7.
I
put a spell on you
«La cosa
più strana,» disse Erin rivolta al soffitto, «è che da tre giorni faccio
regolarmente sesso con un ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla.»
Pronunciare
quelle parole a voce alta la fece ridere, e con compiaciuto imbarazzo si rotolò
tra le lenzuola sfatte e ancora tiepide del proprio letto. Affondando la faccia
nel cuscino rifletté sulla piega folle che quella situazione folle di per sé
aveva preso dalla sera del concerto alla Symphony Hall: il coinvolgimento
fisico non era previsto e lei non ci aveva pensato fino a che non aveva
guardato Loki con gli occhi di una donna che rimira un uomo, e non come
un’irlandese dai gloriosi propositi che osserva un potenziale, potente alleato.
Non aveva idea di come la vedesse l’asgardiano, sebbene fosse evidente che
anche lui apprezzava quella nuova intimità. Aveva il dubbio che avesse
orchestrato tutto per conquistare la sua fiducia e per confonderle la mente, ma
essendo lei furba abbastanza da aspettarselo il problema non si poneva. Erin poteva godersi la situazione finché non fosse mutata ancora.
E chissà come sarebbe mutata, si domandò: il dio
caduto e reso mortale sarebbe rimasto tale? Oppure finalmente i suoi poteri
sarebbero ricomparsi – e lei, a quel punto, che ruolo avrebbe avuto? Come
sarebbe stato l’uomo che aveva imparato a conoscere, una volta tornato nei suoi reali e regali panni? Che cosa sarebbe successo? Quella che
era iniziata come un’eccitante avventura si stava trasformando in un’incognita,
e un lievissimo presentimento pungente la fece balzare a sedere sul letto. Non
capiva di cosa si trattasse, ma le suscitò un sussulto che rassomigliava alla
preoccupazione.
Con la
fronte aggrottata scese dal materasso, s’infilò distrattamente una maglia
larga e un paio di slip e rimuginando andò nel soggiorno: Loki era in piedi
davanti alla finestra, come suo solito e con indosso una delle camicie che lei gli
aveva comprato, e scrutava il cielo con un’espressione distante e concentrata
che Erin non ricordava di aver mai visto in quel lungo mese di convivenza.
Allora seguì il suo sguardo, incuriosita, e notò che grosse nuvole opache
avevano coperto il sole che sino a poco prima aveva brillato e che un leggero
vento si era levato dando un’aria autunnale a quella giornata di giugno.
Il
presentimento senza nome si fece più acuto e la flautista di Galway sfiorò con
le dita il polso sinistro dell’asgardiano, affiancandoglisi.
«Ti vedo
pensieroso.» gli disse.
Lui
annuì: «Sta accadendo qualcosa sopra i cieli di Midgard.»
«Qualcosa di poco piacevole?» chiese Erin, e d’istinto gli si strinse contro.
«Non lo
so.» ammise Loki in tono asciutto; «Non mi piace ciò che vedo, ma da qui e
con occhi mortali ben poco posso capire. Andrò sul tetto per cercare una
prospettiva migliore.»
Poi
abbassò lo sguardo su di lei e trovandola corrucciata si chinò a baciarla, e
assaporò il momento in cui la sentì ammorbidirsi tra le sue braccia come una
piuma. Sapeva che certe sensazioni prima o poi avrebbero rischiato di renderlo
debole, similmente allo stolto amore della sua famiglia, eppure lui stesso le
cercava e non intendeva ancora privarsene: era pur sempre Loki di Asgard,
pensò, e faceva quel che desiderava fare.
Si
sciolsero dall’abbraccio e l’irlandese gli sorrise, il volto di nuovo disteso e
convinto:
«Io ne
approfitto per studiare un po’. Se hai bisogno di me sai dove trovarmi.»
ammiccò.
Il Dio
degli Inganni andò quindi a mettersi un paio di calzoni e gli stivali e uscì
dall’appartamento per imboccare le scale che conducevano alla sommità del
palazzo; Erin si sistemò al leggìo con il suo flauto d’argento.
Trascorsero
un paio d’ore, durante le quali l’unico cambiamento sostanziale fu un
progressivo e ulteriore oscuramento del
cielo a opera di nuvole più dense e basse. Anche il vento s’intensificò, e
sembrò che tutto si stesse preparando per una tempesta o un temporale.
All’improvviso
squillò il telefono ed Erin prese la comunicazione sbuffando, scocciata per
l’interruzione: «Casa Anwar. Chi parla?» borbottò con voce strascicata.
«Dannata
irlandese che non sei altro! Sono io!» proruppe Sylvia all’altro capo del
filo.
«Neu,
accidenti a te, com’è che mi telefoni sul fisso?» rispose lei scherzosamente.
«Hai il
cellulare staccato e sono tre giorni che non ti fai viva. Avevo paura che il
maniaco di Stoccarda ti avesse rapita dopo il concerto.»
Erin
scoppiò in una grassa risata: «Diciamo che il rapimento è stato reciproco.»
le sfuggì, e subito si pentì di quelle parole. Non era sicura di voler rivelare
la verità all’amica.
«Prova a
negare l’evidenza adesso, Anwar! Sapevo che era lui, lo avevo riconosciuto.»
la rimbrottò infatti questa, grave: «Mi spieghi chi diavolo è e dove lo hai ripescato?
E se gli hai dato l’invito per la Symphony Hall cosa significa, che ci stai uscendo?»
«Non
credo di volertene parlare attraverso una cornetta.» nicchiò Erin prendendo
tempo, e contemporaneamente guardò fuori dalla finestra: le era parso di vedere
un lampo.
«Allora
andiamo a bere qualcosa stasera, ti prego. Voglio sapere ogni cosa, e anche io
devo raccontarti... Ehi, Francis, lo hai visto pure tu?» s’interruppe di botto
Sylvia.
«Francis
è lì con te?» domandò l’irlandese a metà tra l’incredulo e il piccato.
«Ti ho
appena detto che anche io devo raccontarti alcune novità, Erin, e...»
Ma la
rossa non terminò nemmeno quella frase ed Erin udì in lontananza il
trombettista gridare qualcosa d’incomprensibile all’indirizzo di Sylvia, la
quale a sua volta urlò con voce strozzata: «Che cos’è quello? Erin! Erin, ci sei? Francis, vieni qui!»
La
flautista scostò l’orecchio dal telefono, turbata, e fece per parlare, ma in
quel preciso istante una deflagrazione esterna coprì ogni altro suono e un
bagliore rossastro la accecò.
«Signore, emergenza generale! Signore!» annunciò Maria Hill nel proprio
auricolare.
La sala
comandi della base era come impazzita, tra agenti e specialisti che vociavano
all’unisono, suoni d’allarme e luci lampeggianti; Jane Foster fissava
agghiacciata e immobile il grande schermo olografico del computer principale ed
Erik Selvig armeggiava con una tastiera come se una giusta sequenza di comandi
avesse potuto risolvere la situazione.
Nick Fury
arrivò di corsa: «Mi aggiorni, agente Hill.» ordinò con fermezza.
La donna
non si curò neppure di mettersi sull’attenti: «Emergenza generale, direttore.
Oggetti non identificati sono comparsi nell’atmosfera terrestre e stiamo
registrando attacchi mirati alle principali città degli Stati Uniti. Una di
queste è Boston, signore.» riferì in fretta.
«Attacchi di che genere, agente Hill? L’ultima anomalia rilevata stamane non era
più intensa delle precedenti! Com’è possibile che nessuno si sia accorto di
niente sino a ora?» incalzò Fury, e il suo sguardo furibondo si posò sui due
scienziati del New Mexico.
«Direttore,
è avvenuto tutto in pochissimi minuti, compreso un innalzamento abnorme dei
valori elettromagnetici.» spiegò Selvig: «Non potevamo prevederlo.»
«Attacchi di che genere, agente Hill?» ripetè l’uomo duramente.
«Aerei,
signore, compiuti da velivoli simili a quelli dell’assedio di New York.
L’esercito e la guardia nazionale sono già stati avvisati.»
Fury fece
una smorfia di sdegno: «Me ne fotto di quegli incapaci. Stark?»
«È già
in viaggio col suo jet privato. Anzi, per la precisione sta scortando il suo jet privato.» rispose
Maria; «Immagino che lungo il tragitto Iron Man avrà del lavoro da fare.»
«Bene.
Qualcuno sa dirmi se abbiamo registrato tracce del Tesseract?» chiese il
direttore.
Selvig
scosse il capo: «Nessuna traccia del Tesseract né di Loki, se è questo che
vuole sapere. A quanto ci risulta sono entrambi al sicuro su Asgard.»
«E
allora come possono essere giunti qui dei nuovi invasori alieni, professore?»
L’altro
esitò e scambiò un’occhiata allarmata con la sua giovane collega: «Non ne ho
idea, signore. Ma chiunque vi sia dietro questi attacchi è potente abbastanza
da non aver bisogno di portali artificiali per arrivare fino a noi.»
Le due
donne impallidirono e Nick Fury incrociò le braccia al petto:
«Agente
Hill, chiami a raccolta gli altri Vendicatori. È il momento.» disse.
Erin
riaprì le palpebre serrate giusto in tempo per udire la porta dell’appartamento
spalancarsi e i passi di Loki che rientrava correndo:
«Sei
ferita?» la apostrofò aiutandola a rialzarsi da terra, ed era affannato.
L’irlandese
lo fissò con sospetto: «Cosa cazzo hai combinato sul tetto? Ti sono tornati i
poteri e hai deciso di far saltare in aria cose a caso per rimetterti in
forma?» lo aggredì.
«Folle
mortale, credi che tutto questo sia opera mia?» ribatté l’asgardiano punto
sul vivo, ma senza lasciarle le mani: «Se lo fosse, come spiegheresti il fatto
che le esplosioni di cui parli non accennano a fermarsi?», e a confermare ciò
una nuova deflagrazione si schiantò contro i vetri delle finestre del
soggiorno, mandandole in pezzi e costringendo i due a ripararsi dietro la
poltrona preferita del dio caduto. Dalla strada salivano grida e rumori
stridenti.
Erin bestemmiò
e chiese: «E quindi? È colpa di quelle nuvole?»
«Le
nuvole erano soltanto un preavviso, Erin, e l’ho capito troppo tardi. Lui mi
ha trovato e ha messo in atto il suo piano e, che sia maledetto, non si
limiterà a questo.»
«Lui chi, Loki?» urlò
rabbiosa la ragazza di Galway.
Ma il Dio
degli Inganni non riuscì a rispondere. Dalle finestre rovinate giunsero in volo
due bizzarri veicoli simili a quelli che i telegiornali avevano mostrato durante
la battaglia di Manhattan e una mezza dozzina di esseri dalle fattezze umanoidi piombarono nella stanza: brandivano lunghe lance e strane armi da fuoco
che puntarono contro Erin e Loki, e quello che aveva l’aria del capo si abbassò
su quest’ultimo sogghignando.
«Ecco
dunque dove ti nascondevi, asgardiano.» lo apostrofò con voce innaturale,
fredda e terribile: «Thanos mi ha mandato a cercarti con l’espresso ordine di
rammentarti una sua antica promessa. E tu sai bene di quale promessa parlo, non
è vero?»
Lo
afferrò per il collo con lunghe dita artigliate e lo forzò ad alzarsi in piedi,
godendo nel vederlo annaspare e impallidire appena sotto la propria stretta;
l’irlandese sentì il sudore ghiacciarlesi fastidiosamente addosso e allungò una
mano tremante verso il flauto che ora giaceva a terra poco lontano da loro,
cercando di non farsi notare dagli intrusi. Con mente annebbiata collegò il
nome di Thanos a quel “lui” cui Loki si era riferito poco prima, ma non aveva
idea di quale fosse la promessa tirata in ballo dal comandante alieno né del
motivo per cui il dio caduto fosse la loro preda.
«Lo so
benissimo, infido skrull.» rispose Loki in un sibilo: «Tuttavia solo Thanos
ha il potere e il diritto di metterla in pratica, non certo un suo orrido
sottoposto.»
L’altro
emise un suono orribile che sembrava una risata e con violenza mandò il Dio
degli Inganni a sbattere contro una parete.
«Ma
guardati, asgardiano! Nelle ridicole condizioni in cui versi chiunque potrebbe
procurarti quel dolore, persino
l’umana che è con te!» esclamò trionfante. «Credimi, vorrei assistere allo
spettacolo, eppure Thanos mi ha detto di condurti finalmente al suo cospetto e non ho intenzione di deluderlo.»
«Oh,
temo che dovrai.» azzardò Loki, tossendo nel tentativo di sollevarsi.
Non
sopportava più quell’impotenza e tra sé implorò il Padre degli Dei affinché lo
aiutasse: quanto ancora voleva attendere, Odino? Avrebbe lasciato che quegli
esseri inferiori lo trascinassero via come uno schiavo, come un mortale
qualsiasi? Lo avrebbe lasciato morire, assistendo alla scena e piangendo senza
muovere un dito? Di quale dimostrazione ancora aveva bisogno da parte sua per
decidersi a intervenire? Il dio caduto strinse i denti e guardò con odio il
nemico avanzare verso di lui a lancia spianata, un ghigno soddisfatto dipinto
sul muso squamato.
«Non un
passo di più, stronzo.» intimò però una voce chiara e decisa.
Erin
Anwar stava fronteggiando lo skrull a gambe divaricate, il flauto d’argento
impugnato a mo’ di spada e l’espressione feroce nonostante la maglia larga, gli
slip gialli e i piedi nudi.
«Togliti
di lì, donna d’Irlanda! Sei forse impazzita?» le urlò Loki.
«Non lo
sono forse sempre stata?» fu l’arrogante replica.
Ma il
capo alieno non aveva tempo di giocare alla guerra con una midgardiana armata
di uno strumento musicale, e con un colpo ben assestato la scaraventò all’altro
capo della stanza. Erin si afflosciò a terra con un breve grido, il Dio degli
Inganni scattò in avanti per raggiungerla e il comandante lo bloccò puntandogli
la lancia al petto:
«Tu hai
fallito, asgardiano, e questo è il prezzo da pagare. Thanos ti aveva avvertito.»
Thor
misurava a grandi e nervosi passi la sala del trono, Mjölnir in pugno.
«Padre,
come puoi restare immobile a guardare?» disse a Odino che lo mirava dall’alto,
combattuto. «Loki è in pericolo e tu
hai permesso che questo avvenisse! Lascia ch’io torni su Midgard per aiutare
gli eroi umani e per soccorrere mio fratello! Oppure...»
Il Dio
del Tuono s’interruppe e s’inginocchiò davanti al sovrano, fremente:
«Oppure
restituiscigli i suoi poteri, padre. Merita di riaverli, ormai! Se non gli
concederai quest’occasione Loki morirà, e con lui la donna che sta proteggendo.»
Odino
sospirò pesantemente: «Temo ciò che tuo fratello potrebbe fare una volta
tornato se stesso. Non intendevo renderlo nuovamente divino così presto, Thor.»
«E non
temi ciò che potrebbe accadergli se non mi dai ascolto?» gridò il figlio.
Allora il
Padre degli Dei si levò dal seggio d’oro, brandì lo scettro con entrambe le
mani come aveva fatto nel giorno dell’esilio di Loki e guardò gravemente il suo
rampollo maggiore:
«Farò
come suggerisci. Ma per tuo fratello sarà un’ulteriore prova, e se si
dimostrerà ancora indegno lo priverò per sempre dei suoi poteri e della sua
natura immortale.» decretò. «Ora va’, figlio, e fa’ in modo che entrambi mi
rendiate fiero di voi.»
Il biondo
guerriero balzò in piedi sorridendo:
«Ti
ringrazio, padre mio.» si congedò con gratitudine, e attese.
Odino
sollevò il bastone reale e con esso percosse il lucido pavimento una volta
soltanto, e l’intero salone fu avvolto da una luce accecante nella quale Thor
si dissolse. E mentre questi viaggiava a tutta velocità verso Midgard, verso i
Vendicatori, nell’appartamento di Erin una bolla luminosa s’innalzò attorno al
corpo del Dio degli Inganni e come un’esplosione scagliò lontano da lui gli
assalitori. L’irlandese fissò quel bagliore, meravigliata e dolorante, e con un
tuffo al cuore ricordò gli stralci lucenti che avevano avvolto l’asgardiano a
Stoccarda, quando i suoi abiti umani si erano trasformati sotto gli occhi di
tutti.
E anche
adesso Loki parve crescere in possanza e statura, e nell’aria colma di luce
presero forma le grandi corna ricurve del suo elmo, l’ampio manto verde, l’armatura leggera e la lunga tunica di cuoio nero che lo avvolgeva sino ai
polpacci. Erin seppe allora che i suoi poteri e la sua vera natura erano rientrati
in lui, e ne fu felice e spaventata insieme.
Egli
sentì nuova vita e forza circolargli infine nelle vene e arroventargli il
sangue, il cuore che gli martellava in gola dal trionfo e dalla gioia: lanciò
un’esclamazione vittoriosa verso il cielo, grato al Padre degli Dei
per quel dono e a se medesimo per averlo ottenuto indietro.
I nemici
lo fissarono tremebondi e confusi, stupiti da quell’imprevisto, e prima che
potessero studiare una contromossa Loki agitò rapido le mani nel fulgore che
scemava e uno a uno li colpì con armi invisibili e incantesimi silenziosi. Nel giro di pochi minuti due skrull almeno giacquero morti a terra e gli altri vennero
scaraventati giù in strada con i loro velivoli.
Il Dio
degli Inganni proruppe in una risata d’esultanza e allargando le braccia si
voltò verso l’irlandese ancora riversa sul pavimento. Erin d’impulso si
ritrasse e sollevò il flauto, stupidamente, colta da un irrazionale timore per
colui che le torreggiava sopra. Si detestò per questo, e tuttavia non potè fare
a meno di pensare che Loki era ormai libero di sbarazzarsi di lei: non gli
serviva più, se mai gli era servita a qualcosa, e non c’era che un po’ di buon sesso e di un
mese di convivenza surreale a legarli l'uno all'altra.
Ma Loki
le tese una mano e la guardò serio. Aveva creduto che tornando in possesso di
ciò che gli spettava per nascita avrebbe cessato di trovare attraente l’assurda
mortale, di desiderarla, e in un lampo di comprensione si rese invece conto che
così non era: era ancora bella, ai suoi occhi, e ancora gli s’incendiavano le
viscere al pensiero di averla tra le braccia.
Si era
aspettato di disinteressarsi al suo destino, una volta passata quella triste
fase umana, eppure ora che il momento era giunto un’idea completamente diversa
gli balenò in mente. Voleva che Erin Anwar rimanesse al suo fianco, nella
guerra che gli si prospettava dinnanzi, la voleva come complice e alleata, perché gli
piacevano la sua intelligenza e il suo corpo e il suo modo così poco umano di
vedere il mondo.
Tenne la
mano tesa fin quando lei non si rilassò e gli porse la propria, accettando
l’aiuto per rimettersi in piedi e convincendosi che poteva fidarsi. Loki la
tirò su senza sforzo e afferrandola per la vita la strinse a sé: e al centro
della stanza in subbuglio, col mantello che avvolgeva entrambi tra fruscii di
stoffa, il Dio degli Inganni tornò a baciare ardentemente la donna d’Irlanda, e
mentre la baciava pose la mano libera sul flauto che lei ancora brandiva.
Erin lo abbracciò,
e oltre al piacere dirompente che quel nuovo bacio le procurò avvertì
qualcos’altro, un’energia densa e tangibile che la colmò da capo a piedi: era
il potere di Loki, era la sua innata magia, e fluiva tra loro come energia
elettrica.
«Adesso
va meglio.» asserì l’asgardiano coi uno dei suoi ghigni eleganti a bacio
terminato.
«Oh,
immagino.» commentò lei: «Di’, mi hai appena fatto qualcosa di strano?»
Loki
indicò il flauto: «Farai bene a portatelo sempre appresso, d’ora in poi.»
«Riformulo la domanda: cos’hai fatto al mio flauto?» si corresse Erin osservando
l’oggetto.
«Lo hai
impugnato come un’arma, prima, nel nobile tentativo di difendermi dagli skrull. Ho ritenuto opportuno renderlo davvero tale.» spiegò lui seguitando a
sogghignare.
L’irlandese
azzardò un paio di fendenti a vuoto: «Posso usarlo a mo’ di spada? Che
razza di incantesimo ci hai messo sopra?»
«L’ho
reso indistruttibile. Ma penso che potrai ancora suonarlo, se vorrai.»
Erin lo
squadrò con espressione accesa: «Qual è la prossima mossa?» indagò.
In strada
vi furono altre deflagrazioni e urla, e il cielo che s’incupiva fu squarciato
da bagliori rossastri. L’asgardiano guardò le finestre dai vetri spaccati,
l’elmo cornuto stagliato nettamente contro di esse, e parlò con voce profonda:
«Dobbiamo lasciare questa dimora. Thanos sa dove trovarmi, e se resto qui i suoi
sciocchi soldati ci faranno visita ogni giorno. Midgard è nuovamente sotto
attacco e non per merito mio, e non permetterò che colui che mi ha incastrato
la conquisti impunemente.»
«O tu o
lui, quindi.» puntualizzò
la ragazza di Galway. «Devi raccontarmi questa faccenda di Thanos come si
deve.»
«Ti
accontenterò strada facendo. Prendi le tue cose e andiamo, Erin Anwar.»
L’irlandese
volò a vestirsi e riempì due grosse borse con indumenti, libri, generi di prima
necessità femminile, alcune provviste e coi suoi averi più preziosi – il flauto
migliore che aveva, carte di credito, risparmi, computer portatile e macchina
fotografica. Dubitava che avrebbe utilizzato anche solo metà di quelle cose,
nei giorni a venire, ma non poteva separarsene. Indossò un paio di jeans, una
maglia di cotone, un cardigan e i suoi stivali di cuoio preferiti e si passò a
tracolla la custodia contenente il flauto magico.
Mentre il
Dio degli Inganni stava di guardia Erin abbassò le veneziane e chiuse i
vetri e le porte, controllò il rubinetto del gas e quelli del bagno e con una
lievissima stretta al cuore spense tutte le luci: non volle chiedersi in quali
condizioni avrebbe ritrovato la sua piccola casa, se mai vi avesse fatto
ritorno, e sapeva che andarsene era la scelta giusta.
Caricò le
borse in spalla e fece tintinnare le chiavi del Duetto tra le dita:
«Sono
pronta.» annunciò decisa.
Loki la precedette verso la porta dell’appartamento e insieme ne
uscirono, camminando affiancati e sicuri.
> Note a piè di
pagina
Da qui in poi i capitoli saranno sempre (più) lunghi, sapevatelo. Spero non vi dispiaccia :)
Gli skrull, che hanno appena fatto la loro comparsa, sono una razza di alieni
che nei fumetti Marvel spesso si scontrano con gli Avengers stessi; il loro
aspetto fisico è un misto tra umanoide e rettile, e per quanto non mi risulti
che si siano mai alleati con messer Thanos ce li vedevo troppo bene. E non loro
soltanto – ma questo lo appurerete poi.
Thor aveva bisogno di un suo primo, piccolo momento di gloria: sarà pure
una biga vichinga più avvezza a tirar martellate che a riflettere, però ci sono
troppo affezionata e ritengo che non sia quello soltanto. Mentre per la
faccenda del flauto… beh, mi auguro che non risulti un’idea troppo imbecille :D
I put a spell on
you è una celeberrima canzone di Nina Simone che ai due si addice, anche se ancor
di più si addice loro la già citata Invincible
degli Ok Go: sulla scena dello scontro e della “trasformazione” di Loki sta da
dieci. E a tal proposito – a proposito di Loki che è tornato “Loki”, della
decisione che ha preso, di Erin e della nuova minaccia – state pronte, signore,
perché d’ora innanzi tutto sarà badassery
allo stato puro.
Ringrazio tantissimo le donzelle che hanno recensito lo scorso capitolo!
Adoro conoscere le vostre impressioni e ipotesi, perciò non tiratevi indietro
;)
Ossequi asgardiani e a presto!