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Autore: Gloria Bennet    02/03/2013    10 recensioni
Bonnie si ritrovó a pensare a Damon, quello vero e, per puro caso o forse per destino, i suoi occhi si posarono sull'alta e stretta libreria a destra del camino. Tenendo in braccio il gatto si avvicinó e vide incise nel legno, all'altezza dei suoi occhi delle lettere. Formavano una parola, un nome. "DAMON"
In quel momento la serratura scattò...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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10. La parte migliore

 


 

 Per scuotere un cuore che ha sofferto ci vuole il doppio dell'amore che ha perso.

[Susanna Casciani]

 

 

 

Damon si sedette ai piedi di un acero. Non sapeva quanto tempo sarebbe rimasto lì sotto.
Aveva bisogno di riflettere. Aveva bisogno di stare solo.
La luna brillava sopra di lui e il cielo blu, trapunto di stelle, lo avvolgeva nel suo manto protettivo.
Perché era così difficile ammettere i propri sentimenti? Perché si ritrovava inerme di fronte alla loro forza?
E soprattutto perché sembrava che i suoi stessi sentimenti fossero l'unica cosa a riuscire a spaventarlo?
Odiava essere così umano. Sarebbe stato più facile aver spento la propria umanità.
Ma non avrebbe potuto mai farlo.
Ciò che aveva sofferto nella sua vita non era niente in confronto all'amore che aveva provato.
Non si legava mai a nessuno, ma quando lo faceva, tutto il dolore era sovrastato dalla gioia dei sentimenti.
Questo era successo con Bonnie. Le era grato. Grazie a lei, aveva sempre trovato la strada di casa.
Ma non sapeva più se fosse giusto trovarsi insieme a lei.
Era travolto dal suo amore per lui, ma era degno di essere il destinatario di quell'amore?
Guardò una stella che, più luminosa delle altre, brillava sopra di lui e si ritrovò a pensare a sua madre.
Avrebbe voluto parlarle. In cinque secoli senza di lei si era abituato a vivere da orfano, ma a volte, era inevitabile sentirne la mancanza. Se ci fosse stata sua madre, sarebbe bastato guardarla per capire che cosa dovesse fare.
Con un suo sguardo, avrebbe saputo. L'avrebbe abbracciata forte e avrebbe capito. Invece era solo. E doveva decidere. Avrebbe potuto chiamare Stefan? No.

Aveva bisogno di sua madre.
Avrebbe potuto pregare? Damon Salvatore non pregava, mai.
Eppure il vuoto che sentiva al cuore sembrava dirgli esattamente il contrario.
Doveva parlare con lei. Prese un bastoncino di legno che era lì per terra e iniziò a rigirarselo fra le dita.
Era ruvido. In quel momento, perso nella contemplazione del cielo, si mise a parlare con sua madre.
Era imbarazzato e non sapeva bene cosa dire, così lasciò che le parole uscissero dalla sua bocca senza pensarci troppo.

«Ciao mamma» sussurrò.

«Vorrei tanto poterti parlare, vedere, o anche solo sentire la tua voce..» la sua voce si incrinò.

«Ma non posso e quindi ti posso solo dire che mi manchi e, anche se non ti ho sempre pensata..» il legnetto si stava per spezzare «Non ti ho mai dimenticata perché ti voglio bene..» ridacchiò tra sé, pensando a quanto dovesse suonare ridicolo in quel momento.
E, prima di potersene veramente rendere conto, il cielo immenso e scuro si schiarì e, come uno schermo del cinema, proiettò nella sua anima l'immagine di un ricordo.

 

Era estate. Stefan e lui si trovavano nel parco della loro villa a Firenze. Si stavano rincorrendo e Damon stava raggiungendo il suo fratellino. La terra era umida perché aveva da poco finito di piovere. In cielo c'era ancora il riflesso dei colori dell'arcobaleno che stavano per svanire.

«Ti sto per prendere, Stef» disse gaiamente Damon.

Stefan continuava a correre per il prato finché non si fermò davanti alla serra della loro mamma.

Era colma di fiori di ogni genere, colore e specie il cui profumo si espandeva anche a distanza, riempiendo il parco con una fragranza delicata e unica. Solo allora si accorse che Damon era rimasto indietro. Si guardò alle spalle e vide che era caduto a terra, il suo ginocchio era sbucciato. Aveva solo cinque anni e, temendo che il suo fratellone si fosse fatto tanto male, corse nella serra piangendo. Sua madre era lì, stava innaffiando un giglio. I capelli rossi e boccolosi le ricadevano sulle spalle. Stefan le corse incontro, con le lacrime agli occhi.

«Mamma, mamma, Damon si é fatto male» disse, col fiatone.

Sua madre lo guardò teneramente e lo prese in braccio.

«Tesoro, non ti preoccupare. Adesso andiamo a guarirlo»

Con il suo piccolo tra le braccia, si incamminò da Damon. Era seduto per terra con il ginocchio sbucciato. La ferita era abbastanza profonda. Il bambino, però, non sembrava particolarmente sofferente nonostante il sangue continuasse a scorrergli sulla pelle, fuoriuscendo dal taglio.

Rose* si avvicinò a lui, lasciando andare Stefan.

«Damon, perché non mi hai chiamata? Dovevi urlare tesoro! Questa é una bella ferita e sarei venuta subito a soccorrerti»

Damon la guardò. I suoi occhi scuri erano velati dal dolore. Ma a lui non piaceva piangere. Preferiva soffrire in silenzio. A sua madre bastò quello sguardo per capirlo.

«Non devi pensare che sia da fifoni lamentarsi di stare male, piangendo per il dolore, tesoro»

«Ma io voglio farcela da solo, mamma»

Sua mamma prese un fazzoletto di seta bianca con un ricamo floreale, che aveva in mano e, dopo aver tamponato e pulito un po' la ferita, glielo strinse intorno al ginocchio.

«Ricordati che nessuno può farcela da solo in questa vita. Non devi aver paura di mostrare i tuoi sentimenti. Non sono segno di debolezza, sono segno di forza. Anche i più coraggiosi hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, che li sostenga e che li ami»

Damon guardò la sua amata mamma, sistemargli la ferita. Il suo solo tocco gli aveva placato il dolore.

«Grazie mamma» esclamò. Lei gli sorrise e, dolcemente, lo prese tra le braccia.

«Ci sarò sempre per te, piccolo grande Damon»

Il bambino lasciò cadere la testa sulla spalla della madre e inspirò il suo profumo di limone e gelsomino. Sorrise mentre il fratellino li seguiva a piedi, senza più lacrime agli occhi, ricambiando il sorriso di Damon col suo sdentato.

 


Il Damon del presente si mise a sorridere. Conservava ancora quel fazzoletto...Da quel giorno non se n'era più separato. Perché sapeva che sua mamma aveva ragione. Anche i più coraggiosi hanno bisogno di qualcuno al loro fianco.

 

 

 

Si ama la propria madre quasi senza saperlo, senza comprenderlo, perché è naturale come vivere; e avvertiamo la profondità delle radici di tale amore solo al momento della separazione finale.

[Guy de Maupassant]

 

 

 

 

Non appena lo scrigno s'aprì, un calore improvviso scaldò il cuore della giovane.
Stava per scoprire quel lato che Damon aveva sempre tenuto nascosto a tutti.
Quel lato che, presto, avrebbe conosciuto solo lei. Lasciò che il gatto, entusiasta quasi quanto lei, si posasse sulle sue gambe e, sedutasi sul pavimento di marmo, iniziò a osservare ciò che quel libro rilegato di seta rossa, conteneva.
La prima cosa che vide fu tutto. E niente.
Era a tal punto colmo di oggetti, pezzi di carta e foto che riuscì a distinguere solo un grande assortimento di colori appartenenti a chissà quali oggetti.
La prima cosa che la colpì, però, fu una ciocca di capelli boccolosi dello stesso colore del melograno.
La sua bocca si spalancò. Erano i SUOI capelli.
Bonnie aveva sentito che Damon, una volta risorto nella dimensione oscura, aveva due ciocche di capelli tra le mani, ma non pensava veramente che fosse la verità.
Soprattutto non pensava che il vampiro potesse ancora conservare una ciocca dei suoi capelli.
E, non c'erano solo i suoi capelli lì dentro. C'era un'altra ciocca di capelli rossi come i suoi, ma più chiari.
Sbiaditi, forse, dallo scorrere del tempo. Bonnie capì subito a chi dovessero appartenere perché, appena li prese tra le mani, vide il volto di una donna.
La sua bellezza era angelica e soave. I capelli rossi le scendevano sulle spalle e il suo sorriso brillava d'amore.
Il candore della sua pelle faceva risaltare ancora di più il verde dei suoi occhi e il rosso dei suoi boccoli.
Il suo volto, per quanto avesse colori diversi da quello di Damon, era inconfondibilmente quello di sua madre.
Infatti i lineamenti erano molto simili e il taglio degli occhi era lo stesso.
Bonnie si ritrovò a sorridere mentre delle lacrime le illuminavano gli occhi.
Non sapeva perché stesse piangendo, ma incontrare la madre di Damon l'aveva emozionata.
Non si poteva definire un vero incontro, ma l'aveva vista e da quello sguardo aveva capito da chi avesse preso il bel moro. E poi, non avrebbe mai pensato che avesse i capelli identici ai suoi e tanto meno che Damon conservasse i suoi capelli nello stesso luogo in cui custodiva quelli della madre! Ripose le ciocche nello scrigno e lo guardò ancora, pronta a scegliere un altro oggetto. Le mani, prede di emozioni improvvise e intense, le tremavano.
In quell'agglomerato di tesori, c'erano colori di ogni sfumatura. Sembrava un arcobaleno di segreti.
Il colore dominante era il marrone/beige della carta annerita che riempiva l'interno del libro, ma si potevano distinguere anche altri colori, che, anche se di tonalità meno sgargianti, attiravano l'attenzione su di sé.
Fu il candore di un fazzoletto bianco dai ricami floreali rossi a stupirla. Era macchiato di sangue.
O meglio, delle chiazze scure erano presenti sulla stoffa. Lei sapeva che si trattava di sangue.
Infatti, rivide la scena del ricordo di Damon, nel parco della sua villa a Firenze.


 

Il piccolo Damon era già bellissimo. Aveva più o meno 10 anni e stava rincorrendo il piccolo Stefan per il parco. Entrambi sembravano così allegri, spensierati. Come se nulla potesse turbarli.
Non sapevano che, qualche anno dopo, avrebbero perso la madre.
Proprio nel momento in cui Damon scivolò a terra, Stefan corse verso la serra. Bonnie restò accanto a Damon, ferito. Lo guardò intensamente. I suoi occhi erano rimasti gli stessi. Così pieni di vita, eppure così spenti. Damon, già da quel momento, era un ossimoro vivente. La sua anima era bianca e candida, ma il suo aspetto era fiero e scuro.


 

É un difetto tipicamente umano: apparire duri per nascondere un'anima fragile.
[Paul Jack]

 


 

Presto ricomparve Stefan, piangente, tra le braccia della madre.
Era una donna splendida. I suoi occhi verdi come le foglie di limone erano brillanti e amorevoli.
Lasciò andare il suo piccolo per potersi dedicare a Damon. Gli rivolse parole piene d'affetto e amore.
Poi, prese il suo fazzoletto. Era lo stesso che Damon aveva conservato nel libro.
Candido come la pelle della madre Rose e ricamato di papaveri rossi come i suoi capelli. Lo usò per bendargli la ferita e, dopo averlo legato attorno al ginocchio di Damon, gli disse:

«Non devi aver paura di mostrare i tuoi sentimenti, piccolo. Non sono segno di debolezza, sono segno di forza»

Bonnie rimase colpita dalla dolcezza della sua voce e dall'affettuoso modo in cui aveva pronunciato quelle parole.
Erano così vere e giuste. Vide poi Rose prendere il suo Damon tra le braccia e riportarlo a casa mentre Stefan li seguiva, rasserenato dal fatto che il fratello stesse meglio.
La ragazza non poté fare a meno di ammirare la visione davanti ai suoi occhi. Quella era la madre dei fratelli Salvatore. Quella era la famiglia di Damon e desiderò ardentemente aver potuto vivere a quei tempi, aver potuto stringere tra le sue mani, quelle di Rose. Purtroppo quell'immagine di puro amore svanì ben presto e il tentativo di Bonnie di rincorrere il Damon bambino si rivelò vano.


Bonnie ritornò nella camera del pensionato e raccolse le foto presenti all'interno del libro.
Erano stupende e ognuna di esse aveva un significato speciale.
C'era anche la bozza piegata di un quadro in cui Damon era con sua madre, davanti a un acero.

Erano entrambi sorridenti e si tenevano abbracciati. Naturalmente le loro vesti erano quelle tipiche del XV secolo. Indossavano entrambi un mantello verde smeraldo.
A Bonnie bastò guardare quel disegno per un attimo e si ritrovò nello stesso giardino di poco prima.

«Stai fermo, tesoro» intimò Rose al figlio.

«Ma madre, come posso restare con un sorriso immobile per l'eternità?»

Sua madre lo strinse di più.

«Sii paziente che presto questa agonia sarà finita e potrai tornare a giocare con tuo fratello»

Quel pensiero sembrò rasserenare Damon che si ritrovò a sorridere in maniera ancora più spontanea mentre il disegnatore, un certo giovane artista da Vinci, li ritraeva.
Chi l'avrebbe mai detto che Damon avesse conosciuto Leonardo?
In ogni caso non fu quell'incontro a colpirla, bensì la gaiezza di quel ricordo e la forza con cui Damon strinse la sua mamma, come se fosse la persona più importante del mondo.


 

C'era poi una foto in bianco e nero che ritraeva Damon insieme a Stefan in America, presumibilmente a New York, negli anni '30. Indossavano entrambi uno smoking elegante e Damon stava sfoggiando il suo migliore sorriso sghembo mentre il fratello gli lanciava un'occhiataccia. Anche Bonnie sorrise. Come poteva fare diversamente? Un'altra foto mostrava Damon e Stefan sulla Tour Eiffel. Era più recente, degli anni '80 circa perché Damon indossava un giubbotto identico a quello di Tom Cruise in Top Gun e aveva persino lo stesso taglio di capelli mentre Stefan portava una giacca di jeans con le “spallotte”. Sorridevano e sembravano felici come non mai. Il cielo stellato di Parigi li avvolgeva col suo manto.
Poco dopo, fu un'altra cosa a colpirla. Una fiala a forma di goccia.
Ricordava bene il liquido che conteneva. Damon l'aveva bevuta e il risultato era stato quello di tornare umano e tutto il viaggio insieme a lei nella Dimensione Oscura per farlo tornare vampiro. Nella Dimensione Oscura, però, lui era morto e, in seguito, risorto. Tutto era iniziato nel momento in cui Damon aveva bevuto quella pozione destinata al fratello. Bonnie non capiva perché conservasse ancora la fiala vuota, ma supponeva che fosse un ricordo della possibilità di poter tornare umano.
Sapeva che Damon non avrebbe mai voluto tornare a essere "normale" perché da quando era diventato vampiro, si sentiva invincibile, indistruttibile, almeno fisicamente.
In realtà la sua anima era molto più vulnerabile di quanto volesse mostrare agli altri e a se stesso.
C'erano molti momenti in cui rimpiangeva di non essere più umano, ma ormai era destinato a restare vampiro per sempre. Bonnie lo amava, a prescindere da quello che fosse. Anzi, poteva ammettere di amarlo anche di più, dopo aver scoperto quella parte di lui. La sua parte migliore.
Era lì, all'interno di quello scrigno.
Comunque, non appena le sue dita avevano sfiorato la fiala vuota, Bonnie si era resa conto che Damon non sarebbe tornato umano, non più. Solo lei sarebbe invecchiata mentre la sua bellezza restava invariata. Immutata e uguale nel tempo.
Una sensazione spiacevole e dolorosa si impossessò di lei, ma non era il momento di lasciarsi andare a quelle riflessioni infelici. Doveva scoprire le ultime "proprietà" del vampiro.
Proprio sul fondo, nascosto da pezzi di carta bruciacchiati, c'era uno specchio.
Identico a quello che Damon aveva regalato qualche anno prima alla signora Flowers.
Bonnie lo prese tra le mani, perplessa, e scoprì la sua vera natura. Non era uno specchio qualunque.
Era un oggetto magico e Bonnie lo vide non appena il suo sguardo riflesso le permise di guardare oltre quella cornice di rose nere...


«Sta arrivando Damon» era la voce della signora Flowers.
«Non sono più così certo di voler venire. Sono trascorsi un po' di mesi e forse non é la scelta migliore ritornare a casa» disse Damon.
«Quanto ancora vuoi restare in giro per il mondo? In cinque secoli di vita, non hai ancora messo la testa a posto»

Damon ridacchiò. «Forse tornerò Teo, ma voglio che tu non le dica niente. Deve essere una sorpresa»

Bonnie era certa che stessero parlando di lei.

Il suo udito si fece ancora più attento alle loro parole.

«D'accordo Damon, ma non illuderti. Bonnie sta con Zander adesso»

Il viso di Damon, riflesso nello specchio che Bonnie teneva tra le mani, mostrò un'espressione indecifrabile.

«So quello che voglio. E quel lupacchiotto non mi fermerà. Potrà farlo solo Bonnie»

Era determinato, convinto più che mai di ciò che stava dicendo. Bonnie lo guardò e credette alle sue parole. Damon era tornato a Fell's Church perché lei ci sarebbe tornata. Ora sapeva che non era stato un caso, era stata una scelta. La sua scelta di tornare a casa, da lei. Inavvertitamente lasciò andare lo specchio che cadde con un leggero tonfo sul fondo dell'incavo vuoto del libro.

C'era una scatolina nera. La aprì e vide di cosa si trattava...


Damon stava piangendo a dirotto, seduto sull'altalena nel parco di casa sua. Il posto preferito di sua madre, dopo la serra.
Non riusciva a smettere di piangere da quando la sua bara era stata sepolta a decine di metri sottoterra. Come avrebbe potuto vivere senza la sua amata mamma? Non riusciva a spiegarsi perché fosse successo e più ci pensava, più stava male.

Dei passi incerti si avvicinarono a lui. Si voltò e incontrò due occhi dello stesso colore dei suoi. Appartenevano a un uomo alto e di bell'aspetto, dal nobile portamento. Era Giuseppe, suo padre.

Il padre si avvicinò al figlio e, si sedette al suo fianco.

«Vedi Damon, i nostri rapporti non sono mai stati dei migliori, ma voglio che tu sappia che ti voglio bene e puoi contare su di me, sempre» la voce gli tremava e sembrava che anche lui avesse pianto a lungo, sebbene avesse celato le lacrime ai figli.
Damon lo guardò e rendendosi conto del fatto che il padre avesse pianto, capì che sua madre era veramente morta.
Il dolore diventò irrefrenabile, il dolore lo stava divorando e l'unica cosa che poté fare per trovare conforto, tra le lacrime e i singhiozzi, fu stringere forte il padre e rifugiarsi tra le sue braccia in cerca di amore e sostegno che, fino a quel momento, aveva ricevuto solo dalla madre.
Il padre lo strinse forte e Damon lasciò cadere il viso sulla sua spalla.
Il sole splendeva sopra di loro mentre una lieve brezza faceva ondeggiare l'altalena.
Sembrva il respiro di Rose. Dolce e delicato.

«Damon, c'è una cosa che vorrei darti» esclamò Giuseppe.

Il figlio tredicenne lo guardò, incuriosito, mentre le lacrime nei suoi occhi si stavano asciugando.

Un raggio di sole investì entrambi riempiendoli di calore e, proprio in quel momento, Giuseppe porse al figlio una scatolina nera. Damon la prese, titubante, e la aprì. Dentro c'era un anello.
L'anello di fidanzamento di sua madre.

«Padre, perché vorreste darmelo?»

«Sei il mio figlio maggiore, caro e, anche se adesso hai solo tredici anni, prima o poi ti innamorerai di qualcuno e io voglio che tu dia questo anello a quella persona»

Damon lo prese tra le mani. Gli sembrava di toccare una parte di sua madre.
Sembrava che lei fosse ancora lì, con loro.

«Ma era della mamma» disse.

«No, Damon. Era della tua nonna. E' stata mia madre a darmelo perché lo dessi alla mia sposa. E ora, beh, mi sembra giusto che sia tu a tenerlo e continuare questa tradizione dei Salvatore»

Damon continuò a rigirarselo tra le mani.

«Non sono sicuro di poterlo accettare. E se lo perdessi?»

Il padre lo guardò amorevolmente.

«Non lo perderai. Se c'è una cosa che so per certo è che tieni di più alle cose della tua mamma che alle tue»

Damon gli sorrise. Era vero.
«Grazie papà» e, dopo aver guardato ancora una volta quel bellissimo anello oro di acquamarina, se lo rimise in tasca.


Bonnie lo prese tra le mani. Aveva la forma di una camelia, dai petali oro e azzurri.
Era meraviglioso e voleva indossarlo.
Desiderava mettersi al dito quell'anello così importante per Rose, per Damon, ma resistette all'istinto di indossarlo perché sapeva che solo Damon avrebbe potuto farglielo indossare. Nessun altro che non fosse lui.
Per questo, dopo averlo guardato un'ultima volta, lo rimise nella sua scatola.
Nel libro erano sparsi dei pezzi di carta color caffè. Erano bruciacchiati. I loro bordi erano stati lacerati, strappati dalla forza distruttrice del fuoco, o di Damon?
L'inchiostro era sbiadito, ma ancora visibile e le parole scritte erano quasi tutte comprensibili.
Non si trattava di pensieri intimi del vampiro. Erano elenchi. Elenchi di nomi. Vittime della sua sete di sangue.
C'erano parecchi foglietti lì dentro e, sul fondo, si potevano scorgere briciole di carta annerita.
Fogli che non avevano resistito alla furia del fuoco di Damon.
Vittime il cui nome era stato cancellato, ma il cui ricordo era marchiato a fuoco nel cuore del vampiro.
Prese un foglietto e lo avvicinò al naso. Lo annusò. Odorava di cenere. Fissò la sua attenzione su un nome "Claire Belleville" e, si ritrovò in piedi, in quella stessa stanza.


Damon era solo. E stava urlando. Stava lanciando ogni cosa che gli capitava sotto allo sguardo. Era impazzito.
Eppure la sua espressione era più cosciente che mai. Stava soffrendo.
Bonnie lo sapeva. Bonnie lo percepiva.
In mano teneva un elenco di nomi. Erano scritti su pagine e pagine.
Infinite pagine che erano tutte tra le braccia del moro. E lui urlava, disperato, e intanto le gettava dentro al fuoco del camino.


 

Il cuore vive finché ha qualcosa da amare, così come il fuoco finché ha qualcosa da bruciare.

[Victor Hugo]


 

All'improvviso, apparve Stefan sulla soglia della porta.

«Cosa stai facendo Damon?»

«Le sto cancellando» disse lui, afono.

«Che cosa?» Il volto di Stefan era preoccupato.

Damon gli corse incontrò e lo inchiodò al muro.

«Le sto cancellando tutte, Stefan» il fratello lo continuò a guardare, perplesso.

«Le mie vittime» adesso aveva ricominciato a urlare, lasciando andare Stefan.

«Adesso non voglio più vedere i loro volti ogni volta che chiudo gli occhi. Sono andate. Perse per sempre. A bruciare nel fuoco del camino, nel fuoco dell'inferno» i suoi occhi scuri riflettevano le fiamme dirompenti del fuoco.
Si stavano incendiando, come la sua anima.

«Pensi davvero che bruciare i loro nomi servirà ad alleviare il dolore?» come al solito, Stefan riuscì a centrare il punto.

«Penso solo che sia meglio bruciare i loro nomi piuttosto che continuare a essere tormentati da questi elenchi»

«Damon, non bruciarli. Sai che non servirà a niente. Queste persone sono morte, non torneranno»

«Allora dimmi tu cosa dovrei fare Santo Stefano! Dovrei morire dentro ogni volta che ripenso a ciò che ho fatto?»

«Dovresti accettare il tuo passato, per quanto crudele possa essere stato»

«Ma ti senti quando parli?» Damon era lacerato dentro, bruciato dal suo stesso dolore.

«Li ho uccisi io! Io!» corse verso il camino. E tirò fuori dei fogli che non erano ancora stati bruciati completamente. E li gettò a terra, riempiendo il pavimento.

«Li ho uccisi io! Centinaia di persone! Migliaia di vite spezzate perché Stefan, perché? Perché

avevo fame! Avevo solo fame! Avevo solo la dannata voglia di prosciugarle, di nutrirmi del loro sangue!»


 

Liberati dal passato nel modo più semplice: smettendo di credere

che ciò che è successo altre volte sia destinato a ripetersi.

[Susanna Schimperna]

 


 

Stefan gli si avvicinò, senza paura delle conseguenze. Si fidava di suo fratello, nonostante il suo sanguinario passato.

«Ci siamo passati tutti. Non sei il solo» gli disse, dandogli una pacca sulle spalle.

«Invece no. Sono un mostro. Avrei potuto lasciarli vivere invece me ne sono fregato. Li ho uccisi tutti senza una ragione plausibile. Li ho uccisi come solo un mostro può fare» rispose lui, lasciandosi cadere per terra e, mettendosi a piangere.

Le lacrime lo colsero alla sprovvista e, senza riuscire a fermarle, si ritrovò a singhiozzare.
Era la seconda volta che piangeva in tutta la sua esistenza.
La prima era stata quando era morta la madre.
Stefan si accasciò a terra e strinse a sé il fratello così forte, eppure così debole.

«Un mostro non soffrirebbe come stai facendo tu» disse lui.

«E' proprio per questo che sono il mostro peggiore. Chissà cosa penserebbe nostra madre del mostro che sono diventato?» disse Damon, ridendo tra le lacrime. Ma era una risata amara, pieno di disgusto verso se stesso.

«Penserebbe che sei il suo mostro preferito» gli rispose il fratello, porgendogli il fazzoletto ricamato coi tulipani.

Il fantasma di un sorriso apparve sul viso di Damon mentre con la sua velocità da vampiro, Stefan prese tutti i fogli bruciacchiati e li tolse dal pavimento, li tolse dallo sguardo sofferente di Damon e li ripose dentro al suo diario di pelle rossa per poi tornare a stringere il fratello e dargli conforto.
Ma Damon non c'era più. Damon era volato via.


 

Ci vuole un grande coraggio per soffrire e non diventare un mostro.

 

 

La giovane era riuscita a toccargli la spalla, prima che se ne andasse, non riuscendo a fare l'indifferente di fronte al suo dolore e, in quel momento, li aveva visti.
Flashback di tutte le sue vittime, in pochi secondi vide vite intere spezzate. Erano moltissime, di ogni nazionalità e tempo e ciò che vedeva era ciò che Damon stesso aveva visto mentre beveva il loro sangue.
Il dolore e il terrore dipinto sui loro volti. Erano tutte diverse, eppure nel momento della loro morte sembravano uguali.
Perché sapevano che non sarebbero sopravvissute alla furia, alla fame di Damon, ma avrebbero perito.
Bonnie si ritrovò seduta in quella stessa stanza con Damon sulle gambe, a ronfare beatamente.
Si toccò le guance e le ritrovò piene di lacrime. Non si era neanche accorta di aver pianto mentre riviveva quella scena.
E le sue lacrime non erano per le vittime, erano per Damon.
Lui era sempre stato solo, a parte Stefan e lei non pensava che potesse essere così sensibile.
Che potesse veramente soffrire per le vite che aveva spezzato.
Pensava che gli dispiacesse, ma non che ne fosse tormentato e, anche se sapeva che si trattava di un ricordo, era certa che una parte di lui, la sua parte migliore provava ancora quel dolore.
Aveva sempre saputo che era un'anima tormentata, ma vederlo coi propri occhi era stato sconvolgente.
L'unica cosa che avrebbe voluto fare era stringere Damon e dirgli che non era solo e che era giusto provare dei sentimenti. E la parte che lui pensava fosse la peggiore di sé, in realtà era la migliore.


 

Quando si arriva a conoscere il peggio di una persona, si hanno due possibilità:

liberarsene definitivamente o cominciare ad amarla per davvero.

[Nadia Bailini]

 


 


 

Damon pensò al fazzoletto della madre. L'aveva lasciato dentro al libro.
Sarebbe tornato al pensionato e l'avrebbe preso tra le mani, sentendo il profumo di sua madre. Un profumo che, proprio come il suo nome, sapeva di rose.
Rose bianche e rosse, come i suoi capelli. Come i capelli di Bonnie. Sorrise. Era contento di essere tornato a casa. Nonostante tutto, la presenza del suo pettirosso che lo allietava giorno per giorno, gli aveva reso la vita più bella perché, guardando Bonnie, sentiva di essere nell'unico posto in cui aveva il diritto di stare. Si sentiva a casa.
Una casa circondata da rose nere e tulipani rossi.
Una casa in cui poteva trovare quell'amore che, prima di Bonnie, solo sua madre era stata in grado di offrirgli.
Si tramutò in corvo e spiccò il volo verso l'amore, verso casa.


 


 

Bonnie stava tremando.
Il dolore incontenibile di quel ricordo di Damon rispecchiava il suo.
«Che cosa credi che sia, Stefan? Sono il mostro peggiore sulla faccia della terra!» le sue parole dure, crudeli continuavano a ripetersi nella sua testa e quello che più faceva soffrire l'anima sensibile della ragazza era che Damon pensava veramente quello che diceva.
Però, non fece in tempo ad asciugarsi le lacrime che il gracchiare di un corvo la riscosse dai suoi pensieri.
Quella sera, non aveva ancora smesso di piangere. Anzi, la sua sofferenza era appena iniziata.


 

Il corvo planò sul balcone del pensionato e, guardando attraverso la finestra, si accorse subito che c'era qualcosa che non andava.
Bonnie era seduta, di fronte alla libreria e, sopra le sue gambe incrociate, c'era il suo diario.
Aperto.
Non seppe cosa provò, finché un'esplosione scoppiò dentro di lui, distruggendo ogni goccia di comprensione che gli era rimasta.
Ritornò ad avere sembianze umane, ma il suo aspetto era più bestiale che mai.
La sua anima si stava oscurando.

 

 

Non vi è alcuna ragione per cui un uomo debba mostrare la sua vita al mondo.

Il mondo non capisce.
[Oscar Wilde]



 

A/N

 

Buonasera, carissimi ^^

Scusatemi per la lunghezza del capitolo, ma non potevo proprio dividerlo in due, o meglio, non volevo :p Probabilmente alcuni resteranno delusi dal contenuto del libro/diario/scrigno perché non è niente di speciale, insomma sono oggetti che hanno fatto parte della vita di Damon, ma niente di più. Sin dal principio sapevo che questi erano “i suoi segreti”, quindi se qualcuno dovesse restare deluso, mi dispiace, ma erano questi gli oggetti che volevo contenesse.

Detto questo, ringrazio tutti coloro che mi seguono sempre fedelmente e spendono parole così dolci e gentili per recensire *-* Siete la mia gioia *-*

In particolare, vorrei ringraziare  Annaterra, Sunset, Little RedBird, Samuela, Lory & Nefrit <3


Al prossimo capitolo (se lo vorrete)

Un abbraccio,

Gloria

   
 
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