Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: virgily    03/03/2013    1 recensioni
-Tze’... scommetto che sia un bamboccio buono a nulla-
-tuttavia quel bamboccio, essendo piu’ grande di te di soli due mesi si e’ aggiudicato la nomina di Boss dei Vongola... Mentre tu rimarrai soltanto un semplice sicario-
-sempre se non lo ammazzo prima...-
-ma come...“La Mala Femmina” dei Vongola tradirebbe in questo modo la sua amata famiglia? Non e’ molto nobile da parte tua...-
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kyoya Hibari, Mukuro Rokudo, Nuovo Personaggio, Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Proprio come aveva sospettato il ritorno a scuola era più noioso del previsto: compagni troppo tranquilli e ingenui, materie inutili, esercizi controproducenti. Fosse stato per il suo istinto primario e brutale, avrebbe fatto una strage e sarebbe scappata via, magari a fare una passeggiata. Era del parere che si apprendevano molte più cose nella vita concreta che sui libri. Respirava un’aria pesante, rarefatta. Oppressa da quelle quattro mura color pastello che limitavano la sua libertà. Rimase immobile, composta sulla sua seggiola, con lo sguardo rivolto di là della grande finestra che dava al cortile della scuola. C’era un bellissimo sole, e il vento trasportava con sé il dolce profumo dei fiori. Per qualche decimo di secondo, le venne la nostalgia dell’Italia, la sua terra, la sua casa. Nei ricordi d’infanzia, rammentava piuttosto bene che giornate stupende come quelle le trascorreva a giocare liberamente, senza allenamenti o missioni da compiere, semplicemente godendosi la sua tenera età. Sospirò sommessamente, tentando di dare attenzione a quell’insulsa lezione che disgustava il suo intelletto. Osservò con non curanza la lavagna che lentamente si macchiava di tanti piccoli numeri e lettere di gesso, e costatando che la maggior parte dei suoi colleghi la stesse osservando con gli stessi occhi di chi tenta di leggere in una lingua mai studiata prima, fece roteare le sue iridi verdognole volgendole al soffitto, esasperata. Doveva uscire da lì… E alla svelta. Ci pensò su giusto un paio di secondi, poi fece un respiro profondo. Trattenne il fiato tra i tre e i cinque minuti, giusto il tempo di permettere al suo cuore di accelerare il suo battito cardiaco, simulando un improvviso sbalzo di pressione. Sette minuti totali ed era fuori dalla classe come se niente fosse: “Dovresti riposarti un po’ nell’infermeria. Non hai una bella cera” le aveva detto il professore. Ghignò appena, compiaciuta del suo tentativo di evasione riuscito con successo. Vagò per qualche minuto poi per i lunghi corridoi dell’istituto, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa. S’imbatté, senza neanche rendersene conto, nelle scale che portavano direttamente al terrazzo della scuola, “Poco male” si disse “un po’ d’aria fresca non può farmi altro che bene”. A passo lento, gradino dopo gradino, giungendo alla piccola porta metallica che la separava dalla tanto desiderata libertà. Prese un sospiro di sollievo non appena le sue mani sfiorarono il pomello laccato di nero del portoncino, spalancandolo immediatamente dopo. I raggi del sole del primo pomeriggio scaldarono le sue spalle con un abbraccio gentile, e quell'agognata brezza, che aveva immaginato quando era ancora incastonata nel suo banco, sembrò una soffice carezza ristoratrice per le sue gote accaldate. Respirò a pieni polmoni, gustandosi quel piccolo attimo di libera perfezione. Poi, quando le sue palpebre si schiusero lentamente, i suoi occhi verdi, come fari si puntarono sulla figura distesa al suolo, con le spalle posate sulla ringhiera che circondava tutto il perimetro dell’ampio terrazzo. Gli occhi chiusi, l’espressione serena. I capelli corvini danzavano a ritmo con il vento, a circondargli le spalle una giacca scura. Era lui, il “presidente del comitato disciplinare”, il giovane che l’aveva fulminata appena aveva messo piede nell’istituto. Dormiva profondamente, cullato in chissà quale piacevole sogno. Stentava a crederci: lui, così austero e glaciale… “Eppure così fragile…”.
-Non è affatto fragile, mia cara- la corresse una vocina familiare che la colse alle spalle. Voltandosi di scatto, Miu riconobbe quel piccolo bambino dalle capacità sovraumane, l’unica persona che non avrebbe mai voluto come nemico:
-Hibari non perde mai la guardia. Soprattutto in momenti come questi. Ha il sonno molto leggero…- le confessò.
-Ah davvero?- l’angolo destro delle labbra rosee della castana si sollevò verso l’alto. Ora sapeva come spendere il suo tempo libero senza sprecarlo.
-Allora svegliamolo, il bell’addormentato- ridacchiò appena cominciando ad avviarsi in direzione del giovane ancora addormentato.
-A tuo rischio e pericolo Miu. Non è il tipo che ama essere svegliato- l’ammonì il piccolo arcobaleno. La giovane si arrestò di colpo, giusto il tempo di penetrarlo con lo sguardo. All'interno delle sue iridi chiare, Reborn poteva leggervi una luce rovente. Eccola lì: l’audacia spregiudicata della mala femmina dei Vongola.
-Questa volta resta ad ammirare lo spettacolo, Reborn. Sarà divertente te lo prometto- affermò spavalda, sfilandosi abilmente il fiocco rosso che le costringeva la camicetta allacciata attorno al collo. Poi, tenendo quel misero lembo di stoffa tra le mani, la ragazza lo lasciò andare alle grazie del vento. Questo, si lasciò trascinare in una sinuosa piroetta, che in pochi ma estenuanti istanti, lo portarono al suolo, emettendo un suono pressoché impossibile da percepire. Reborn rimase immobile in una stoica compostezza esteriore; gli occhi felini e agghiaccianti del giovane si spalancarono di colpo, famelici e rabbiosi proprio come quelli della più temibile delle furie. E fu in quel momento, quando le iridi polverizzatrici e spettrali di Kyoya si puntarono su quelle di Miu che quest’ultima, al contrario, gli sorrise.
-Sembra proprio che tu non voglia arrivare a fine giornata- costatò serio, sollevandosi pesantemente dal suo comodo poggio. Non le piaceva il modo in cui lo stava guardando: quegli occhi spavaldi, troppo sicuri di sé; quelle labbra, fine e inarcate in un cenno di sfida.
-Così pare…- rispose la giovane, incrociando le braccia al petto. Le lunghe onde brune fluttuavano appena con il fioco passare del vento, mettendo in risalto la forma del viso dolce ma tutt’altro che indifesa. Un silenzio asfissiante, caricato da un’elettricità palpabile e ardente, calò sopra i due giovani sfidanti. Prontamente, Hibari fece scivolare tra le sue mani le sue fidate armi, mostrando i due micidiali tonfa che non avevano mai risparmiato nessuna delle sue vittime. Osservando con attenzione il genere di sfidante che andava a combattere, Miu accentuò ulteriormente il suo sorriso audace. La sfida si prospettava più interessante di quanto pensasse. Fu un gesto difficile da mandar giù per il giovane presidente, che stringendo ulteriormente le sottili dita candide attorno ai manici della coppia di tonfa, serrò la mascella, quasi digrignando i denti
-Fossi in te, toglierei quel ghigno strafottente dalla faccia. Perché ora ti azzanno la gola…- disse, mettendosi in posizione. Un risolino sottile e divertito giunse canzonatorio all’orecchio del ragazzo.
-Non vedo l’ora…- lo stava incitando, e questo accresceva quel furore che gli logorava le membra. Era lei, quella Miu, ad accendere un così vasto fuoco dentro di lui. Lei, e quel suo maledetto atteggiamento che lo istigava a tirare fuori il peggio di sé. Si morse appena il labbro inferiore, decidendo infine che finalmente fosse giunta l’ora della resa dei conti. Partì in carica, pronto per sfoderare uno dei suoi potenti colpi. Ma a mano a mano che si avvicinava, con mente lucida e sangue freddo, pronto a esaminare ogni possibile mossa della sua avversaria, Kyoya si rese conto che la giovane, al contrario, rimaneva immobile, fissandolo mentre si avvicinava sempre più. Doveva aspettarsi qualcosa, deduceva che non si trattava di una strategia arrendevole o di un misero bluff. C’era un trucchetto sotto, e lui lo avrebbe svelato. Giunto a pochi passi da lei, con uno scatto fulmineo, attaccò direttamente a quel bel viso che tanto lo inorridiva. Uno schiocco dal suono metallico si propagò per l’intero terrazzo, infrangendo quella spessa barriera del silenzio che li aveva circondati. Senza minimamente scomporsi, infatti, Hibari osservò e studiò fin nei minimi particolari, il passaggio repentino delle sue mani, che brandendo due aghi spessi e aguzzi di acciaio pararono senza il suo colpo senza alcuna difficoltà. I loro occhi, gelidi e incandescenti al tempo stesso da un lato, e quelli ammalianti e audaci dall’altro, si mescolarono per la prima volta a una vicinanza tale che potevano quasi raggiungere le porte delle più intime segrete del loro stesso essere. Il moro si allontanò subito, lasciando spazio al contrattacco della piccola Sawada. Agile come un felino, la giovane avanzò sferrando tagli netti e precisi con i suoi lunghi senbon fendendo l’aria, squarciandola. Se non fosse stato in grado di schivarli, probabilmente Hibari avrebbe riportato gravi ferite al petto. Quasi a passo di danza, si destreggiò in un’elegante piroetta che terminò in una doppia stoccata. Un fruscio leggero accompagnò il braccio di Kyoya che arrestò uno dei due colpi, mentre il secondo ago aveva sfiorato di qualche millimetro il suo cranio. Languida e silenziosa, una solitaria gemma color cremisi solcò il volto asciutto e affilato del giovane. Un graffietto superficiale, quasi insignificante da punto di vista clinico. Ma per quanto riguardava il suo orgoglio, quella ferita era assai più profonda. Prese un respiro profondo, e cogliendola alla sorpresa, con un gancio destro colpì dritto lo stomaco della castana con l’estremità superiore del tonfa. Le si mozzò il fiato di colpo, e costretta a piegarsi contro il suo nemico, non poté evitare un secondo colpo che lasciò una lieve lesione sulla sua guancia destra. Miu assaporò appena quel sottile sapore amarognolo del suo sangue che fuoriuscì dall’angolo delle sue labbra. Hibari era molto forte, e quel dolore pareva malinconico, sublime. Scatenava in lei certi ricordi che la inondarono di una forza d’animo ancora più determinata. Si scagliò contro di lui, e sebbene fosse riuscito a bloccare nuovamente i suoi senbon, la breve distanza che separava i loro corpi permise a Miu, con un potente colpo di testa, di colpire in pieno la fronte dell’altro, costringendolo ad indietreggiare. E in quel breve intervallo, come due carezze, soffici e quasi impercettibili, gli aghi pericolosi della femmina trovarono nuovamente una breccia: una nuova ferita battezzò il perimetro della sua mascella, mentre un taglio netto e obliquo sfilacciava la camicia del moro proprio all’altezza del cuore. Era brava, non era un’avversaria da sottovalutare, e questo stimolò i tizzoni ardenti del suo essere combattivo. Con uno slancio, impulsivo e brutale, il giovane si scagliò come una furia su di lei, colpendole con forza lo sterno. Poi, spingendola violentemente contro la parete che li separava dall’ingresso all’istituto, Hibari la disarmò con maestria, immobilizzandola per poi porle un tonfa premuto sul collo e l’altro contro la bocca dello stomaco. La cassa toracica di Miu cominciò a sollevarsi freneticamente. Le sue armi erano a terra e lei era bloccata tra il corpo del presidente del consiglio disciplinare e la solida parete di cemento. Lo sguardo furioso e bramoso di sconfiggerla del giovane la penetrava da parte a parte, inchiodandola. Si era ritrovata in situazioni peggiori, eppure, in quel breve istante, il suo cuore perse un colpo. Nel profondo delle sue iridi crudeli e inespressive, la mala femmina riusciva a leggervi un certo amore per il combattimento che mai aveva visto prima.
-Arrenditi- le ordinò schietto e severo, premendo ulteriormente alla gola, facendola sussultare
-Mai- ringhiò a denti stretti, colpendolo all’improvviso con il pugno chiuso. Un vistoso rossore gli colorò il viso pallido, mentre con rabbia l’afferrava per le spalle, voltandola e stringendola con veemenza contro la parete, costringendole il braccio dietro la schiena. Faceva male, come una scossa elettrica lungo tutto il braccio, le spalle, e la schiena. Ma la giovane Miu era abituata a trattenere il dolore con il silenzio. Non disse una parola, neanche quando sentì le ossa scricchiolare sotto la sua possente presa, e la spalla slittare con irregolarità, facendole prendere l’uso del braccio destro. Trattenne il fiato, soffocando in un gemito l’urlo che stava per squarciarle la gola. Compiaciuto del suo lavoro, Hibari finalmente la lasciò andare dalla sua presa, osservandola cadere in ginocchio con l’arto a penzoloni. Il suo volto ora era mascherato dalla frangia bruna che gli impediva di guardare con sprezzo la sua espressione dolorante e mortificata.
-Sono stato magnanimo. Potevo finirti, ma non l’ho fatto…- osservandola dall’alto in basso, freddo e senza pietà, Hibari pensò che in fondo non era stato male. Il loro incontro era stato breve, intenso… quasi perfetto. E proprio per questo, proprio perché si era dimostrata valida in campo, aveva deciso di risparmiarla, limitandosi a lussarle il braccio. Tuttavia, un suono inconsulto e sgradevole giunse al suo udito, riportandolo con i piedi per terra. Uno scricchiolio macabro, inquietante. Immediatamente abbassò lo sguardo sulla giovane che aveva già reputato per sconfitta. Rideva, ma la sua voce era coperta dalla melodia prodotta dalla sua spalla, che rumorosamente tornò al suo posto. Una volta terminata la dolorosa pratica nella quale sembrava essere specializzata, gli occhi magnetici e velenosi della ragazza tornarono a sfidare il giovane che nel frattempo la torreggiava.
-Dovevi eliminarmi quando ne hai avuta la possibilità. Adesso facciamo sul serio- e rapida, notevolmente molto più svelta di quanto era stata finora, si gettò sul moro, completamente disarmata, affidandosi alle sole mani nude. Rispondendo con affondi secchi e aggressivi, Hibari costatò divertito che se messa sotto pressione, sicuramente in svantaggio, la giovane riusciva ad adoperarsi in maniera più efficace e saliente.
-Sei un’erbivora piena di sorprese tu- confessò il giovane. Cogliendo la sfumatura maligna di quell’appellativo “scomodo”, l’angolo destro delle labbra della ragazza s’inarcò verso l’alto, e un luccicore infervorante accecò il suo sguardo. Così, con l’adrenalina che pulsava veemente nelle sue vene, evitò l’ennesimo affondo, e con una grazia felina fece un balzo elegante e ben assestato che gli permise di “scalare” la schiena e le spalle del giovane, con le gambe legate attorno alla vita e le braccia serrate attorno al collo e alla testa in una presa strategica che gli permise, di passare in vantaggio. Avvinghiato dalla presa sensuale del suo corpo, Hibari si dimenò come una bestia selvatica appena catturata quando sentì la gola stringersi e chiudersi piano al volere della pressione esercitata dalle braccia apparentemente esili e gracili della fanciulla. E sbarrò gli occhi quando all’improvviso, cogliendolo di sorpresa, sentì la sua bocca morbida e vellutata sfiorargli il lobo dell’orecchio con la stessa delicatezza di un petalo che, staccatosi dalla sua corolla, cade al suolo.
-Io non sono un’insulsa erbivora- sussurrò piano, e il suo fiato dolce sembrò una languida carezza tentatrice
-Posso essere molto più pericolosa di così- quasi gli girava la testa, non tanto per il fatto che cominciasse a mancargli il sangue al cervello, più per il fatto che quella voce, bassa e suadente stesse cominciando ad entrargli in testa, a fargli il lavaggio del cervello. Era pericolosa, sì in tutti i sensi. Lasciò cadere le armi dalle sue mani, che cadendo al suolo produssero un suono metallico e sgradevole. Ma non si stava arrendendo al suo volere. In realtà si preparava per la sua liberazione. Infatti, diede un potente scossone alla testa, annullando e cancellando dalla mente ogni traccia di quel contatto che aveva rischiato di macchiare la sua interiorità. Poi, portò velocissimo le mani sulla sottile figura appollaiata sulle sue spalle, afferrandola di peso per scaraventarla al suolo. La situazione si capovolse tutta a un tratto, scandita dall’immediato impatto del corpo di Miu contro il pavimento, durante il quale sentì la colonna vertebrale fremere e una caviglia cedere. Ora Kyoya Hibari era sopra di lei, torreggiandola a cavalcioni sul suo grembo, tenendole le mani per i polsi saldamente premuti contro il pavimento. Le morbide ciocche color cioccolato formavano dei raggi tutti attorno al suo capo, le labbra secche e spaccate erano dischiuse, alla ricerca di aria; e i suoi occhi, i suoi grandi fari verdi erano imprigionati dentro quelli di lui, ma non mostravano alcun segno di resa.
Per il suo orgoglio, quella donna che finalmente teneva in pugno rappresentava una vera e propria minaccia, non solo a livello fisico, ma anche mentale. Era diversa. Sapeva come fare la guerra, e volendo sapeva pure come vincerla.
-Basta così…- affermò in fine, abbassando lo sguardo.
-Basta così?- domandò la giovane sotto di lui quasi indispettita. In quel momento poteva aspettarsi di tutto da uno come lui. Tutto tranne questo.
-Sì- disse smontando dal suo corpo. Sollevandosi a fatica sui gomiti, la ragazza lo osservò basita.
-E il “ti azzanno alla gola” che fine ha fatto?- domandò beffarda, canzonatoria. Non poteva essere tutto finito così, non voleva, non ora che erano entrati nel vivo della loro competizione. Hibari la fulminò con uno sguardo agghiacciante.
-Tranquillizzati donna. Non finisce qui…- Miu sospirò di sollievo. Quell’Hibari era interessante, dopotutto. E sebbene non lo avrebbe mai confessato a nessuno, lottare contro di lui si era mostrato più eccitante di quanto potesse immaginare
-Vieni…- disse poi, freddo e austero, porgendole la mano –Ti porto in infermeria- stupita da quell’inconsulto gesto di cortesia, la malafemmina si lasciò aiutare.
E Reborn, che nel frattempo era rimasto in disparte a osservarli, era assai compiaciuto da quello che aveva visto. Si chiese se tra quei due non sarebbe scaturito poi un qualcosa di diverso, un legame più profondo. Stentava a crederci, ma forse una svolta di questo tipo sarebbe risultata necessaria per il bene della famiglia.
  
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