Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    03/03/2013    5 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 24 – Ritrovarsi
(Natsume)

Non sentivo più niente.
Era successo all'improvviso, le sensazioni erano sparite. Probabilmente avrei dovuto provare angoscia... paura, forse. Eppure non sentivo niente. Mentre mi spingevano dentro l'auto, io non sentivo niente. Mi sedetti sul sedile posteriore, vicino avevo Mitsuki che aveva un'aria tutt'altro che soddisfatta, mentre percepivo con chiarezza il mio Alice scorrermi tra le dita quasi che fosse stato acqua che scendeva dal rubinetto e, per quanto fosse assurdo, mi aspettavo di vedere delle fiamme sul palmo, ma non c'erano. Qualcuno di loro doveva avere una pietra Alice dell'Annullamento, anche se perfino la sola idea era bizzarra, dato che Mikan era l'unica a possederlo, e di certo non ne aveva data una a loro.
Non avevo pensato a lei per un po' di tempo, dopo essere uscito dalla scuola ma, esattamente come succede per tutto quello a cui vuoi evitare di pensare, i ricordi avevano finito per affollarsi nella mia testa senza che davvero lo volessi. E tutto quello mi riportava al fatto che ero stato totalmente un fallimento: avevo scelto quella strada per aiutarla ad uscire dalla scuola, prima che il Preside delle Elementari si accorgesse che in lei c'era qualcosa di più. Sapevo bene come finivano gli studenti che avevano un Alice troppo prezioso per andare perso, rinchiusi da qualche parte nell'Accademia a fare il lavoro sporco per lui. E Mikan era ancora troppo ingenua per non cascarci, solo da poco tempo sospettavo che stesse per manifestare un altro Alice, ma l'avevo intuito troppo tardi, al mio nuovo lavoro, quando avevo letto di casi simili al suo, giusto poco prima di incontrare Persona. E tutto quel silenzio da parte di tutti non faceva che confermare i miei sospetti. Per adesso potevo solo sperare che ancora non fosse venuto fuori, oppure, come minimo, sarebbe finita nelle Abilità Pericolose.
Ma non riuscivo a provare paura per lei o preoccupazione, era come se fosse tutto un dato di fatto e non riuscissi nemmeno ad essere frustrato per questo.
Non sentivo niente.
E allora chiusi gli occhi e provai a immaginarmi la mia ragazza nella testa, sperando che avrebbe portato a qualche miglioramento, ma nonostante riuscissi a visualizzare ogni dettaglio dei suoi capelli, del fisico, del modo in cui portava la gonna della divisa, o si arrotolava le maniche delle mie camicie, mi fu difficile riportare alla mente i dettagli del suo viso: l'unica cosa che ricordavo per davvero era lo sguardo preoccupato che mi aveva lanciato quella notte di pioggia, quella in cui aveva curato le mie ferite e aveva visto cos'ero per davvero, ma nonostante questo non era corsa via. La prima volta che mi ero accorto che iniziavo a non sentire più niente.
Comincerà con la perdita delle emozioni più forti.
Questo aveva detto il fratello di Imai, quel giorno in ospedale, ma avevo fatto del mio meglio per non credergli e non pensarci. Perché nella vita di tutti i giorni sembrava che niente stesse succedendo, ed era troppo comodo pensarlo per crearsi dei problemi.
All'inizio, sarà lento e graduale, magari non te ne accorgerai nemmeno, ma prima o poi spariranno del tutto.
E ricordare quella frase e sentire una fitta all'altezza del petto fu un tutt'uno. Terrore. Avevo una stramaledetta paura che succedesse per davvero. Mi portai una mano all'altezza del cuore, nel vano tentativo di calmarmi, o quantomeno di non mettermi a tremare come uno stupido ragazzino impaurito.
Fissai fuori dal finestrino e mi accorsi che eravamo nel parcheggio sul retro del palazzo dove lavoravamo.
Qualcuno aprì la portiera, Mitsuki mi spinse fuori e io assecondai il movimento, tanto opporre resistenza non sarebbe servito a niente. L'unica cosa che aveva ripreso a preoccuparmi era sentire il mio Alice come se fosse costantemente in azione, bloccato da Mitsuki, che era l'unica a non aver staccato la mano dal mio braccio nemmeno per un secondo. Mi lanciò uno sguardo strano, e pensai che avesse compreso il mio problema, ma non disse nulla.
Nessuno stava dicendo niente, quasi che stare in silenzio avesse dovuto rendere le cose migliori. Così, ancora senza dire una parola, salimmo in ascensore, fino al piano in cui si trovava l'ufficio di Yuka, ma Ryu si stava scrocchiando le dita, forse in un tentativo di non schiacciarmi il naso con un pugno, o forse si stava solo preparando nel caso in cui avesse dovuto farlo.
Le porte si spalancarono, e ci ritrovammo nello stesso corridoio in cui ero stato qualche tempo prima, il giorno in cui il capo aveva voluto parlarmi. Ryu mi spinse fuori senza troppe cerimonie, mentre Mitsuki lo tratteneva con una mano.
«Forse è meglio se continuo io.» e non suonava granché come un consiglio. Lui si fece subito da parte, abbassando lo sguardo. Adesso cominciavo a intuire perché proprio lei fosse il capo squadra. Ryu premette un bottone e le porte dell'ascensore lo nascosero alla nostra vista. Una volta che si fu accertata che nessuno era in giro, lei mi rivolse un'occhiata omicida. «Puoi piantarla di usare il tuo Alice? Tanto ormai è fatta, siamo qui. E dovresti aver capito che non puoi usarlo.»
Sospirai: non aveva capito un bel niente. «Non ci riesco.» spiegai, con fare rassegnato. Era un bene che non staccasse la mano dal mio braccio, ma il fatto di non riuscire a capire perché non ce la facessi a fermare il mio Alice mi metteva a disagio. Non era mai successo, e temevo che alla prima sua distrazione avrei incendiato tutto, anche quello che, normalmente, non avrebbe dovuto prendere fuoco, come il cemento.
Mitsuki strinse la presa su di me, e mi fece cenno di continuare a camminare. Sembrava agitata, ma niente di nuovo, visto che lo ero anche io. Bussò alla porta di Yuka, ma, sorprendentemente, fu Naru a venirci ad aprire, e fu un po' stupito quando mi vide, quando avrebbe dovuto essere il contrario. Adesso si spiegavano molto bene le sue continue assenze, durante le lezioni. «Che succede?» chiese, infatti.
La mia accompagnatrice mi spinse dentro senza delicatezza. «Ho qualcosa per te, capo.» ignorò totalmente il mio vecchio insegnante e mi trattenne per la maglietta, prima che potessi fare un passo in più di quelli che lei aveva stabilito che dovessi fare. Era un tantino frustrante essere trascinato in giro come una bambola di pezza, ma non desideravo peggiorare la mia posizione.
Yuka aveva le braccia appoggiate alla sua scrivania e si stava massaggiando una tempia, quasi che stesse cercando un po' di calma dopo aver ricevuto una brutta notizia. Beh, a quanto pareva le brutte notizie della giornata non erano finite. «Cosa?» lo chiese quasi esasperata, come se non ne potesse più di sentire cose che proprio non le piacevano.
«Abbiamo sorpreso il ragazzino a scambiarsi informazioni con niente di meno che Persona.» mi fissò con disgusto, ma non mi lasciò andare. «E dice di non riuscire a controllare il suo Alice, ma non mi fido per niente.»
Yuka alzò lo sguardo verso di me, come a volermi studiare, ma non sembrava per niente sorpresa. «Siediti.» era un ordine, e non sembrava che si aspettasse che disobbedissi. Lanciai un'occhiata alla mia accompagnatrice, la quale sembrò sorpresa almeno quanto me.
Mitsuki si schiarì la voce. «Capo...» tentò, ma lei alzò una mano per bloccarla.
«Ho capito bene.» la rassicurò, senza smettere di fissarmi. «E sapevo già tutto.» dovetti mettere su un'espressione davvero stupita, perché sorrise. «Credevi che ammettessi qui le persone senza controllarle nemmeno un po'?» si appoggiò allo schienale della sua sedia, non potendo apparire più tranquilla. «Mitsuki... lasciaci soli.» lei le indirizzò uno sguardo preoccupato e Yuka scosse la testa. «È tutto a posto, questa stanza è stata fatta appositamente per inibire gli Alice. Naru, ti prego. Resta.»
Lei annuì, e quando si chiuse la porta alle spalle, il mio fondoschiena era attaccato a una delle sedie di fronte alla scrivania di Yuka; vicino a me, Narumi, il quale era totalmente confuso, e mi guardava in cerca di una spiegazione. «Perché stai dando informazioni a Persona?» suonava sinceramente sorpreso e vagamente in ansia.
«Già.» commentò Yuka, guardandomi con severità. «Vorrei saperlo anche io.» si sporse verso di noi, ma non mi mossi. «Ti ho messo a disposizione informazioni molto limitate, e quasi tutte sono finite in mano all'Accademia. La cosa mi delude molto, e deluderebbe anche tua madre.»
Arricciai le labbra: fare leva sulla morte di mia madre era davvero di cattivo gusto. Sembrava che volesse deliberatamente farmi sentire un verme, e questo indipendentemente dal fatto che fossi innocente o meno. «No.» replicai, secco. «Non li sto aiutando, o meglio... non nel modo che vorrebbero loro.»
«Non riesco a capire.» ammise Naru. «Quando sei andato via dalla scuola, credevo che lo facessi per una buona causa.»
Sbuffai: forse era il caso di raccontare loro tutta la storia. «Per prima cosa, è stato il Preside a insistere perché mi diplomassi prima, proprio perché aveva fretta di inserirmi in quest'organizzazione come infiltrato.» vidi Yuka assottigliare gli occhi. «Cercano informazioni su Alice rari e utili, ma non so per cosa. Per adesso ho passato informazioni più che altro su Alice di tipo Tecnico e Somatico, mai Abilità Speciali, e soprattutto Pericolose.»
«Questo perché non te ne ho mai dato l'opportunità.» fu Yuka a parlare, e aveva la fronte corrugata. «Gli alice rari e pericolosi non li farei mai gestire a un nuovo arrivato.»
«Non l'avrei fatto nemmeno se ne avessi avuto l'opportunità.» preferii mettere in chiaro, anche se probabilmente nessuno mi avrebbe creduto. «Non voglio che altri bambini come me finiscano nel posto che mi ha rovinato l'infanzia, non so se mi spiego.» lo dissi quasi che fosse stata stupida. «Per i generi che ho nominato prima, la scuola non è un gran brutto posto. E hanno insistito tanto per mandarmi qui per una ragione, stavo solo cercando di prendere tempo.» quasi lanciai sul tavolo le cose che mi avevano dato per comunicare con loro e il foglio su cui Persona mi aveva scritto il nome della persona che dovevo cercare. «Questo è tutto quello che ho.»
«Se davvero sei in buona fede...» ribatté lei, con un sospiro stizzito, prima di prendere il palmare per studiarlo. «non capisco perché lo stai facendo.»
«Il Preside ha la brutta abitudine di ricattare le persone di cui si serve.» e probabilmente, per Naru non c'era bisogno che mi spiegassi oltre. Gli lanciai un'occhiata e vidi la comprensione balenargli nello sguardo, finalmente iniziava a capirci qualcosa. Tornò a fissarmi sorpreso e io annuii. «Mikan.»
«Mikan?» chiese il mio capo, suonando terrorizzata. «Cosa c'entra Mikan in tutto questo?» la cosa che terrorizzava me era che lei sapesse della sua esistenza. Forse Mikan davvero lavorava per loro? Che altra spiegazione c'era per le pietre Alice? Ma come poteva una come lei fare una specie di doppiogioco? Non riuscivo a credere che fosse possibile. Non Mikan.
«Lei e Natsume...» fu Narumi a parlare, e anche lui non era affatto tranquillo. «te ne avevo parlato, stanno insieme.» lo sguardo di Yuka si alternò da lui a me. «È plausibile che lo stiano ricattando usando lei come... leva.»
«Persona mi ha detto che finché avrò informazioni da dare loro, non le faranno niente. Le permetteranno di vivere la vita in Accademia... tranquillamente.» e adesso che ascoltavo le mie stesse parole, mi accorsi di quanto fossi stato uno stupido, perché forse avevo sperato che lo facessero per davvero. «Mikan sta sviluppando un altro Alice.» adesso i pezzi del puzzle si stavano ricomponendo, piano, piano.
«Come lo sai?» fu la domanda allarmata di Narumi. «Quando sei andato via ancora...»
«Svenimenti, sesto senso un po' più sviluppato del normale, e tanti altri piccoli dettagli di casi che ho letto qui negli archivi.» spiegai, ma il senso di apprensione che si era impadronito di me, ormai non aveva intenzione di abbandonarmi. «Non vivrà mai una vita tranquilla in Accademia, giusto?» il suo Alice era... pericoloso. «Che Alice è?»
Narumi lanciò un'occhiata a Yuka e deglutì. «Non ne siamo certi.» precisò, prima di continuare. «Ma potrebbe essere... nocivo per gli altri.»
Un improvviso furore si impadronì di me. «Dobbiamo portarla via di lì.» lo dissi all'improvviso, interrompendo la apparente calma che regnava nella stanza. «O la costringeranno ad entrare nelle Abilità Pericolose e chissà cos'altro.» rivolsi gli occhi a Yuka, la quale li abbassò a terra. «Non voglio che finisca dover uccidere le persone, come me. Non Mikan.» non avrebbe mai potuto reggere il colpo, io stesso non avevo ancora digerito ciò che era successo in quel magazzino un anno prima, e mi consolavo giorno per giorno cercando di convincermi che non era stata colpa mia. Ma, a lungo andare, non funzionava più, niente funzionava contro il senso di colpa da parecchio tempo, soprattutto da quando ero mi ero allontanato dall'Accademia, per quanto assurdo potesse suonare. In ogni caso, c'era ancora una domanda che non aveva ricevuto risposta. «Ma... com'è che lei è così importante per voi due?» perché erano troppo in ansia, e nessuno si sentiva inquieto per la vita un estraneo.
Yuka aspettò a lungo, prima di rispondermi. «Mikan e io... siamo parenti.» ci fu un silenzio tombale per qualche secondo: non sapevo bene come reagire alla confessione ci fossero parenti in vita di Mikan che non fossero suo nonno. Lei non ne aveva idea, di sicuro: mi aveva detto che le restava solo lui. Adesso capivo la somiglianza, adesso capivo perché nell'armadio di Narumi era stato come vederla una seconda volta, in quel fascicolo. In ogni caso, questo rendeva tutto molto più facile: di sicuro non avrebbe fatto alcuna opposizione alla mia proposta. E, alla fine, era questo ciò che mi interessava.
«Che stiamo aspettando per andare a prenderla, allora?» feci, incoraggiato da quella confessione. «Non possiamo lasciarla lì.» e questo era uno dei miei pochi punti fermi, al momento.
Quando nessuno si mosse capii che c'era qualcosa che non andava. Narumi stava grattando il bordo della scrivania del mio capo, fingendosi molto interessato in quel compito, mentre Yuka aveva gli occhi chiusi, e sembrava che si stesse trattenendo dal rispondermi.
«Qual è il problema?» li incalzai, allora, spazientito.
«Non è facile come la fai tu, Natsume.» rispose, allora, Yuka, con un sospiro rassegnato. «Credi che non ci piacerebbe portare tutti i bambini in pericolo fuori di lì? Non è così facile.» io aggrottai la fronte: cosa c'era di tanto complicato? Ci saremmo infiltrati in Accademia, alla prima occasione buona, per andare a salvare il componente mancante della squadra, quanto ci voleva ad andare a prendere anche Mikan e portarla in salvo?
«Yuka ha ragione.» la supportò il mio vecchio insegnante, ma non diede nessuna spiegazione in più. Ma anche se l'avesse fatto, probabilmente non sarebbero state sufficientemente valide, per me.
«Evitate di riempirmi di scuse.» dissi, allora. Stavo seriamente per perdere la pazienza, e il mio Alice mi stava accompagnando nella cosa. «Per me potete ficcarvele...»
«Natsume.» mi riprese Yuka, esasperata. «Il nostro lavoro è proteggere tutti quelli che, come te, hanno vissuto o potrebbero vivere delle esperienze terribili dentro quella scuola.» mi lanciò un'occhiata di fuoco. «Ed è esattamente questo il punto, tutti.» appoggiò le mani alla scrivania e guardò Narumi velocemente, prima di tornare a fissare me. «Se portiamo via Mikan, adesso, il precario equilibrio che abbiamo faticato a creare si spezzerà. Il Preside ha gli occhi puntati su di lei, coinvolgerla in qualche piano sarebbe rischioso per tutto ciò che abbiamo creato. Non possiamo esporre i nostri piani contro l'Accademia. Non siamo ancora neanche lontanamente pronti.»
«Quindi...» iniziai io, sentendomi le mani tremare per la rabbia. Sentivo il fuoco incendiarmi le mani, ma per via di quella stanza non si manifestava niente. «Lasciamo Mikan al suo destino finché non fa comodo a voi?»
Narumi girò la testa verso di me, sembrava frustrato. «Sai bene che non è così.» mi riprese, risentito. «Mikan, per me, è come una figlia.»
Bell'affetto che dimostrava ai suoi figli. Mi morsi la lingua pur di non dirlo, per qualche motivo. «Ma sei pronto a sacrificarla per la causa.» ero davvero amareggiato da questa consapevolezza, perché non importava da che parte stessimo, o chi ci fosse a darci ordini, alla fine eravamo comunque strumenti nelle mani di qualcun altro, che guardava i suoi interessi, o quelli che credeva tali.
«Sei entrato in quella scuola per una ragione.» iniziò Yuka, con voce calma: sembrava che stesse riflettendo su qualcosa. Volsi gli occhi verso di lei, domandandomi dove diavolo volesse andare a parare e come facesse lei a saperlo. Anche se era stata amica di mia madre, non poteva sapere niente di me, dato che avevo scelto – più o meno liberamente – di entrare in Accademia molto dopo la sua morte. «Sapevi che ti avrebbero fatto del male, perché l'avevi provato sulla tua stessa pelle, eppure ci sei entrato lo stesso, perché volevi fermarli, in modo che nessuno avesse dovuto pagare il prezzo che avevi pagato tu.»
«Questo cosa c'entra? Io ho scelto di sacrificare me stesso, proprio per impedirlo alle persone che dicevo di amare.» rivolsi il mio sguardo carico di risentimento su Narumi, che si affrettò a guardare da un'altra parte. Lui non mi era mai piaciuto e adesso mi piaceva anche meno. Sapeva chi era Mikan, sapeva che aveva parenti nell'Organizzazione Z, o quantomeno, che avesse parenti che odiavano la scuola, eppure le aveva permesso di entrare a farne parte, per un motivo che non riuscivo a immaginare, ma che avevo tutta l'intenzione di scoprire. «Non ho mai voluto aspettare che si facessero avanti per salvare me stesso e altri che neanche conosco a loro spese.»
«Anche lei c'è entrata di sua spontanea volontà.» disse Narumi, ma lo ignorai. «Perché voleva rivedere la sua amica.» già, se Imai Hotaru non fosse stata un Alice, niente di tutto questo sarebbe mai successo.
«E tu non hai fatto niente per impedirglielo.» gli ricordai, a quel punto, incapace di trattenermi. «Anzi, hai insistito perché fosse ammessa, sapevi di lei eppure non hai fatto niente per fermarla.»
Lui sospirò. «Ammetto di aver fatto degli errori in passato.» disse, con colpevolezza. «Ma non ho mai pensato di usarla come credi. Volevo solo prendermi cura di lei, pensavo che avrebbe potuto cambiare la vita degli studenti, così come fece...» un'occhiata del mio capo lo zittì.
Se avessi potuto credergli, sarebbe stato più facile. «Mikan era ingenua, per questo ci è entrata, pensava che fosse una scuola come un'altra. D'altra parte, chi poteva immaginare cosa si celasse oltre quelle belle pareti?» e poi era solo una bambina. «Io sapevo più o meno cos'avrei trovato dietro al cancello, lei no. Le nostre scelte non sono nemmeno lontanamente paragonabili.»
«Io sono qui per lo stesso motivo per cui tu sei entrato a scuola.» ci interruppe Yuka, in tono deciso. «Mikan è una delle cose più importanti che ho. Non potresti mai capire quanto conta per me, e non sai quanto mi costa prendere questa decisione, quanto mi è costato per quasi dieci anni.» intrecciò le mani sulla scrivania, forse per calmarsi. «Mi piacerebbe tanto che fosse facile come la fai tu, cosa credi? Se fosse possibile lo farei anche subito. Non lo è.»
Sbuffai, ma decisi di non dire niente, perché rischiavo di arrabbiarmi anche di più. La vista aveva cominciato a sfocarsi e mi girava un po' la testa. Il mio dannato Alice non mi aiutava a mantenermi lucido, visto che continuava a fare ciò che voleva. Mi portai una mano alla tempia: stavo andando praticamente a fuoco: mi era successo solo una volta, ma non così a lungo. Presi un respiro per cercare di calmarmi: lasciare lo spazio alla paura non mi avrebbe aiutato, anche se percepivo il cuore battere all'impazzata e avevo il terrore che non avrei resistito fino all'ospedale. «Non...» tentai, cercando di mantenermi cosciente. «non mi...» mi tappai la bocca, sicuro che, altrimenti, avrei vomitato sangue, un'altra volta.
«Natsume...» era la voce di Narumi. «non stai bene?» e quella fu l'ultima cosa che fui in grado di sentire.

Sentii delle voci concitate proprio dal lato destro che mi impedivano di riposare. Avrei voluto dirgli di lasciarmi dormire, ma quando aprii gli occhi realizzai che non ero nel posto in cui ero svenuto. Mi tirai su e mi ritrovai in quello che sembrava l'ospedale dell'Accademia. Ma gli ospedali erano quasi tutti uguali, per me, quindi non avrei saputo dirlo con certezza.
«È sveglio.» disse una voce, quando spostai lo sguardo nella direzione da cui proveniva, scoprii che era di Mitsuki, che parlava al telefono con qualcuno, forse Yuka, o gli altri della squadra. Non ne avevo idea. «Subaru dice non in troppi. Sì, ho capito... certo, capo.» quando attaccò la chiamata mi guardò in modo strano.
«Cosa c'è?» chiesi, allora, dopo qualche minuto di silenzio. Mi irritava che stesse lì a guardarmi come se fossi un carro di Carnevale particolarmente brutto. Avevo la testa un po' leggera e avevo la sensibilità lievemente distorta, mi pareva di essere sospeso a qualche decina di centimetri dal pavimento, ma sapevo di essere su un letto per via del lezuolo che stringevo nel pugno. Sicuramente avevo qualche tubo infilato da qualche parte e le braccia piene di aghi per le flebo.
«Niente, mi chiedo solo come ho fatto a non riconoscerti prima.» mi disse, appoggiando la testa su una mano. «Mikan mi ha fatto vedere una tua foto e mi ha parlato un po' di te.»
Cercai di tirarmi su, ma lei mi spinse con gentilezza di nuovo contro il letto. «Quando hai conosciuto Mikan?» tutti quanti sapevano di lei, e adesso veniva fuori che Mitsuki addirittura l'aveva vista di persona.
«Lei è la nipote del tizio che abita con mio nonno. Ci siamo conosciute sei mesi fa, durante la settimana-premio per il miglior risultato agli esami.» spiegò lei, come se mi stesse parlando del tempo. Non riuscivo a credere che il mondo fosse tanto piccolo. Approfittando del suo attimo di distrazione, cercai di nuovo di alzarmi. «Sta' buono lì.»
«Non mi va di stare steso come un malato.» obiettai, sbuffando. Ora stavo meglio, anzi, avevo addirittura recuperato la mia lucidità. «Sto bene.»
«Riposati.» ribatté, invece, lei. Si era fatta seria d'un tratto. «Jou ha scoperto qualcosa riguardo una missione dell'Accademia.» io non dissi nulla, aspettando che lei continuasse a parlarmene: non sapevo se Yuka avesse parlato loro della mia situazione e non volevo sembrare troppo interessato alla cosa. «A quanto pare è il momento giusto per attuare il nostro piano.» mi mostrai confuso: sapevo a che si riferiva, ma non capivo perché me lo stesse dicendo. «Yuka ci ha detto tutto, e immagino che tu voglia partecipare, anche se gli altri sono contrari e, in tutta sincerità, lo sono anche io. Ma scommetto che anche se non ti dessi il permesso troveresti il modo per venirci dietro. Quindi, tanto vale che tu vienga con me e non mi crei problemi che poi dovrò comunque risolvere.» poi roetò gli occhi. «Ma te lo chiedo lo stesso: ci stai?»
Cercai di mascherare un sorriso: mi conoceva da poche settimane, eppure sembrava aver capito molto di me. «Ovvio.» confermai, assentendo anche con un cenno della testa.
Mitsuki sbuffò. «Non avevo dubbi.» borbottò, lanciando poi un'occhiata alla porta che si apriva. Yuuko fece capolino dalla porta, quasi timidamente, Mitsuki sorrise, mentre io mi limitavo a fissarla: non mi stava molto simpatica, anzi, la trovavo una persona inutile, non sapeva neanche rispondere al telefono, non aveva determinazione e mi inquietava il fatto che cambiasse aspetto come desiderava. «Cosa ci fai, qui?»
Lei stette a fissarmi per qualche secondo, e io alzai gli occhi al cielo. «Insomma?» chiesi, allora, irritato dal fatto che tutti mi guardassero come se fossi stato un fenomeno da baraccone.
Yuuko parve risvegliarsi da un momentaneo trance. «Oh...» disse, voltandosi poi verso Mitsuki. «Ryu e Jou hanno continuato a indagare e pare che si tratti del sequestro di un bambino... speciale.»
«Perché sono tanto interessati ai bambini?» colsi l'occasione per chiederlo, proprio perché io stesso avevo contribuito a far entrare in Accademia Miyako e perché un sacco di bambini erano entrati quell'anno nella scuola. «Cos'hanno di tanto particolare?»
«L'opinione del capo è che il Preside stia cercando un Alice particolare, anche se ancora non sappiamo quale di preciso.» sembrava che ci fosse qualcosa di più, ma che ancora non si fidasse a mettermene a parte. Mi chiesi se anche io non avrei fatto lo stesso, e se avesse intenzione di portarmi con sé solo per tenermi meglio d'occhio e sapere se mi sarei scoperto o meno.
In ogni caso l'ipotesi aveva senso, dopotutto quello era uno che non poteva più clonarsi e sarebbe stato bambino finché non fosse morto. Ci avrei fatto un pensierino anche io, al suo posto. «A quando il grande piano?» preferii chiedere, a quel punto.
«Tra tre giorni.» mi rispose il mio caposquadra. «Per questo devi riposare, ragazzino. È meglio per te che tu sia pronto e in forze per quella notte, perché non posso garantire per la tua sicurezza se intralci il piano.»
«Ognuno pensa per sé, no?» domandai, retoricamente, e lei annuì. «In quanti andiamo?»
Lei fece un cenno della testa verso Yuuko. «Noi tre.» mossi gli occhi verso la ragazza che era nella stanza con noi e mi chiesi se fosse la scelta giusta. «Siamo anche troppi, per quel che mi riguarda. Ma Yuuko è praticamente fondamentale, con il suo Alice.» inarcai le sopracciglia, sperando che fosse all'altezza della missione, mi ricordava molto Nobara, come modi di fare. Questa era una buona ragione per dubitare di lei.
Scossi semplicemente le spalle, in fondo quello che mi importava era solo entrare di nuovo in Accademia e sperare che portare via di lì Mikan fosse facile. Le scuse di Yuka e di Narumi mi avevano convinto ben poco, ed ero sempre più convinto che fosse meglio portarla via di lì.

Tre giorni dopo, appena finito di lavorare, tornai a casa per mettermi qualcosa di adatto alla missione. Ci saremmo visti poco lontani da casa mia nel giro di due ore. Avevo tempo per darmi una ripulita e cambiarmi. Salii le scale che mi avrebbero portato davanti alla porta e non sentii i consueti rumori che quei rinoceronti che avevo per coinquilini producevano. Appoggiai un orecchio alla porta, sospettoso: forse erano di nuovo andati a svaligiare la dispensa di quella povera vecchietta che abitava al piano di sotto. Avevo sempre creduto che, prima o poi, suo figlio sarebbe venuto a bussare alla nostra porta e spaccare le nostre facce.
Evitai di pensarci: non avevo alcuna intenzione di impicciarmi dei loro affari.
Quando aprii la porta una consistente massa d'acqua per poco non mi inzuppò le scarpe: feci leva sul corrimano per sollevarmi, e l'acqua passò tra gli spazi tra le ringhiere e si riversò sulla strada. Imprecai sottovoce, rimettendomi coi piedi per terra. «Idioti.»
Spinsi la porta quasi con rabbia, sperando che quei tre non mi intralciassero la strada o avrei fatto un barbecue di imbecille per cena. Le parti basse dei mobili erano completamente fradicie, sospettavo che prima o poi avrebbero ceduto, e l'umidità che c'era in quella stanza era irrespirabile. Aprii una finestra, o non sarei arrivato vivo in camera mia. E non appena pensai alla mia stanza, mi chiesi in che condizioni potesse essere, nonostante chiudessi la porta a chiave tutte le mattine, dopo la storia del maglione con la “K”.
Come minimo, avrei scoperto che le chiavi erano tutte uguali e che loro potevano aprire la mia stanza come e quando volevano. Ormai, niente mi stupiva in quella casa, ma ancora non avevo avuto tempo di trovarmi una sistemazione migliore con un prezzo abbastanza decente per le mie tasche.
Mi avviai verso la mia camera e quando aprii la porta, scoprii che i miei sospetti non erano del tutto infondati: il mio borsone l'avevo lasciato per terra quella mattina, l'acqua era filtrata da sotto la porta, e adesso tutti i miei vestiti erano zuppi.
Grandioso.
«Ehi, ragazzi è tornato Gonshiro!» era la voce di uno di quegli animali, ovviamente. Mi girai con occhio assassino verso la porta, e il capo degli idioti, Ryoutarou, aveva un palmo alzato in segno di saluto. «C'è stato un piccolo incidente...»
«Piccolo... incidente?» ripetei, incredulo e con una voglia di spaccargli la faccia non indifferente. Per me potevano fare quello che volevano, tranne che rendere inagibile il palazzo, toccare la mia roba, o impedirmi di vivere tranquillamente. Loro stavano lavorando per rendere impossibili tutte e tre le cose.
Lui si limitò a scuotere le spalle, come se non avesse potuto evitarlo oppure non fosse assolutamente colpa sua. «Stavamo riparando un guasto idraulico, e... Masao ha piantato il chiodo nel punto sbagliato.» evitai di chiedergli come intendevano riparare un “guasto idraulico” con un chiodo, ma mi dissi che preferivo non saperlo. «Si è bucato un tubo, abbiamo dovuto chiudere l'acqua e chiamare un idraulico. Ha detto che siamo stati quasi dei criminali.»
«Non stento a crederlo.» commentai, acido, e gli indicai con un gesto del braccio il mio borsone. Non avevo mai sistemato le mie cose nei cassetti perché erano quasi tutti sfondati e non avevo mai avuto voglia di ripararli o pulirli, usavo quella casa solo per dormirci. «Adesso spiegami cosa devo mettermi.»
Eichi comparve sulla soglia, accanto al suo degno compare un millesecondo dopo. «Ci penso io, amico.» tentò di rassicurarmi. Io mi limitai ad inarcare un sopracciglio, indeciso se esprimere i miei dubbi o meno. «Abbiamo più o meno la stessa taglia, ti presto qualcosa, che ne dici?»
Sospirai sconsolato: avevo forse altra scelta?
Lo seguii nella sua camera e mi porse un paio di normalissimi jeans e una maglietta verde ben ripiegata, suscitando tutto il mio stupore. «Sono nuovi, mai messi.» in effetti, che bisogno ne avevano? Stavano tutto il giorno in casa a giocare con i tubi sperando che si spaccassero e che loro potessero giocare quanto volevano.
Solo quasi un'ora dopo, quando passai davanti allo specchio, mi accorsi che qualcosa non andava: di solito non guardavo molto quello che avevo addosso, perché qualunque cosa andava bene, e quella maglietta verde non sembrava nascondere nessuna cattiva sorpresa.
Mi sbagliavo.
Poco dopo, mi bloccai di fronte allo specchio come se fossi stato folgorato in quel preciso istante. Delle lettere troneggiavano al centro della maglietta: una freccia indicava verso la mia testa e sotto c'era scritto “THE MAN” a lettere cubitali, sotto un'altra freccia, che però indicava il cavallo dei pantaloni, e sopra citava “THE LEGEND”. Mi trattenni a stento dal gridare.
Penso che scoppiarono a ridere nel momento stesso in cui videro la mia faccia. Indirizzai loro la peggiore occhiata del mio repertorio, ma erano troppo impegnati a reggersi l'un l'altro e prendere aria per accorgersene. Non so cosa mi impedì di prendere il vaso sul mobile alla mia destra e lanciarglielo contro, sperando che gli facesse molto male, forse il fatto che era di plastica e che non avrebbe sortito nessun effetto apprezzabile.
Mi girai verso di loro e i fiori finti nel vaso presero fuoco. Loro smisero di ridere, ma iniziarono a gridare “al fuoco” prima di rinchiudersi in camera, terrorizzati.
Almeno un po' della mia vendetta era stata consumata.

«Noi ci presentiamo per una missione seria, e tu vieni conciato come un cretino?» la voce di Mitsuki mi mise, se possibile, ancora più di cattivo umore. Mi limitai a tirare su la cerniera della giacca, così nessuno avrebbe visto niente, e forse mi sarei dimenticato che stavo davvero andando in giro come un cretino. Il mio caposquadra non poté evitare di ridacchiare, alla mia occhiata omicida. «Non voglio sapere cos'è successo.»
«Bene.» commentai, aspro. «Perché non ho nessuna voglia di raccontarlo.»
Si portò una mano alla bocca per nascondere il sorriso. «Sono ancora vivi?» domandò, quasi interessata. Io annuii e non aggiunsi altro. «Forza, andiamo, Yuuko è già in macchina.» feci di nuovo un cenno di assenso e la seguii fino alla sua auto.
«Allora,» cominciai, appoggiandomi allo schienale dei sedili posteriori. «vogliamo ripassare il piano?» credevo che fosse meglio per tutti, dato che era la nostra prima missione insieme e, probabilmente, la prima per almeno uno di noi.
«È davvero necessario?» chiese Mitsuki, esasperata. In effetti, prima che fosse tutto perfetto, quasi lo sapevamo tutti a memoria. La cosa che mi puzzava parecchio era che Yuka non ne sapesse niente, dato che se aveva scoperto tutto su di me, non capivo come pretendevamo di fargliela sotto al naso. In ogni caso, ce ne saremmo preoccupati in seguito. Passò un auricolare prima a me e un altro a Yuuko. «Questi infilateveli nelle orecchie, per ogni evenienza. Se ci premete sopra gli altri vi sentiranno, li useremo in caso di separazione. Ci siamo capiti?» annuii e lo fece anche lei.
Adesso la questione più pressante era infilarsi in una delle auto dell'Accademia, sperando che fosse Persona quello a non accorgersi di nulla. Mitsuki sembrava fiduciosa, e lo ero un po' anche io. La macchina veniva lasciata in custodia all'autista, mentre lui e gli studenti si occupavano della “missione”, così noi avremmo avuto campo libero, perché anche se erano stati appositamente indottrinati dall'Accademia, non erano Alice e molti di loro non erano nemmeno molto svegli. Speravo che ci capitasse proprio uno stupido, quella notte.
Il piano era semplice: ci saremmo infiltrati in Accademia grazie a quell'auto e poi avremmo proseguito verso le prigioni, in passaggi che mi erano sembrati un po' strani, ma su cui Mitsuki avrebbe messo la mano sul fuoco. Sapevamo addirittura in che prigione era detenuto il membro mancante della squadra, grazie a una fonte che lei aveva definito “autorevole”, e su cui non aveva accettato domande. La cosa importante era che Yuuko non andasse nel panico, lei doveva cambiare aspetto per fingersi l'autista che avremmo messo fuori combattimento, ma doveva essere perfetta per non insospettire nessuno.
Cercai di tirarmi su il morale dicendomi che anche se fosse stato tutto perfetto, niente ci diceva che saremmo tornati indietro tutti interi, indipendentemente dalle abilità teatrali della mia collega.
A quanto avevo capito, la missione dell'Accademia era il recupero di due bambini che riuscivano a riprodurre gli oggetti solo toccandoli, e questo somigliava all'Alice del Preside delle Elementari, che magari voleva duplicarsi in questo modo. Ma mi sembrava una spiegazione troppo banale. Quei due erano già stati recuperati da qualcuno che veniva pagato per fare quel lavoro, e il luogo di scambio era in un quartiere poco frequentato dove nessuno era abituato a fare domande. Mi ricordò molto la situazione che avevo vissuto con Mikan e Imai, quando Reo ci aveva rapiti.
Il peccato era che Persona ancora non sapeva che i bambini erano al sicuro e che sarebbe tornato a casa con un palmo di naso.
Mitsuki fermò l'auto a circa un isolato dal “posto X”.
«Siete pronti, ragazzi?» ci domandò, prima di aprire la portiera. Non sprecò tempo ad aspettare le nostre risposte, così scrollai le spalle e la seguì un momento prima di Yuuko. «La missione è ufficialmente iniziata.»
Iniziammo a camminare in silenzio: nessuno aveva molta voglia di parlare, ci avrebbe distratti dal nostro compito e, sempre in silenzio, ci sistemammo in un punto dalla buona visuale, quasi che ci fossimo messi d'accordo, e rimanemmo ad aspettare che qualcuno si facesse vivo, a dimostrazione del fatto che il salvataggio operato da Ryu e Jou era andato a buon fine e che l'Accademia non sospettava che avessimo boicottato il loro piano. Avrebbero dovuto vedersi in quel magazzino, noi avremmo semplicemente dovuto prendere tempo.
Mezz'ora dopo nessun cambiamento accettabile, e io iniziai a sospettare che eravamo stati noi, quelli presi in giro. «Quanto ci vuole?» si chiese Mitsuki, che probabilmente stava pensando la stessa cosa che era passata per la testa a me. «Se Ryu e Jou non ce l'hanno fatta li uccido con le mie mani.»
«Ammesso che siano ancora vivi.» le feci notare, forse un po' cinicamente. Ma quella era la realtà, una missione fallita poteva implicare molte cose, anche quella. Specialmente dato che chi collaborava con l'Accademia, in generale, non era proprio uno zuccherino.
«Taci.» mi ordinò, quasi che nemmeno volesse sentir parlare dell'eventualità. Io scossi le spalle, e tornai a fissare nel parcheggio.
Nessun movimento.
Quando stavamo per perdere tutte le speranze, il rumore familiare di un auto ci spinse a guardarci l'un l'altra in faccia, mentre l'adrenalina cominciava a scorrermi nelle vene in modo quasi percepibile. Il rombo del motore delle auto su cui avevo viaggiato per anni venne accompagnato dal battito del mio cuore che rimbombava nelle mie orecchie. Mitsuki spinse me e Yuko contro il muro, più al buio, mentre una delle macchine frenava a pochi passi da noi. C'erano due auto. Ne ignoravo il motivo.
Probabilmente avevano fiutato la fregatura e si erano portati del personale per farla pagare a chi aveva provato a prenderli per i fondelli. Il problema era che c'erano due autisti e metterne fuori gioco uno sarebbe stato difficile se l'altro si fosse messo in mezzo.
Puntai lo sguardo sul mio caposquadra, la quale fece cenno a me e a Yuuko di stare in silenzio, neanche ce ne fosse stato bisogno. Allungai il collo solo un po' per vedere oltre la spalla di Mitsuki che stesse succedendo: Persona era sceso dall'auto più lontana e faceva cenno a degli studenti di seguirlo. Non vedere Mikan tra loro fu motivo di conforto, anche se non riusciva a mitigare il mio nervosismo.
Un passo falso e nessuno di noi tre avrebbe rivisto la luce.
Il fatto che l'altra macchina quasi ci coprisse poteva essere una relativa fortuna, dati i vetri oscurati e il fatto che la portiera del guidatore fosse dalla nostra. Se l'altro fosse stato almeno un po' disattento, non avremmo dovuto avere dei problemi, ma come puntare tutto sulla fortuna? Forse avremmo dovuto considerare meglio i dettagli, invece di buttarci subito nella missione.
«Adesso che si fa?» domandai, quindi, seguendo Persona passo dopo passo, mentre si avvicinava al magazzino.
«Stai a guardare, ragazzino.» mi rispose Mitsuki, prendendo dalla borsa il telecomando di qualche strano congegno. «Aspetta che mettano piede nel magazzino, e ti faccio vedere a che serve essere stata per anni nella classe di Abilità Tecniche.» indirizzò un'occhiata a Yuuko. «Tu avvicinati alla macchina, ma senza farti vedere. Tramortisci il tizio con questo e prendi il suo posto. Aiuta il suo collega, capito? All'autista reale ci pensiamo noi. Devi essere veloce, ci siamo capiti?»
«Non è meglio se lo tramortisco io?» proposi. «Se lei deve prendere il suo posto è meglio che si faccia vedere subito appena si apre la portiera. A quello vero penso io.» Mitsuki annuì.
Non appena Persona e i suoi studenti si lasciarono alle spalle la saracinesca del garage, lei ci fece cenno di andare verso l'auto. Dopo, la saracinesca si chiuse, facendo suonare una sirena in modo irritante, le portiere delle auto si aprirono in un secondo e io spinse Yuuko che già aveva assunto l'aspetto dell'autista nel punto in cui si supponeva ci fosse quello vero e stesi il tizio con il teaser. Quello cadde a terra come un sacco di patate, che io mi affrettai a trascinare verso il retro della macchina.
Mitsuki mi raggiunse un secondo dopo e mi aiutò a metterlo nel bagagliaio. Pesava un quintale, quel maledetto! «Sbrigati, cavolo, prima che li liberino.» mi spinse dentro l'auto e ci sistemammo stesi sotto ai sedili della limousine. Per fortuna c'era spazio a sufficienza, là sotto, fatto apposta per metterci le borse.
Mi schiacciai contro la parte che delimitava il bagagliaio, in modo da non essere visto dagli occupanti della limousine, ammesso che ce ne fossero stati (se non era stata presa solo perché una non bastava a portare tutti gli studenti più i bambini). Fortunatamente, eravamo vestiti di nero – eccezion fatta per la mia maglietta che per fortuna era coperta dalla giacca. Sperai solo che Yuuko se la cavasse, ormai l'arrivo in Accademia dipendeva da lei.
Qualche minuto più tardi fui rincuorato dal fatto che l'auto partì, e che era vuota. Avevamo avuto più fortuna di quanto riuscissi a immaginare. Sentii anche Mitsuki sospirare, ma nessuno dei due osò muoversi: non c'era modo di sapere chi ci fosse alla guida, se Yuuko oppure l'altro autista. L'avremmo scoperto una volta varcati i cancelli della scuola, per il momento c'era solo da stare buoni e in silenzio. E sarebbe stato anche bene se l'autista vero non si fosse svegliato durante il tragitto.

«Forza.» Yuuko aprì la portiera dell'auto, e guardò dentro per un secondo del tutto disorientata. Vidi il sollievo sul suo viso quando Mitsuki sbucò da sotto al sedile. «Oh, cielo... credevo che non ce l'aveste fatta a salire e mi era preso il panico.» era ancora conciata da autista, ma era un bene.
«Beh, ci siamo.» fu la risposta del mio capo. Scendemmo dall'auto strisciando contro il muro per evitare la telecamera. «E devi fare un'altra cosuccia per noi, Yuuko.»
«Sarebbe?» chiese lei, fingendo di controllare che l'auto fosse a posto, mentre parlava. Mossa astuta per intrattenersi di fronte alla telecamera senza destare sospetti.
«Disattivare le telecamere per qualche ora, un fermo immagine quando sono tutte vuote.» spiegò Mitsuki, spostando lo sguardo su quella che puntava proprio sulla macchina vicino a noi. «Avvertici della buona riuscita della cosa con l'auricolare.»
«Vado subito.» scomparve dalla nostra vista poco dopo. Sperai che facesse in fretta, stare come le belle statuine in un punto cieco non era il massimo, dato che stare fermo quando sai che non puoi fare altrimenti è una cosa che ti spinge a muoverti anche se normalmente non ne sentiresti il bisogno. Un po' come sentire lo stimolo di andare in bagno quando sai che non puoi.
Avevamo passato tre giorni a studiare la planimetria della scuola, quindi Yuuko sapeva esattamente dove trovare la stanza che conteneva i video che riportavano le immagini trasmesse da ogni punto del campus. Il fatto che non fosse in un altro plesso rispetto al magazzino mi rincuorò: non avremmo dovuto attendere tutta la notte, anche se ogni minimo secondo sembrava durare un secolo.
«Ho fatto.» la voce di quella ragazza mi indusse a sussultare per lo spavento. Non me l'aspettavo. «Ci ho messo molto a convincere quello che controllava che era finito il suo turno, e ho dovuto bloccare le registrazioni in modo che si vedano solo le ultime immagini.»
«Grazie al cielo.» borbottò Mitsuki, prima di aprire il bagagliaio dell'auto su cui eravamo arrivati. «Aiutami a tirarlo fuori.» gli fece ingurgitare una pillola, e mi fece cenno di avvicinarmi. «Così dormirà di sicuro fino a domani e non ci creerà problemi.»
Lo afferramo con una certa fatica, dato che era un peso morto, ma dopo circa un centinaio di passi incerti, riuscimmo a scaraventarlo su una delle sedie nella sala in cui si trovava Yuuko, così non ci sarebbe stata nessuna spiegazione da trovare. Se l'avessimo lasciato nel corridoio qualcuno avrebbe potuto chiedersi com'era finito lì senza che fosse ripreso.
«Abbiamo completato la prima parte della missione?» trillò Yuuko, contenta. Io e Mitsuki la guardammo storto: non eravamo nemmeno lontanamente vicini alla fine di quella storia. Ancora dovevamo arrivare alle prigioni e sperare che la fonte di Mitsuki fosse davvero attendibile come credeva lei.
«Tu resta qui.» le disse Mitsuki, mettendole una mano sulla spalla. «Assumi l'aspetto del furbone che se n'è andato, nel caso qualcuno venga a fare domande. E avvertici se vedi negli schermi qualcuno di sospetto che si avvicina a dove siamo noi. Intesi?»
«Agli ordini, capo!» rispose lei, suonando molto soddisfatta di se stessa. Mi tirò per un braccio, prima che potessi fare qualche commento e uscimmo nel corridoio, chiudendoci la porta alle spalle.
Aprii la bocca per parlare ma lei mi fermò. «Zitto, ti prego, non dire niente.» disse, continuando a trascinarmi per la giacca. «Muoviamoci, invece.»
«Non sai nemmeno che cosa volevo dire.» obiettai, inarcando un sopracciglio. Mi liberai il braccio dalla presa e la affiancai: non avevo bisogno di essere portato in giro come un cane. Lei mi indirizzò un'occhiata dubbiosa.
«So che volevi dire qualcosa in proposito di lei, quindi evitamelo. Lo so che non è molto sveglia, non ho bisogno che tu me lo dica.» si guardò intorno al primo svincolo, e io imboccai la via a sinistra quasi senza pensarci, troppo abituato a farlo, anche se erano mesi che non vedevo quel posto. Lei mi seguì. «Non dico che sia una stupida, dopotutto se l'è cavata egregiamente stasera, è solo che è... ingenua.»
«Puoi sopravvivere bene solo se sei così, qui dentro.» osservai, aprendo la porta antipanico che ci portò in giardino. Solo se non ti accorgevi di niente di ciò che c'era dietro a quello che intendevano farti vedere i tre Presidi, allora la vita scorreva molto bene in quella scuola. Ognuno di quei tre aveva qualcosa da nascondere, perché non era plausibile che nessuno sapesse degli affari del Preside delle Elementari.
«Come si raggiungono le prigioni sotto alle Elementari, da qui?» mi chiese lei, non appena mettemmo piede sui sassi davanti all'erba. «Non ho molto senso dell'orientamento.»
Io mi guardai intorno per cercare di recuperare il mio: le prigioni non erano un posto che frequentavo assiduamente, anzi, preferivo tenermi lontano da lì il più possibile. Sapevo che per entrarci servivano delle chiavi che aveva solo Persona, e di certo non potevamo chiederle a lui. Mitsuki aveva liquidato la questione con il fatto che lei avrebbe potuto costruire un congegno sostituitivo, per cui non avevamo più parlato della cosa, ma non aveva smesso di preoccuparmi. Detestavo non avere un piano definito nei minimi dettagli, quando rischiavo di lasciarci le penne.
Mi guardai intorno, con un sospiro paziente. La sezione Elementare non era lontana dai garage e l'entrata per le prigioni era all'interno, poco lontano dall'ufficio del preside, il muro si faceva da parte solo se si inseriva la chiave giusta in una toppa nascosta da un mobile. Proprio come nei migliori film di spionaggio.
«Di qua.» dissi, incamminandomi verso la mia destra, Mitsuki, di nuovo, mi venne dietro senza obiettare. «Quanto tempo abbiamo per trovarla e portarla via?» avevamo un limite di tempo perché il dannato passaggio per uscire si apriva solo allo scoccare della mezzanotte, non un minuto prima e men che meno il minuto dopo. Poteva essere aperto solo a mezzanotte precisa, se l'avessimo mancato, avremmo perso tutto. Ritenevo stupido aver puntato tutto su questo ma, ragionevolmente parlando, non esisteva altra via di fuga che non attivasse degli allarmi che non potevamo disattivare.
«Meno di tre ore.» mi rispose Mitsuki, e dal tono si intuiva che iniziava, come me, a sospettare che non ce l'avremmo fatta facilmente come credevamo. Questo perché c'era stato quel ritardo iniziale delle auto della scuola, che ci aveva fatto perdere del tempo prezioso.
In ogni caso, questo era il tempo che avevamo a disposizione e dovevamo farcelo bastare. Spinsi una delle porte laterali del plesso delle Elementari e mi diressi lentamente verso la porta dell'ufficio del Preside. Feci cenno a Mitsuki di camminare rasente il muro sotto la telecamera che inquadrava la porta, portandosi sulle punte per non rischiare che le scarpe si vedessero nell'inquadratura. Quella telecamera apparteneva a un altro circuito, per quel che ne sapevo io, ed era bene non rischiare a un passo dalla porta che ci serviva.
«Quindi?» chiesi, impaziente, quando spostai il mobile il tanto che bastava perché la serratura si vedesse. «Come la apriamo?»
Lei si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa. «Non c'è niente di smontabile qui intorno?» mi chiesi che razza di domanda fosse: non credevo che non avesse niente in quella borsa, ma cosa ci poteva essere di “smontabile” in un corridoio deserto e spoglio?
«Ti aspettavi di trovare arnesi pronti per essere usati da te per scassinare la porta?» fu la mia risposta retorica, la qual cosa suscitò uno sguardo esasperato. «E allora che pretendevi?»
«Credevo solo che in una scuola all'avanguardia come questa ci fosse qualcosa da smontare.» obiettò, sbuffando. Scavò nella borsa, alla ricerca di qualcosa di utile, ma niente che potesse aiutarci a calcare la forma della chiave, non in un muro. «Avresti anche potuto dirmelo che la porta era una parete.»
«Credevo che lo sapessi.» in fondo era lei che aveva frequentato l'Accademia prima di me e che se n'era andata a lavorare da Z per fermare i traffici loschi, pensavo che sapesse tutto a riguardo. Ovviamente, mi sbagliavo. Se una situazione simile avesse dovuto riverificarsi – sempre che riuscissimo a uscire da questa – avrei messo a disposizione anche la più stupida delle informazioni che possedevo a riguardo.
«Al diavolo i piani male organizzati!» imprecò Mitsuki, appoggiandosi al mobile che avevamo appena spostato. «La fretta ci ha giocati per bene. Come facciamo a tornare a casa e a dire “niente di fatto, gente”? Saranno Ryu e Jou ad ammazzare noi, per non parlare di Yuka che ci aveva proibito di avvicinarci a questo posto.»
«Per la storia del precario equilibrio che non va sconvolto finché non siamo pronti ad affrontare questi invasati?» era di nuovo una domanda retorica, ma lei annuì lo stesso. Io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo, trattenendo il commento sarcastico che avevo sulla punta della lingua.
«Hai qualche idea, genio-Hyuuga?» mi domandò, dopo qualche secondo in cui nessuno dei due sapeva come sbloccare la situazione. «Se solo i laboratori delle Abilità Tecniche non fossero dall'altra parte del campus...»
«Beh, lo sono.» osservai, dato che preferivo non affidarmi ai “se” e ai “ma”: non serviva a niente, tantomeno in una situazione simile. E se proprio non c'era scelta, dovevamo pensare a un mezzo di trasporto, dato che le auto nel garage non potevamo utilizzarle. La chiusura della saracinesca era nell'ufficio del Preside e non potevamo entrare senza essere inquadrati da un'altra telecamera.
«Porca misera. Non possiamo rinunciare ora.» si alzò e mi fece cenno di seguirla da dov'eravamo venuti. «Andremo a piedi. Almeno ci avremmo provato.»
«Abbiamo poco più di due ore, Mitsuki.» era il caso che le facessi rimettere i piedi per terra. «Non ce la possiamo fare ad andare, cercare e trovare le cose che ci servono, tornare a fare il calco – sempre se ci riusciamo, trovarla, liberarla e portarla via prima di mezzanotte. Non è possibile. Dobbiamo anche trovare la chiave del Wraphole. E sta nella sezione Superiore, dal Presidente del Comitato Studentesco.»
«Quello è il più piccolo dei problemi, ora.» mi disse lei, mentre di nuovo uscivamo nel giardino. «Non credevo che mi sarei trovata nel bel mezzo di una missione senza sapere cosa fare e perdere tempo in modo tanto idiota.»
Stava andando tutto troppo bene perchè potessimo essere fortunati fino all'ultimo, e di certo non mi aspettavo che la chiave sbucasse da un albero o fosse sotto un sasso. Feci vagare lo sguardo più per disperazione che per reale convinzione. «Ho trovato.» proruppi, a un certo punto, facendole alzare lo sguardo speranzosa. «Spero che possa esserti utile, perché è la nostra ultima spiaggia.»
«Parla, ragazzino.» mi incitò, e le indicai uno dei vari capanni dei giardinieri – ce n'era una per ogni area – che si prendevano cura del bosco di Mr Bear, e di tutte le aiuole disseminate nel campus. Sorrise vittoriosa. «Sei un genio, Hyuuga!»
«Muoviamoci.» la interruppi, prima che le venisse in mente di fare qualcosa come scompigliarmi i capelli con le nocche. Dentro non mi aspettavo di trovare qualcosa che ci aiutasse a trovare la forma della chiave, ma tentare non costava nulla. «Dici che ci sarà qualcosa di utile?» le porte di quei capanni non erano mai chiuse per via delle punizioni degli studenti che a volte riguardavano pulire i bidoni della spazzatura vaganti. Le buste speciali le tenevano lì.
«Qualcosa troveremo.» entrammo ma era un po' buio, finché non trovai l'interruttore della lampadina dalla luce decisamente tremante. Ma lì c'erano solo strumenti per tagliare l'erba e per il terreno, niente che potesse essere utile. «Ehi, dimmi una cosa...» mi voltai verso di lei, iniziando a perdere la poca speranza che avevo acquisito. «il tetto delle prigioni... dà sull'esterno o sul pavimento?»
«Le prigioni sono sotto ai nostri piedi.» risposi, confuso. «Sotto all'edificio ci sono dei cunicoli per le emergenze. Non c'era spazio lì.»
Lei ghignò in modo quasi inquietante. «Bingo.» disse solo, prima di prendere quasi tutti gli attrezzi del giardiniere, smontarli e cominciare a rimetterli insieme per un qualche strano congegno da lei ideato.

Circa un'ora dopo, stavamo trascinando un pesantissimo affare verso il punto in cui, a detta della planimetria, doveva esserci la prigione che cercavamo. Il piano era di tagliare la fetta di terreno e di soffitto che ricopriva la cella che ci interessava, prelevare la collega che eravamo venuti a salvare e sparire prima che qualcuno notasse il buco che avevamo lasciato.
Yuka ci avrebbe uccisi, questo ormai era chiaro, tanto valeva andare fino in fondo.
«Sicuro che sia questa?» domandò lei, col fiatone. Io annuii, per non sprecare fiato inutilmente. Il congegno aveva delle ruote, ma non volevamo sprecare batteria, per essere sicuri che non si fermasse a metà del lavoro. Mitsuki aveva fatto in modo che la lama tagliasse in cerchio, o una figura chiusa che ci si avvicinasse, ma ancora non sapevamo se avrebbe dato gli effetti sperati. «Accendilo, ti scongiuro.»
Premetti il pulsante e rimasi sorpreso: non avrei mai creduto che quell'attrezzo potesse funzionare per davvero. Dovevo ammetterlo, Mitsuki aveva un Alice particolarmente utile, in situazioni del genere. Mi guardai intorno, per essere sicuro che neanche le telecamere fuori dall'ufficio del Preside ci avessero ripresi per errore. Non stava arrivando nessuno, quindi mi convinsi che eravamo stati sufficientemente mimetici. Quello che mi preoccupava era il rumore del motore da tagliaerba che quel coso aveva in sé: qualcuno si sarebbe chiesto se c'era un giardiniere pazzo che tagliava l'erba alle dieci di sera? La fortuna era che i bambini delle Elementari non scorrazzassero in giro grazie del loro coprifuoco, le nove di sera, poco dopo la cena.
Nel frattempo, Mitsuki tirò fuori dallo zaino una corda che fissò all'albero più vicino. «Dammi una mano, sennò che ci stai a fare qui?» mi richiamò, porgendomi l'estremità della corda. Avevo imparato a fare dei nodi nel caso in cui fossero serviti, non si sapeva mai cosa poteva succedere in una missione, così ne feci uno dei miei, e verificai che potesse reggere almeno un po' di peso, visto che avevo il vago dubbio che avremmo dovuto calarci nel buco creato con quell'attrezzo con quella.
«Vado prima io.» annunciai, prima che ci andasse lei e cadesse, dandomi la colpa di qualche osso rotto. Ma Mitsuki si limitò ad annuire, probabilmente pensando che le mie ossa rotte erano meglio delle sue. Mi aggrappai alla corda e feci attenzione a non far sbriciolare il terreno più del necessario, o anche risalire sarebbe stato un problema. Quando toccai il pavimento della prigione, era così buio che non riuscivo a vedere quasi nulla, se non una debole luce che doveva provenire dal fondo del corridoio e trapelava dalle sbarre. L'unico rumore percepibile fu quello che le scarpe di Mitsuki produssero sul pavimento, proprio vicino a me. «Non si vede niente.» commentò, a bassa voce.
«Che intuito.» ironizzai, nello stesso modo, per poi guardarmi intorno e cercare di abituarmi alla mancanza di luce. «Sei sicura sia la prigione giusta?»
«Certo che sono sicura. Me l'ha detto una fonte autorevole.» ero curioso di sapere chi fosse la sua “fonte autorevole” per valutare la sua attendibilità, ma non feci domande. «Conoscendola, sta zitta per la suspance.»
«Dubito che sia così stupida.» obiettai, assottigliando gli occhi. Mi diressi verso il fondo della cella, anche se dubitavo che qualcuno sano di mente sarebbe andato a infilarsi nell'anfratto più scuro e sporco di quel posto orribile. Urtai qualcosa col piede e ne seguì un lamento. «Mi sa che l'ho trovata.»
Mitsuki corse verso di me e si inghinocchiò. «Yui-sempai?» domandò, e mi abbassai anche io, pensando che avesse bisogno di aiuto. «Natsume... lo so che ti costa, ma mi faresti un po' di luce per un attimo?» obbedii, ma giusto il tempo per permetterci di distinguere qualcosa, poi la fiamma si spense, e tornammo a vedere anche meno di prima. Almeno avevamo capito con chi eravamo, e che eravamo nella cella giusta.
La donna tossì. «Mitsuki-chan?» domandò, suonando sollevata. Non stentavo a crederlo, a nessuno piaceva trovarsi lì in fondo. Sembrò risvegliarsi completamente quando si tirò su. «Sei pazza? Cosa fai qui?» adesso sembrava agitata.
«Io e Natsume siamo venuti a salvarti.» spiegò lei, bisbigliando. «Ma dobbiamo fare in fretta, dubito che ci mettano molto per accorgersi che le telecamere sono state bloccate. Dobbiamo andarcene subito.»
«E come pensi di uscire?» le chiese l'altra, appoggiandosi a me e a Mitsuki per alzarsi.
Senti il mio caposquadra sorridere. «Come siamo entrati, ovviamente.» mi pareva che stesse accennando all'apertura che avevamo creato nel soffitto con la testa, e quando Yui sollevò lo sguardo per fissarla emise quasi uno sbuffo divertito. «Come ricoprirai le prove della mia fuga?»
«Che senso ha ricoprirle quando sapranno comunque che sei scappata?» domandai, suonando ironico. «Capiranno comunque che siamo stati noi.»
«E Yuka ci ucciderà.» completò Mitsuki, anche se non sembrava realmente preoccupata. «Ci aveva detto di muoverci con cautela.»
«Non mi stupirebbe se vi avesse detto di non muovervi affatto.» commentò Yui, e mi sembrò che non fosse nemmeno un po' risentita. Forse erano tutti uguali, all'Organizzazione Z.
«Ormai è andata, giusto?» Mitsuki si legò la corda in vita. «Vado prima io, poi manda su Yui, così ci sarà qualcuno di lucido fuori e dentro la cella, avremo più possibilità di portarla in salvo se ci scoprono. Se succede qualcosa di sopra, Natsume, tu resta qui. Siamo d'accordo?» la luce si fece improvvisamente un po' più forte, tanto che riuscimmo a guardarci in faccia potendo distinguerci. Penso che il sangue nelle vene gelò a tutti come nelle mie. Ci spingemmo verso l'angolo più buio, pregando che nessuno vesse il foro nel soffitto. Anche se era notte e il cielo scuro poteva anche essere confuso col tetto grigio della cella, dubitavo che sarebbe passato inosservata la corda che portava dritta a noi, a qualcuno che era solito controllare che fosse tutto a posto. Se, poi, fosse stato Persona, avevo il dubbio che ci trovassimo in guai talmente grossi da non averne nemmeno idea. Soprattutto io che si supponeva che fossi la loro spia e poi mi infiltravo nella scuola per sottrarre dei prigionieri.
«Che facciamo?» sussurrò Yui, con voce malferma. «Avete un piano di riserva anche per questo?»
«Veramente... da un certo punto in poi siamo andati a ispirazione.» confessai, lanciando un'occhiata obliqua a Mitsuki, che aveva scombinato tutti i piani. Lei mi pizzicò un braccio, penso per non muoversi per darmi un calcio.
«Oh, sta' zitto.» mi fece poi, frustrata. «Non prevedevo che sarebbe successo questo
«La tua fonte autorevole aveva omesso le ronde di controllo dei prigionieri?» magari non era il momento giusto per fare del sarcasmo, ma non riuscivo a credere che ci fossimo cacciati nei guai, che avrei fatto saltare la mia copertura perché qualche imbecille aveva tralasciato dei dettagli importanti. E non riuscivo a non smettere di pensare che se mettevo nei guai me, mettevo nei guai anche Mikan, forse anche peggio di quanto potessi immaginare.
La luce si fece sempre più forte, era a pochi passi dalla cella in cui tentavamo di nasconderci, ondeggiò per qualche secondo e poi mi accecò. Durò solo un momento, ma mi ci volle qualche attimo per riuscire a vedere in modo decente. C'era qualcuno con un vassoio, davanti alle sbarre: le avevano portato la cena.
«Yui-san...» fece una voce, che alla prima non riconobbi. «sei sveglia? Scusa se sono arrivata tardi, ma non ho potuto portarti prima da mangiare.» la ragazza si allungò sulle punte, forse per sbirciare meglio nella prigione, ma teneva la luce sotto al vassoio, e non riuscivo a vedere chi fosse. Solo qualcuno delle Abilità Pericolose conosceva quel posto. «Stai... stai bene?»
Diedi una gomitata alla nostra prigioniera perché rispondesse. «Sì...» disse, allora, flebilmente. «Ma non ho molta fame...»
«Ma... Kisaki-chan ha detto che avevi assoluto bisogno di mangiare...» obiettò, e mi ricordò molto Mikan, ma non era possibile che fosse lei. La ragazza si piegò fino alla fessura per lasciar passare il vassoio, e quando lo fece, davanti alla lampada caddero i suoi capelli, legati in due codini che furono dolorosamente familiari.
«Mikan?» mi sfuggì, quasi che non avessi alcun controllo su ciò che dicevo. Mitsuki mi assestò un altro dei suoi pizzichi, ma lo ignorai deliberatamente e mi avvicinai alle sbarre. Adesso che la luce non aveva più l'ostacolo del vassioio vedevo bene e non c'era possibilità di sbagliarsi: era davvero lei. Lasciò andare di scatto la lampada che cadde a terra – per fortuna senza rompersi – e indietreggiò fino al muro, quasi che l'avessi spaventata a morte, e forse era così.
«N-Natsume...» aveva gli occhi sbarrati e non poteva sembrare più stupita di vedermi e disorientata.
«Cosa ci fai qui?» adesso era la preoccupazione di vederla in posti di cui nemmeno avrebbe dovuto sapere l'esistenza che aveva preso il sopravvento sulla sorpresa.
Per un momento, lei continuò a fissarmi come se non fossi davvero lì ma solo un'allucinazione, e lo strisciante sospetto che fosse veramente entrata a far parte delle Abilità Pericolose non riuscì ad abbandonarmi.


*****

Scusate – per l'ennesima volta – il ritardo nella pubblicazione. Questo periodo è un po' strapieno di cose da fare, e devo ammettere di aver perso un po' di vena creativa, riguardo a questo fandom. Un po' perché il manga va avanti col contagocce e con quasi niente di nuovo, e un altro po' perché l'autrice ha usato lo stesso identico finale che era venuto in mente a me U.U – la parte un po' prima che Natsume ci lasci le penne.
Questo è seccante. U.U
In ogni caso il capitolo non è stato Betato, se c'è qualcosa che non va, lo correggerò più avanti, ma non ce l'avrei fatta a farcela a pubblicare oggi se l'avessi fatto leggere a un occhio che non era il mio XD.
Per tutti gli universitari, buon inizio del secondo semestre!
  
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