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Your bridges are burning down
"You
used to say I
couldn't save you enough,
So I've been saving it up, I started
saving it up.
And when you said I couldn't give you enough,
I
started giving you up, I started giving you up."
[Arlandria
– Foo Fighters]
3 Aprile, 18:30, Villa Stark
Non
ricordava l'ultima volta che era salito sulle montagne russe,
ma il
suo stomaco pareva ricordarlo invece piuttosto bene e aveva deciso
di rinfrescargli la memoria in quel preciso momento. Momento in cui
il giornalista davanti a lui stava cautamente domandando quali
fossero gli effetti collaterali delle protesi. Giornalista dalla
giacca orribile, tra le altre cose, dal verde smorto.
"Sembra
color palude, color vom–..."
Tony si tappò la bocca e
sussultò in un conato, riuscendo a malapena a trattenerlo.
Il
giornalista si ritrasse di scatto, togliendosi dalla sua traiettoria
e rinunciando ad avere risposta. Un'altra giornalista, più
temeraria, si fece avanti, scrutando preoccupata una bottiglia vuota
di birra che ondeggiava ai suoi piedi prima di porre l'ennesima,
infida domanda. Tony sollevò appena lo sguardo dal piano del
tavolo, che aveva continuato a fissare come in trance, sfiorandone la
superficie lucida con un dito.
Quello che vide non risollevò il
suo umore.
Biondo. Capelli biondi.
Christine.
Preferiva
il verde vomito.
«Tony,» esordì,
con voce
dolce quanto una vipera pronta a morderlo, «confermeresti una
voce
che gira da molto tempo nel... nostro ambiente?»
L'uomo la
trapassò con l'unico occhio annebbiato dall'alcol, ma ancora
abbastanza
lucido da riconoscere una domanda a trabocchetto e da aver presente
di chi era la colpa, o almeno parte di essa, se lui aveva dato fondo
alla riserva d'alcol.
«Dipende,» rispose
secco, improvvisamente più saldo sulle gambe e nei pensieri
al
ricordo del loro ultimo "incontro".
Si costrinse a
rimanere guardingo. Avrebbe potuto rovinarla con poche, semplici
parole, ma era un'arma a doppio taglio. Non aveva alcuna voglia di
sputtanare in diretta la sua vita sessuale complicata da moncherini e
protesi. Si chiese remotamente se non lo stesse mettendo alla
prova, nella speranza che si facesse scappare qualcosa in preda
all'ebbrezza, così da poter spiattellare la sua performance
scadente
sulla copertina di Vanity
Fair.
Si chiese anche, con orrore, se per caso non avesse scattato altre
foto a sua insaputa, potenzialmente più compromettenti di
una cucina distrutta. Si costrinse a concentrarsi sull'attuale
domanda della donna, già abbastanza difficile da comprendere
senza
aggiungerci le sue elucubrazioni.
«È vero che il suo avvocato,
Kyle Andrews, nonostante le sue condizioni,»
puntualizzò perfida, «intrattiene rapporti intimi
con la sua
amministratrice delegata, Virginia Potts?»
Tony fissò il vuoto.
Scosse appena la testa, poi comprese quello che aveva appena sentito
e si sollevò di scatto.
«Cosa? K?! Allora mi ha
mentito!»
Christine fece un balzo indietro, ma era segretamente
compiaciuta e insistette:
«Allora è vero? Andrews e
Potts?»
Nella mente di Tony veleggiò un pensiero coerente:
"Io
indagherei piuttosto su Knight..."
«Non è vero. Ma se è
vero lo ammazzo,» biascicò, bevendo un sorso di
liquore e
scombinando le poche sinapsi che ancora non erano affogate
nell'alcol.
Il debole freno inibitore che gli aveva impedito di
proferire troppe idiozie cedette:
«E visto che siamo in tema, spero
che Knight l'abbia pagata bene per il suo servizio, "Miss
Brown",» le sibilò,
badando bene a tenersi fuori dalla portata degli altri
microfoni.
L'occhiata sprezzante e allo stesso tempo compiaciuta
di Christine fu una risposta sufficiente e Tony si ritrovò a
contrarre il pugno, prima che lei si defilasse prudentemente.
«Signor
Stark, potrebbe rispondere a qualche...» una scarica di flash
lo
accecò.
Ne aveva abbastanza. Si alzò incerto, facendo leva
sul tavolo per non poggiarsi sulla protesi inferiore già
dolorante e
gesticolò imperioso con la mano, come a volerli spazzar via.
Il
tutto risultò in un ondeggiare piuttosto debole e instabile.
Troppo
instabile. Si sbilanciò in avanti e sbatté sul
tavolo con le
gambe; ritrovò
l'equilibrio scattando indietro, ma atterrò poco
decorosamente...
"... culo a terra. Grandioso. Sono rovinato.
Lo ero anche prima. Pepper mi ucciderà lo stesso. Ma prima
spero
risolverà questo casino..." pensò sconclusionato.
E Pepper
apparve davvero, non seppe se per grazia o per punizione divina.
Ora
poteva svenire in pace.
***
Fu
svegliato dalle penetranti esplosioni che rimbombavano nel
pavimento.
Socchiuse gli occhi e si rese conto che il mondo aveva
un'angolazione innaturale. Da quando i tavoli crescevano sulle
pareti?
Scacciò la nebbiolina che aleggiava nella sua visuale con
un battito di palpebre; fu allora che percepì la sua guancia
contro
la superficie gelata del pavimento e sospirò sollevato.
Almeno il
campo gravitazionale funzionava ancora. Lo stesso non si poteva
dire delle sue gambe, ridotte a una massa gelatinosa abbandonata dietro
di lui.
Tentò di rialzarsi, o anche solo di muoversi... di
strisciare, ma il
peso della protesi posteriore sembrava inamovibile.
Rialzò la
testa, facendo sì che il salotto turbinasse attorno a lui
come un
ciclone attorno al suo occhio: pessima mossa.
Almeno ora era in
grado di associare le "esplosioni" di poco prima ai tacchi
di Pepper che viaggiavano avanti e indietro per la stanza a pochi metri
dal suo naso. Quando provò a chiamarla l'unico suono
che riuscì a produrre la sua lingua intorpidita fu un
mugugno
inarticolato, che però ebbe il potere di spostare gli occhi
gelidi
della donna su di lui. Non lo degnò di una parola e
passò
oltre.
Tony intravide qualcosa stretto tra le sue braccia, che
identificò vagamente come dei vestiti. Si sollevò
sui gomiti,
acquistando qualche metro di visuale. Una valigia e una borsa da
viaggio erano poggiate sul divano, la prima chiusa e apparentemente
piena, l'altra ancora semivuota e aperta. Ci mise un po' a mettere
in linea i pensieri e a connetterli alla bocca:
«Chi si
trasferisce da noi?» articolò a fatica, mettendosi
carponi con la
protesi distesa, concludendo che quello era il massimo grado evolutivo
che poteva raggiungere in quel momento senza mettersi a
urlare per la piaga che gli infiammava la gamba destra.
Non
ricevette alcuna risposta.
In uno sprazzo di energia improvvisa
tentò di rialzarsi in piedi, troppo velocemente per la sua
testa
annacquata. Ma dov'erano le sue maledette stampelle? Non
riuscendo a individuarle nel raggio di dieci metri, fu costretto ad
appoggiarsi al muro, facendovi leva per riportarsi in posizione
più o meno eretta, con la testa che vorticava inarrestabile.
La luce era
abbastanza tenue, ma bastava ad accecare la sua retina ancora
funzionante ma resa fotosensibile dall'alcol, e ad inviargli le fitte
di
una nascente emicrania. Si portò la mano alla fronte, come
se
così potesse impedire alla sua testa di continuare a cadere.
Non
ottenendo risultati concreti la prese tra entrambe le mani,
cercando almeno
di farla smettere di girare e accasciandosi completamente contro il
muro. Cercò di non pesare sulla protesi, ma quella
continuava a dolergli al minimo movimento.
Pepper gli passò di nuovo davanti, stipò
nella borsa una bracciata di vestiti con un gesto stizzito, senza
perdere un briciolo della sua solita compostezza, e chiuse di scatto
la zip.
«Pepper? Dove vai?» la richiamò, un po'
troppo
bruscamente.
La donna si girò appena verso di lui.
«Ho
bisogno di un po' d'aria pulita,»
dichiarò rigidamente,
scandendo bene le parole, e
lui non comprese se per farsi capire da qualcuno nelle sue
"condizioni" o semplicemente per non gridargli in
faccia.
Un'inspiegabile ondata di rabbia lo scaldò dalla testa ai
piedi, scacciando momentaneamente il senso di
stordimento.
«Prego?»
Pepper si mise in spalla la borsa senza
fornire ulteriori spiegazioni e trasferì i bagagli accanto
alla
porta. Tony fece lo stesso, rasentando i muri col palmo sano per non
cadere.
«Non
mi ignorare,» aggiunse in tono irritato e più alto
del
necessario.
«Lei lo ha fatto per fin troppo tempo,»
replicò
freddamente lei.
«Non ignorarmi, ho detto,»
ripeté Tony a voce più alta, dando un lieve colpo
al muro
senza neanche
rendersene conto.
Pepper sussultò nel sentire lo schianto di un
quadro che cadeva a terra e andava in mille pezzi. La protesi di Tony
aveva sbriciolato l'intonaco, che si sgretolava lentamente ai suoi
piedi in un picchiettio sommesso. L'uomo sembrò rendersi
conto di
quel che aveva fatto e si allontanò appena dal muro,
scrollandosi la
polvere dalla mano metallica e fissando allibito le schegge di vetro
che costellavano il pavimento tra loro.
La donna prese
definitivamente i bagagli e aprì la porta, dopo aver
lanciato uno
disgustato a lui e a tutto ciò che lo circondava. Tony si
sentì
improvvisamente accaldato, non sapeva se per la vergogna o per la
rabbia.
«Me ne vado. Non mi aspetti per un po',»
dichiarò lei
risoluta, facendo per mettersi la giacca.
Anche Tony fu risoluto,
forse troppo: ancora un po' ondeggiante, cercò di
trattenerla per il
braccio, usando istintivamente la destra; riuscì ad
afferrarla, ma
lasciò subito la presa sentendola sussultare e trattenere
bruscamente il fiato. Dove si era posata la sua mano, poco sopra
il gomito, il calco esatto della sua mano era impresso sulla sua
pelle lattea in un rosso acceso. Lui la fissò attonito,
ritraendosi come se si fosse scottato, in cerca di parole che non
esistevano. Fissò il proprio palmo metallico, poi di nuovo
la pelle arrossata di Pepper senza riuscire a connettere le due cose,
boccheggiando ancora a vuoto nel tentativo di cpaire cosa fosse appena
successo.
L'ultimo sguardo che gli rivolse Pepper lo gelò fino
alle ossa e si sentì rimpicciolire. Per un attimo, fu di
nuovo di
fronte a suo padre che lo guardava con occhi colmi di
delusione. L'attimo dopo la porta di casa sbatté con forza
di fronte a
lui,
inghiottendo la sagoma della donna, mentre la sua mano si tendeva di
nuovo verso di lei in un gesto inutile.
Strinse il pugno meccanico e lo
lasciò ricadere lentamente, sentendosi stordito.
Individuò
finalmente le sue stampelle, a pochi metri da lui. Le
ignorò
e raggiunse barcollante il salone, aggrappandosi a ciò che
trovava
in giro senza curarsi di romperlo o rovesciarlo; si poggiò
infine sul tavolo come
se stesse studiando uno dei suoi progetti sul vetro lucido, mentre
il suo sguardo era
in realtà catturato dai riflessi sulla bottiglia di whiskey.
La
sollevò e ne bevve distrattamente un sorso, sentendo il
liquido che
bruciava la sua gola contratta.
Non riusciva ancora a dare un
senso alle immagini che si accapigliavano nell sua mente, e sentiva un
bruciore crescente nel petto che nulla aveva a che fare con
l'alcol.
Intravide il proprio riflesso nel vetro e serrò
l'occhio.
Poi rovesciò il tavolo a terra e urlò.
***
Non
gli capitava spesso di essere mandato in missione. Non che fosse un
tipo particolarmente attivo, dopotutto: preferiva di gran lunga la
tranquillità del suo laboratorio sull'Helicarrier al lavoro
sul
campo.
Cercò di convincersi che un po' di moto gli avrebbe fatto
bene: era un periodo che allo SHIELD si respirava un'aria fin troppo
rilassata, e gli unici che potevano vantarsi di fare qualcosa di
utile – e pericoloso, come ci tenevano a sottolineare
– erano gli
Agenti Barton e Romanov. Thor era momentaneamente irreperibile,
probabilmente disperso in qualche piega spazio-temporale dell'universo
e impegnato a battibeccare col fratello; Steve cercava ancora di
abituarsi al XXI secolo e di capire il funzionamento di uno
smartphone; lui era impegnato nei suoi progetti e Coulson per una
volta dormiva sonni tranquilli con la sua violoncellista delegando ad
altri il lavoro sporco.
In quel
clima così pacifico Tony... beh, Tony dava il meglio di
sé, come al
solito.
E l'unico a farsi saltare i nervi invece di chiudere anche
l'occhio buono era stato ovviamente Fury, che a quanto pareva si
rodeva il fegato per l'assenza di Iron Man, ma allo stesso tempo si
sarebbe mangiato la benda piuttosto che ammetterlo. Quella mattina
aveva sopportato l'ultima goccia, dando
infine in escandescenze e mandando qualcuno a ripulire i cocci.
Qualcuno che,
in quel momento, avrebbe volentieri barattato metà delle sue
ricerche e della sua materia grigia – e verde, soprattutto
–
piuttosto che trovarsi lì.
Bruce sospirò nel guardare la villa
arroccata sulla scogliera, enorme, sontuosa e desolata. Si era sempre
chiesto cosa se ne facesse Tony di tutto quello spazio, escludendo le
sue feste megagalattiche. Si fece forza e scese dall'auto, non del
tutto sicuro che il detto "ambasciator non porta pena"
avrebbe funzionato, quella volta.
Era a meno di venti metri dal portone della villa e stava
per entrare nel patio quando fu quasi travolto da Pepper, che
sbucò da dietro un'aiuola piombandogli addosso
mentre si fiondava fuori dal cortile, diretta alla
sua auto e ingombrata da una borsa da viaggio. La trattenne d'istinto,
impedendo che ruzzolassero
entrambi a terra sul patio, e percepì con
fastidio il cuore
che accelerava appena i battiti per la sorpresa... ma non sarebbe
sicuramente esploso per un incidente simile. Piuttosto, era
preoccupato per la faccia paonazza di Pepper e per i suoi occhi
lucidi. Fece per parlare, ma lei lo precedette, riprendendosi in modo
straordinariamente rapido dalla sorpresa di trovarlo lì, e
dal modo in cui parlò capì che sarebbe stato un
miracolo se avesse trovato
Tony
vivo:
«Non chiedere. Non chiedere nulla. Lasciami andare,»
disse forzata e con un evidente tremito
nella voce, non
sapeva dire se di rabbia o pianto.
«Virginia, sei sconvolta, non
posso lasciarti andare via in queste condizioni e...» le
aveva posto
delicatamente le mani sulle braccia nel tentativo di calmarla, ma lei
sussultò
all'improvviso al solo contatto e Bruce s'interruppe.
Notò solo
allora la chiazza rossastra sul braccio della donna, sul quale era
ben intuibile il contorno di una mano.
Non chiese. Non chiese
nulla. Ma si accigliò così tanto che i suoi occhi
parvero
scomparire e lasciare già spazio a quelli verdastri e
torbidi di Hulk.
Sentiva la sua delusione che si mischiava inesorabile alla rabbia, e
seppe distintamente quanto ancora ci sarebbe voluto per farlo
arrabbiare sul serio. La scostò con gentile fermezza e
riprese ad
avviarsi verso l'ingresso.
«Trovi la mia macchina all'ingresso. Aspettami lì,
non ci metterò
molto,» aggiunse,
girandosi appena.
Era quasi certo che, data la situazione, Pepper
avrebbe potuto stabilirsi allo SHIELD, e qualcosa gli diceva che era
meglio tenere sotto controllo anche lei, oltre a Tony. Pepper lo
fissò incerta per un attimo, poi annuì. Poi la
sua espressione
s'indurì e assunse una piega cupa che stonava completamente
con il
suo modo di fare sempre cortese e pacato.
«Gridagli contro, picchialo,
fagli male: non m'interessa come, ma fallo tornare in
sé,»
disse con voce appena udibile, prima di
voltargli le
spalle e allontanarsi a passo svelto.
***
Fu
accolto dal rumore del vetro che si infrangeva, seguito da uno
schianto fragoroso che gli ferì le orecchie.
Resistette
all'impulso di correre: il suo autocontrollo era già
sufficientemente messo alla prova così e gli sarebbe
dispiaciuto
ridurre Tony in poltiglia prima di averci perlomeno parlato.
Superò l'atrio ed entrò
nel salone, aspettandosi di trovarlo devastato. In realtà
era in
condizioni migliori di quanto si aspettasse – personalmente,
aveva
combinato di peggio. Certo, i frammenti del tavolino di vetro erano
sparsi per tutta la stanza e i suoi miseri resti giacevano a gambe
all'aria addossati al muro come una balena arenata, c'erano ben pochi
soprammobili rimasti integri e il divano candido era macchiato da
quello che doveva essere alcol, ma... sì, si aspettava di
peggio.
Almeno i muri erano ancora in piedi, per ora.
Si rese conto
solo ora che mancava qualcosa, o meglio qualcuno: l'autore di quel
disastro.
Dov'era finito Tony?
Bruce avanzò cautamente fino
al centro del salone, chiedendosi dove potesse essere sparito in
così
poco tempo, considerando le sue scarse capacità motorie al
momento. Fortunatamente gli risparmiò la fatica di farsi
cercare,
perché la sua voce risuonò proprio dietro di lui.
Non riuscì ad
afferare subito le parole, per quanto erano roche e impastate
dall'alcol e dalla rabbia. Si girò sforzandosi di rimanere
calmo, per il proprio bene e, soprattutto, per quello dlel'amico.
Tony era
addossato al muro, il viso spalmato sulla superficie liscia che
sembrava dargli un qualche tipo di sollievo, a giudicare dalla sua
espressione sofferente. Indossava ancora la sua appariscente camicia
bordeaux, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e la
cravatta dorata che pendeva mezza sciolta dal colletto.
Le protesi erano ben visibili, e fu allora
che comprese che quella sofferenza era provocata da quella alla
gamba, visto come si arpionava il moncherino con la sinistra:
riusciva a malapena a stare in piedi e non riuscì a
immaginare
quanto male dovesse fargli e quanto dovesse essere fuori di
sé per non
essersene accorto mentre metteva a soqquadro la casa. Il suo occhio
era appannato, non sapeva dire se per la sbronza o il dolore, ma la
sua iride appariva più scura del solito, quasi minacciosa.
La benda
sullo sfregio si era quasi scollata, lasciando intravedere la ferita
sottostante ancora fresca.
Tony dovette capire di aver parlato in
modo incomprensibile, perché si schiarì la gola,
deglutì con
evidente sforzo e ripeté cercando di articolare meglio le
parole:
«Ti manda Pepper?»
La rabbia di Bruce si attenuò un
poco. Non capiva se la domanda di Tony fosse piena di speranza o di
angoscia, ma provò comunque una sorta di compassione nel
sentirlo
parlare a quel modo. Non riusciva più a scorgere, sotto
quegli
strati di rabbia e rassegnazione, l'amico, forse l'unico, che
aveva. Era rimasto in silenzio per più di quanto volesse e
il
miliardario sembrava non rendersene del tutto conto, ma continuava a
guardarlo con espressione un po' vitrea, in attesa di una
risposta.
Bruce si avvicinò di un passo.
«Mi manda lo SHIELD,»
disse cautamente, osservando il suo volto con preoccupazione.
La
sua unica reazione degna di nota fu alzare le sopracciglia con fare
derisiorio.
«Hanno deciso di togliermi di mezzo, finalmente? Era
ora...» accennò
una risata stentata che si
spense subito nel silenzio dell'atrio.
Prima che Bruce potesse
controbattere, riprese a parlare con più foga, trovando la
forza di
staccarsi dal muro e tenersi in equilibrio precario sulle sue gambe
malconce, con una mano ancora piantata contro la parete a fargli da
sostegno.
«Mi stupisce che abbiano mandato te. Devono proprio
volermi morto, lassù.»
Aveva parlato in tono leggero, ma la sua
voce era rotta e tremante, come se avesse il petto pieno di qualcosa
che gli impedisse di respirare. Era impotenza, e frustrazione, e
dolore,
e rimpianto, e rancore, il tutto pressato e trasformatosi in collera,
racchiusa nel suo corpo che sembrava diventato troppo piccolo e fragile
per contenerla. A Bruce bastò un'occhiata ai brividi che lo
scuotevano per capire che era sul punto di esplodere. E lo capiva fin
troppo bene.
Si sentì terribilmente meschino quando pronunciò
le
parole che sapeva avrebbero acceso la sua miccia:
«Sei
arrabbiato?»
La domanda sembrò rimanere sospesa nell'aria, quasi
come una minaccia.
Tony si ripiegò su se stesso e ondeggiò,
improvvisamente instabile. Chinò la testa e le sue spalle si
alzarono e si abbassarono in un sospiro profondo, per poi precipitare
in un rantolo affannato. Rialzò di scatto la testa, l'occhio
lucido e il volto deformato dal dolore. Tutto quello che vide
Bruce fu un uomo sul punto di cadere in pezzi.
«Sono
disperatamente
arrabbiato!» gridò Tony con voce roca,
indietreggiando per poggiarsi
con la schiena al muro, come sbalzato via dalla sua stessa ira.
Si prese la testa
tra le mani e si accasciò per terra, svuotato di ogni
energia. Bruce incrociò le
braccia con fare noncurante e un cipiglio torvo riapparve sul suo
volto nel ripensare a Pepper.
«Bene. Perché io lo sono di
più,» annunciò,
dirigendosi ad ampie falcate verso di lui, con una sfumatura verdognola
che iniziava a delinearsi sulla sua pelle.
Si costrinse a tenere a
bada la bestia: doveva prima far recuperare a Tony un briciolo di
lucidità con le buone. Fargli raggiungere il bagno gli
sembrava un buon inizio, alla ramanzina avrebbe pensato in seguito.
Tony vanificò i suoi propositi pacifici:
spinto da chissà quale impeto, forse sentendosi minacciato
dal suo
incedere minaccioso, si risollevò di scatto e si
scagliò contro di lui, cogliendolo
del tutto
alla sprovvista. Gli assestò un pugno con la protesi che lui
parò
d'istinto, sbarrando gli occhi nel percepire la forza imprevista del
colpo.
Qualcosa scattò in lui, troppo rapidamente perché
riuscisse a
controllarla, non in uno stato già così alterato.
I suoi vestiti si tesero all'istante sopra la sua pelle che andava via
via
inspessendosi, sempre più verde, per poi strapparsi con un
rumore secco di
stoffa lacerata. Le sue scarpe cedettero sotto alla pressione dei piedi
diventati enormi e il
pavimento cominciò a sgretolarsi con secchi scricchiolii,
formando
dei bassi crateri. Il soffitto, per quanto fosse particolarmente
alto, si trovò fin troppo vicino alla sua testa e sarebbe
bastato un salto
o anche solo alzare un braccio per toccarlo e mandarlo in pezzi. Un
ruggito profondo scosse le mura della villa, riverberando nell'aria
ferma.
Dietro gli occhi neri di Hulk si poteva appena scorgere la
coscienza rimasta lucida e razionale del dottor Banner, per ora
sopraffatta e
messa da parte dalla rabbia incontrollabile che Tony aveva appena
fatto esplodere.
Intanto l'"artificiere", aveva ritratto
il braccio ma era rimasto immobile, spalle al muro, probabilmente in
attesa che
l'amico verdastro lo scagliasse fuori dalla finestra frantumando
ciò
che era rimasto di lui.
***
Tony
si scoprì indifferente alla minaccia verde e potenzialmente
mortale
che gli si era appena scatenata davanti. Non provava paura: si
sentiva naufrago in un mare di apatia e non scorgeva nulla
di salvifico all'orizzonte; anzi sperava che non accadesse
più
nulla. Aveva un
disperato bisogno di mettere un punto fermo a quella giornata, e far
infuriare Hulk gli era sembrato un ottimo modo per ottenere
ciò che
voleva.
Soltanto quando Hulk lo afferrò nella sua mano gigantesca
spremendogli l'aria dai polmoni e la morsa ferrea intorno a lui
iniziò a stringere quasi oltre il limite di sopportazione
delle sue
costole cominciò ad avvertire il terrore. Il dolore non lo
aveva mai
torturato a tal punto, non quanto stava facendo Hulk in quel momento,
probabilmente in modo involontario e anche trattenuto;
avvertì la protesi del
braccio
che si deformava sotto la stretta impossibile da allentare.
Quando
i polmoni furono sul punto di collassare, il verde scuro della mano
decisa a sbriciolarlo sembrò schiarirsi, come obbedendo a un
comando
imperioso. Hulk lo lasciò andare e Tony cadde a terra
schiacciato
dal suo stesso peso, insostenibile per la giuntura della protesi che
gli inviava continue e strazianti stilettate lungo l'arto inferiore.
L'aria ritornò nei suoi polmoni troppo bruscamente,
presentandosi
come una maledizione nonostante il desiderio di respirare.
Hulk
indietreggiò, sempre meno verde e sempre più
Bruce. La statura
diminuiva, i muscoli tesi si rilassavano... ma l'apatia di Tony
cedette il posto a una furia cieca nel vedere la protesi di nuovo
danneggiata.
Si rialzò carponi, nonostante tutto il
suo corpo dolorante lo implorasse di rimanere a terra, e
tentò di assestargli uno spintone con il braccio
artificiale, ma tutto
ciò che ottenne
fu di farlo imbestialire del tutto. E stavolta era Hulk ad essere
arrabbiato, non Bruce.
In un lampo e non sapendo come, Tony si
ritrovò a impattare contro il muro. Il dolore al volto
arrivò dopo,
attraverso il velo di stordimento e il fischio acuto che gli esplose
in testa e gli fece passare qualsiasi voglia di rialzarsi.
Colse
un lampo azzurrino nella sua visuale.
"No, no, no, non di
nuovo..." si premette il palmo sano contro l'occhio, cercando di
scacciare quei flash terrorizzanti.
Focalizzò con fatica Bruce
che cercava di riprendere il controllo di se stesso, dimenandosi per
la stanza e distruggendo tutto ciò che capitava a tiro.
L'intera spalla gli
doleva tremendamente per aver sferrato quel pugno, ma era troppo
impegnato ad arretrare di fronte alla furia di Hulk per
realizzarlo, venendo finalmente investito da una sana, razionale
paura. Strisciò dietro... cosa? Il muro del salone era
appena
crollato. Tony venne investito dai calcinacci e per una volta fu
contento di avere un braccio di ferro a fargli da riparo.
Tossì
nella nuvola di detriti sottili che si era sollevata e rimase immobile,
in
posizione fetale, chiedendosi come facesse ad essere ancora vivo e se
ciò fosse davvero un bene.
Dopo un tempo che non seppe definire, intervallato dai ruggiti di
Hulk, un piede si abbatté a tre centimetri dal suo naso.
Aspettò
di sentirsi spalmare sul pavimento, terminando così la sua
inutile
esistenza, ma quando ciò non accadde si arrischiò
a sollevare
appena il capo. Si ritrovò ad essere scrutato da un paio
d'occhi
scuri e preoccupati.
«Bruce?» articolò, realizzando con
sollievo che la pelle dell'amico era di nuovo del suo colore
naturale.
«Ehi, sei vivo?» la voce dell'altro era ancora
sforzata, ma decisamente più calma di prima.
Tony realizzò con
sollievo di essere fuori pericolo, per poi provare una punta di
disturbante
rammarico al pensiero.
«Più o meno. Non grazie a te,»
commentò, sputando sangue per una ferita all'interno dlela
guancia.
«Non grazie a te,
vorrai dire,» ribatté Bruce. «Che
diavolo
ti è venuto in mente? È
un miracolo che non abbia perso il controllo...» aggiunse,
incredulo.
«Ah, quello non era "perdere il controllo"?»
biascicò Tony.
«Hai attaccato Hulk! Cosa ti aspettavi che
succedesse?»
«Ho agito d'istinto. E l'alcol...» Tony
tentò di
nuovo di rimettersi in piedi.
«Stai fermo,» lo tenne a bada l'altro,
trattenendolo a terra con una mano sulla schiena. «Senti,
dove trovo dei
vestiti?» aggiunse, con lieve imbarazzo.
«Uh...» mugugnò lui, notando in quel
momento che
Bruce era rimasto con solo i resti dei suoi pantaloni stracciati
addosso. «Prova in camera mia. Là,»
rantolò, additando una
porta che si affacciava sul salone, e Bruce si defilò.
Tony
rimase ad ondeggiare da fermo con la fronte contro il pavimento, a
tempo con le valanghe di nausea che lo scuotevano. Si passò
una mano
sul volto nel tentativo di ripulirsi dallo strato di calce, polvere
e... era altro sangue, quello? Si tastò lo zigomo, ricevendo
un'altra
scossa di dolore e ritraendo le dita macchiate di rosso. Si
tamponò
lo spacco col colletto della camicia, rassegnato.
Bruce si
ripresentò poco dopo in un paio di pantaloni grigi di una
tuta e con
una vecchia maglietta dei Rolling Stones che gli andava
decisamente stretta.
«Trattala bene,» tossicchiò Tony, in un
disperato tentativo di mostrarsi spigliato.
Si sentiva a un passo dallo
svenire, e Bruce si passò il suo braccio buono sulle spalle
e lo
sollevò di peso.
«Ti ho mai detto quanto mi faccia incazzare
vedere gente incazzata?»
«Penso di essermene reso conto da solo,
grazie per la simpatica dimostrazione,» disse Tony, con la
bocca
impastata dall'alcol, che per i suoi gusti si stava muovendo un po'
troppo nel suo stomaco... già, un po' troppo.
Bruce
dovette rendersi conto che per gli altri non era normale assumere una
sfumatura verdognola, così lo lasciò andare di
colpo poco prima che
il pavimento venisse inondato, trattenendolo per il colletto per
evitargli l'impatto.
«Credo di dover vomitare anche
l'anima...» riuscì ad articolare Tony, scansandosi
di lato con un
barlume di lucidità.
«Vedo. Non ha un bel colore.»
Bruce
riuscì a trascinarlo in bagno alla bell'e meglio per farlo
svuotare
del tutto e gli rimase accanto a sostenerlo. Ecco, adesso poteva
dire di aver provato l'ebbrezza di reggere la testa a qualcuno che
vomitava.
«Uccidimi,» bofonchiò confusamente Tony,
tra un conato
e
l'altro.
«Chiedi all'altro,» rispose assente Bruce,
impegnato
piuttosto a sorreggerlo, non guardare e cercare al contempo di toccarlo
il meno
possibile.
Sarebbe stato più incline a farlo se avesse avuto la
peste...
«Uccidimi! Non è per questo che ti ha mandato qui
Fury?» quasi urlò, non risultando per niente
convincente col water
che gli faceva da megafono.
«No, in realtà, io...»
«No, non
me ne frega un caz–...» lo stomaco non contenne la
sua furia.
«Oddio, basta!» implorò, tossendo.
Bruce fu
tentato di lasciargli andare la testa e farlo soffocare, ma poi gli
avrebbe fatto un favore. Pensò di chiedergli se aveva
finito, ma
l'ennesima ondata di alcol gli rispose di no.
«Che hai intenzione
di fare? Quando avrai finito, intendo.»
«Non mi sembra di
chiedere così tanto,» balbettò invece
lui.
Bruce ci mise un po'
a ricollegare quelle parole alla sua richiesta di poco prima,
rimanendone agghiacciato.
«Dai
così poco valore alla tua vita?»
«Quale
vita?» disse lui, tirando fuori la faccia dal water e
rivolgendogli
un'occhiata stralunata.
«Sei sempre tu
a ridurti così. Da solo. Ci hai mai fatto caso?»
Bruce alzò un
sopracciglio quando l'unica risposta fu Tony che rituffava la testa
nella tazza, stavolta in un conato di bile. Alzò anche
l'altro
sopracciglio: riteneva un po' assurdo parlare di vita, morte e
miracoli con il suo interlocutore appassionatamente abbracciato alla
tazza del cesso. Tutto ciò era paradossale.
«È meglio dell'alternativa,»
riuscì ad articolare Tony, affannato.
«Allora, se sei
così incline a morire,» replicò Bruce,
stringendo la presa sulla sua fronte e sulla sua spalla sana,
«perché hai quel reattore
arc in mezzo al
petto? Perché ti sei costruito quelle protesi? Se davvero
avessi
voluto morire, avresti potuto farlo tempo fa.»
«"Tempo fa",
tutto questo non sembrava così difficile,»
sibilò lui tra i denti.
«La vita non è
facile, Tony. Pensavamo l'avessi capito, ormai.»
«Ed io pensavo
che la parte "difficile" della mia vita fosse già passata.
Due volte. Un tris non
era contemplato.»
Bruce avrebbe potuto replicare in mille modi,
ma avrebbe avuto altre occasioni per rigirare il coltello nella piaga
e non aveva alcuna voglia di parlare di rapimenti e incidenti d'auto.
Sarebbe
stato troppo crudele anche in quella situazione. Tony trovò
finalmente la forza di sfuggire alla sua presa e staccarsi dal water,
apparentemente svuotato. Cercò a tentoni lo sciacquone e si
trasse
in piedi aggrappandosi al lavandino per darsi una ripulita, sperando
che non cedesse sotto il suo peso, visto che le sue gambe si
rifiutavano di camminare e le sua protesi non erano esattamente
leggere, né utili. Sosteneva tutto il corpo con la gamba
buona;
l'altra, inerte, gli serviva solo da contrappeso.
«Fatto?»
chiese cautamente Bruce.
«A meno che non voglia sputare anche gli organi interni,
sì,» rispose Tony con voce ovattata
mentre cacciava la
testa sotto al rubinetto e si sciacquava a fondo la bocca.
Sollevò il
viso grondante d'acqua, tamponandolo con un asciugamano e ravviandosi
i capelli bagnati e scomposti, sentendosi già più
lucido. La sua esperienza
decennale di sbronze e doposbornie serviva a qualcosa, almeno.
Si
tolse la benda di garza fradicia sperando che Bruce non fosse troppo
impressionabile, e ne cercò a tentoni una pulita
nell'armadietto. Lo sfregio – quanto odiava quella parola
–
era di un rosso più acceso e più gonfio del
normale; il pugno di
Bruce gli aveva spaccato solo superficialmente lo zigomo opposto,
evitando
fortunatamente la piaga. Si
asciugò meglio la pelle attorno ad essa, trattenendo piccole
smorfie di fastidio, poi applicò la garza adesiva sopra alla
palpebra
chiusa, facendola aderire con cura. Si
tamponò il sangue sulla scalfittura con
l'asciugamano,
mordendosi contrariato il labbro nell'osservarsi allo specchio. Era
un po' che non lo faceva, e oltre a scoprire di essere dimagrito
più
di quel che avesse pensato, incontrò nel suo sguardo una
luce spenta che non ricordava di aver mai visto, neanche al ritorno
dall'Afghanistan. Serrò la mascella e diede un colpetto allo
specchio con le nocche metalliche, abbastanza forte da romperlo senza
causare
troppi danni, se non un paio di piccole schegge che caddero nello
scarico del lavandino. Il suo riflesso si sfaccettò,
attraversato
dalla ragnatela di crepe. Provò un senso di
sollievo irrazionale nel non doversi più guardare
in faccia
e finì di asciugarsi il viso come se nulla fosse,
percependo su di sé gli occhi attenti di Bruce.
Nel vedere Tony che infrangeva lo
specchio, questi ebbe una spiacevole sensazione di deja-vù:
poteva
immaginare fin troppo bene che cosa stesse pensando. Con fare
rassegnato, lo sostenne aiutandolo a barcollare fino al water chiuso,
dove lo lasciò cadere seduto, senza più un
briciolo di forza in
corpo. Non aveva l'aria di voler parlare, ma allo stesso tempo
sembrava non poterne fare a meno.
«Tu come fai?» chiese infine,
tormentandosi la mano meccanica.
«A fare cosa?» chiese Bruce,
accigliandosi appena.
Si appoggiò allo stipite e incrociò le
braccia, preparandosi a un lungo e interminabile discorso che avrebbe
messo duramente alla prova i suoi nervi già abbastanza
logorati.
«La
rabbia. Come la controlli?»
«Non mi sembra di farlo.»
Bruce fece una smorfia nervosa e
adocchiò il salotto in rovina.
«Ma sicuramente non la
controllo così,»
aggiunse, facendo un gesto eloquente verso di lui, lo specchio, la
casa, in
generale il caos che aveva provocato.
Tony sbuffò e voltò la
testa dall'altra parte, riluttante ad ammettere i suoi sbagli.
Strappò un pezzo di carta igienica, riprendendo a tamponarsi
lo
zigomo sanguinante.
«Pepper non sarà contenta quando...»
Lo
sguardo perplesso di Bruce fu la risposta più eloquente che
potesse ricevere.
Si interruppe e annuì appena, con un sorriso amaro a
solcargli le
labbra.
«Giusto.
Non tornerà,» mormorò, passandosi una
mano tra i capelli fradici come a farsi entrare bene in testa quel
fatto.
«Puoi davvero darle torto?» gli chiese Bruce,
duramente, e Tony concluse che avrebbe preferito perire per mano di
Hulk piuttosto che pensare a quello che le aveva fatto.
Si limitò a scuotere piano la testa, comprimendo le labbra.
Avrebbe finito per rompere tutto ciò che lo circondava, e in
un certo senso era sollevato nel pensarla lontano da lì, e
da lui. Forse sarebbe tornata, ma con gli occhi spenti, il
volto gelido e parole colme di delusione, il che equivaleva a non
riaverla affatto. Aveva bisogno di lei, ed era uno conclusione a cui
era lentamente arrivato nel corso di quegli anni; ma se prima non era
mai stato del tutto sicuro di meritarsi la sua presenza, adesso ne
aveva la certezza.
Bruce si fissava la punta dei piedi scalzi con fare
concentrato, come a decidere se fosse meglio urlargli contro o
lasciarlo lì a rimuginare con se stesso. Infine
sembrò optare per
una via di mezzo, perché alzò di scatto la testa
e lo guardò
dritto negli occhi, con l'espressione più seria che Tony gli
avesse
mai visto.
«Cosa hai intenzione di fare?» gli chiese
ancora.
Tony fece per parlare, poi scosse la testa e si lasciò
andare a una risatina rassegnata e spenta.
«Ma che razza di domanda è?
Cosa vorrei fare, secondo te?» sbottò poi, quasi
con
irritazione.
Bruce non si turbò più di tanto, ma la risposta
che
lasciò le sue labbra fu tagliente:
«Posso immaginarlo, ma
ricordati che per te non ci sarebbe nessuno a sputare il proiettile. E
comunque è bello vedere come ricambi gli sforzi degli altri
per
mantenerti in vita.»
A quel punto Tony si voltò bruscamente,
alzando la voce:
«Ma mi hai visto? Non riesco a muovermi senza
stare attaccato a qualcuno o a una stampella, vedo poco e male,
quando prendo qualcosa devo sperare di non romperla...» a
quel
punto l'unica cosa a rompersi fu la sua voce, e il suo pugno
metallico si strinse nel vuoto, come tentando di afferrare qualcosa
di troppo lontano. «O qualcuno...»
sussurrò poi, appena
udibile, più a se stesso che a Bruce.
Questi stava giusto per
dire qualcosa, ma Tony parlò per primo, con parole intrise
di
rabbia
e frustrazione:
«Sono rimasto solo con un... prototipo
di me stesso, sono circondato da macchine in cui non posso fare a meno
di
riflettermi. Ogni giorno, ogni cazzo di giorno della mia vita mi
costringo a trascinarmi avanti anche se in realtà non
voglio. A che serve, se non potrò
più fare ciò che vorrei fare?! Iron
Man è distrutto, non tornerà mai! E sono stato un
idiota
anche solo a pensare di poterlo fare!» fece una pausa,
riprendendo fiato, la
voce
spezzata. «Sarei dovuto morire un anno fa in quella
grotta,»
mormorò infine, le parole appena comprensibili.
Fu allora che Bruce
s'intromise, con forzata calma.
«È vero. Guarda cos'hai
combinato: hai cacciato
chi ti ama, hai voluto
distruggere Iron Man, ti comporti da ingrato con chi si
sacrifica per
te, hai affossato la tua immagine pubblica e tutto questo per cosa?
Per dimostrare a Pepper, a me, al mondo intero o a chiunque altro che
Tony Stark non è cambiato? È cambiato tutto, la
tua vita è
sconvolta e tu continui a fare finta di nulla e a comportarti come
prima. Quando ti
deciderai a cambiare anche tu?»
«Non vedo perché dovrei farlo,»
s'impuntò Tony.
«L'hai già
fatto e sei diventato Iron Man, mi pare,» osservò
Bruce, sollevando appena le sopracciglia.
«Sì, ma non mi
sembra che il mondo sia mai cambiato per me. Io ho provato a
cambiarlo, il mondo,
ma mi ha fatto lo sgambetto e poi mi ha sputato in faccia,»
concluse
aspramente.
«Il
mondo non cambia a comando, Tony!» sbottò Bruce,
esasperato. «Non l'ha fatto neanche per me e io
al contrario di te non
posso cambiare chi sono!» alzò la
voce per poi bloccarsi, facendo un respiro profondo per riprendere la
calma.
«Eppure non mi sembra di pensare solo a me stesso come fai
tu,»
riprese, di nuovo controllato.
«Io non...» provò a dire Tony, ma le
parole gli morirono in gola e furono soverchiate da quelle di
Bruce:
«È questo il tuo problema: "io". Se qualche
volta pensassi anche agli altri,
forse ti renderesti conto che non sei solo! Prendi
me: io voglio rimanere
calmo e concentro tutte le mie forze per farlo, e non ho una macchina
che mi aiuti, né qualcuno che mi stia accanto. Sai quanta
rabbia mi
fa, vedere come tu abbia ogni mezzo immaginabile per tirarti su e
come ti manchi il coraggio per usarlo?»
«Ho tutto e niente...
questa storia l'ho già sentita,»
borbottò Tony con un sospiro
esasperato, ignorando volutamente il resto.
«Non è questo il punto...»
«Hai ragione! Il
punto è che la mia vita è andata a puttane, di
nuovo, e io
non sono riuscito a fare nulla per impedirlo! Tu pensi che mi scoraggi
troppo
facilmente, ma la verità è che sono stato troppo
coraggioso e ambizioso. Ho voluto cambiare il mondo, ho voluto
rimediare ai miei errori e cercare di fare qualcosa di giusto, e adesso
mi ritrovo in questa situazione di
merda!» disse d'un fiato, con veemenza. «Dici che
sono egoista... bene, se solo lo fossi stato un po'
di più, sarei potuto comodamente crepare con una pallottola
in testa,
invece di farlo un passo alla volta come ora, e forse sarebbe stato
meglio!»
gridò con tutto il
fiato che gli era rimasto.
«Hai davvero ripensamenti del genere?
Ti stai davvero
pentendo di aver salvato delle vite?»
Bruce adesso sembrava
più
turbato di quanto desse a vedere, e Tony era convinto che solo
un'altra parola sbagliata avrebbe potuto farlo esplodere.
Così
non rispose, fissando ostinato il pavimento, non sapendo in
verità
come replicare a quell'accusa.
«A volte penso a cosa direbbe mio
padre se potesse vedermi in questo stato,» disse invece, fin
troppo
calmo. «E me lo immagino mentre mi accusa come al solito di
averlo
deluso, di aver tradito le sue aspettative, di non essere mai
all'altezza della situazione. Di essere irrecuperabile.»
Sospirò piano, guardandosi le mani ancora strette tra loro.
«Come si fa a
non deludere
le persone? Ad essere sempre all'altezza?»
guardò
Bruce come in cerca di una risposta, poi continuò, a voce
più
bassa: «Forse il vero problema è che mi
basta essere all'altezza di me stesso... ed è sempre troppo
poco.
Mi sono
addirittura creato Iron Man per rimediare. Non è
ridicolo?» concluse con scherno.
«Tu
sei riuscito a creare qualcosa di buono.
Non solo per te stesso, ma anche per gli altri. Qualcosa in cui
credi,» ribatté Bruce, senza
scomporsi, con voce salda.
Tony gli
riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce
esitò.
«Ci
credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in
fumo,» replicò piattamente lui.
Bruce sembrò improvvisamente
farsi più comprensivo e il suo sguardo quasi si
addolcì quando parlò in
tono più pacato:
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony.»
Lui lo fissò assorto, colpito da quell'affermazione
così
inaspettata.
«Davvero non puoi farlo ancora?» si
limitò a
chiedergli.
Attese una risposta che non arrivò, chiusa nei
pensieri di Tony.
***
3 Aprile, 19:20, Villa Stark
Avrebbe
avuto bisogno di un bagno, ma il solo pensiero di dover entrare e
uscire dalla vasca con le protesi che gli inviavano fitte lancinanti
lo fece desistere.
Dopo. Dopo un'aspirina. Dopo una dormita. Dopo
aver buttato nello scarico tutto l'alcol che aveva in casa. Dopo.
Adesso aveva tutto il tempo del mondo.
Bruce aveva avuto la premura di
portargli le stampelle prima di andar via, così
riuscì a sollevarsi
con un po' più di stabilità, piuttosto che
avanzare a balzelloni e
aggrapparsi al portasciugamani, al lavandino e a ciò che
trovava in
giro. Il suo unico pensiero in quel momento era il letto. O
meglio, il divano, che era decisamente più vicino e
proponibile
nelle sue condizioni. Una bella dormita, poi avrebbe ingollato tre
litri
d'acqua e smaltito la sbornia, si sarebbe dato una ripulita e dopo...
il dopo
non rientrava ancora nei suoi programmi. Revisionare
le protesi. Sì, era un buon "dopo": cervello impegnato e
mani impegnate, uguale a "niente pensieri e niente
danni". Dopo,
magari, sarebbe tornata. Non era
sicuro che quel "dopo" fosse esprimibile in misure di tempo
conosciute, ma era una bella prospettiva, per quanto intrinsecamente
terribile.
Stava
delirando. Avrebbe fatto meglio a cadere addormentato il prima
possibile per evitare altre, inutili elucubrazioni mentali.
Mandò
giù i suoi antidolorifici come fossero ambrosia, pregando
che
facessero rapidamente effetto, poi zoppicò a fatica fino
all'atrio e
al salone distrutti. Hulk aveva davvero
abbattuto il muro. Almeno non aveva avuto un'allucinazione. In
compenso il pavimento ondeggiava un po' troppo per i suoi gusti e il
divano sembrava fin troppo distante: a separarli c'era un mare di
detriti, vetri e resti di mobili fracassati.
Iniziò la
traversata, ma era arrivato ad appena un paio di metri dallo
schienale che la protesi della gamba cedette con uno scricchiolio
agonizzante, e
si ritrovò bocconi per terra prima di poter realizzare come.
Batté la testa,
come se non gli facesse già abbastanza male. Ogni
tentativo
per
rialzarsi, o anche solo muoversi, fu inutile. Rimase accasciato
lì, inerme, indeciso se addormentarsi o chiedere a JARVIS di
chiamare qualcuno. Giusto... aveva disattivato JARVIS poco prima
di darsi alla pazza gioia in un mare d'alcol. E Bruce aveva staccato
la corrente per evitare ulteriori danni.
Non ebbe neanche la forza
di sospirare: riuscì solo a chiudere l'occhio e a lasciarsi
precipitare in un sonno buio e profondo.
Revisione effettuata il 04/03/2018
Note delle Autrici:
Da qualche parte nel mondo... Kyle innaffiò lo schermo della tv con dell’ottimo tè."
Povero Kyle. è rimasto sconvolto, da... tutto. (Se non l'avete capito ORA, avete perso ogni speranza di comprensione. Scherziamo, sveleremo tutto... prima o poi :D)
A parte tutto! Carissime... Siamo vive! *Light e Moon sventolano bandiere e lanciano coriandoli* Usciamo dal mare di apatia, come Tony con questa roba, altrettanto indigeribile (attenti allo stomaco. Le autrici consigliano l'uso di buscopan) e sì, ci assentiamo per mesi e torniamo con i mattoni. Ma non saremo doRci? Amateci, ci metterete un mese a digerire questa cosa e nel frattempo speriamo di aver già aggiornato. SPERIAMO.
Che dire... questo capitolo. È stato anch'esso un parto plurigemellare con complicazioni. Le amabili scene in cui Tony dà il megli odi sé derivano da questo -ribadiamo fantastico- video: http://www.youtube.com/watch?v=FSFjFGUZGIg<3
Ringraziamo chiunque è sopravvissuto fino ad ora: chi ha aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi ha letto, recensito, soprattutto lo scorso capitolo; Alley, MissysP, Aston, Sherlock_Watson, The_best_who_sing e Rogue92! :D Grazie mille a tutti <3
See ya,
Moon&Light
P.S. Prego notare come l'aura benefica dei Foo Fighters si irradi da questo capitolo! *MoonRay dà una padellata i ntesta a Light* M: Ebbasta! L: Foo... ç^ç
Edit 04/03/2018: si è resa necessaria una modifica dello scontro con Hulk... o meglio una giustificazione al suo scoppio d'ira; per questo adesso Tony si comporta ben due volte da idiota pensando di poter anche solo scalfirlo con un pugno. Per capirci, la prima volta Bruce "sbrocca" di riflesso ma è ancora in grado di controllarsi; la seconda il suo autocontrollo è bello che andato, di qui il cazzottone devastante e potenziamente mortale a Tony.
A conti fatti, Bruce non avrebbe mai usato volontariamente il suo "lato verde" per far rinsavire un amico e ci voleva un primo "casus belli". [-Light-]
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