia. Come la controlli?»
«Non mi sembra di farlo.»
Bruce fece una smorfia nervosa e adocchiò il salotto in rovina. «Ma sicuramente non la controllo così,» aggiunse, facendo un gesto eloquente verso di lui, lo specchio, la casa, in generale il caos che aveva provocato.
Tony sbuffò e voltò la testa dall'altra parte, riluttante ad ammettere i suoi sbagli. Strappò un pezzo di carta igienica, riprendendo a tamponarsi lo zigomo sanguinante.
«Pepper non sarà contenta quando...»
Lo sguardo perplesso di Bruce fu la risposta più eloquente che potesse ricevere. Si interruppe e annuì appena, con un sorriso amaro a solcargli le labbra.
«Giusto. Non tornerà,» mormorò, passandosi una mano tra i capelli fradici come a farsi entrare bene in testa quel fatto.
«Puoi davvero darle torto?» gli chiese Bruce, duramente, e Tony concluse che avrebbe preferito perire per mano di Hulk piuttosto che pensare a quello che le aveva fatto.
Si limitò a scuotere piano la testa, comprimendo le labbra. Avrebbe finito per rompere tutto ciò che lo circondava, e in un certo senso era sollevato nel pensarla lontano da lì, e da lui. Forse sarebbe tornata, ma con gli occhi spenti, il volto gelido e parole colme di delusione, il che equivaleva a non riaverla affatto. Aveva bisogno di lei, ed era uno conclusione a cui era lentamente arrivato nel corso di quegli anni; ma se prima non era mai stato del tutto sicuro di meritarsi la sua presenza, adesso ne aveva la certezza.
Bruce si fissava la punta dei piedi scalzi con fare concentrato, come a decidere se fosse meglio urlargli contro o lasciarlo lì a rimuginare con se stesso. Infine sembrò optare per una via di mezzo, perché alzò di scatto la testa e lo guardò dritto negli occhi, con l'espressione più seria che Tony gli avesse mai visto.
«Cosa hai intenzione di fare?» gli chiese ancora.
Tony fece per parlare, poi scosse la testa e si lasciò andare a una risatina rassegnata e spenta.
«Ma che razza di domanda è? Cosa vorrei fare, secondo te?» sbottò poi, quasi con irritazione.
Bruce non si turbò più di tanto, ma la risposta che lasciò le sue labbra fu tagliente:
«Posso immaginarlo, ma ricordati che per te non ci sarebbe nessuno a sputare il proiettile. E comunque è bello vedere come ricambi gli sforzi degli altri per mantenerti in vita.»
A quel punto Tony si voltò bruscamente, alzando la voce:
«Ma mi hai visto? Non riesco a muovermi senza stare attaccato a qualcuno o a una stampella, vedo poco e male, quando prendo qualcosa devo sperare di non romperla...» a quel punto l'unica cosa a rompersi fu la sua voce, e il suo pugno metallico si strinse nel vuoto, come tentando di afferrare qualcosa di troppo lontano. «O qualcuno...» sussurrò poi, appena udibile, più a se stesso che a Bruce.
Questi stava giusto per dire qualcosa, ma Tony parlò per primo, con parole intrise di rabbia e frustrazione:
«Sono rimasto solo con un...
prototipo di me stesso, sono circondato da macchine in cui non posso fare a meno di riflettermi. Ogni giorno, ogni cazzo di giorno della mia vita mi costringo a trascinarmi avanti anche se in realtà non voglio. A che serve, se non potrò più fare ciò che vorrei fare?! Iron Man è distrutto, non tornerà mai! E sono stato un idiota anche solo a pensare di poterlo fare!» fece una pausa, riprendendo fiato, la voce spezzata. «Sarei dovuto morire un anno fa in quella grotta,» mormorò infine, le parole appena comprensibili.
Fu allora che Bruce s'intromise, con forzata calma.
«È vero. Guarda cos'hai combinato: hai
cacciato chi ti ama, hai voluto distruggere Iron Man, ti comporti da ingrato con chi si sacrifica per te, hai affossato la tua immagine pubblica e tutto questo per cosa? Per dimostrare a Pepper, a me, al mondo intero o a chiunque altro che Tony Stark non è cambiato? È cambiato tutto, la tua vita è sconvolta e tu continui a fare finta di nulla e a comportarti come prima. Quando ti deciderai a cambiare anche tu?»
«Non vedo perché dovrei farlo,» s'impuntò Tony. 
«L'hai già fatto e sei diventato Iron Man, mi pare,» osservò Bruce, sollevando appena le sopracciglia.
«Sì, ma non mi sembra che il mondo sia mai cambiato per me. Io ho provato a
cambiarlo, il mondo, ma mi ha fatto lo sgambetto e poi mi ha sputato in faccia,» concluse aspramente.
«Il mondo non cambia a comando, Tony!» sbottò Bruce, esasperato. «Non l'ha fatto neanche per me e io al contrario di te non posso cambiare chi sono!» alzò la voce per poi bloccarsi, facendo un respiro profondo per riprendere la calma. «Eppure non mi sembra di pensare solo a me stesso come fai tu,» riprese, di nuovo controllato.
«Io non...» provò a dire Tony, ma le parole gli morirono in gola e furono soverchiate da quelle di Bruce:
«È questo il tuo problema: "io". Se qualche volta pensassi anche agli
altri, forse ti renderesti conto che non sei solo! Prendi me: io voglio rimanere calmo e concentro tutte le mie forze per farlo, e non ho una macchina che mi aiuti, né qualcuno che mi stia accanto. Sai quanta rabbia mi fa, vedere come tu abbia ogni mezzo immaginabile per tirarti su e come ti manchi il coraggio per usarlo?»
«Ho tutto e niente... questa storia l'ho già sentita,» borbottò Tony con un sospiro esasperato, ignorando volutamente il resto.
«Non è questo il punto...»
«Hai ragione! Il punto è che la mia vita è andata a puttane, di nuovo, e io non sono riuscito a fare nulla per impedirlo! Tu pensi che mi scoraggi troppo facilmente, ma la verità è che sono stato
troppo coraggioso e ambizioso. Ho voluto cambiare il mondo, ho voluto rimediare ai miei errori e cercare di fare qualcosa di giusto, e adesso mi ritrovo in questa situazione di merda!» disse d'un fiato, con veemenza. «Dici che sono egoista... bene, se solo lo fossi stato un po' di più, sarei potuto comodamente crepare con una pallottola in testa, invece di farlo un passo alla volta come ora, e forse sarebbe stato meglio!» gridò con tutto il fiato che gli era rimasto.
«Hai davvero ripensamenti del genere? Ti stai
davvero pentendo di aver salvato delle vite?» 
Bruce adesso sembrava più turbato di quanto desse a vedere, e Tony era convinto che solo un'altra parola sbagliata avrebbe potuto farlo esplodere. Così non rispose, fissando ostinato il pavimento, non sapendo in verità come replicare a quell'accusa.
«A volte penso a cosa direbbe mio padre se potesse vedermi in questo stato,» disse invece, fin troppo calmo. «E me lo immagino mentre mi accusa come al solito di averlo deluso, di aver tradito le sue aspettative, di non essere mai all'altezza della situazione. Di essere irrecuperabile.» Sospirò piano, guardandosi le mani ancora strette tra loro. «Come si fa a non deludere le persone? Ad essere sempre all'altezza?» guardò Bruce come in cerca di una risposta, poi continuò, a voce più bassa: «Forse il vero problema è che mi basta essere all'altezza di me stesso... ed è sempre troppo poco. Mi sono addirittura creato Iron Man per rimediare. Non è ridicolo?» concluse con scherno.
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di
buono. Non solo per te stesso, ma anche per gli altri. Qualcosa in cui credi,» ribatté Bruce, senza scomporsi, con voce salda.
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
Bruce sembrò improvvisamente farsi più comprensivo e il suo sguardo quasi si addolcì quando parlò in tono più pacato:
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony.»
Lui lo fissò assorto, colpito da quell'affermazione così inaspettata.
«Davvero non puoi farlo ancora?» si limitò a chiedergli.
Attese una risposta che non arrivò, chiusa nei pensieri di Tony.


***


3 Aprile, 19:20, Villa Stark

Avrebbe avuto bisogno di un bagno, ma il solo pensiero di dover entrare e uscire dalla vasca con le protesi che gli inviavano fitte lancinanti lo fece desistere.
Dopo. Dopo un'aspirina. Dopo una dormita. Dopo aver buttato nello scarico tutto l'alcol che aveva in casa. Dopo. Adesso aveva tutto il tempo del mondo.
Bruce aveva avuto la premura di portargli le stampelle prima di andar via, così riuscì a sollevarsi con un po' più di stabilità, piuttosto che avanzare a balzelloni e aggrapparsi al portasciugamani, al lavandino e a ciò che trovava in giro. Il suo unico pensiero in quel momento era il letto. O meglio, il divano, che era decisamente più vicino e proponibile nelle sue condizioni. Una bella dormita, poi avrebbe ingollato tre litri d'acqua e smaltito la sbornia, si sarebbe dato una ripulita e dopo... il dopo non rientrava ancora nei suoi programmi. Revisionare le protesi. Sì, era un buon "dopo": cervello impegnato e mani impegnate, uguale a "niente pensieri e niente danni". Dopo, magari, sarebbe tornata. Non era sicuro che quel "dopo" fosse esprimibile in misure di tempo conosciute, ma era una bella prospettiva, per quanto intrinsecamente terribile.
Stava delirando. Avrebbe fatto meglio a cadere addormentato il prima possibile per evitare altre, inutili elucubrazioni mentali. Mandò giù i suoi antidolorifici come fossero ambrosia, pregando che facessero rapidamente effetto, poi zoppicò a fatica fino all'atrio e al salone distrutti. Hulk aveva
davvero abbattuto il muro. Almeno non aveva avuto un'allucinazione. In compenso il pavimento ondeggiava un po' troppo per i suoi gusti e il divano sembrava fin troppo distante: a separarli c'era un mare di detriti, vetri e resti di mobili fracassati.
Iniziò la traversata, ma era arrivato ad appena un paio di metri dallo schienale che la protesi della gamba cedette con uno scricchiolio agonizzante, e si ritrovò bocconi per terra prima di poter realizzare come. Batté la testa, come se non gli facesse già abbastanza male. Ogni tentativo per rialzarsi, o anche solo muoversi, fu inutile. Rimase accasciato lì, inerme, indeciso se addormentarsi o chiedere a JARVIS di chiamare qualcuno. Giusto... aveva disattivato JARVIS poco prima di darsi alla pazza gioia in un mare d'alcol. E Bruce aveva staccato la corrente per evitare ulteriori danni.
Non ebbe neanche la forza di sospirare: riuscì solo a chiudere l'occhio e a lasciarsi precipitare in un sonno buio e profondo.




___________________________________________________________________________________________________________________________________

Revisione effettuata il 04/03/2018

Note delle Autrici:

Da qualche parte nel mondo... Kyle innaffiò lo schermo della tv con dell’ottimo tè."
Povero Kyle. è rimasto sconvolto, da... tutto. (Se non l'avete capito ORA, avete perso ogni speranza di comprensione. Scherziamo, sveleremo tutto... prima o poi :D) 

A parte tutto! Carissime... Siamo vive! *Light e Moon sventolano bandiere e lanciano coriandoli* Usciamo dal mare di apatia, come Tony con questa roba, altrettanto indigeribile (attenti allo stomaco. Le autrici consigliano l'uso di buscopan) e sì, ci assentiamo per mesi e torniamo con i mattoni. Ma non saremo doRci? Amateci, ci metterete un mese a digerire questa cosa e nel frattempo speriamo di aver già aggiornato. SPERIAMO.
Che dire... questo capitolo. È stato anch'esso un parto plurigemellare con complicazioni. Le amabili scene in cui Tony dà il megli odi sé derivano da questo -ribadiamo fantastico- video: http://www.youtube.com/watch?v=FSFjFGUZGIg
<3
 
Ringraziamo chiunque è sopravvissuto fino ad ora: chi ha aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi ha letto, recensito, soprattutto lo scorso capitolo; Alley, MissysP, Aston, Sherlock_Watson, The_best_who_sing e Rogue92! :D Grazie mille a tutti <3
See ya,


Moon&Light

P.S. Prego notare come l'aura benefica dei Foo Fighters si irradi da questo capitolo! *MoonRay dà una padellata i ntesta a Light* M: Ebbasta! L: Foo... ç^ç


Edit 04/03/2018: si è resa necessaria una modifica dello scontro con Hulk... o meglio una giustificazione al suo scoppio d'ira; per questo adesso Tony si comporta ben due volte da idiota pensando di poter anche solo scalfirlo con un pugno. Per capirci, la prima volta Bruce "sbrocca" di riflesso ma è ancora in grado di controllarsi; la seconda il suo autocontrollo è bello che andato, di qui il cazzottone devastante e potenziamente mortale a Tony.
A conti fatti, Bruce non avrebbe mai usato volontariamente il suo "lato verde" per far rinsavire un amico e ci voleva un primo "casus belli". [-Light-]

 



© Marvel
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: ___MoonLight