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Autore: Thilwen    11/09/2007    13 recensioni
“Non so che forma abbia il dolore. Non so se sia spigolosa e dura, oppure se si plasmi come una maschera di cera sulla dimensione di ciascuno.
Non so se in fondo abbia una forma, oppure sia veleno aeriforme che ognuno inala per poi veder venir meno il fiato.”
Severus Snape, una foto, una lettera, un ricordo.
Un dolore per sempre.
SPOILER HARRY POTTER and THE DEATHLY HALLOWS
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La Forma del Dolore

ATTENZIONE QUESTA STORIA CONTIENE SPOILER SU HARRY POTTER AND THE DEATHLY HALLOWS

Disclaimer: I diritti di Harry Potter and co. non appartengono a me ma alla cara J.K.Rowling, alla meno cara Warner Bros e a tutti gli altri che li detengono. Io non scrivo assolutamente a scopo lucro il mio è soltanto un modo di digerire certi avvenimenti della saga.

Beta Reader: mise_keith, Pulciosa.

Note: Vi ricordate quando ho detto che non avrei più scritto nulla su Harry Potter? Ebbene ho mentito. O meglio non avevo ancora fatto i conti con la chiusa della saga.

Il settimo libro mi ha dato molti spunti e i miei personaggi preferiti (bistrattati, maltrattati, barbaramente uccisi) hanno lasciato dei vuoti che devo tentare di colmare e razionalizzare.

Questo ha dato il via ad una serie di idee per dei missing moments, anche se, in realtà, non so quanti prenderanno realmente vita. Ho già in cantiere, quasi completa per dire la verità, una one-shot su di un momento mancante fra Ron ed Hermione. Spero di poterla inviare già la prossima settimana, ma non posso assicurarvi nulla perché sono alle prese con l’esame di Letteratura Italiana.

 

Ringraziamenti e dediche:

Alla voce spezzata di Chiara dall’altro capo del telefono.

Alla comprensione silenziosa di Gioia nelle nostre chiacchierate malinconiche.

E a te che, volente o nolente, mi hai reso capace di scrivere questa storia.

 

 

La Forma del Dolore

 

Salgo le scale strette e buie di questa casa. Diversi occhi spenti scivolano sulla mia persona, occhi che non vedono ma che di certo in passato hanno avuto modo di osservare tutti i movimenti di questa immensa abitazione grigia, ogni sospiro dei suoi orgogliosi abitanti.

Non ho mai avuto l’ardire di pensare come sarebbe stato avere un elfo domestico; troppo lontana la mia vita di vecchi vestiti smessi e stenti per riuscire a considerare l’idea di una ricchezza materiale tale da potermi permettere tanto lusso. Un elfo domestico è un vessillo di nobiltà: la schiavitù è la sua prima figlia.

Ma adesso, questi occhi ciechi che vagano nell’oscurità di questa casa vuota, in cima alle macabre teste mozzate, sembrano fantasmi venuti a giudicarmi da un passato lontano.

C’è troppa solitudine, troppo silenzio in questa casa, e in questo momento è ciò che più temo, perché, ora che l’adrenalina è scesa, adesso che la velocità esaltante degli ultimi avvenimenti della mia vita si è fermata, è giunto il momento di considerare la mia esistenza, le mie mosse future, la mia storia irrisolta.

È un preambolo lungo e confusionario.

C’è molta confusione nella mia testa, io che di solito sono sempre così calcolatore, così preciso.

Io che nella vita ho sbagliato tutto.

Quasi inciampo nell’ultimo gradino. Riprendo l’equilibrio fermandomi un secondo sul polveroso pianerottolo del secondo piano di casa Black, ad occhi chiusi, cercando di ripristinare una certa calma.

Devo sbrigarmi, prima che qualcuno giunga, prima che qualcuno possa chiudermi questa porta alle spalle, inesorabilmente.

Cosa sei venuto a fare qui, Severus Snape?

Non vorrei rispondermi, perché fa male, fa così male tutto.

Cosa sono venuto a fare adesso che il tempo si è fermato per una breve, inafferrabile pausa, che le ultime ore hanno taciuto dopo il loro assordante frastuono?

Cerco una traccia di lei.

Un segno, una piccola inutile orma che mi conduca al suo passo, che mi faccia ritrovare al suo fianco il mio.

Che mi faccia capire perché.

Perché continuo a combattere, adesso che non ho più nulla.

Mi dirigo verso la stanza di Black, di Sirius Black. Apro lentamente la porta.

Non resto stupito dalla volgare esuberanza con la quale è addobbata, un boato di rosso e oro, così violento, così di cattivo gusto da rappresentare il suo inquilino in ogni minimo dettaglio.

Sirius Black è sempre stato un uomo di baccano. Così come il suo fedele compagno Potter. Quando li ho conosciuti stavano facendo baccano. Hanno passato sette anni a fare baccano. Sono sempre stati così stupidamente chiassosi che la loro presenza era una violenza per chiunque non li avesse a cuore.

Anche Lily, una volta, tanto tempo fa, la pensava come me.

«Evans!»

Entrarono in biblioteca sghignazzando, sommessamente, ma sghignazzando. Emanavano una tale aura di egocentrismo, con il loro fare pomposo e spaccone, che riuscivano ad imporre la loro presenza anche quando non facevano troppo rumore. Anche se avevano ancora solo quattordici anni.

Black ci vide, scosse con una spallata Potter e ci indicò. Si avvicinarono con fare sornione verso di noi e a pochi passi Potter chiamò la ragazza sorridendo.

«Evans!» ripeté una seconda volta non avendo avuto repliche, sporgendosi sul tavolo per sbirciare il libro fra le mani di Lily «Sempre a studiare?»

Io rimasi fermo al mio angolo, la piuma a grattare sulla pergamena, fingendo indifferenza.

«Tu invece sempre in giro a disturbare la gente, Potter?» rispose lei infine, senza alzare lo sguardo.

«Veramente,» disse Black dando un tono falsamente profondo alla voce, «la nostra venuta qui in biblioteca era dovuta a motivi seri. Di studio».

Penso che a quel punto i due ragazzi dovettero scambiarsi un ghigno d’intesa, alludendo con lo sguardo alla mia persona. Poi Potter prese parola:

«Infatti volevamo studiare bene come il naso del nostro caro Snivellus potesse prendere una tinta più unita a quella dei suoi capelli».

Non ebbi nemmeno il tempo di smettere di scrivere e alzare gli occhi che un fiotto di inchiostro volò dalla mia boccetta posta sul tavolo al mio viso, colpendomi in pieno.

Annaspai qualcosa, mentre Lily ringhiava loro improperi di ogni tipo, al di sopra delle risate degli stessi.

Ma prima che potessi reagire la bibliotecaria aveva già rimproverato e trascinato i due di peso fuori, forse direttamente dalla McGonagall.

Io, nuovamente, avevo subito come un fesso.

«Oh, Severus» Lily sussurrò per me, ancora troppo arrabbiato, l’incantesimo per ripulirmi «Io non lo sopporto, non finiranno mai di darti il tormento! Sono così odiosi. Sono così rumorosi… tanto che sembra sia quasi una violenza averli vicino».

Chiuse il libro, incrociando le braccia, gli occhi verdi a brillare nel vuoto.

«Ti giuro che prima o poi la pagheranno» le promisi.

Sorrise.

Mi chiedo da anni come, infine, Lily Evans si sia innamorata di James Potter.

Come l’abbia potuto sposare. Come abbia potuto fare un figlio con lui.

Come d’improvviso la violenza del suo baccano sia diventata una calda compagnia, la musica capace di riempirle le giornate.

Mi chiedo come questo sia successo. Dove fossi io quando ciò è accaduto.

Ero impegnato a riscattarmi. A vendicarmi.

Mi riscuoto dai miei pensieri e mi muovo dalla soglia della porta. Non ho molto tempo da perdere, non posso indugiare ancora.

Do un occhiata intorno ed inizio a frugare fra gli effetti personali di quella testa calda di Sirius Black, senza prestare troppa attenzione o curarmi di non metterli in disordine.

So che ci deve essere qualcosa di suo qui.

Dumbledore è morto poche settimane fa. È stato tutto tanto veloce che non riesco ancora a crederci.

L’ho ucciso io e, se non l’avessi fatto, sarebbe morto comunque di lì a poche ore, giorni al massimo.

Sarei morto anche io.

E di certo sarebbe stato ucciso anche Draco Malfoy.

Eppure l’aver materialmente provocato la sua scomparsa, anche se sotto suo preciso ordine, mi fa sentire comunque profondamente colpevole. Come se una nuova macchia si fosse posta sulla mia pelle, come se un nuovo strato di sudiciume si fosse incrostato su di me.

Avevo giurato che non avrei mai più ucciso.

L’avevo giurato a mezza bocca con il ricordo negli occhi di Lily bambina che correva verso di me sorridendo.

Ma in fondo sono solo questo.

Un assassino, per scelta.

Ma quando l’ho scelto veramente? Quando giravo con i miei compagni Slytherin per sentirmi protetto e forte nei confronti di Potter e della sua stupida gang, quando ho sentito addosso il fascino delle arti oscure, quando parole di potere ed echi di violenza mi hanno sedotto senza scampo?

Quando…

…quando ho visto la bocca di Potter posarsi senza chiedere permesso sulle labbra di Lily, i loro occhi chiusi, le loro braccia aperte, l’una verso l’altro, così stretti, così vicini.

Abbandonati.

Quando ho scoperto di aver perso.

Non una cosa. Non un amore.

Quando ho scoperto di aver perso la mia sfida con la vita.

«Vattene, Severus!» lo urlò spingendomi via, divincolandosi. Le avevo preso il braccio, senza troppa forza, troppo debole, ancora, di nuovo, troppo me stesso, troppo vuoto, troppo poco, troppo maledettamente poco per lei. «Non sono affari tuoi!»

«Sì!» le urlai. «Sì… noi, noi siamo amici…»

«NO!» piangeva, scotendo la testa, i capelli rossi ondeggiavano nell’aria semibuia come fiamme smorte di un camino in agonia. «No. Lo eravamo. Adesso tu... »

«Ma come è possibile? Tu odi Potter, Lily, tu lo hai sempre odiato, lui è un uomo spregevole!»

Ansimavo, non avevo parole, non avevo fiato.

«È cento volte migliore di te!» la sua voce, nel corridoio deserto, riecheggiò pugnalandomi da ogni angolo. Rimasi stordito.

Potter. Il borioso, odioso, rumoroso, incivile, stupido Potter.

Cento volte migliore di me.

Per Lily Evans.

«Non ti credo» balbettai.

Le lacrime le arrossavano il volto e gli occhi. Stringeva con l’altra mano il braccio che le avevo afferrato.

«Lui è diverso. Tu sei uno di loro. Hai fatto la tua scelta, Severus».

Diedi un pugno al muro senza preavviso. Lily sussultò.

Restammo qualche secondo così. La mia mano ammaccata aveva iniziato a sanguinare. Lei la guardava, singhiozzando piano e rabbrividendo, senza muoversi dalla sua posizione a pochi metri da me.

«Non sono io ad aver scelto» la mia voce risuonò calma in maniera innaturale «Sei stata tu ad averlo fatto. Io non avevo ancora preso la mia decisone. Prima».

Come un codardo non la guardai. Andai via voltando le spalle alle sue lacrime.

«Severus… non farlo».

Fu un sussurro. Da venti anni mi domando se lo abbia detto davvero o se sia stata la mia immaginazione a regalarmelo.

Credo di essermi fatto tatuare il Marchio Nero per smettere di soffrire.

Pensavo che diventare un Death-Eather, mettermi al servizio di un ideale superiore in grado di dare potere, mi avrebbe salvato.

Pensavo che sarebbe finito prima o poi, che l’immagine di Lily naufragata sul corpo di Potter, lì, nell’intimità dell’amore, diventasse indifferente come lo sguardo opaco di un uomo esanime ai miei piedi.

Non mi importava di uccidere. Troppo era morto dentro di me.

Non mi importava, volevo solo che tutto questo smettesse.

Non so che forma abbia il dolore. Non so se sia spigolosa e dura, oppure se si plasmi come una maschera di cera sulla dimensione di ciascuno.

Non so se in fondo abbia una forma, oppure sia veleno aeriforme che ciascuno aspira per poi veder venir meno il fiato.

Non so che forma abbia il dolore. Nella mia mente ha gli occhi color verde marino di Lily, aperti e sorridenti, persi e innamorati, come quando si scioglievano in quelli bruni del suo Potter.

Nella mia mente ha la forma del rimpianto, di ciò che non sono mai riuscito ad ottenere, di ciò che non ho saputo difendere.

So solo che con il dolore occorre imparare a convivere. Il dolore della perdita, un vuoto troppo pieno perché non possa essere sempre presente.

È lì, al centro del petto, fra i pensieri e la meccanica della quotidianità, in ogni gesto, in ogni pausa, fra i sogni ed il risveglio.

Una voragine che ha iniziato a ruotare quando per la prima volta ho visto la sua mano in quella di Potter.

Una voragine che mi ha inghiottito inesorabilmente quando ho posato le mie labbra sulla sua gelida fronte di perla.

Dumbledore era riuscito a concedermi qualche minuto solo con lei.

Mi aveva messo una mano sulla spalla e mi aveva spinto dentro quella stanza dal forte profumo di fiori freschi, dove lei e Potter giacevano immobili.

Il rumore dei miei passi era sordo.

Io non riuscivo a pensare a nulla che non mi straziasse il cuore.

Gli occhi di Lily erano chiusi. Non guardavano più niente.

Né con astio e sdegno me, né con amore il suo caro marito.

Era così bianca da sembrare d’avorio.

Finta, una bambola.

L’unica cosa ad essere ancora viva erano i capelli, color fiamma, ben rassettati, che le ricadevano da entrambe le parti del viso.

La disperazione era troppo forte per poterla razionalizzare.

In quel momento non mi importava di nulla.

Non mi interessava di averla persa, che non fosse più mia.

Non me ne fregava niente che sospirasse notte per notte agli amplessi di Potter.

Non contava nemmeno che io fossi ancora vivo, che non fossi ad Azkaban.

Che avessi una vita davanti.

Io volevo solo che fosse viva.

Di Potter, lontana, persa.

Ma viva.

Che esistesse. Che il suo pensiero ogni tanto mi sfiorasse, come una carezza mesta e triste.

Che potesse gioire, anche per me, anche al posto mio.

Che i suoi occhi si aprissero e osservassero il mondo, di nuovo, riempiendolo di colore.

Volevo unicamente che Lily Evans non fosse morta.

Tutto il resto non contava.

Io non contavo

«È colpa mia, Lily?», mi accorsi di sussurrarle piano queste parole bagnate da tutte le lacrime che non riuscivo a piangere sulla bocca senza respiro «Sei morta per colpa mia, Lily? Rispondimi, Lily, ti prego… rispondimi…»

Avrei voluto premere le mie labbra sulle sue, lì, con forza, con la passione che non avevo mai vissuto.

Vi gemetti sopra. Poi deviai la mia bocca alla sua fronte, lasciando un bacio sulla sua pelle di cera, con levità, con tutta la delicatezza che non ero mai stato capace di dimostrarle.

Era così fredda…

Ho trovato una lettera fra le cianfrusaglie vecchie di Black.

Mi sono sentito come un ladro di passato ed emozioni. Mi sono sentito confuso e agitato insieme stringendo fra le dita questa vecchia busta di carta.

So che è sua, anche se i caratteri a stampatello sul retro sono ormai troppo scoloriti per essere leggibili.

Mi siedo al bordo del letto di Black, mentre attorno a me un disastro di roba sparpagliata marchia il segno della mia presenza.

Apro piano la lettera, qualcosa mi cade in grembo, ma sul momento non vi presto attenzione.

È la sua grafia. La riconoscerei fra mille. Così piana e pulita. Così serena e pacata, come il verde dei suoi occhi.

Non riesco a leggere. Non riesco a capire le parole.

Caro PadFoot,

C’è lei in quella lettera. Tutta la sua voglia di vivere. Tutta la sua devozione per quei dannati Potter.

C’è lei in ogni suo vezzo, c’è lei in ogni movimento, c’è lei in ogni espressione del volto.

C’è lei con i suoi sogni e le sue speranze.

Così intima, così vera.

C’è tutto il suo amore.

Non riesco più a vedere. Ho gli occhi appannati, e qualche lettera è stinta d’amore e dolore insieme.

Sto piangendo. Sto sciogliendo i tratti del suo inchiostro nella mia sofferenza.

Sto piangendo.

Io, Severus Snape, il Death-Eater, l’assassino.

Piango, verso il mio dolore antico, il mio amore per Lily che non è mai morto.

Sono venuto qui per ricordare che, in questa solitudine sterminata, in questi lunghi, complicati, infernali mesi, io devo vendicare Lily Evans.

Io devo rendere imperituro il mio amore.

Devo pagare il mio debito.

Devo continuare a proteggere Lily, ciò che resta di lei.

Non mi importa di morire.

Non m’importa di nulla da quella dannata notte.

Ho vissuto solo per questo e la presenza tangibile di questa donna che è stata, lo testimonia.

Raccolgo, con il volto devastato dal pianto, ciò che mi era caduto poco prima in grembo.

È una foto. C’è il piccolo Potter che gioca su di una scopa giocattolo, il padre.

E Lily.

Come me la ricordo, con i suoi capelli rossi, con i suoi occhi pieni di vita.

Sorride.

Al futuro, all’amore.

Come l’ho vista fare per anni, come ha fatto quella mattina in biblioteca.

Anche quello era un modo di amare, Severus?

Strappo la foto in due, conservo il pezzo con l’unica donna della mia vita.

Prendo l’ultima parte della lettera.

Non devo dimenticare. Non posso.

Ma ho bisogno, adesso che anche il volto amico di Dumbledore mi ha lasciato, adesso che nessuno sa chi io veramente sia, adesso ho bisogno di essere guidato.

Con tutto il mio amore,

Lily

Perché forse la vera forma del mio dolore è quella dell’amore.

 

 

  
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